SAN
CELESTINO I PAPA
CONCILIO
DI EFESO
Divina
Maternità di Maria contro Nestorio.
SECONDA LETTERA DI CIRILLO A NESTORIO Cirillo saluta
nel Signore il piissimo e sommamente amato da Dio Nestorio, suo collega. Sono venuto a
sapere che alcuni tentano con vane ciance di detrarre al mio buon nome presso
la tua Riverenza - e ciò frequentemente - soprattutto in occasione di
riunioni di persone assai in vista. Forse pensando addirittura di accarezzare
le tue orecchie, essi spargono voci incontrollate. Sono persone che non ho
offeso in nessun modo, li ho invece ripresi con le debite maniere: l'uno
perché trattava ingiustamente ciechi e bisognosi; l'altro, perché aveva
impugnato la spada contro la propria madre; un altro
ancora, perché aveva rubato con la sua serva l'oro degli altri, ed aveva
sempre avuto una fama, quale nessuno augurerebbe neppure al suo peggior
nemico. Del resto, non intendo interessarmi troppo di costoro, perché non
sembri che io estenda la misura della mia pochezza al di
sopra del mio signore e maestro, e al di sopra dei padri: non è
possibile, infatti, evitare le stoltezze dei malvagi, in qualsiasi modo si
viva. Costoro, però, che hanno la bocca piena di maledizione e di amarezza (1), dovranno rendere conto al giudice di
tutti. Io, invece, tornando a ciò che credo
più importante, ti ammonisco anche ora, come fratello in Cristo, perché tu
esponga la dottrina e il pensiero sulla fede al popolo con ogni cautela e
prudenza perché tu rifletta che lo scandalizzare anche uno (dei) piccoli che
credono in Cristo (2), suscita la insopportabile,
indignazione (di Dio). Se poi coloro che sono stati
fossero una moltitudine, non dobbiamo forse usare arte per evitare, con
prudenza, gli scandali e presentare rettamente una sana esposizione della
fede a chi cerca la verità? Ciò avverrà nel modo migliore se leggendo
le opere dei santi padri, cercheremo di apprezzarle molto, ed esaminando noi
stessi, se siamo nella vera fede conforme della Scrittura (3), conformiamo perfettamente il nostro modo di vedere il loro
pensiero retto e irreprensibile. Dice, dunque, il santo e grande concilio (di
Nicea) che lo stesso Figlio unigenito, generato secondo natura da Dio Padre,
Dio vero nato dal vero Dio, luce dalla luce, colui per mezzo del quale il
Padre ha fatto tutte le cose, è disceso si è fatto carne, si è fatto uomo, ha
sofferto, è risuscitato il terzo giorno, è salito al cielo. Dobbiamo
attenerci anche noi a queste parole e a questi insegnamenti, riflettendo bene
cosa significhi che il Verbo di Dio si è incarnato e fatto uomo. Non diciamo, infatti, che la natura dal
Verbo si sia incarnata mutandosi, né che fu trasformata in un uomo, composto di anima e di corpo. Diciamo, piuttosto, che il Verbo,
unendosi ipostaticamente una carne animata da un'anima razionale si fece uomo
in modo ineffabile e incomprensibile e si è chiamato figlio dell'uomo, non
assumendo solo la volontà e neppure la sola persona. Sono diverse, cioè, le nature che si uniscono, ma uno solo è il Cristo e
Figlio che risulta non che questa unità annulli la differenza delle nature ma
piuttosto la divinità e l'umanità formano un solo e Cristo, e Figlio, che
risulta da esse; con la loro unione arcana ed i (ineffabile*) nell'unità. Così si
può affermare che, pur sussistendo
prima dei secoli, ed essendo stato generato dal Padre, Egli è stato generato
anche secondo la carne da una donna; ma ciò non significa che la sua divina
natura abbia avuto inizio nella santa Vergine, né che essa avesse bisogno di
una seconda nascita dopo quella del padre (sarebbe
infatti senza motivo, Oltre che sciocco, dire che colui che esisteva prima di
tutti i secoli, e che è coeterno al Padre, abbia bisogno di una seconda
generazione per esistere); ma poiché per noi e per la nostra salvezza, ha
assunto l'umana natura in unità di persona, ed è nato da una donna così si
dice che è nato secondo la carne. (Non dobbiamo pensare), infatti, che prima sia stato generato un uomo
qualsiasi dalla santa Vergine, e che poi sia disceso in lui il Verbo: ma
che, invece, unica realtà fin dal seno della madre, sia nato secondo la
carne, accettando la nascita della propria carne. Così, diciamo che egli ha sofferto ed è risuscitato, non che il Verbo
di Dio ha sofferto nella propria natura le percosse, i fori dei chiodi, e le
altre ferite (la divinità, infatti non può soffrire,
perché senza corpo); ma poiché queste
cose le ha sopportate il corpo che era divenuto suo, si dice che egli abbia
sofferto per noi: colui, infatti, che non poteva soffrire, era nel corpo che
soffriva. Allo stesso modo spieghiamo la sua morte. Certo, il Verbo di
Dio, secondo la sua natura, è immortale, incorruttibile, vita, datore di
vita; ma, di nuovo, poiché il corpo da lui assunto, per grazia di Dio, come
dice Paolo (4), ha gustato la morte
per ciascuno di noi, si dice che egli abbia sofferto la morte per noi.
