PAPA
GIOVANNI PAOLO II
La fede e la
ragione sono come le due ali con le quali lo spirito
umano s'innalza verso la contemplazione della verità. E’
Dio ad aver posto nel cuore dell'uomo il desiderio di conoscere la verità e,
in definitiva, di conoscere Lui perché, conoscendolo e amandolo, possa
giungere anche alla piena verità su se stesso (cfr Es 33, 18; Sal 27 [26],
8-9; 63 [62], 2-3; Gv 14, 8; 1 Gv 3, 2). INTRODUZIONE
" CONOSCI TE STESSO " 1. Sia in
Oriente che in Occidente, è possibile ravvisare un cammino che, nel corso dei
secoli, ha portato l'umanità a incontrarsi
progressivamente con la verità e a confrontarsi con essa. E’ un cammino che
s'è svolto — né poteva essere altrimenti — entro l'orizzonte
dell'autocoscienza personale: più l'uomo conosce la realtà e il mondo e più
conosce se stesso nella sua unicità, mentre gli diventa sempre più impellente
la domanda sul senso delle cose e della sua stessa esistenza. Quanto viene
a porsi come oggetto della nostra conoscenza diventa
per ciò stesso parte della nostra vita. Il monito Conosci te stesso era scolpito
sull'architrave del tempio di Delfi, a testimonianza di una verità basilare
che deve essere assunta come regola minima da ogni uomo desideroso di
distinguersi, in mezzo a tutto il creato, qualificandosi come " uomo
" appunto in quanto " conoscitore di se stesso ". Un semplice
sguardo alla storia antica, d'altronde, mostra con chiarezza come in diverse parti
della terra, segnate da culture differenti, sorgano nello stesso tempo le
domande di fondo che caratterizzano il percorso
dell'esistenza umana: chi sono? da dove vengo e dove vado? perché
la presenza del male? cosa ci sarà dopo questa vita?
Questi interrogativi sono presenti negli scritti sacri di
Israele, ma compaiono anche nei Veda non meno che negli Avesta; li troviamo negli scritti di Confucio e Lao-Tze come pure nella predicazione dei Tirthankara e di Buddha; sono
ancora essi ad affiorare nei poemi di Omero e nelle tragedie di Euripide e
Sofocle come pure nei trattati filosofici di Platone ed Aristotele. Sono
domande che hanno la loro comune scaturigine nella
richiesta di senso che da sempre urge nel cuore dell'uomo: dalla risposta a
tali domande, infatti, dipende l'orientamento da imprimere all'esistenza. 2. La Chiesa
non è estranea, né può esserlo, a questo cammino di ricerca. Da quando, nel
Mistero pasquale, ha ricevuto in dono la verità ultima sulla vita dell'uomo,
essa s'è fatta pellegrina per le strade del mondo per annunciare che Gesù
Cristo è " la via, la verità e la vita " (Gv 14, 6). Tra i diversi servizi che essa deve offrire
all'umanità, uno ve n'è che la vede responsabile in modo del tutto peculiare:
è la diaconia alla verità.(1)
Questa missione, da una parte, rende la comunità credente partecipe dello
sforzo comune che l'umanità compie per raggiungere la verità; (2) dall'altra,
la obbliga a farsi carico dell'annuncio delle certezze acquisite, pur nella
consapevolezza che ogni verità raggiunta è sempre solo
una tappa verso quella piena verità che si manifesterà nella rivelazione
ultima di Dio: " Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa;
ma allora vedremo faccia a faccia. Ora conosco in modo imperfetto, ma allora
conoscerò perfettamente " (1 Cor 13, 12). 3.
Molteplici sono le risorse che l'uomo possiede per promuovere il progresso
nella conoscenza della verità, così da rendere la propria esistenza sempre
più umana. Tra queste emerge la filosofia,
che contribuisce direttamente a porre la domanda circa il senso della vita e
ad abbozzarne la risposta: essa, pertanto, si configura come uno dei compiti
più nobili dell'umanità. Il termine filosofia, secondo l'etimologia greca,
significa " amore per la saggezza ". Di fatto, la filosofia è nata
e si è sviluppata nel momento in cui l'uomo ha iniziato a
interrogarsi sul perché delle cose e sul loro fine. In modi e forme
differenti, essa mostra che il desiderio di verità appartiene alla stessa
natura dell'uomo. E una proprietà nativa della sua ragione interrogarsi sul
perché delle cose, anche se le risposte via via
date si inseriscono in un orizzonte che rende
evidente la complementarità delle differenti culture in cui l'uomo vive. La forte
incidenza che la filosofia ha avuto nella formazione e nello sviluppo delle
culture in Occidente non deve farci dimenticare
l'influsso che essa ha esercitato anche nei modi di concepire l'esistenza di
cui vive l'Oriente. Ogni popolo, infatti, possiede una sua indigena e
originaria saggezza che, quale autentica ricchezza delle culture, tende a esprimersi e a maturare anche in forme prettamente
filosofiche. Quanto questo sia vero lo dimostra il
fatto che una forma basilare di sapere filosofico, presente fino ai nostri
giorni, è verificabile perfino nei postulati a cui le diverse legislazioni
nazionali e internazionali si ispirano nel regolare la vita sociale. 4. È, comunque, da rilevare che dietro un unico termine si
nascondono significati differenti. Un'esplicitazione preliminare si rende
pertanto necessaria. Spinto dal desiderio di scoprire la verità ultima
dell'esistenza, l'uomo cerca di acquisire quelle conoscenze universali che
gli consentono di comprendersi meglio e di progredire nella realizzazione di sé. Le conoscenze fondamentali
scaturiscono dalla meraviglia suscitata
in lui dalla contemplazione del creato: l'essere umano è colto dallo stupore
nello scoprirsi inserito nel mondo, in relazione con altri suoi simili dei
quali condivide il destino. Parte di qui il cammino che lo porterà poi alla
scoperta di orizzonti di conoscenza sempre nuovi.
Senza meraviglia l'uomo cadrebbe nella ripetitività
e, poco alla volta, diventerebbe incapace di un'esistenza veramente
personale. La capacità
speculativa, che è propria dell'intelletto umano, porta ad elaborare, mediante
l'attività filosofica, una forma di pensiero rigoroso e a costruire così, con
la coerenza logica delle affermazioni e l'organicità dei contenuti, un sapere
sistematico. Grazie a questo processo, in differenti contesti
culturali e in diverse epoche, si sono raggiunti risultati che hanno portato
all'elaborazione di veri sistemi di pensiero. Storicamente ciò ha spesso
esposto alla tentazione di identificare una sola corrente con l'intero
pensiero filosofico. E però evidente che, in questi casi,
entra in gioco una certa " superbia filosofica " che pretende di
erigere la propria visione prospettica e imperfetta a lettura universale.
In realtà, ogni sistema filosofico,
pur rispettato sempre nella sua interezza senza strumentalizzazioni
di sorta, deve riconoscere la priorità del pensare filosofico, da cui trae origine e a cui deve servire in
forma coerente. In questo
senso è possibile riconoscere, nonostante il mutare dei tempi e i progressi
del sapere, un nucleo di conoscenze filosofiche la cui presenza è costante
nella storia del pensiero. Si pensi, solo come esempio, ai principi di non
contraddizione, di finalità, di causalità, come pure alla concezione della
persona come soggetto libero e intelligente e alla sua capacità di conoscere
Dio, la verità, il bene; si pensi inoltre ad alcune norme morali fondamentali
che risultano comunemente condivise. Questi e altri
temi indicano che, a prescindere dalle correnti di pensiero, esiste un
insieme di conoscenze in cui è possibile ravvisare una sorta di patrimonio
spirituale dell'umanità. E come se ci trovassimo dinanzi a
una filosofia implicita per cui
ciascuno sente di possedere questi principi, anche se in forma generica e non
riflessa. Queste conoscenze, proprio perché condivise in qualche misura da
tutti, dovrebbero costituire come un punto di riferimento delle diverse
scuole filosofiche. Quando la ragione riesce a
intuire e a formulare i principi primi e universali dell'essere e a far
correttamente scaturire da questi conclusioni coerenti di ordine logico e
deontologico, allora può dirsi una ragione retta o, come la chiamavano gli
antichi, orthòs logos, recta
ratio. 5. La
Chiesa, da parte sua, non può che apprezzare l'impegno della ragione per il
raggiungimento di obiettivi che rendano l'esistenza
personale sempre più degna. Essa infatti vede nella
filosofia la via per conoscere fondamentali verità concernenti l'esistenza
dell'uomo. Al tempo stesso, considera la filosofia un aiuto indispensabile
per approfondire l'intelligenza della fede e per comunicare la verità del
Vangelo a quanti ancora non la conoscono. Facendo
pertanto seguito ad analoghe iniziative dei miei Predecessori, desidero
anch'io rivolgere lo sguardo a questa peculiare attività della ragione. Mi ci
spinge il rilievo che, soprattutto ai nostri giorni, la ricerca
della verità ultima appare spesso offuscata. Senza dubbio la filosofia
moderna ha il grande merito di aver concentrato la
sua attenzione sull'uomo. A partire da qui, una ragione carica di interrogativi ha sviluppato ulteriormente il suo
desiderio di conoscere sempre di più e sempre più a fondo. Sono stati così
costruiti sistemi di pensiero complessi, che hanno dato i loro frutti nei
diversi ambiti del sapere, favorendo lo sviluppo della cultura e della
storia. L'antropologia, la logica, le scienze della natura, la storia, il
linguaggio..., in qualche modo l'intero universo del
sapere è stato abbracciato. I positivi risultati raggiunti non devono, tuttavia, indurre
a trascurare il fatto che quella stessa ragione, intenta ad indagare in
maniera unilaterale sull'uomo come soggetto, sembra aver dimenticato che
questi è pur sempre chiamato ad indirizzarsi verso una verità che lo trascende. Senza il riferimento ad essa, ciascuno resta in balia dell'arbitrio e la sua
condizione di persona finisce per essere valutata con criteri pragmatici
basati essenzialmente sul dato sperimentale, nell'errata convinzione che
tutto deve essere dominato dalla tecnica. E’ così accaduto che, invece di
esprimere al meglio la tensione verso la verità, la ragione sotto il peso di
tanto sapere si è curvata su se stessa diventando, giorno dopo giorno,
incapace di sollevare lo sguardo verso l'alto per osare di raggiungere la
verità dell'essere. La filosofia moderna, dimenticando di orientare la sua
indagine sull'essere, ha concentrato la propria ricerca sulla conoscenza
umana. Invece di far leva sulla capacità che l'uomo ha di conoscere la
verità, ha preferito sottolinearne i limiti e i
condizionamenti. Ne sono derivate varie forme di agnosticismo e
di relativismo, che hanno portato la ricerca filosofica a smarrirsi nelle
sabbie mobili di un generale scetticismo. Di recente, poi, hanno assunto
rilievo diverse dottrine che tendono a svalutare perfino quelle verità che
l'uomo era certo di aver raggiunte. La legittima pluralità di posizioni ha
ceduto il posto ad un indifferenziato pluralismo, fondato sull'assunto che
tutte le posizioni si equivalgono: è questo uno dei
sintomi più diffusi della sfiducia nella verità che è dato verificare nel
contesto contemporaneo. A questa riserva non sfuggono neppure alcune
concezioni di vita che provengono dall'Oriente; in esse,
infatti, si nega alla verità il suo carattere esclusivo, partendo dal
presupposto che essa si manifesta in modo uguale in dottrine diverse, persino
contraddittorie tra di loro. In questo orizzonte,
tutto è ridotto a opinione. Si ha l'impressione di un
movimento ondivago: la riflessione filosofica mentre, da una parte, è
riuscita a immettersi sulla strada che la rende
sempre più vicina all'esistenza umana e alle sue forme espressive,
dall'altra, tende a sviluppare considerazioni esistenziali, ermeneutiche o
linguistiche che prescindono dalla questione radicale circa la verità della
vita personale, dell'essere e di Dio. Di conseguenza, sono emersi nell'uomo
contemporaneo, e non soltanto presso alcuni filosofi, atteggiamenti di
diffusa sfiducia nei confronti delle grandi risorse
conoscitive dell'essere umano. Con falsa modestia ci si accontenta di verità
parziali e provvisorie, senza più tentare di porre domande radicali sul senso
e sul fondamento ultimo della vita umana, personale e sociale. E venuta meno, insomma, la speranza di poter ricevere dalla
filosofia risposte definitive a tali domande. 6. Forte
della competenza che le deriva dall'essere
depositaria della Rivelazione di Gesù Cristo, la Chiesa intende riaffermare
la necessità della riflessione sulla verità. E per questo motivo che ho
deciso di rivolgermi a voi, Venerati Confratelli nell'Episcopato, con i quali
condivido la missione di annunziare " apertamente la verità " (2 Cor 4, 2), come pure ai teologi e ai
filosofi a cui spetta il dovere di indagare sui diversi aspetti della verità,
ed anche alle persone che sono in ricerca, per partecipare alcune riflessioni
sul cammino che conduce alla vera sapienza, affinché chiunque ha nel cuore
l'amore per essa possa intraprendere la giusta
strada per raggiungerla e trovare in essa riposo alla sua fatica e gaudio
spirituale. Mi spinge a questa iniziativa, anzitutto, la consapevolezza che viene
espressa dalle parole del Concilio Vaticano II, quando afferma che i Vescovi
sono " testimoni della divina e cattolica verità ".(3) Testimoniare
la verità è, dunque, un compito che è stato affidato a noi Vescovi; ad esso
non possiamo rinunciare senza venir meno al ministero che abbiamo ricevuto.