Non che egli abbia provato la morte per quanto riguarda la sua natura
(sarebbe stoltezza dire o pensare ciò), ma perché, come ho detto poco fa, la sua carne ha gustato la morte.
Così pure, risorto il suo corpo, parliamo di resurrezione del Verbo; non
perché sia stato soggetto alla corruzione - non sia mai detto - ma perché è
risuscitato il suo corpo. Allo
stesso modo, confesseremo un solo Cristo un solo Signore; non adoreremo
l'uomo e il Verbo insieme, col pericolo di introdurre una parvenza di
divisione dicendo insieme, ma adoriamo un unico e medesimo (Cristo),
perché il suo corpo non è estraneo al Verbo, quel corpo con cui siede vicino
al Padre; e non sono certo due Figli a sedere col Padre ma uno, con la
propria carne, nella sua unità. Se noi rigettiamo l'unità di persona, perché
impossibile o indegna (del Verbo) arriviamo a dire
che vi sono due Figli: è necessario, infatti definire bene ogni cosa, e dire
da una parte che l'uomo è stato onorato col titolo di figlio (di Dio), e che,
d'altra parte il Verbo di Dio ha il nome e la realtà della filiazione. Non dobbiamo perciò dividere in due figli l'unico Signore Gesù Cristo. E ciò non gioverebbe in alcun modo
alla fede ancorché alcuni parlino di unione delle
persone: poiché non dice la Scrittura che il Verbo di Dio
sì è unita la persona di un uomo ma che si fece carne (5). Ora che il
Verbo si sia fatto carne non è altro se non che è
divenuto partecipe, come noi, della carne e del sangue (6): fece proprio il
nostro corpo, e fu generato come un uomo da una donna, senza perdere la sua
divinità o l'essere nato dal Padre, ma
rimanendo, anche nell'assunzione della carne, quello che era. Questo afferma
dovunque la fede ortodossa, questo troviamo presso i
santi padri. Perciò essi non dubitarono di chiamare la santa Vergine madre di
Dio, non certo, perché la natura del Verbo o la sua divinità avesse avuto
l’origine del suo essere dalla santa Vergine, ma perché nacque da essa il santo corpo dotato di anima razionale, a cui è
unito sostanzialmente, si dice che il Verbo è nato secondo la carne. Scrivo queste
cose anche ora spinto dall'amore di Cristo esortandoti come un fratello, scongiurandoti, al cospetto di Dio e dei suoi angeli
eletti, di voler credere e insegnare con noi queste verità, perché sia salva
la pace delle chiese, e rimanga indissolubile il vincolo della concordia e
dell’amore tra i sacerdoti di Dio. TERZA LETTERA DI CIRILLO DI ALESSANDRIA A NESTORIO [...] Seguendo in tutto le confessioni che i santi Padri hanno formulato
sotto l'ispirazione dello Spirito Santo, e le orme dei loro pensieri,
battendo la via regia, noi diciamo che il Verbo unigenito di Dio, nato dalla
stessa sostanza del Padre, Dio vero da Dio vero, luce da luce, mediante il
quale sono state fatte tutte le cose in cielo e in terra, è lo stesso che è
disceso (dal cielo) per la nostra salvezza, si è umiliato sino
all'annientamento, si è incarnato e si è fatto uomo, ossia, prendendo la
carne dalla santa Vergine e facendola propria, è nato come noi dal seno
materno, ed è diventato uomo dalla donna, senza rinunziare a quello che era;
ma, pur assumendo la carne e il sangue, rimase anche così ciò che era: Dio,
per natura e secondo verità. Né diciamo con ciò che la carne sia passata nella natura della divinità, né che la
ineffabile natura del Verbo di Dio si sia trasformata nella natura della
carne: infatti, è assolutamente immutabile, sempre identico a sé stesso,
secondo le Scritture (7). Apparso fanciullo, e in fasce, e ancor nel
seno della Vergine Madre, riempiva (di sé) tutta la creazione, essendo Dio, e
sedeva alla destra del suo genitore; poiché la divinità non ha quantità, né
grandezza, e non conosce limiti. Noi confessiamo, quindi, che il Verbo di Dio si è unito personalmente
alla carne umana, ma adoriamo un solo Figlio e Signore Gesù Cristo, non
separando né dividendo l'uomo e Dio, come se fossero uniti l'uno all'altro
dalla dignità e dalla autorità (ciò, infatti,
sarebbe puro suono e niente altro), e
neppure chiamando, separatamente, Cristo Verbo di Dio, e separatamente
l'altro Cristo quello nato dalla donna; ma ammettendo un solo Cristo, e cioè
il Verbo di Dio Padre, con la sua propria carne. Allora egli, come noi, è
stato unto, anche se è lui stesso a dare lo Spirito a coloro
che sono degni di riceverlo, e ciò non secondo misura, come dice il
beato Giovanni evangelista (8). Ma non
affermiamo neppure che il Verbo di Dio ha abitato, come in un uomo qualsiasi,
in colui che è nato dalla Vergine santa, perché non
si creda che Cristo sia un semplice uomo portatore di Dio. Se, infatti il Verbo di Dio abitò fra noi (9) ed è