Riaffermando la verità della fede, possiamo ridare all'uomo del nostro tempo
genuina fiducia nelle sue capacità conoscitive e offrire alla filosofia una
provocazione perché possa recuperare e sviluppare la sua piena dignità. Un ulteriore motivo mi induce a stendere
queste riflessioni. Nella Lettera enciclica Veritatis splendor, ho richiamato l'attenzione su " alcune
verità fondamentali della dottrina cattolica che nell'attuale contesto rischiano di essere deformate o negate ".(4)
Con la presente Lettera, desidero continuare quella riflessione concentrando
l'attenzione sul tema stesso della verità
e sul suo fondamento in
rapporto alla fede. Non si può
negare, infatti, che questo periodo di rapidi e complessi cambiamenti esponga soprattutto le giovani generazioni, a cui
appartiene e da cui dipende il futuro, alla sensazione di essere prive di
autentici punti di riferimento. L'esigenza di un fondamento su cui costruire
l'esistenza personale e sociale si fa sentire in maniera pressante
soprattutto quando si è costretti a costatare la frammentarietà di proposte
che elevano l'effimero al rango di valore, illudendo sulla possibilità di
raggiungere il vero senso dell'esistenza. Accade così che molti trascinano la
loro vita fin quasi sull'orlo del baratro, senza sapere a che cosa vanno
incontro. Ciò dipende anche dal fatto che talvolta chi era chiamato per
vocazione a esprimere in forme culturali il frutto
della propria speculazione, ha distolto lo sguardo dalla verità, preferendo
il successo nell'immediato alla fatica di una indagine paziente su ciò che
merita di essere vissuto. La filosofia, che ha la grande responsabilità
di formare il pensiero e la cultura attraverso il richiamo perenne alla
ricerca del vero, deve recuperare con forza la sua vocazione originaria. E
per questo che ho sentito non solo l'esigenza, ma
anche il dovere di intervenire su questo tema, perché l'umanità, alla soglia
del terzo millennio dell'era cristiana, prenda più chiara coscienza delle
grandi risorse che le sono state concesse, e s'impegni con rinnovato coraggio
nell'attuazione del piano di salvezza nel quale è inserita la sua storia. CAPITOLO I LA RIVELAZIONE Gesù rivelatore del Padre7. Alla base di ogni riflessione che la Chiesa
compie vi è la consapevolezza di essere depositaria di un messaggio che ha la
sua origine in Dio stesso (cfr 2 Cor
4, 1-2). La conoscenza che essa propone all'uomo non
le proviene da una sua propria speculazione, fosse anche la più alta, ma dall'aver accolto nella fede la parola di Dio (cfr 1 Tess
2, 13). All'origine del nostro essere credenti vi è un incontro, unico
nel suo genere, che segna il dischiudersi di un mistero nascosto nei secoli
(cfr 1 Cor 2, 7; Rm 16, 25-26), ma ora rivelato: "
Piacque a Dio nella sua bontà e
sapienza rivelare se stesso e far conoscere il mistero della sua volontà (cfr
Ef 1, 9), mediante il quale gli uomini per mezzo di Cristo, Verbo fatto
carne, nello Spirito Santo hanno accesso al Padre e sono resi partecipi della
divina natura ".(5) E’, questa,
un'iniziativa pienamente gratuita, che parte da Dio per raggiungere l'umanità
e salvarla. Dio, in quanto fonte di amore, desidera farsi conoscere, e la
conoscenza che l'uomo ha di lui porta a compimento ogni altra vera conoscenza
che la sua mente è in grado di raggiungere circa il senso della propria
esistenza. 8. Riprendendo quasi alla lettera l'insegnamento offerto dalla
Costituzione Dei Filius del
Concilio Vaticano I e tenendo conto dei principi proposti dal Concilio
Tridentino, la Costituzione Dei Verbum del
Vaticano II ha proseguito il secolare cammino di intelligenza della fede, riflettendo
sulla Rivelazione alla luce dell'insegnamento biblico e dell'intera
tradizione patristica. Nel primo Concilio Vaticano, i Padri avevano sottolineato il carattere soprannaturale della rivelazione
di Dio. La critica razionalista, che in
quel periodo veniva mossa contro la fede sulla base
di tesi errate e molto diffuse, verteva sulla negazione di ogni conoscenza
che non fosse frutto delle capacità naturali della ragione. Questo fatto
aveva obbligato il Concilio a ribadire con forza
che, oltre alla conoscenza propria della ragione umana, capace per sua natura
di giungere fino al Creatore, esiste una conoscenza che è peculiare della
fede. Questa conoscenza esprime una verità che si fonda sul fatto stesso di
Dio che si rivela, ed è verità certissima perché Dio non inganna né vuole
ingannare.(6) 9. Il Concilio Vaticano I, dunque, insegna che
la verità raggiunta per via di riflessione filosofica e la verità della
Rivelazione non si confondono, né l'una rende superflua l'altra: " Esistono due ordini di conoscenza, distinti non
solo per il loro principio, ma anche per il loro oggetto: per il loro
principio, perché nell'uno conosciamo con la ragione naturale, nell'altro con
la fede divina; per l'oggetto, perché oltre le verità che la ragione naturale
può capire, ci è proposto di vedere i misteri nascosti in Dio, che non
possono essere conosciuti se non sono rivelati dall'alto ".(7) La fede, che si fonda sulla
testimonianza di Dio e si avvale dell'aiuto soprannaturale della grazia, è
effettivamente di un ordine diverso da quello della conoscenza filosofica.
Questa, infatti, poggia sulla percezione dei sensi, sull'esperienza e si
muove alla luce del solo intelletto. La filosofia e le scienze spaziano
nell'ordine della ragione naturale, mentre la fede, illuminata e guidata
dallo Spirito, riconosce nel messaggio della salvezza la " pienezza di
grazia e di verità " (cfr Gv 1,
14) che Dio ha voluto rivelare nella storia e in maniera definitiva per mezzo
di suo Figlio Gesù Cristo (cfr 1 Gv 5, 9; Gv 5,
31-32). 10. Al
Concilio Vaticano II i Padri, puntando lo sguardo su Gesù rivelatore, hanno
illustrato il carattere salvifico della rivelazione di Dio nella storia e ne
hanno espresso la natura nel modo seguente: " Con questa rivelazione,
Dio invisibile (cfr Col 1, 15; 1 Tm 1, 17) nel suo immenso amore
parla agli uomini come ad amici (cfr Es
33, 11; Gv 15, 14-15) e si intrattiene con essi (cfr Bar 3, 38) per invitarli ed ammetterli alla comunione con sé.
Questa economia della Rivelazione avviene con eventi e parole intimamente
connessi tra loro, in modo che le opere, compiute da Dio nella storia della
salvezza, manifestano e rafforzano la dottrina e le realtà significate dalle
parole, e le parole dichiarano le opere e chiariscono il mistero in esse contenuto. La profonda verità, poi, su Dio e sulla
salvezza degli uomini, per mezzo di questa Rivelazione risplende a noi in
Cristo, il quale è insieme il mediatore e la
pienezza di tutta la rivelazione ".(8) 11. La
rivelazione di Dio, dunque, si inserisce nel tempo e
nella storia. L'incarnazione di Gesù Cristo, anzi, avviene nella "
pienezza del tempo " (Gal 4,
4). A duemila anni di distanza da quell'evento, sento il dovere di
riaffermare con forza che " nel cristianesimo il tempo ha un'importanza
fondamentale ".(9) In esso, infatti, viene alla
luce l'intera opera della creazione e della salvezza e, soprattutto, emerge
il fatto che con l'incarnazione del Figlio di Dio noi viviamo e anticipiamo
fin da ora ciò che sarà il compimento del tempo (cfr Eb 1, 2). La verità
che Dio ha consegnato all'uomo su se stesso e sulla sua vita si inserisce, quindi, nel tempo e nella storia. Certo,
essa è stata pronunciata una volta per tutte nel
mistero di Gesù di Nazareth. Lo dice con parole eloquenti la Costituzione Dei Verbum: " Dio, dopo avere a
più riprese e in più modi parlato per mezzo dei Profeti, "alla fine, nei
nostri giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio" (Eb 1, 1-2). Mandò
infatti suo Figlio, cioè il Verbo eterno, che illumina tutti gli
uomini, affinché dimorasse tra gli uomini e ad essi spiegasse i segreti di
Dio (cfr Gv 1, 1-18). Gesù Cristo,
Verbo fatto carne, mandato come "uomo agli uomini", "parla le
parole di Dio" (Gv 3, 34) e
porta a compimento l'opera di salvezza affidatagli dal Padre (cfr Gv 5, 36; 17, 4). Perciò Egli, vedendo
il quale si vede anche il Padre (cfr Gv
14, 9), con tutta la sua presenza e con la manifestazione di sé, con le
parole e con le opere, con i segni e con i miracoli, e specialmente con la
sua morte e la gloriosa risurrezione di tra i morti,
e infine con l'invio dello Spirito di verità, compie e completa la
Rivelazione ".(10) La storia,
pertanto, costituisce per il Popolo di Dio un cammino da percorrere
interamente, così che la verità rivelata esprima in
pienezza i suoi contenuti grazie all'azione incessante dello Spirito Santo
(cfr Gv 16, 13). Lo insegna, ancora
una volta, la Costituzione Dei Verbum quando
afferma che " la Chiesa, nel corso dei secoli, tende incessantemente
alla pienezza della verità divina, finché in essa
giungano a compimento le parole di Dio ".(11) 12. La
storia, quindi, diventa il luogo in cui possiamo costatare l'agire di Dio a
favore dell'umanità. Egli ci raggiunge in ciò che per noi è più familiare e
facile da verificare, perché costituisce il nostro contesto
quotidiano, senza il quale non riusciremmo a comprenderci. L'incarnazione
del Figlio di Dio permette di vedere attuata la sintesi definitiva che la
mente umana, partendo da sé, non avrebbe neppure potuto
immaginare: l'Eterno entra nel tempo, il Tutto si nasconde nel frammento, Dio
assume il volto dell'uomo. La verità espressa nella Rivelazione di Cristo,
dunque, non è più rinchiusa in un ristretto ambito territoriale e culturale,
ma si apre a ogni uomo e donna che voglia
accoglierla come parola definitivamente valida per dare senso all'esistenza.