detto che in Cristo abitò corporalmente la pienezza della divinità
(10), crediamo però che egli si fece
carne non allo stesso modo che si dice che abita nei santi, e distinguiamo
nello stesso modo l'abitazione che si è fatta in lui: unito secondo natura, e
non mutato affatto in carne, ebbe in essa una tale abitazione, quale si
potrebbe poi dire che abbia l'anima dell'uomo nei riguardi del suo corpo. Non
vi è, dunque, che un solo Cristo, Figlio e Signore; non secondo una semplice
unione di un uomo, nell'unità della dignità e dell'autorità, con Dio perché una uguale dignità infatti, non può unire le nature. Così
Pietro e Giovanni sono uguali in dignità, come gli altri apostoli e
discepoli; ma i due non erano uno. Infatti non concepiamo il modo dell’unione come una
giustapposizione (ciò, del resto, non sarebbe neppure sufficiente ad una
unità naturale), o come una unione per relazione, come quando noi, aderendo a
Dio, secondo la Scrittura, siamo uno spirito solo con lui (11); evitiamo
piuttosto il termine stesso di "congiunzione" in quanto inadeguato
ad esprimere il mistero dell'unità. E non
chiamiamo il Verbo di Dio Padre neppure "Dio" o "Signore"
di Cristo, per non dividere di nuovo, apertamente in due l'unico Cristo e
Figlio e Signore, cadendo nel di bestemmia, facendo
di lui il Dio o il Signore di se stesso. Unito, infatti, sostanzialmente,
alla carne, come abbiamo detto, il Verbo di Dio è Dio di ogni
cosa e domina su ogni creatura, ma non è né servo, né Signore di se stesso.
Il solo pensare o dire ciò sarebbe sciocco o addirittura empio. E’ vero che ha detto che
suo padre era il suo Dio (12), pur essendo Dio per natura e della sostanza di
Dio; ma non ignoriamo che, essendo Dio, egli è diventato anche uomo, soggetto
a Dio secondo la legge propria della natura dell'umanità. Come avrebbe potuto
essere, d'altra parte, egli, Dio o Signore di se stesso? Quindi, in quanto uomo, e in quanto si può accordare con la misura
del suo annientamento, egli afferma di essere con noi sottoposto a Dio: così egli si
assoggettò alla legge (13), pur avendo espresso egli la legge, ed essendo
legislatore, in quanto Dio. Evitiamo assolutamente di dire: "Venero ciò
che è stato assunto, per la dignità di colui che
l'assume; adoro il visibile a causa dell'invisibile". E’ addirittura
orrendo, inoltre, dire: "Colui che è stato
assunto è chiamato Dio, insieme con colui che l'ha assunto". Chi usa
questo linguaggio, divide di nuovo il Cristo in due Cristi e colloca da una
parte l'uomo, e dall'altra Dio; nega, infatti,
evidentemente l'unità: quell'unità per cui uno non può essere coadorato o
connominato Dio con un altro: uno, invece, è creduto Gesù Cristo,
unigenito figlio di Dio, da onorarsi con un unica adorazione con la sua carne.
Confessiamo anche che lo stesso Figlio unigenito di Dio, anche se impossibile
secondo la propria natura, ha sofferto nella sua carne per noi, secondo le
Scritture (14), ed era nel corpo crocifisso, facendo
sue, senza soffrire, le sofferenze della sua carne. Per la grazia di Dio gustò
la morte (15) per la salvezza di tutti; ed offri ad essa
il proprio corpo, quantunque egli sia per natura la vita ed egli stesso la resurrezione
(16). Egli, sconfiggendo la
morte con la sua ineffabile potenza, fu nella sua propria
carne il primogenito tra i morti e la primizia di coloro che si erano
addormentati (nel Signore) (17), ed aprì all'umana natura la via del ritorno
all'incorruzione. Per la grazia di Dio, come abbiamo accennato, egli gustò la
morte per ciascuno di noi, e risorgendo il terzo giorno, spogliò l'Ade.
Quindi, anche se si dice che la resurrezione dei morti è avvenuta attraverso
un uomo (18), per uomo, però, intendiamo quello
che era nello stesso tempo il Verbo di Dio, per mezzo del quale è stato
distrutto l'impero della morte. Questi verrà, a suo
tempo, come unico Figlio e Signore nella gloria del Padre, per
giudicare il mondo, nella giustizia, come affermano le Scritture (19). E’ necessario
aggiungere anche questo. Annunziando la, morte,
secondo la carne, dell'Unigenito Figlio di Dio, cioè di Gesù Cristo, e la sua
resurrezione dai morti, e confessando la sua assunzione al cielo, noi
celebriamo nelle chiese il sacrificio incruento, ci avviciniamo così alle
mistiche benedizioni, e ci santifichiamo, divenendo partecipi della santa
carne e del prezioso sangue del Salvatore di noi tutti, Cristo. Noi non riceviamo, allora, una comune
carne (Dio ci guardi dal pensarlo!), o la carne di un uomo santificato e
unito al Verbo mediante un'unione di dignità, o di uno che abbia in sé
l'abitazione di Dio, ma una carne che dà veramente la vita ed è la carne propria del Verbo stesso.