Ora, tutti hanno in Cristo accesso al Padre; con la sua morte e risurrezione,
infatti, Egli ha donato la vita divina che il primo Adamo aveva rifiutato
(cfr Rm 5, 12-15). Con questa
Rivelazione viene offerta all'uomo la verità ultima
sulla propria vita e sul destino della storia: " In realtà solamente nel
mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell'uomo ",
afferma la Costituzione Gaudium et spes.(12)
Al di fuori di questa prospettiva il mistero dell'esistenza personale rimane
un enigma insolubile. Dove l'uomo potrebbe cercare la risposta ad
interrogativi drammatici come quelli del dolore, della sofferenza
dell'innocente e della morte, se non nella luce che promana dal mistero della
passione, morte e risurrezione di Cristo? La ragione dinanzi al mistero 13. Non
sarà, comunque, da dimenticare che la Rivelazione
permane carica di mistero. Certo, con tutta la sua vita Gesù rivela il volto
del Padre, essendo Egli venuto per spiegare i segreti di Dio; (13) eppure, la
conoscenza che noi abbiamo di tale volto è sempre segnata dalla
frammentarietà e dal limite del nostro comprendere. Solo la fede permette di entrare all'interno del
mistero, favorendone la coerente intelligenza. Insegna il Concilio che " a Dio che si rivela è
dovuta l'obbedienza della fede ".(14) Con questa breve ma densa
affermazione, viene indicata una fondamentale verità del cristianesimo. Si
dice, anzitutto, che la fede è risposta di obbedienza
a Dio. Ciò comporta
che Egli venga
riconosciuto nella sua divinità, trascendenza e libertà suprema. Il Dio che si fa conoscere,
nell'autorità della sua assoluta trascendenza, porta anche con sé la credibilità dei contenuti
che rivela. Con la fede, l'uomo dona il suo assenso a tale testimonianza
divina. Ciò significa che riconosce pienamente e integralmente la verità di
quanto rivelato, perché è Dio stesso che se ne fa garante. Questa verità, donata all'uomo e da lui non esigibile, si inserisce nel contesto della comunicazione
interpersonale e spinge la ragione ad aprirsi ad essa e ad accoglierne il
senso profondo. E per questo che l'atto con il quale ci si
affida a Dio è sempre stato considerato dalla Chiesa come un momento di
scelta fondamentale, in cui tutta la persona è coinvolta. Intelletto e
volontà esercitano al massimo la loro natura spirituale per consentire al
soggetto di compiere un atto in cui la libertà personale è vissuta in maniera
piena.(15) Nella fede, quindi, la libertà non è semplicemente presente: è esigita. E’ la fede, anzi, che permette a ciascuno di
esprimere al meglio la propria libertà. In altre parole, la libertà non si
realizza nelle scelte contro Dio. Come infatti
potrebbe essere considerato un uso autentico della libertà il rifiuto di
aprirsi verso ciò che permette la realizzazione di se stessi? E nel credere
che la persona compie l'atto più significativo della
propria esistenza; qui, infatti, la libertà raggiunge la certezza della
verità e decide di vivere in essa. In aiuto
alla ragione, che cerca l'intelligenza del mistero, vengono anche i segni
presenti nella Rivelazione. Essi servono a condurre più a fondo la ricerca
della verità e a permettere che la mente possa autonomamente indagare anche
all'interno del mistero. Questi segni, comunque, se
da una parte danno maggior forza alla ragione, perché le consentono di
ricercare all'interno del mistero con i suoi propri mezzi di cui è
giustamente gelosa, dall'altra la
spingono a trascendere la loro realtà di segni per raccoglierne il significato
ulteriore di cui sono portatori. In essi, pertanto, è già presente una verità nascosta a cui
la mente è rinviata e da cui non può prescindere senza distruggere il segno
stesso che le viene proposto. Si è rimandati,
in qualche modo, all'orizzonte sacramentale
della Rivelazione e, in particolare, al segno eucaristico dove l'unità
inscindibile tra la realtà e il suo significato permette di cogliere la
profondità del mistero. Cristo nell'Eucaristia è veramente presente e vivo,
opera con il suo Spirito, ma, come aveva ben detto san Tommaso, " tu non
vedi, non comprendi, ma la fede ti conferma, oltre la natura. E un segno ciò che appare: nasconde nel mistero realtà sublimi
".(16) Gli fa eco il filosofo Pascal: " Come
Gesù Cristo è rimasto sconosciuto tra gli uomini, così la sua verità resta,
tra le opinioni comuni, senza differenza esteriore. Così resta
l'Eucaristia tra il pane comune ".(17) La
conoscenza di fede, insomma, non annulla il mistero; solo lo rende più evidente
e lo manifesta come fatto essenziale per la vita dell'uomo: Cristo Signore
" rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente
l'uomo all'uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione ",(18) che è quella di partecipare al mistero della vita
trinitaria di Dio.(19) 14.
L'insegnamento dei due Concili Vaticani apre un vero orizzonte di novità
anche per il sapere filosofico. La Rivelazione immette nella storia un punto
di riferimento da cui l'uomo non può prescindere, se vuole arrivare a
comprendere il mistero della sua esistenza; dall'altra parte, però, questa
conoscenza rinvia costantemente al mistero di Dio che la mente non può
esaurire, ma solo ricevere e accogliere nella fede. All'interno di questi due
momenti, la ragione possiede un suo spazio peculiare che le permette di
indagare e comprendere, senza essere limitata da null'altro che dalla sua
finitezza di fronte al mistero infinito di Dio. La
Rivelazione, pertanto, immette nella nostra storia una verità universale e
ultima che provoca la mente dell'uomo a non fermarsi mai; la spinge, anzi, ad
allargare continuamente gli spazi del proprio sapere fino a quando non
avverte di avere compiuto quanto era in suo potere, senza nulla tralasciare.
Ci viene in aiuto per questa riflessione una delle intelligenze più feconde e
significative della storia dell'umanità, a cui fanno
doveroso riferimento sia la filosofia che la teologia: sant'Anselmo. Nel suo Proslogion,
l'Arcivescovo di Canterbury così si esprime: " Volgendo spesso e con
impegno il mio pensiero a questo problema, a volte mi sembrava di poter ormai
afferrare ciò che cercavo, altre volte invece sfuggiva completamente al mio
pensiero; finché finalmente, disperando di poterlo trovare, volli smettere di
ricercare qualcosa che era impossibile trovare. Ma
quando volli scacciare da me quel pensiero perché, occupando la mia mente,
non mi distogliesse da altri problemi dai quali potevo ricavare qualche
profitto, allora cominciò a presentarsi con sempre maggior importunità [...].
Ma povero me, uno dei poveri figli di Eva, lontani
da Dio, che cosa ho cominciato a fare e a che cosa sono riuscito? A che cosa
tendevo e a che cosa sono giunto? A che cosa aspiravo e di che sospiro?
[...]. O Signore, tu non solo sei ciò di cui non si può pensare nulla di più
grande (non solum
es quo maius cogitari nequit), ma sei più grande di tutto ciò che si possa pensare (quiddam maius quam cogitari
possit) [...]. Se tu non fossi tale, si
potrebbe pensare qualcosa più grande di te, ma questo è impossibile
".(20) 15. La verità della Rivelazione cristiana, che si incontra in Gesù di Nazareth, permette a chiunque di
accogliere il " mistero " della propria vita. Come
verità suprema, essa, mentre rispetta l'autonomia della creatura e la sua
libertà, la impegna ad aprirsi alla
trascendenza. Qui il rapporto libertà e verità diventa sommo e si comprende in pienezza la parola del
Signore: " Conoscerete la verità e la verità vi farà liberi " (Gv 8, 32). La
Rivelazione cristiana è la vera stella di orientamento
per l'uomo che avanza tra i condizionamenti della mentalità immanentistica e le strettoie di una logica tecnocratica;
è l'ultima possibilità che viene offerta da Dio per ritrovare in pienezza il
progetto originario di amore, iniziato con la creazione. All'uomo desideroso di
conoscere il vero, se ancora è capace di guardare oltre se stesso e di
innalzare lo sguardo al di là dei propri progetti, è
data la possibilità di recuperare il genuino rapporto con la sua vita,
seguendo la strada della verità. Le parole del Deuteronomio bene si possono applicare a questa
situazione: " Questo comando che oggi ti ordino
non è troppo alto per te, né troppo lontano da te. Non è nel cielo perché tu
dica: Chi salirà per noi in cielo per prendercelo e farcelo udire sì che lo
possiamo eseguire? Non è di là dal mare, perché tu dica: Chi attraverserà per
noi il mare per prendercelo e farcelo udire sì che lo possiamo eseguire?
Anzi, questa parola è molto vicina a te, è nella tua bocca e nel tuo cuore,
perché tu la metta in pratica " (30,11-14). A questo testo fa eco il
famoso pensiero del santo filosofo e teologo
Agostino: " Noli foras ire, in te ipsum redi. In interiore homine
habitat veritas ".(21) Alla luce di
queste considerazioni, una prima conclusione si impone:
la verità che la Rivelazione ci fa conoscere non è il frutto maturo o il
punto culminante di un pensiero elaborato dalla ragione. Essa, invece, si
presenta con la caratteristica della gratuità, produce pensiero e chiede di
essere accolta come espressione di amore. Questa
verità rivelata è anticipo, posto nella nostra storia, di quella visione
ultima e definitiva di Dio che è riservata a quanti credono in lui o lo
ricercano con cuore sincero. Il fine ultimo dell'esistenza personale, dunque,
è oggetto di studio sia della filosofia che della teologia. Ambedue, anche se
con mezzi e contenuti diversi, prospettano questo " sentiero della vita
" (Sal 16 [15], 11) che, come
la fede ci dice, ha il suo sbocco ultimo nella gioia
piena e duratura della contemplazione del Dio Uno e Trino. CAPITOLO II CREDO UT INTELLEGAM " La sapienza tutto conosce e
tutto comprende " (Sap 9, 11) 16. Quanto
profondo sia il legame tra la conoscenza di fede e quella
di ragione è indicato già nella Sacra Scrittura con spunti di
sorprendente chiarezza. Lo documentano soprattutto i Libri sapienziali. Ciò che colpisce
nella lettura, fatta senza preconcetti, di queste pagine della Scrittura è il fatto che in questi testi venga racchiusa non
soltanto la fede di Israele, ma anche il tesoro di civiltà e di culture ormai
scomparse. Quasi per un disegno particolare, l'Egitto e la Mesopotamia fanno sentire di
nuovo la loro voce ed alcuni tratti comuni delle culture dell'antico Oriente
vengono riportati in vita in queste pagine ricche di intuizioni singolarmente
profonde. Non è un
caso che, nel momento in cui l'autore sacro vuole descrivere l'uomo saggio,
lo dipinga come colui che ama e ricerca la verità:
" Beato l'uomo che medita sulla sapienza e ragiona con l'intelligenza,
considera nel cuore le sue vie, ne penetra con la mente i segreti. La insegue
come uno che segue una pista, si apposta sui suoi sentieri. Egli spia alle
sue finestre e sta ad ascoltare alla sua porta. Fa sosta vicino alla sua casa
e fissa un chiodo nelle sue pareti; alza la propria tenda presso di essa e si ripara in un rifugio di benessere; mette i
propri figli sotto la sua protezione e sotto i suoi rami soggiorna; da essa
sarà protetto contro il caldo, egli abiterà all'ombra della sua gloria "
(Sir 14, 20-27). Per l'autore
ispirato, come si vede, il desiderio di conoscere è
una caratteristica che accomuna tutti gli uomini. Grazie all'intelligenza è
data a tutti, sia credenti che non credenti, la possibilità di "
attingere alle acque profonde " della conoscenza (cfr Pro 20, 5). Certo, nell'antico Israele
la conoscenza del mondo e dei suoi fenomeni non avveniva per via di astrazione, come per il filosofo ionico o il saggio
egiziano. Ancor meno il buon israelita concepiva la conoscenza con i
parametri propri dell'epoca moderna, tesa maggiormente alla divisione del
sapere. Nonostante questo, il mondo biblico ha fatto confluire nel grande mare della teoria della conoscenza il suo apporto
originale. Quale? La peculiarità che distingue il testo biblico consiste nella
convinzione che esista una profonda e inscindibile unità tra la conoscenza
della ragione e quella della fede. Il mondo e ciò che accade in esso, come pure la storia e le diverse vicende del popolo,
sono realtà che vengono guardate, analizzate e giudicate con i mezzi propri
della ragione, ma senza che
la fede resti estranea a questo processo.