Essendo infatti, vita per natura in quanto Dio,
poiché è divenuto una cosa sola con la propria carne, l'ha resa vivificante sicché quando ci dice:
In verità vi dico, se non mangerete la carne del Figlio dell'uomo e non
berrete il suo sangue (20), non dobbiamo comprendere che essa sia la
carne di un qualunque uomo come noi (e come potrebbe essere
vivificante la carne di un uomo, considerata secondo la propria natura?); ma,
invece, come la carne di Colui che per noi si fece e si fece chiamare figlio
dell'Uomo. Quanto alle
espressioni del nostro Salvatore contenute nei Vangeli, noi non le
attribuiamo a due diverse sussistenze o persone. Non è
infatti duplice l'unico e solo Cristo, anche
se si debba ammettere che egli è pervenuto all'unità indivisibile da due
differenti realtà; come del resto avviene dell'uomo, che, pur essendo
composto di anima e di corpo, non per questo è duplice, ma una sola realtà
composta di due elementi. Diciamo piuttosto che sia le espressioni umane, sia quelle divine, sono state
dette da un solo (Cristo). Quando egli, infatti, con linguaggio divino,
afferma di sé: Chi vede me, vede il Padre, e: Io e il Padre siamo una sola cosa (21), noi pensiamo alla sua divina
ed ineffabile natura, per cui egli è uno col Padre in forza dell'identità
della sostanza, egli, immagine e figura e splendore della sua gloria (22). Quando, invece, non reputando indegna la condizione umana,
dice ai Giudei: ora voi volete uccidermi, perché vi ho detto la verità
(23) di nuovo dobbiamo riconoscere in lui, uguale e simile al Padre, il Dio Verbo
anche nei limiti della sua umanità. Se, infatti,
dobbiamo credere che, essendo Dio per natura, si è fatto carne, ossia uomo
con anima razionale, che motivo vi è, poi, che uno si vergogni che le sue
espressioni siano state dette in modo umano? Poiché,
se egli avesse rifiutato le espressioni proprie dell'uomo, chi mai lo spinse
a farsi uomo come noi? Colui che si è abbassato, per
noi, volontariamente, fino all'annientamento, perché mai dovrebbe poi
rifiutare le espressioni proprie di chi si è annientato? Le espressioni dei
Vangeli, quindi, sono da attribuirsi tutte ad una sola persona, ossia
all'unica sussistenza incarnata del Verbo: uno è, infatti, il Signore Gesù Cristo,
secondo le Scritture (24). Se, infatti, viene chiamato apostolo e pontefice della nostra
confessione (25) inquantoché ha offerto in sacrificio a Dio Padre la
confessione della fede che noi facciamo a lui, e per mezzo suo a Dio Padre, e
anche allo Spirito santo, diciamo ancora che egli è per natura il Figlio
unigenito di Dio, e non attribuiamo certamente ad un altro uomo diverso da
lui il nome e la sostanza del sacerdozio. Egli infatti
è divenuto mediatore fra Dio e gli uomini (26) li ha riconciliati per
la pace, offrendosi vittima di soavità a Dio padre (27). Perciò
ha detto: Non hai voluto né sacrificio né oblazione, ma mi hai dato un
corpo. Non hai gradito gli olocausti in espiazione del peccato. Allora ho
detto: Ecco, vengo. All'inizio del libro è scritto di me che io debba fare, o Dio, la tua volontà (28). Egli ha
offerto in odore di soavità il proprio corpo per noi, non certo per se
stesso. Di quale sacrificio ed
offerta, infatti, avrebbe bisogno per sé, egli che è superiore a qualsiasi
peccato essendo Dio? Se è vero, infatti, che tutti
sono peccatori e sono privati della gloria di Dio (29) inquantoché siamo
inclinati ad ogni vento di peccato e la natura dell'uomo divenne inferma per
il peccato - per lui, però, non fu
così, e siamo vinti dalla sua gloria - come può essere ancora dubbio che
l'agnello vero sia stato immolato a causa nostra e per noi? Sicché dire che egli si è offerto per sé
e per noi non potrebbe in nessun modo essere esente dall'accusa di empietà. Egli, infatti, non ha mancato in nessun
modo e non ha commesso peccato. E di quale oblazione avrebbe dovuto aver
bisogno, non essendovi alcun peccato, per cui
avrebbe dovuto offrirla? Quando
poi afferma dello Spirito: Egli mi glorificherà (30), rettamente noi
non diciamo che l'unico Cristo e Figlio, quasi avesse bisogno di essere
glorificato da un altro, ha avuto la sua gloria dallo Spirito Santo: perché
lo Spirito non è migliore di lui o superiore a lui. Ma poiché a
dimostrazione della sua divinità, si
serviva del proprio spirito per compiere le sue meraviglie, perciò egli dice di
essere glorificato da lui come se un uomo, riferendosi alla forza che è in
lui o alla sua scienza dicesse: "mi
glorificano". Poiché, se anche lo Spirito ha una sussistenza propria, e viene considerato in sé ossia secondo quella proprietà per
cui è Spirito e non Figlio non è, però, estraneo a lui. E’ detto, infatti, Spirito di verità
(31), e Cristo è appunto la verità (32), e procede da lui come da Dio Padre.