Essa non interviene per umiliare l'autonomia della ragione o per ridurne lo
spazio di azione, ma solo per far comprendere
all'uomo che in questi eventi si rende visibile e agisce il Dio di Israele.
Conoscere a fondo il mondo e gli avvenimenti della storia non è, pertanto, possibile senza confessare al contempo la
fede in Dio che in essi opera. La fede affina lo sguardo interiore aprendo la
mente a scoprire, nel fluire degli eventi, la presenza operante della
Provvidenza. Un'espressione del libro dei Proverbi è significativa
in proposito: " La mente dell'uomo pensa molto alla sua via, ma il
Signore dirige i suoi passi " (16, 9). Come dire, l'uomo con la luce
della ragione sa riconoscere la sua strada, ma la può percorrere in maniera
spedita, senza ostacoli e fino alla fine, se
con animo retto inserisce la sua ricerca nell'orizzonte della fede. La ragione e la fede, pertanto, non possono essere separate senza che
venga meno per l'uomo la possibilità di conoscere in
modo adeguato se stesso, il mondo e Dio. 17. Non ha
dunque motivo di esistere competitività alcuna tra la ragione e la fede:
l'una è nell'altra, e ciascuna ha un suo spazio proprio di realizzazione.
E sempre il libro dei Proverbi che orienta in questa
direzione quando esclama: " E gloria di Dio nascondere le cose, è gloria
dei re investigarle " (Pro 25,
2). Dio e l'uomo, nel loro rispettivo mondo, sono posti in un rapporto unico.
In Dio risiede l'origine di ogni cosa, in Lui si
raccoglie la pienezza del mistero, e questo costituisce la sua gloria;
all'uomo spetta il compito di investigare con la sua ragione la verità, e in
ciò consiste la sua nobiltà. Un'ulteriore tessera a
questo mosaico è aggiunta dal Salmista quando prega dicendo: " Quanto profondi
per me i tuoi pensieri, quanto grande il loro numero, o Dio; se li conto sono
più della sabbia, se li credo finiti, con te sono ancora " (139 [138],
17-18). Il desiderio di conoscere è così grande e comporta un tale dinamismo,
che il cuore dell'uomo, pur nell'esperienza del limite invalicabile, sospira
verso l'infinita ricchezza che sta oltre, perché intuisce che in essa è custodita la risposta appagante per ogni questione
ancora irrisolta. 18. Possiamo
dire, pertanto, che Israele con la sua riflessione ha saputo aprire alla
ragione la via verso il mistero. Nella rivelazione di Dio ha potuto
scandagliare in profondità quanto con la ragione cercava di raggiungere senza
riuscirvi. A partire da questa più profonda forma di conoscenza, il popolo
eletto ha capito che la ragione deve rispettare alcune regole di fondo per poter esprimere al meglio la propria natura. Una prima regola consiste nel
tener conto del fatto che la conoscenza dell'uomo è un cammino che non ha
sosta; la seconda nasce dalla consapevolezza che su tale strada non ci si
può porre con l'orgoglio di chi pensa che tutto sia frutto di personale
conquista; una terza si fonda nel " timore di Dio ", del quale la
ragione deve riconoscere la sovrana trascendenza ed insieme il provvido amore nel governo del
mondo. Quando s'allontana da queste regole, l'uomo
s'espone al rischio del fallimento e finisce per trovarsi nella condizione
dello " stolto ". Per la Bibbia, in questa stoltezza è insita una
minaccia per la vita. Lo stolto infatti si illude di
conoscere molte cose, ma in realtà non è capace di fissare lo sguardo su
quelle essenziali. Ciò gli impedisce di porre ordine nella sua mente (cfr Pro 1, 7) e di assumere un
atteggiamento adeguato nei confronti di se stesso e dell'ambiente
circostante. Quando poi giunge ad affermare " Dio non esiste " (cfr
Sal 14 [13], 1), rivela con
definitiva chiarezza quanto la sua conoscenza sia
carente e quanto lontano egli sia dalla verità piena sulle cose, sulla loro
origine e sul loro destino. 19. Alcuni
testi importanti, che gettano ulteriore luce su
questo argomento, sono contenuti nel Libro della Sapienza. In essi l'Autore sacro parla di Dio che si fa conoscere anche
attraverso la natura. Per gli antichi lo studio delle scienze naturali
coincideva in gran parte con il sapere filosofico. Dopo aver affermato che
con la sua intelligenza l'uomo è in grado di " comprendere la struttura
del mondo e la forza degli elementi [...] il ciclo degli anni e la posizione degli astri, la natura
degli animali e l'istinto delle fiere " (Sap 7, 17.19-20), in una parola, che è capace di filosofare, il
testo sacro compie un passo in avanti di grande rilievo. Ricuperando il
pensiero della filosofia greca, a cui sembra riferirsi in questo contesto, l'Autore afferma che, proprio ragionando sulla
natura, si può risalire al Creatore: " Dalla grandezza e bellezza delle
creature, per analogia si conosce l'autore " (Sap 13, 5). Viene quindi riconosciuto un
primo stadio della Rivelazione divina, costituito dal meraviglioso "
libro della natura ", leggendo il quale, con gli strumenti propri della
ragione umana, si può giungere alla conoscenza del Creatore. Se l'uomo con la sua intelligenza non arriva a
riconoscere Dio creatore di tutto, ciò non è dovuto tanto
alla mancanza di un mezzo adeguato, quanto piuttosto all'impedimento
frapposto dalla sua libera volontà e dal suo peccato. 20. La ragione, in questa prospettiva, viene
valorizzata, ma non sopravvalutata. Quanto essa
raggiunge, infatti, può essere vero, ma acquista pieno significato solamente
se il suo contenuto viene posto in un orizzonte più ampio, quello della fede:
" Dal Signore sono diretti i passi dell'uomo e come può l'uomo
comprendere la propria via? " (Pro
20, 24). Per l'Antico Testamento, pertanto, la fede libera
la ragione in quanto le permette di raggiungere coerentemente il suo
oggetto di conoscenza e di collocarlo in quell'ordine supremo in cui tutto
acquista senso. In una parola, l'uomo con la ragione raggiunge la verità,
perché illuminato dalla fede scopre il senso profondo di ogni cosa e, in particolare, della propria esistenza.
Giustamente, dunque, l'autore sacro pone l'inizio della vera conoscenza
proprio nel timore di Dio: " Il timore del Signore è il principio della
scienza " (Pro 1, 7; cfr Sir 1, 14). " Acquista la sapienza, acquista
l'intelligenza " (Pro 4, 5) 21. La
conoscenza, per l'Antico Testamento, non si fonda soltanto su una attenta osservazione dell'uomo, del mondo e della
storia, ma suppone anche un indispensabile rapporto con la fede e con i
contenuti della Rivelazione. Qui si trovano le sfide che il popolo eletto ha
dovuto affrontare e a cui ha dato risposta. Riflettendo su questa sua
condizione, l'uomo biblico ha scoperto di non potersi comprendere se non come
" essere in relazione ": con se stesso, con il popolo, con il mondo
e con Dio. Questa apertura al mistero, che gli veniva dalla Rivelazione, è
stata alla fine per lui la fonte di una vera conoscenza, che ha permesso alla
sua ragione di immettersi in spazi di infinito,
ricevendone possibilità di comprensione fino allora insperate. Lo sforzo
della ricerca non era esente, per l'Autore sacro, dalla fatica derivante
dallo scontro con i limiti della ragione. Lo si
avverte, ad esempio, nelle parole con cui il Libro dei Proverbi denuncia la
stanchezza dovuta al tentativo di comprendere i misteriosi disegni di Dio
(cfr 30, 1-6). Tuttavia, malgrado la fatica, il
credente non si arrende. La forza per continuare il suo cammino verso la
verità gli viene dalla certezza che Dio lo ha creato come un "
esploratore " (cfr Qo 1, 13), la
cui missione è di non lasciare nulla di intentato
nonostante il continuo ricatto del dubbio. Poggiando su Dio, egli resta
proteso, sempre e dovunque, verso ciò che è bello, buono e vero. 22. San
Paolo, nel primo capitolo della sua Lettera ai Romani, ci aiuta a meglio
apprezzare quanto penetrante sia la riflessione dei
Libri Sapienziali. Sviluppando un'argomentazione
filosofica con linguaggio popolare, l'Apostolo esprime una profonda verità:
attraverso il creato gli " occhi della mente
" possono arrivare a conoscere Dio. Egli, infatti,
mediante le creature fa intuire alla ragione la sua " potenza " e
la sua " divinità " (cfr Rm 1,
20). Alla ragione dell'uomo, quindi, viene
riconosciuta una capacità che sembra quasi superare gli stessi suoi limiti
naturali: non solo essa non è confinata entro la conoscenza sensoriale, dal
momento che può riflettervi sopra criticamente, ma argomentando sui dati dei
sensi può anche raggiungere la causa che sta all'origine di ogni realtà
sensibile. Con terminologia filosofica potremmo dire che, nell'importante
testo paolino, viene affermata la capacità
metafisica dell'uomo. Secondo
l'Apostolo, nel progetto originario della creazione era prevista la capacità
della ragione di oltrepassare agevolmente il dato sensibile per raggiungere
l'origine stessa di tutto: il Creatore. A seguito della disobbedienza con la
quale l'uomo scelse di porre se stesso in piena e
assoluta autonomia rispetto a Colui che lo aveva creato, questa facilità di risalita
a Dio creatore è venuta meno. Il Libro della Genesi descrive in maniera plastica questa condizione
dell'uomo, quando narra che Dio lo pose nel giardino
dell'Eden, al cui centro era situato " l'albero della conoscenza del
bene e del male " (2, 17). Il simbolo è chiaro: l'uomo non era in grado
di discernere e decidere da sé ciò che era bene e ciò che era male, ma doveva
richiamarsi a un principio superiore. La cecità
dell'orgoglio illuse i nostri progenitori di essere
sovrani e autonomi, e di poter prescindere dalla conoscenza derivante da Dio.
Nella loro originaria disobbedienza essi coinvolsero ogni uomo e ogni donna,
procurando alla ragione ferite che da allora in poi ne avrebbero
ostacolato il cammino verso la piena verità. Ormai la capacità umana di
conoscere la verità era offuscata dall'avversione verso Colui
che della verità è fonte e origine. E ancora
l'Apostolo a rivelare quanto i pensieri degli uomini, a causa del peccato,
fossero diventati " vani " e i ragionamenti distorti e orientati al
falso (cfr Rm 1, 21-22). Gli occhi
della mente non erano ormai più capaci di vedere con
chiarezza: progressivamente la ragione è rimasta prigioniera di se stessa. La
venuta di Cristo è stata l'evento di salvezza che ha redento la ragione dalla
sua debolezza, liberandola dai ceppi in cui essa stessa s'era imprigionata. 23. Il
rapporto del cristiano con la filosofia, pertanto, richiede un discernimento
radicale. Nel Nuovo Testamento, soprattutto nelle Lettere di san Paolo, un
dato emerge con grande chiarezza: la
contrapposizione tra " la sapienza di questo mondo " e quella di
Dio rivelata in Gesù Cristo. La profondità della sapienza rivelata spezza il
cerchio dei nostri abituali schemi di riflessione, che non sono
affatto in grado di esprimerla in maniera adeguata. L'inizio
della prima Lettera ai Corinzi pone con radicalità questo dilemma. Il Figlio
di Dio crocifisso è l'evento storico contro cui
s'infrange ogni tentativo della mente di costruire su argomentazioni soltanto
umane una giustificazione sufficiente del senso dell'esistenza. Il vero punto
nodale, che sfida ogni filosofia, è la morte in croce di Gesù Cristo. Qui,
infatti, ogni tentativo di ridurre il piano salvifico del Padre a pura logica
umana è destinato al fallimento. " Dov'è il
sapiente? Dov'è il dotto? Dove
mai il sottile ragionatore di questo mondo? Non ha forse Dio dimostrato
stolta la sapienza di questo mondo? " (1 Cor 1, 20), si domanda con enfasi l'Apostolo. Per ciò che Dio
vuole realizzare non è più possibile la sola sapienza dell'uomo saggio, ma è
richiesto un passaggio decisivo verso l'accoglienza di una novità radicale:
" Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti
[...]; Dio ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato e ciò che è
nulla per ridurre a nulla le cose che sono " (1 Cor 1, 27-28). La sapienza dell'uomo rifiuta di vedere nella
propria debolezza il presupposto della sua forza; ma san Paolo non esita ad
affermare: " Quando sono debole, è allora che sono forte " (2 Cor 12, 10). L'uomo non riesce a
comprendere come la morte possa essere fonte di vita e di amore,
ma Dio ha scelto per rivelare il mistero del suo disegno di salvezza proprio
ciò che la ragione considera " follia " e " scandalo ".
Parlando il linguaggio dei filosofi suoi contemporanei, Paolo raggiunge il
culmine del suo insegnamento e del paradosso che vuole esprimere: " Dio
ha scelto ciò che nel mondo [...] è
nulla per ridurre a nulla le cose che sono " (1 Cor 1, 28). Per esprimere la natura della gratuità dell'amore
rivelato nella croce di Cristo, l'Apostolo non ha timore di usare il
linguaggio più radicale che i filosofi impiegavano
nelle loro riflessioni su Dio. La ragione non può svuotare il mistero di amore che la Croce rappresenta, mentre la Croce può
dare alla ragione la risposta ultima che essa cerca. Non la sapienza delle
parole, ma la Parola della Sapienza è ciò che san Paolo pone come criterio di
verità e, insieme, di salvezza. La sapienza
della Croce, dunque, supera ogni limite culturale che le si
voglia imporre e obbliga ad aprirsi all'universalità della verità di
cui è portatrice. Quale sfida viene posta alla
nostra ragione e quale vantaggio essa ne ricava se vi si arrende! La
filosofia, che già da sé è in grado di riconoscere l'incessante trascendersi
dell'uomo verso la verità, aiutata dalla fede può aprirsi ad accogliere nella
" follia " della Croce la genuina critica a quanti si illudono di possedere la verità, imbrigliandola nelle
secche di un loro sistema. Il rapporto fede e filosofia trova
nella predicazione di Cristo crocifisso e risorto lo scoglio contro il quale
può naufragare, ma oltre il quale può sfociare nell'oceano sconfinato della
verità. Qui si mostra evidente il confine tra la ragione e la fede, ma
diventa anche chiaro lo spazio in cui ambedue si possono incontrare. CAPITOLO III INTELLEGO UT CREDAM In cammino alla ricerca della verità24. Racconta
l'evangelista Luca negli Atti degli Apostoli che, durante i suoi viaggi
missionari, Paolo arrivò ad Atene. La città dei
filosofi era ricolma di statue rappresentanti diversi idoli. Un altare colpì
la sua attenzione ed egli ne trasse prontamente lo spunto per individuare una
base comune su cui avviare l'annuncio del kerigma:
" Cittadini ateniesi, — disse — vedo che in tutto siete molto timorati degli dei. Passando, infatti, e osservando i monumenti del
vostro culto, ho trovato anche un'ara con l'iscrizione: Al Dio ignoto. Quello
che voi adorate senza conoscere, io ve lo annunzio " (At 17, 22-23). A
partire da qui, san Paolo parla di Dio come creatore, come di Colui che trascende ogni cosa e
che a tutto dà vita. Continua poi il suo discorso così: " Egli creò da uno solo tutte le nazioni degli uomini, perché abitassero
su tutta la faccia della terra. Per essi ha
stabilito l'ordine dei tempi e i confini del loro spazio, perché cercassero
Dio, se mai arrivino a trovarlo andando come a tentoni, benché non sia
lontano da ciascuno di noi " (At 17,
26-27). L'Apostolo
mette in luce una verità di cui la Chiesa ha sempre fatto tesoro: nel più profondo del cuore dell'uomo è seminato il desiderio e la
nostalgia di Dio. Lo ricorda con forza anche la liturgia del Venerdì Santo
quando, invitando a pregare per quanti non credono, ci fa dire: " O Dio
onnipotente ed eterno, tu hai messo nel cuore degli uomini una così profonda
nostalgia di te, che solo quando ti trovano hanno pace ".(22) Esiste
quindi un cammino che l'uomo, se vuole, può percorrere; esso prende il via
dalla capacità della ragione di innalzarsi al di sopra del
contingente per spaziare verso l'infinito. In
differenti modi e in diversi tempi l'uomo ha dimostrato di saper dare voce a
questo suo intimo desiderio. La letteratura, la musica, la pittura, la
scultura, l'architettura ed ogni altro prodotto della sua intelligenza
creatrice sono diventati canali attraverso cui esprimere l'ansia della sua
ricerca. La filosofia in modo peculiare ha raccolto in sé questo movimento ed
ha espresso, con i suoi mezzi e secondo le modalità
scientifiche sue proprie, questo universale desiderio dell'uomo. 25. "
Tutti gli uomini desiderano sapere ",(23) e
oggetto proprio di questo desiderio è la verità. La stessa vita quotidiana
mostra quanto ciascuno sia interessato a scoprire,
oltre il semplice sentito dire, come stanno veramente le cose. L'uomo è
l'unico essere in tutto il creato visibile che non solo è capace di sapere,
ma sa anche di sapere, e per questo si interessa
alla verità reale di ciò che gli appare. Nessuno può essere sinceramente
indifferente alla verità del suo sapere. Se scopre che è
falso, lo rigetta; se può, invece, accertarne la verità, si sente appagato.
E la lezione di sant'Agostino quando scrive: " Molti
ho incontrato che volevano ingannare, ma che volesse farsi ingannare, nessuno
".(24) Giustamente si ritiene che una persona abbia raggiunto l'età adulta
quando può discernere, con i propri mezzi, tra ciò che è vero e ciò che è
falso, formandosi un suo giudizio sulla realtà oggettiva delle cose.
Sta qui il motivo di tante ricerche, in particolare nel campo delle scienze,
che hanno portato negli ultimi secoli a così significativi
risultati, favorendo un autentico progresso dell'umanità intera. Non meno
importante della ricerca in ambito teoretico è quella in ambito pratico:
intendo alludere alla ricerca della verità in rapporto al bene da compiere.
Con il proprio agire etico, infatti, la persona, operando secondo il suo
libero e retto volere, si introduce nella strada
della felicità e tende verso la perfezione. Anche in
questo caso si tratta di verità. Ho ribadito questa
convinzione nella Lettera enciclica Veritatis
splendor: " Non si dà morale senza libertà [...]. Se esiste il
diritto di essere rispettati nel proprio cammino di ricerca della verità,
esiste ancora prima l'obbligo morale grave per ciascuno di cercare la verità
e di aderirvi una volta conosciuta ".(25) E
necessario, dunque, che i valori scelti e perseguiti con la propria vita siano veri, perché soltanto valori veri possono
perfezionare la persona realizzandone la natura. Questa verità dei valori,
l'uomo la trova non rinchiudendosi in se stesso ma aprendosi ad accoglierla anche nelle dimensioni che lo
trascendono. E questa
una condizione necessaria perché ognuno diventi se stesso e cresca come persona adulta e matura. 26. La
verità inizialmente si presenta all'uomo in forma interrogativa: ha un senso la vita? verso
dove è diretta? A prima vista, l'esistenza personale potrebbe presentarsi
radicalmente priva di senso. Non è necessario ricorrere ai filosofi
dell'assurdo né alle provocatorie domande che si
ritrovano nel Libro di Giobbe per dubitare del senso della vita. L'esperienza
quotidiana della sofferenza, propria ed altrui, la vista di tanti fatti che
alla luce della ragione appaiono inspiegabili, bastano a rendere ineludibile
una questione così drammatica come quella sul senso.(26) A ciò si aggiunga che la prima verità assolutamente certa della
nostra esistenza, oltre al fatto che esistiamo, è l'inevitabilità della
nostra morte. Di fronte a questo dato sconcertante s'impone la ricerca di una
risposta esaustiva. Ognuno vuole — e deve — conoscere la verità sulla propria
fine. Vuole sapere se la morte sarà il termine definitivo della sua esistenza
o se vi è qualcosa che oltrepassa la morte; se gli è consentito sperare in
una vita ulteriore oppure no. Non è senza
significato che il pensiero filosofico abbia ricevuto un suo decisivo
orientamento dalla morte di Socrate e ne sia rimasto segnato da oltre due
millenni. Non è affatto casuale, quindi, che i filosofi dinanzi al fatto
della morte si siano riproposti sempre di nuovo
questo problema insieme con quello sul senso della vita e dell'immortalità. 27. A questi interrogativi nessuno può sfuggire, né il filosofo né
l'uomo comune. Dalla risposta ad essi data dipende
una tappa decisiva della ricerca: se sia possibile o meno raggiungere una
verità universale e assoluta. Di per sé, ogni verità anche parziale, se è
realmente verità, si presenta come universale. Ciò che è vero, deve essere
vero per tutti e per sempre. Oltre a questa universalità,
tuttavia, l'uomo cerca un assoluto che sia capace di dare risposta e senso a
tutta la sua ricerca: qualcosa di ultimo, che si ponga come fondamento di
ogni cosa. In altre parole, egli cerca una spiegazione definitiva, un valore
supremo, oltre il quale non vi siano né vi possano
essere interrogativi o rimandi ulteriori. Le ipotesi possono affascinare, ma
non soddisfano. Viene per tutti il momento in cui,
lo si ammetta o no, si ha bisogno di ancorare la propria esistenza ad una
verità riconosciuta come definitiva, che dia certezza non più sottoposta al
dubbio. I filosofi,
nel corso dei secoli, hanno cercato di scoprire e di esprimere una simile
verità, dando vita a un sistema o una scuola di
pensiero. Al di là dei sistemi filosofici, tuttavia,
vi sono altre espressioni in cui l'uomo cerca di dare forma a una sua "
filosofia ": si tratta di convinzioni o esperienze personali, di
tradizioni familiari e culturali o di itinerari esistenziali in cui ci si
affida all'autorità di un maestro. In ognuna di queste manifestazioni ciò che
permane sempre vivo è il desiderio di raggiungere la certezza della verità e
del suo valore assoluto. I differenti volti della verità dell'uomo 28. Non
sempre, è doveroso riconoscerlo, la ricerca della verità si presenta con una
simile trasparenza e consequenzialità. La nativa limitatezza della ragione e
l'incostanza del cuore oscurano e deviano spesso la ricerca personale. Altri
interessi di vario ordine possono sopraffare la verità. Succede anche che
l'uomo addirittura la sfugga non appena comincia ad intravederla, perché ne
teme le esigenze. Nonostante questo, anche quando la evita,
è sempre la verità ad influenzarne l'esistenza. Mai, infatti, egli
potrebbe fondare la propria vita sul dubbio, sull'incertezza o sulla
menzogna; una simile esistenza sarebbe minacciata costantemente dalla paura e
dall'angoscia. Si può definire, dunque, l'uomo come colui che cerca la verità. 29. Non è
pensabile che una ricerca così profondamente radicata nella natura umana
possa essere del tutto inutile e vana. La stessa
capacità di cercare la verità e di porre domande implica già una prima
risposta. L'uomo non inizierebbe a cercare ciò che ignorasse del tutto o
stimasse assolutamente irraggiungibile. Solo la prospettiva di poter arrivare
ad una risposta può indurlo a muovere il primo passo. Di fatto, proprio
questo è ciò che normalmente accade nella ricerca scientifica. Quando uno scienziato, a seguito di una sua intuizione, si
pone alla ricerca della spiegazione logica e verificabile di un determinato
fenomeno, egli ha fiducia fin dall'inizio di trovare una risposta, e non s'arrende
davanti agli insuccessi. Egli non ritiene inutile l'intuizione originaria
solo perché non ha raggiunto l'obiettivo; con ragione dirà piuttosto che non
ha trovato ancora la risposta adeguata. La stessa
cosa deve valere anche per la ricerca della verità nell'ambito delle
questioni ultime. La sete di verità è talmente radicata nel cuore dell'uomo
che il doverne prescindere comprometterebbe l'esistenza. E sufficiente,
insomma, osservare la vita di tutti i giorni per costatare come ciascuno di
noi porti in sé l'assillo di alcune domande
essenziali ed insieme custodisca nel proprio animo almeno l'abbozzo delle
relative risposte. Sono risposte della cui verità si è convinti, anche perché
si sperimenta che, nella sostanza, non differiscono dalle risposte a cui sono
giunti tanti altri. Certo, non ogni verità che viene
acquisita possiede lo stesso valore. Dall'insieme dei risultati raggiunti,
tuttavia, viene confermata la capacità che l'essere
umano ha di pervenire, in linea di massima, alla verità. 30. Può essere
utile, ora, fare un rapido cenno a queste diverse forme di verità. Le più
numerose sono quelle che poggiano su evidenze immediate o trovano conferma
per via di esperimento. E questo
l'ordine di verità proprio della vita quotidiana e della ricerca scientifica.