Di conseguenza, questo Spirito, operando meraviglie anche per mezzo degli
apostoli, dopo l'ascensione del Signore nostro Gesù Cristo al cielo, lo glorificò;
fu creduto, infatti, che egli, Dio per natura, operasse ancora per mezzo del
proprio Spirito. Per questo diceva ancora: Prenderà
del mio e ve lo annunzierà (33). E in
nessun modo noi diciamo che lo Spirito è sapiente e potente per
partecipazione: egli è assolutamente perfetto e non ha bisogno di nessun
bene. Proprio, infatti, perché è Spirito della potenza e della sapienza del
Padre, che è il Figlio (34), per questo è realmente sapienza e potenza. E poiché la
Vergine santa ha dato alla luce corporalmente Dio unito ipostaticamente
alla carne, per questo noi diciamo che
essa è madre di Dio, non certo nel senso che la natura del Verbo abbia avuto
l'inizio della sua esistenza dalla carne, infatti esisteva già all'inizio, ed era Dio, il Verbo, ed era Presso
Dio (35). Egli è il creatore dei secoli, coeterno al Padre e
autore di tutte le cose; ma perché, come abbiamo già detto, avendo unito a
sé, ipostaticamente, l'umana natura in realtà sortì
dal seno della madre in una nascita secondo la carne; non che
avesse bisogno necessariamente o per propria natura anche della nascita
temporale, avvenuta in questi ultimi tempi, ma perché benedicesse il
principio stesso della nostra esistenza, e perché, avendo
una donna partorito (il Figlio di Dio) che si è
unito l'umana carne, cessasse la maledizione contro tutto il genere umano, che manda a
morte questi nostri corpi terrestri, e rendesse vana questa parola: darai
alla luce i figli nella sofferenza (36), e realizzasse la parola del
profeta: la morte è stata assorbita nella vittoria (37) e l'altra: Dio
asciugò ogni lacrima da ogni volto (38). Per questo motivo diciamo che
egli, da buon amministratore, ha benedetto le stesse nozze, quando fu
invitato, con i santi apostoli, a Cana di Galilea (39). Ci hanno insegnato a pensare così sia i santi apostoli ed
evangelisti, sia tutta la Scrittura divinamente ispirata sia le veraci
professioni di fede dei beati padri. Con la dottrina di tutti questi bisogna
che concordi e si armonizzi anche la tua pietà. Ciò che la tua pietà deve anatematizzare è aggiunto in fondo a questa
nostra lettera. I dodici anatematismi 1.
Se qualcuno non confessa che l'Emmanuele è Dio nel
vero senso della parola, e che perciò la santa Vergine è madre di Dio perché
ha generato secondo la carne, il Verbo fatto carne (40), sia anatema. 2.
Se qualcuno non
confessa che il Verbo del Padre assunto in unità di sostanza
l'umana carne, che egli è un solo Cristo con la propria carne, cioè lo
stesso che è Dio e uomo insieme, sia anatema. 3.
Se qualcuno divide
nell'unico Cristo, dopo l'unione le due sostanze
congiungendole con un semplice rapporto di dignità, cioè d'autorità, o di
potenza, e non, piuttosto con un'unione naturale, sia anatema. 4.
Se qualcuno attribuisce a due persone o a due sostanze
le espressioni dei Vangeli e degli scritti degli apostoli, o dette dai santi
sul Cristo, o da lui di se stesso, ed alcune le attribuisce a lui come uomo,
considerato distinto dal Verbo di Dio, altre, invece, come convenienti a Dio,
al solo Verbo di Dio Padre, sia anatema. 5.
Se
qualcuno osa dire che il Cristo è un uomo portatore di Dio, e non piuttosto
Dio secondo verità, come Figlio unico per natura, inquantoché il Verbo
si fece carne (41) e partecipò a nostra somiglianza della carne e
del sangue (42), sia anatema. 6.
Se qualcuno dirà che il Verbo, nato da Dio Padre è Dio
e Signore del Cristo, e non confessa, piuttosto, che esso è Dio e uomo
insieme, inquantoché il
Verbo si è fatto carne
(43) secondo le Scritture, sia anatema. 7.
Se qualcuno
afferma che Gesù, come uomo, è stato mosso nel Suo agire dal Verbo di Dio, e
che gli è stata attribuita la dignità di unigenito,
come ad uno diverso da lui, sia anatema. 8.