A un altro livello si trovano le verità di carattere
filosofico, a cui l'uomo giunge mediante la capacità speculativa del suo
intelletto. Infine, vi sono le verità religiose, che in
qualche misura affondano le loro radici anche nella filosofia. Esse
sono contenute nelle risposte che le varie religioni nelle loro tradizioni
offrono alle domande ultime.(27) Quanto alle
verità filosofiche, occorre precisare che esse non si limitano alle sole
dottrine, talvolta effimere, dei filosofi di professione. Ogni uomo, come già
ho detto, è in certo qual modo un filosofo e possiede proprie concezioni
filosofiche con le quali orienta la sua vita. In un modo o in un altro, egli
si forma una visione globale e una risposta sul
senso della propria esistenza: in tale luce egli interpreta la propria
vicenda personale e regola il suo comportamento. E qui che
dovrebbe porsi la domanda sul rapporto tra le verità filosofico-religiose
e la verità rivelata in Gesù Cristo. Prima di rispondere a questo interrogativo è opportuno valutare un ulteriore
dato della filosofia. 31. L'uomo
non è fatto per vivere solo. Egli nasce e cresce in una famiglia, per
inserirsi più tardi con il suo lavoro nella società. Fin dalla nascita,
quindi, si trova immerso in varie tradizioni, dalle quali riceve non soltanto
il linguaggio e la formazione culturale, ma anche molteplici verità a cui,
quasi istintivamente, crede. La crescita e la maturazione personale, comunque, implicano che queste stesse verità possano
essere messe in dubbio e vagliate attraverso la peculiare attività critica
del pensiero. Ciò non toglie che, dopo questo passaggio, quelle stesse verità
siano " ricuperate " sulla base
dell'esperienza che se ne è fatta, o in forza del ragionamento successivo. Nonostante questo, nella vita di un uomo le verità
semplicemente credute rimangono molto più numerose di quelle che egli
acquisisce mediante la personale verifica. Chi, infatti, sarebbe in grado di
vagliare criticamente gli innumerevoli risultati delle scienze su cui la vita
moderna si fonda? Chi potrebbe controllare per conto proprio il flusso delle
informazioni, che giorno per giorno si ricevono da ogni parte del mondo e che
pure si accettano, in linea di massima, come vere? Chi, infine, potrebbe
rifare i cammini di esperienza e di pensiero per cui
si sono accumulati i tesori di saggezza e di religiosità dell'umanità?
L'uomo, essere che cerca la verità, è dunque anche colui che vive di credenza. 32. Nel
credere, ciascuno si affida alle conoscenze acquisite da altre persone. E
ravvisabile in ciò una tensione significativa: da
una parte, la conoscenza per credenza appare come una forma imperfetta di
conoscenza, che deve perfezionarsi progressivamente mediante l'evidenza
raggiunta personalmente; dall'altra, la credenza risulta spesso umanamente
più ricca della semplice evidenza, perché include un rapporto interpersonale
e mette in gioco non solo le personali capacità conoscitive, ma anche la
capacità più radicale di affidarsi ad altre persone, entrando in un rapporto
più stabile ed intimo con loro. E bene sottolineare che le verità ricercate in questa relazione
interpersonale non sono primariamente nell'ordine fattuale o in quello
filosofico. Ciò che viene richiesto, piuttosto, è la
verità stessa della persona: ciò che essa è e ciò che manifesta del proprio
intimo. La perfezione dell'uomo, infatti, non sta nella sola acquisizione
della conoscenza astratta della verità, ma consiste anche in un rapporto vivo
di donazione e di fedeltà verso l'altro. In questa fedeltà che sa donarsi,
l'uomo trova piena certezza e sicurezza. Al tempo stesso, però, la conoscenza
per credenza, che si fonda sulla fiducia interpersonale, non è senza
riferimento alla verità: l'uomo, credendo, si affida alla verità che l'altro
gli manifesta. Quanti
esempi si potrebbero portare per illustrare questo dato! Il mio pensiero,
però, corre direttamente alla testimonianza dei martiri. Il martire, in
effetti, è il più genuino testimone della verità sull'esistenza. Egli sa di
avere trovato nell'incontro con Gesù Cristo la verità sulla sua vita e niente
e nessuno potrà mai strappargli questa certezza. Né la sofferenza né la morte
violenta lo potranno fare recedere dall'adesione
alla verità che ha scoperto nell'incontro con Cristo. Ecco perché fino ad
oggi la testimonianza dei martiri affascina, genera consenso, trova ascolto e
viene seguita. Questa è la ragione per cui ci si
fida della loro parola: si scopre in essi l'evidenza
di un amore che non ha bisogno di lunghe argomentazioni per essere
convincente, dal momento che parla ad ognuno di ciò che egli nel profondo già
percepisce come vero e ricercato da tanto tempo. Il martire, insomma, provoca
in noi una profonda fiducia, perché dice ciò che noi già sentiamo e rende
evidente ciò che anche noi vorremmo trovare la forza di esprimere. 33. Si può
così vedere che i termini del problema vanno progressivamente completandosi.
L'uomo, per natura, ricerca la verità. Questa ricerca non è destinata solo
alla conquista di verità parziali, fattuali o
scientifiche; egli non cerca soltanto il vero bene per ognuna delle sue
decisioni. La sua ricerca tende verso una verità ulteriore
che sia in grado di spiegare il senso della vita; è perciò una ricerca che
non può trovare esito se non nell'assoluto.(28) Grazie alle capacità insite
nel pensiero, l'uomo è in grado di incontrare e riconoscere una simile
verità. In quanto vitale ed essenziale per la sua
esistenza, tale verità viene raggiunta non solo per via razionale, ma anche
mediante l'abbandono fiducioso ad altre persone, che possono garantire la
certezza e l'autenticità della verità stessa. La capacità e la scelta di
affidare se stessi e la propria vita a un'altra
persona costituiscono certamente uno degli atti antropologicamente più
significativi ed espressivi. Non si dimentichi
che anche la ragione ha bisogno di essere sostenuta nella sua ricerca da un
dialogo fiducioso e da un'amicizia sincera. Il clima di sospetto e di
diffidenza, che a volte circonda la ricerca speculativa, dimentica
l'insegnamento dei filosofi antichi, i quali ponevano l'amicizia come uno dei
contesti più adeguati per il retto filosofare. Da quanto ho
fin qui detto, risulta che l'uomo si trova in un
cammino di ricerca, umanamente interminabile: ricerca di verità e ricerca di
una persona a cui affidarsi. La fede cristiana gli viene incontro offrendogli
la possibilità concreta di vedere realizzato lo scopo di questa ricerca.
Superando lo stadio della semplice credenza, infatti, essa immette l'uomo in
quell'ordine di grazia che gli consente di partecipare al mistero di Cristo,
nel quale gli è offerta la conoscenza vera e coerente del Dio Uno e Trino.
Così in Gesù Cristo, che è la Verità, la fede riconosce l'ultimo appello che viene rivolto all'umanità, perché possa dare compimento a
ciò che sperimenta come desiderio e nostalgia. 34. Questa
verità, che Dio ci rivela in Gesù Cristo, non è in contrasto con le verità
che si raggiungono filosofando. I due ordini di conoscenza conducono anzi
alla verità nella sua pienezza. L'unità della verità è già un postulato
fondamentale della ragione umana, espresso nel principio di
non-contraddizione. La Rivelazione dà la certezza di questa
unità, mostrando che il Dio creatore è anche il Dio della storia della
salvezza. Lo stesso e identico Dio, che fonda e garantisce l'intelligibilità
e la ragionevolezza dell'ordine naturale delle cose su cui gli scienziati si
appoggiano fiduciosi,(29) è il medesimo che si
rivela Padre di nostro Signore Gesù Cristo. Quest'unità della verità,
naturale e rivelata, trova la sua identificazione viva e personale in Cristo,
così come ricorda l'Apostolo: " La verità che è in Gesù " (Ef 4, 21; cfr Col 1, 15-20). Egli è la Parola
eterna, in cui tutto è stato creato, ed è insieme la Parola incarnata, che in tutta la sua persona (30) rivela il
Padre (cfr Gv 1, 14.18). Ciò che la
ragione umana cerca " senza conoscerlo " (cfr At 17, 23), può essere trovato soltanto per mezzo di Cristo: ciò
che in Lui si rivela, infatti, è la " piena verità " (cfr Gv 1, 14-16) di ogni
essere che in Lui e per Lui è stato creato e quindi in Lui trova compimento
(cfr Col 1, 17). 35. Sullo
sfondo di queste considerazioni generali, è necessario ora esaminare in
maniera più diretta il rapporto tra la verità rivelata e la filosofia. Questo
rapporto impone una duplice considerazione, in quanto
la verità che ci proviene dalla Rivelazione è, nello stesso tempo, una verità
che va compresa alla luce della ragione. Solo in questa duplice accezione,
infatti, è possibile precisare la giusta relazione della verità rivelata con
il sapere filosofico. Consideriamo, pertanto, in primo luogo i rapporti tra
la fede e la filosofia nel corso della storia. Da qui sarà possibile
individuare alcuni principi, che costituiscono i punti di riferimento a cui
rifarsi per stabilire il corretto rapporto tra i due ordini di conoscenza. CAPITOLO IV IL RAPPORTO Tappe significative dell'incontro tra fede e ragione36. Secondo
la testimonianza degli Atti degli Apostoli, l'annuncio cristiano venne a
confronto sin dagli inizi con le correnti filosofiche del tempo. Lo stesso
libro riferisce della discussione che san Paolo ebbe ad Atene con "
certi filosofi epicurei e stoici " (17, 18). L'analisi esegetica di quel
discorso all'Areopago ha posto in evidenza le ripetute allusioni a convincimenti
popolari di provenienza per lo più stoica. Certamente ciò non era casuale.
Per farsi comprendere dai pagani, i primi cristiani non potevano nei loro
discorsi rinviare soltanto " a Mosè e ai profeti "; dovevano anche
far leva sulla conoscenza naturale di Dio e sulla voce della coscienza morale
di ogni uomo (cfr Rm 1, 19-21; 2, 14-15; At 14, 16-17). Poiché
però tale conoscenza naturale, nella religione pagana, era scaduta in
idolatria (cfr Rm 1, 21-32),
l'Apostolo ritenne più saggio collegare il suo discorso al pensiero dei
filosofi, i quali fin dagli inizi avevano opposto ai miti e ai culti misterici concetti più rispettosi della trascendenza
divina. Uno degli
sforzi maggiori che i filosofi del pensiero classico operarono, infatti, fu
quello di purificare la concezione che gli uomini avevano di Dio da forme
mitologiche. Come sappiamo, anche la religione
greca, non diversamente da gran parte delle religioni cosmiche, era
politeista, giungendo fino a divinizzare cose e fenomeni della natura. I
tentativi dell'uomo di comprendere l'origine degli
dei e, in loro, dell'universo trovarono la loro prima espressione nella
poesia. Le teogonie rimangono, fino ad oggi, la prima testimonianza di questa
ricerca dell'uomo. Fu compito dei padri della filosofia far emergere il
legame tra la ragione e la religione. Allargando lo sguardo verso i principi
universali, essi non si accontentarono più dei miti antichi, ma vollero
giungere a dare fondamento razionale alla loro credenza nella divinità. Si intraprese, così, una strada che, uscendo dalle
tradizioni antiche particolari, si immetteva in uno sviluppo che
corrispondeva alle esigenze della ragione universale. Il fine verso cui tale
sviluppo tendeva era la consapevolezza critica di ciò in cui si credeva. La
prima a trarre vantaggio da simile cammino fu la concezione della divinità.
Le superstizioni vennero riconosciute come tali e la
religione fu, almeno in parte, purificata mediante l'analisi razionale. Fu su
questa base che i Padri della Chiesa avviarono un dialogo fecondo con i
filosofi antichi, aprendo la strada all'annuncio e alla comprensione del Dio
di Gesù Cristo. 37.
Nell'accennare a questo movimento di avvicinamento
dei cristiani alla filosofia, è doveroso ricordare anche l'atteggiamento di
cautela che in essi suscitavano altri elementi del mondo culturale pagano,
quali ad esempio la gnosi. La filosofia, come saggezza pratica e scuola di
vita, poteva facilmente essere confusa con una conoscenza di tipo superiore,
esoterico, riservato a pochi perfetti. E senza dubbio a questo genere di
speculazioni esoteriche che san Paolo pensa, quando mette in guardia i
Colossesi: " Badate che nessuno vi inganni con
la sua filosofia e con vuoti raggiri ispirati alla tradizione umana, secondo
gli elementi del mondo e non secondo Cristo " (2, 8). Quanto mai attuali
si presentano le parole dell'Apostolo, se le riferiamo alle diverse forme di esoterismo che dilagano oggi anche presso alcuni
credenti, privi del dovuto senso critico. Sulle orme di san Paolo, altri
scrittori dei primi secoli, in particolare sant'Ireneo e Tertulliano,
sollevano a loro volta riserve nei confronti di un'impostazione culturale che
pretendeva di subordinare la verità della Rivelazione all'interpretazione dei
filosofi. 38.
L'incontro del cristianesimo con la filosofia, dunque, non fu immediato né
facile. La pratica di essa e la frequentazione delle
scuole apparve ai primi cristiani più come un disturbo che come
un'opportunità. Per loro, primo e urgente dovere era l'annuncio di Cristo
risorto da proporre in un incontro personale capace di condurre
l'interlocutore alla conversione del cuore e alla richiesta del Battesimo.
Ciò non significa, comunque, che essi ignorassero il
compito di approfondire l'intelligenza della fede e delle sue motivazioni.
Tutt'altro. Ingiusta e pretestuosa, pertanto, risulta
la critica di Celso, che accusa i cristiani di essere gente "
illetterata e rozza ".(31) La spiegazione di questo loro iniziale
disinteresse va ricercata altrove. In realtà, l'incontro con il Vangelo
offriva una risposta così appagante alla questione, fino a quel momento
ancora non risolta, circa il senso della vita, che la frequentazione dei
filosofi appariva loro come una cosa lontana e, per alcuni versi, superata. Ciò appare
oggi ancora più chiaro, se si pensa a quell'apporto del cristianesimo che
consiste nell'affermazione dell'universale diritto d'accesso alla verità.
Abbattute le barriere razziali, sociali e sessuali, il cristianesimo aveva annunciato fin dai suoi inizi l'uguaglianza di tutti
gli uomini dinanzi a Dio. La prima conseguenza di questa concezione si
applicava al tema della verità. Veniva decisamente
superato il carattere elitario che la sua ricerca aveva presso gli antichi:
poiché l'accesso alla verità è un bene che permette di giungere a Dio, tutti
devono essere nella condizione di poter percorrere questa strada. Le vie per
raggiungere la verità rimangono molteplici; tuttavia, poiché la verità
cristiana ha un valore salvifico, ciascuna di queste vie può essere percorsa,
purché conduca alla meta finale, ossia alla rivelazione di Gesù Cristo. Quale
pioniere di un incontro positivo col pensiero
filosofico, anche se nel segno di un cauto discernimento, va ricordato san
Giustino: questi, pur conservando anche dopo la conversione grande stima per
la filosofia greca, asseriva con forza e chiarezza di aver trovato nel
cristianesimo " l'unica sicura e proficua filosofia ".(32)
Similmente, Clemente Alessandrino chiamava il Vangelo " la vera
filosofia ",(33) e interpretava la filosofia in analogia alla legge
mosaica come una istruzione propedeutica alla fede cristiana (34) e una
preparazione al Vangelo.(35) Poiché " la filosofia brama quella sapienza
che consiste nella rettitudine dell'anima e della parola e nella purezza
della vita, essa è ben disposta verso la sapienza e fa tutto il possibile per
raggiungerla. Presso di noi si dicono filosofi coloro che amano la sapienza
che è creatrice e maestra di ogni cosa, cioè la
conoscenza del Figlio di Dio ".(36) La filosofia greca, per
l'Alessandrino, non ha come primo scopo quello di completare o rafforzare la
verità cristiana; suo compito è, piuttosto, la difesa della fede: " La
dottrina del Salvatore è perfetta in se stessa e non ha bisogno di appoggio,
perché essa è la forza e la sapienza di Dio. La filosofia greca, col suo apporto,
non rende più forte la verità, ma siccome rende impotente l'attacco della
sofistica e disarma gli attacchi proditori contro
la verità, la si è chiamata a ragione siepe e muro
di cinta della vigna ".(37) 39. Nella
storia di questo sviluppo è possibile, comunque,
verificare l'assunzione critica del pensiero filosofico da parte dei
pensatori cristiani. Tra i primi esempi che si possono incontrare, quello di Origene è certamente significativo. Contro gli attacchi
che venivano mossi dal filosofo Celso, Origene
assume la filosofia platonica per argomentare e rispondergli. Riferendosi a
non pochi elementi del pensiero platonico, egli inizia a
elaborare una prima forma di teologia cristiana. Il nome stesso, infatti,
insieme con l'idea di teologia come discorso razionale su Dio, fino a quel
momento era ancora legato alla sua origine greca. Nella filosofia
aristotelica, ad esempio, il nome designava la parte più nobile e il vero
apogeo del discorso filosofico. Alla luce della Rivelazione cristiana,
invece, ciò che in precedenza indicava una generica dottrina sulle divinità venne ad assumere un significato del tutto nuovo,
in quanto definiva la riflessione che il credente compiva per esprimere la vera dottrina su Dio. Questo nuovo
pensiero cristiano che si andava sviluppando si avvaleva della filosofia, ma
nello stesso tempo tendeva a distinguersi nettamente da essa.
La storia mostra come lo stesso pensiero platonico assunto in teologia abbia subito profonde trasformazioni, in particolare per
quanto riguarda concetti quali l'immortalità dell'anima, la divinizzazione
dell'uomo e l'origine del male. 40. In
quest'opera di cristianizzazione del pensiero
platonico e neoplatonico, meritano particolare menzione i Padri Cappadoci, Dionigi detto l'Areopagita
e soprattutto sant'Agostino. Il grande Dottore occidentale era venuto a
contatto con diverse scuole filosofiche, ma tutte lo avevano deluso. Quando
davanti a lui si affacciò la verità della fede cristiana, allora ebbe la
forza di compiere quella radicale conversione a cui i filosofi precedentemente frequentati non erano riusciti ad indurlo.
Il motivo lo racconta lui stesso: " Dal quel momento però cominciai a
rendermi conto che una preferenza per l'insegnamento cattolico mi avrebbe
imposto di credere a cose non dimostrate (sia che una dimostrazione ci fosse
ma non apparisse convincente, sia che non ci fosse del tutto) in misura
minore e con rischio d'errore trascurabile in confronto all'insegnamento
manicheo. Il quale prima si prendeva gioco della credulità con temerarie promesse
di conoscenza, e poi imponeva di credere a tante fantasie favolose ed assurde, dato che non poteva dimostrarle ".(38) Agli
stessi platonici, a cui si faceva riferimento in modo privilegiato, Agostino
rimproverava che, pur avendo conosciuto il fine verso cui tendere, avevano
ignorato però la via che vi conduce: il Verbo incarnato.(39) Il Vescovo di Ippona riuscì a produrre la prima grande sintesi del
pensiero filosofico e teologico nella quale confluivano correnti del pensiero
greco e latino. Anche in lui, la grande unità del
sapere, che trovava il suo fondamento nel pensiero biblico, venne ad essere
confermata e sostenuta dalla profondità del pensiero speculativo. La sintesi
compiuta da sant'Agostino rimarrà per secoli come la forma più alta della speculazione
filosofica e teologica che l'Occidente abbia conosciuto.