Se qualcuno osa
dire che l'uomo assunto dev'essere con-adorato col Verbo di Dio,
con-glorificato e con-chiamato Dio come si fa di uno con un altro (infatti la particella con che accompagna sempre
queste espressioni, fa pensare ciò), e non onora, piuttosto, con un'unica
adorazione l'Emmanuele, e non gli attribuisce una unica lode, in quanto il Verbo si è fatto carne (44),
sia anatema. 9.
Se qualcuno
dice che l'unico Signore Gesù Cristo è stato
glorificato dallo Spirito, nel senso che egli si sarebbe servito della sua
potenza come di una forza estranea, e che avrebbe ricevuto da lui di potere
agire contro gli spiriti immondi, e di potere compiere le sue divine
meraviglie in mezzo agli uomini, sia anatema. 10.
La divina
Scrittura dice che il Cristo è divenuto pontefice e apostolo della nostra confessione (45), e che si
è offerto per noi in odore di soavità a Dio Padre (46). Perciò
se qualcuno dice che è divenuto pontefice e apostolo nostro non lo stesso
Verbo di Dio, quando si fece carne e uomo come noi, ma, quasi altro da lui,
l'uomo nato dalla donna preso a sé; o anche se qualcuno dice che ha offerto
il sacrificio anche per sé, e non, invece, solamente per noi (e, infatti, non
poteva aver bisogno di sacrificio chi non conobbe peccato), sia anatema.
11.
Se
qualcuno non confessa che la carne del Signore è vivificante e (che essa è la
carne) propria dello stesso Verbo del Padre, (e sostiene, invece, che sia) di
un altro, diverso da lui, e unito a lui solo per la sua dignità; o anche di
uno che abbia ricevuto solo la divina abitazione; se, dunque, non confessa
che sia vivificante, come abbiamo detto inquantoché divenne propria del
Verbo, che può vivificare ogni cosa, sia anatema. 12.
Se qualcuno non
confessa che il Verbo di Dio ha sofferto nella carne, è stato crocifisso nella carne, ha assaporato la morte nella
carne, ed è divenuto il primogenito dei morti (47), inquantoché, essendo Dio,
è vita e dà la vita, sia anatema. SENTENZA PRONUNCIATA
CONTRO NESTORIO A SUA CONDANNA Il santo sinodo disse: oltre al resto,
poiché l'illustrissimo Nestorio non ha voluto né ascoltare il nostro invito
né accogliere i santissimi e piissimi vescovi da noi mandati abbiamo dovuto
necessariamente procedere all'esame delle sue empie espressioni. Avendo
costatato dall'esame delle sue lettere, dagli scritti che sono stati letti,
dalle sue recenti affermazioni fatte in questa metropoli e confermate da
testimoni, che egli pensa e predica empiamente,
spinti dai canoni dalla lettera del nostro santissimo padre e collega nel
ministero Celestino, vescovo della chiesa di Roma, siamo dovuti giungere,
spesso con le lacrime agli occhi, a questa dolorosa condanna contro di lui. Gesù Cristo
stesso, nostro signore, da lui bestemmiato ha definito per bocca di questo
santissimo concilio che lo stesso Nestorio è escluso dalla dignità vescovile
e da qualsiasi collegio sacerdotale. LETTERA SINODALE GENERALE [...] [I. Di quei metropoliti che parteggiano per Nestorio e Celestio] Poiché è necessario che anche quelli che non hanno partecipato a
questo santo sinodo e sono rimasti nella propria provincia,
non debbano ignorare quanto è stato decretato, informiamo la santità tua che:
Se il metropolita di una provincia, staccandosi da questo santo e
universale Concilio, avesse aderito a quel consesso di apostasia,
o dopo ciò, aderisse ancora ad esso, o abbia condiviso le idee di Celestio, o
le condividerà in futuro, questi non potrà prendere alcuna decisione contro i
vescovi della sua provincia, né aver parte, in seguito, ad alcuna comunione
ecclesiastica: già fin d'ora, infatti, è scacciato da questo sacro sinodo e
privo di ogni autorità; al contrario, sarà soggetto ai vescovi della
provincia e ai metropoliti delle province confinanti di retta ortodossia, e
sarà privato del grado di vescovo. [II. Dei vescovi che aderiscono a Nestorio].
Se qualcuno dei vescovi provinciali, allontanandosi da questo santo sinodo, ha abbracciato l'apostasia o tenta di
abbracciarla; e, dopo aver sottoscritto la condanna di Nestorio, è poi
ritornato al concilio della apostasia, questi, secondo quanto ha stabilito il
santo Concilio, è da considerarsi del tutto estraneo al sacerdozio, e
decaduto dal suo grado. [III. Dei chierici che per la loro retta fede sono stati deposti da
Nestorio] Se vi fossero dei chierici
in qualsiasi città, che siano stati sospesi dal loro ufficio da Nestorio o
dai suoi partigiani per il loro retto sentire, è bene che anche questi
riprendano il loro posto. In genere, poi, comandiamo che quei chierici che
aderiscono a questo ecumenico e ortodosso Concilio,
o che aderiranno ad esso, sia ora che in seguito, in qualsiasi tempo, non
debbano essere assolutamente e in nessun modo e tempo soggetti ai vescovi che
hanno abbandonato, o sono diventati avversi, o hanno trasgredito i sacri
canoni e la retta fede. [IV. Dei chierici che seguono le opinioni di Nestorio]. I chierici che allontanatisi (da questo santo
sinodo) sia in pubblico che in privato; mostrino di avere le idee di
Nestorio, anche questi sono deposti dal sacro sinodo. [V. Dei chierici puniti e accolti da Nestorio]. Quanti, per azioni indegne siano stati condannati da questo santo Concilio, o dai propri vescovi, e contro ogni norma
ecclesiastica siano restituiti nella comunione o nel grado da Nestorio o dai
suoi seguaci, abbiamo stabilito non ne abbiano tuttavia alcun giovamento e
rimangano deposti [VI. Di chi volesse sconvolgere i decreti del Sinodo]. Ugualmente, se vi fosse chi volesse metter sotto sopra in qualsiasi
modo, le singole decisioni del santo sinodo questo
stabilisce che, se si tratta di vescovi o di chierici siano senz'altro
privati del loro grado, se di laici, che siano privati della comunione. DEFINIZIONE SULLA FEDE DI NICEA Il concilio di Nicea espose questa fede: Crediamo... [segue il simbolo niceno]. E’ bene, quindi, che tutti convengano in questa fede: è, infatti,
piamente e sufficientemente utile a tutta la terra. Ma poiché alcuni, pur simulando di confessarla e di convenirne, ne
interpretano male il vero senso secondo il loro modo di vedere ed
alterano la verità, figli dell'errore e della perdizione, è stato assolutamente
necessario aggiungere le testimonianze dei santi ed ortodossi padri, adatte a
dimostrare in qual modo essi compresero e predicarono con coraggio questa
fede, perché sia anche chiaro che tutti quelli che hanno una fede retta ed
irreprensibile la comprendono, l'interpretano e la predicano in questo modo. [Segue un florilegio di passi degli scritti dei
padri]. Letti questi documenti il santo sinodo
stabilisce che non è lecito ad alcuno proporre, redigere o comporre una nuova
fede diversa da quella che è stata definita dai santi padri raccolti a Nicea
con lo Spirito Santo. Quelli che osassero comporre una
diversa fede o presentarla o proporla a chi vuole convertirsi alla conoscenza
della verità o dall'Ellenismo o dal Giudaismo, o da qualsiasi eresia, se sono
vescovi o chierici siano considerati decaduti, i vescovi dall'episcopato, i
chierici dalla loro dignità ecclesiastica; se poi costoro fossero laici,
siano anatema. Similmente se fossero scoperti dei vescovi, dei
chierici o dei laici, che ritengano o insegnino le dottrine contenute nella esposizione già presentata del presbitero Carisio
circa l'incarnazione dell'unigenito Figlio di Dio, o anche le empie e
perverse dottrine di Nestorio, che ci sono state sottoposte, siano colpiti
dai decreti di questo santo Concilio ecumenico, essendo chiaro che chi è
vescovo sarà eliminato dall'episcopato e deposto, chi è chierico sarà
ugualmente decaduto da chierico; se poi si tratta di un laico, sia
condannato, conforme a quanto è stato detto. DEFINIZIONE CONTRO GLI EMPI MESSALIANI 0 EUCHITI Radunatisi presso
di noi i piissimi e religiosissimi vescovi Valeriano e Anfilochio, fu
proposto alla comune discussione il caso di quelli che in Panfilia sono
chiamati Messaliani, ossia Euchiti o entusiasti, o in qualsiasi modo debba chiamarsi questa setta, la più empia di quante se ne
possano ricordare. Mentre, dunque, si discuteva, il
piissirno e religiosissimo vescovo Valeriano ci mostra un voto sinodale,
scritto sul conto di questi stessi nella grande Costantinopoli, sotto
Sisinnio, di beata memoria. Letta dinanzi a tutti, sembrò fatta bene e
secondo la retta dottrina. E piacque a tutti noi, compresi i santi vescovi
Valeriano e Anfilochio e tutti i piissimi vescovi delle diocesi della
Panfilia e della Licaonia, che tutto ciò che era esposto nello scritto
sinodale dovesse aver forza di legge e che in nessun
modo dovesse esser trasgredito, e che fosse valido anche quanto era stato
fatto in Alessandria e, cioè, che tutti quelli che per tutta la diocesi
appartenessero alla setta dei Messaliani o degli entusiasti, o fossero
sospetti di essere infetti di questa malattia, sia chierici che laici vengano
istruiti con prudenza. Se abiureranno per iscritto i loro errori, secondo
quanto viene esposto nello scritto sinodale già ricordato,
i chierici rimangano chierici, i laici siano ammessi nella comunione della
chiesa. Se rifiutassero ciò e non volessero abiurare,
allora i sacerdoti, i diaconi, e quelli che hanno un qualsiasi grado nella
chiesa, siano considerati decaduti dal clero, dal grado e dalla comunione
ecclesiastica; i laici siano anatematizzati. Non sia permesso a coloro che sono stati convinti di errore, di continuare ad
avere i monasteri, perché la zizzania non si estenda e non si rafforzi.
Perché queste disposizioni vengano eseguite con
energia usino la loro diligenza sia gli stessi santi vescovi Valeriano e
Anfilochio, che i reverendissimi vescovi di tutta la provincia. E’ sembrato
bene, inoltre, anatematizzare il libro di quella infame
eresia, che essi chiamano Ascetico, portato dal pio e santo vescovo
Valeriano, perché composto dagli eretici; e se presso qualcuno si trovasse
qualche altra raccolta delle loro empie dottrine, anche questa venga
anatematizzata. CHE I VESCOVI DI CIPRO
PROVVEDANO ALLE LORO CONSACRAZIONI Il santo vescovo Regino e i reverendissimi vescovi della
provincia di Cipro che sono con lui, Zenone ed Evagrio, hanno fatto presente
un fatto nuovo contrario alle costituzioni ecclesiastiche e ai canoni dei
santi padri che coinvolge la libertà di tutti. A mali comuni si richiedono
più efficaci rimedi, onde evitare maggiori danni. Se non è uso antico che il
vescovo di Antiochia faccia in Cipro le
consacrazioni come hanno dimostrato con i loro opuscoli e con la propria voce
i religiosissimi uomini che si sono presentati a questo santo sinodo, coloro
che sono preposti alle sante chiese di Cipro avranno tranquillità e
sicurezza, secondo i canoni dei santi e venerandi padri, facendo le
consacrazioni dei reverendissimi vescovi da se stessi, secondo l'antica
consuetudine. Queste stesse norme verranno osservate
anche per le altre diocesi e ovunque, per ogni provincia; cosicché nessuno
dei venerabili vescovi possa appropriarsi di una provincia che un tempo non
fosse sotto la sua autorità o di coloro che governarono prima di lui. In
caso, poi, che uno se ne sia impadronito e l'abbia
ridotta sotto la sua giurisdizione con la violenza, deve senz'altro
restituirla, perché non siano trasgrediti i canoni dei padri e, sotto
l'apparenza del servizio di Dio non si introduca a poco a poco e di nascosto
la vanità della umana potenza, né avvenga che senza accorgerci, a poco a poco
perdiamo la libertà, che ci ha donato col suo sangue il Signore nostro Gesù
Cristo, il liberatore di tutti gli uomini. E’ sembrato bene dunque a questo sinodo
santo e universale, di conservare a ciascuna provincia puri
e intatti i propri diritti, che ciascuna ha avuti fin dal principio,
secondo la consuetudine antica, e che il metropolita abbia facoltà di addurre
la documentazione necessaria per la sicurezza della sua provincia. Che se
qualcuno adducesse documenti in contrasto con quanto
è stato ora stabilito, questo santo e universale sinodo dichiara nullo tutto
ciò! FORMULA DI UNIONE Per quanto poi
riguarda la Vergine madre di Dio, come noi la concepiamo e ne parliamo e il
modo dell'incarnazione dell'unigenito Figlio di Dio, ne faremo
necessariamente una breve esposizione, non con l'intenzione di fare
un'aggiunta, ma per assicurarvi, così come fin dall'inizio l'abbiamo appresa
dalle sacre scritture e dai santi padri, non aggiungendo assolutamente nulla
alla fede esposta da essi a Nicea. Come infatti abbiamo premesso, essa è sufficiente alla piena
conoscenza della fede e a respingere ogni eresia. E parleremo non con la
presunzione di comprendere ciò che è inaccessibile, ma riconoscendo la nostra
insufficienza, ed opponendoci a coloro che ci assalgono quando consideriamo
le verità che sono al di sopra dell'uomo. Noi quindi confessiamo che il nostro signore
Gesù figlio unigenito di Dio, è perfetto Dio e perfetto uomo, (composto) di
anima razionale e di corpo; generato dal Padre prima dei secoli secondo la
divinità, nato, per noi e per la nostra salvezza, alla fine dei tempi dalla
vergine Maria secondo l'umanità; che è consostanziale al Padre secondo la
divinità, e consostanziale a noi secondo l'umanità, essendo avvenuta l'unione
delle due nature. Perciò noi confessiamo un solo
Cristo, un solo Figlio, un solo Signore. Conforme a questo
concetto di unione inconfusa, noi confessiamo che la
vergine santa è madre di Dio, essendosi il Verbo di Dio incarnato e fatto
uomo, ed avendo unito a sé fin dallo stesso concepimento, il tempio assunto
da essa. Quanto alle
affermazioni evangeliche ed apostoliche che riguardano il Signore, sappiamo
che i teologi alcune le hanno considerate comuni, e
cioè relative alla stessa, unica persona, altre le hanno distinte come
appartenenti alle due nature; e cioè: quelle degne di Dio le hanno riferite
alla divinità del Cristo, quelle più umili, alla sua umanità. ________________________________________ Note (1)
Cfr. Rm 3, 14 * Aggiunto come
più probabile fuori testo, non intacca il significato. |