Forte della sua storia personale e aiutato da una
mirabile santità di vita, egli fu anche in grado di introdurre nelle sue
opere molteplici dati che, facendo riferimento all'esperienza, preludevano a
futuri sviluppi di alcune correnti filosofiche. 41. Diverse,
dunque, sono state le forme con cui i Padri d'Oriente e d'Occidente sono
entrati in rapporto con le scuole filosofiche. Ciò non significa che essi abbiano identificato il contenuto del loro messaggio con i
sistemi a cui facevano riferimento. La domanda di Tertulliano: " Che
cosa hanno in comune Atene e Gerusalemme? Che cosa
l'Accademia e la Chiesa? ",(40) è chiaro
sintomo della coscienza critica con cui i pensatori cristiani, fin dalle origini,
affrontarono il problema del rapporto tra la fede e la filosofia, vedendolo
globalmente nei suoi aspetti positivi e nei suoi limiti. Non erano pensatori
ingenui. Proprio perché vivevano intensamente il contenuto della fede, essi
sapevano raggiungere le forme più profonde della speculazione. E pertanto ingiusto e riduttivo limitare la loro opera alla sola
trasposizione delle verità di fede in categorie filosofiche. Fecero
molto di più. Riuscirono, infatti, a far emergere in pienezza quanto risultava ancora implicito e propedeutico nel pensiero dei
grandi filosofi antichi.(41) Costoro, come ho detto, avevano avuto il compito
di mostrare in quale modo la ragione, liberata dai vincoli esterni, potesse
uscire dal vicolo cieco dei miti, per aprirsi in modo più adeguato alla
trascendenza. Una ragione purificata e retta, quindi, era in grado di
elevarsi ai livelli più alti della riflessione, dando fondamento solido alla
percezione dell'essere, del
trascendente e dell'assoluto. Proprio qui si inserisce la novità operata dai Padri. Essi accolsero
in pieno la ragione aperta all'assoluto e in essa
innestarono la ricchezza proveniente dalla Rivelazione. L'incontro non fu
solo a livello di culture, delle quali l'una succube forse del fascino
dell'altra; esso avvenne nell'intimo degli animi e fu incontro tra la
creatura e il suo Creatore. Oltrepassando il fine stesso verso cui
inconsapevolmente tendeva in forza della sua natura, la ragione poté
raggiungere il sommo bene e la somma verità nella persona del Verbo
incarnato. Dinanzi alle filosofie, i Padri non ebbero tuttavia timore di
riconoscere tanto gli elementi comuni quanto le diversità che esse
presentavano rispetto alla Rivelazione. La coscienza delle convergenze non
offuscava in loro il riconoscimento delle differenze. 42. Nella
teologia scolastica il ruolo della ragione filosoficamente educata diventa
ancora più cospicuo sotto la spinta
dell'interpretazione anselmiana dell'intellectus fidei. Per il santo Arcivescovo di Canterbury la priorità della fede non
è competitiva con la ricerca propria della ragione. Questa, infatti, non è
chiamata a esprimere un giudizio sui contenuti della
fede; ne sarebbe incapace, perché a ciò non idonea. Suo compito, piuttosto, è
quello di saper trovare un senso, di scoprire delle ragioni che permettano a tutti di raggiungere una qualche intelligenza
dei contenuti di fede. Sant'Anselmo sottolinea il
fatto che l'intelletto deve porsi in ricerca di ciò che ama: più ama, più
desidera conoscere. Chi vive per la verità è proteso verso una forma di
conoscenza che si infiamma sempre più di amore per
ciò che conosce, pur dovendo ammettere di non aver ancora fatto tutto ciò che
sarebbe nel suo desiderio: " Ad te
videndum factus sum; et nondum feci propter quod factus sum ".(42) Il
desiderio di verità spinge, dunque, la ragione ad andare sempre oltre; essa,
anzi, viene come sopraffatta dalla costatazione
della sua capacità sempre più grande di ciò che raggiunge. A questo punto,
però, la ragione è in grado di scoprire ove stia il compimento del suo
cammino: " Penso infatti che chi investiga una
cosa incomprensibile debba accontentarsi di giungere con il ragionamento a
riconoscerne con somma certezza la realtà, anche se non è in grado di
penetrare con l'intelletto il suo modo di essere [...]. Che cosa c'è peraltro
di tanto incomprensibile ed inesprimibile quanto ciò che è al
di sopra di ogni cosa? Se dunque ciò di cui finora
si è disputato intorno alla somma essenza è stato stabilito su ragioni
necessarie, quantunque non possa essere penetrato con l'intelletto in modo da
potersi chiarire anche verbalmente, non per questo vacilla minimamente il
fondamento della sua certezza. Se, infatti, una precedente riflessione
ha compreso in modo razionale che è incomprensibile (rationabiliter comprehendit incomprehensibile esse) il modo in cui la sapienza
superna sa ciò che ha fatto [...], chi spiegherà come essa
stessa si conosce e si dice, essa di cui l'uomo nulla o pressoché nulla può
sapere? ".(43) L'armonia
fondamentale della conoscenza filosofica e della conoscenza di fede è ancora
una volta confermata: la fede chiede che il
suo oggetto venga compreso con l'aiuto della
ragione; la ragione, al culmine della sua ricerca, ammette come necessario
ciò che la fede presenta. La novità perenne del pensiero di san Tommaso d'Aquino 43. Un posto
tutto particolare in questo lungo cammino spetta a san Tommaso, non solo per
il contenuto della sua dottrina, ma anche per il rapporto dialogico che egli
seppe instaurare con il pensiero arabo ed ebreo del suo tempo. In un'epoca in
cui i pensatori cristiani riscoprivano i tesori della filosofia antica, e più
direttamente aristotelica, egli ebbe il grande
merito di porre in primo piano l'armonia che intercorre tra la ragione e la
fede. La luce della ragione e quella della fede provengono entrambe da Dio,
egli argomentava; perciò non possono contraddirsi tra loro.(44) Più
radicalmente, Tommaso riconosce che la natura, oggetto proprio della
filosofia, può contribuire alla comprensione della rivelazione divina. La
fede, dunque, non teme la ragione, ma la ricerca e in essa
confida. Come la grazia suppone la natura e
la porta a compimento,(45) così la fede suppone e
perfeziona la ragione. Quest'ultima, illuminata dalla fede, viene liberata dalle fragilità e dai limiti derivanti
dalla disobbedienza del peccato e trova la forza necessaria per elevarsi alla
conoscenza del mistero di Dio Uno e Trino. Pur sottolineando
con forza il carattere soprannaturale della fede, il Dottore Angelico non ha
dimenticato il valore della sua ragionevolezza; ha saputo, anzi, scendere in
profondità e precisare il senso di tale ragionevolezza. La fede, infatti, è
in qualche modo " esercizio del pensiero "; la ragione dell'uomo
non si annulla né si avvilisce dando l'assenso ai contenuti di fede;
questi sono in ogni caso raggiunti con scelta libera
e consapevole.(46) E per questo motivo che, giustamente, san Tommaso è sempre stato
proposto dalla Chiesa come maestro di pensiero e modello del retto modo di
fare teologia. Mi piace ricordare, in questo
contesto, quanto ha scritto il mio Predecessore, il
Servo di Dio Paolo VI, in occasione del settimo centenario della morte del
Dottore Angelico: " Senza dubbio, Tommaso possedette al massimo grado il
coraggio della verità, la libertà di spirito nell'affrontare i nuovi
problemi, l'onestà intellettuale di chi non ammette la contaminazione del
cristianesimo con la filosofia profana, ma nemmeno il rifiuto aprioristico di
questa. Perciò, egli passò alla storia del pensiero
cristiano come un pioniere sul nuovo cammino della filosofia e della cultura
universale. Il punto centrale e quasi il nocciolo della soluzione che egli diede al problema del nuovo confronto tra la ragione e la
fede con la genialità del suo intuito profetico, è stato quello della
conciliazione tra la secolarità del mondo e la radicalità del Vangelo,
sfuggendo così alla innaturale tendenza negatrice del mondo e dei suoi
valori, senza peraltro venire meno alle supreme e inflessibili esigenze
dell'ordine soprannaturale ".(47) 44. Tra le
grandi intuizioni di san Tommaso vi è anche quella relativa
al ruolo che lo Spirito Santo svolge nel far maturare in sapienza la
scienza umana. Fin dalle prime pagine della sua Summa Theologiae (48) l'Aquinate volle mostrare il primato di quella sapienza che è dono
dello Spirito Santo ed introduce alla conoscenza delle realtà divine. La sua
teologia permette di comprendere la peculiarità della sapienza nel suo
stretto legame con la fede e la conoscenza divina. Essa conosce per connaturalità, presuppone la fede e arriva a formulare il
suo retto giudizio a partire dalla verità della fede stessa: " La
sapienza elencata tra i doni dello Spirito Santo è distinta da quella che è
posta tra le virtù intellettuali. Infatti
quest'ultima si acquista con lo studio: quella invece "viene
dall'alto", come si esprime san Giacomo. Così pure è distinta dalla
fede. Poiché la fede accetta la verità divina così
com'è, invece è proprio del dono di sapienza giudicare secondo la verità
divina ".(49) La priorità
riconosciuta a questa sapienza, tuttavia, non fa dimenticare al Dottore Angelico la presenza di altre due complementari
forme di sapienza: quella filosofica,
che si fonda sulla capacità che l'intelletto ha, entro i limiti che gli sono
connaturali, di indagare la realtà; e quella teologica, che si fonda sulla Rivelazione ed esamina i contenuti
della fede, raggiungendo il mistero stesso di Dio. Intimamente
convinto che " omne verum a quocumque dicatur a Spiritu Sancto est ",(50) san Tommaso amò in maniera disinteressata la verità.
Egli la cercò dovunque essa si potesse manifestare, evidenziando al massimo
la sua universalità. In lui, il Magistero della Chiesa ha
visto ed apprezzato la passione per la verità; il suo pensiero, proprio
perché si mantenne sempre nell'orizzonte della verità universale, oggettiva e trascendente, raggiunse
" vette che l'intelligenza umana non avrebbe mai potuto pensare
".(51) Con ragione, quindi, egli può essere definito " apostolo
della verità ".(52) Proprio perché alla verità mirava senza riserve, nel
suo realismo egli seppe riconoscerne l'oggettività. La sua è veramente
la filosofia dell'essere e non del semplice apparire. Il dramma della separazione tra fede e ragione 45. Con il
sorgere delle prime università, la teologia veniva a confrontarsi più
direttamente con altre forme della ricerca e del sapere scientifico.
Sant'Alberto Magno e san Tommaso, pur mantenendo un legame organico tra la
teologia e la filosofia, furono i primi a riconoscere la necessaria autonomia
di cui la filosofia e le scienze avevano bisogno, per applicarsi
efficacemente ai rispettivi campi di ricerca. A
partire dal tardo Medio Evo, tuttavia, la legittima distinzione tra i due
saperi si trasformò progressivamente in una nefasta separazione. A seguito di
un eccessivo spirito razionalista, presente in alcuni pensatori, si
radicalizzarono le posizioni, giungendo di fatto a
una filosofia separata e assolutamente autonoma nei confronti dei contenuti
della fede. Tra le altre conseguenze di tale separazione vi fu anche quella
di una diffidenza sempre più forte nei confronti della stessa ragione. Alcuni
iniziarono a professare una sfiducia generale, scettica e agnostica, o per
riservare più spazio alla fede o per screditarne ogni possibile riferimento
razionale. Insomma, ciò che il pensiero patristico e medievale aveva concepito e
attuato come unità profonda, generatrice di una conoscenza capace di arrivare
alle forme più alte della speculazione, venne di fatto
distrutto dai sistemi che sposarono la causa di una conoscenza razionale
separata dalla fede e alternativa ad essa. 46. Le radicalizzazioni più influenti sono note e ben visibili,
soprattutto nella storia dell'Occidente. Non è esagerato affermare che buona
parte del pensiero filosofico moderno si è sviluppato allontanandosi progressivamente
dalla Rivelazione cristiana, fino a raggiungere contrapposizioni esplicite. Nel secolo scorso, questo movimento ha toccato il suo apogeo. Alcuni
rappresentanti dell'idealismo hanno cercato in diversi modi di trasformare la
fede e i suoi contenuti, perfino il mistero della morte e risurrezione di
Gesù Cristo, in strutture dialettiche razionalmente concepibili. A questo
pensiero si sono opposte diverse forme di umanesimo
ateo, elaborate filosoficamente, che hanno prospettato la fede come dannosa e
alienante per lo sviluppo della piena razionalità. Non hanno avuto timore di
presentarsi come nuove religioni formando la base di progetti che, sul piano
politico e sociale, sono sfociati in sistemi totalitari traumatici per
l'umanità. Nell'ambito
della ricerca scientifica si è venuta imponendo una mentalità positivista che
non soltanto si è allontanata da ogni riferimento alla visione cristiana del
mondo, ma ha anche, e soprattutto, lasciato cadere ogni richiamo alla visione
metafisica e morale. La conseguenza di ciò è che certi scienziati, privi di ogni riferimento etico, rischiano di non avere più al
centro del loro interesse la persona e la globalità della sua vita. Di più:
alcuni di essi, consapevoli delle potenzialità
insite nel progresso tecnologico, sembrano cedere, oltre che alla logica del
mercato, alla tentazione di un potere demiurgico sulla natura e sullo stesso
essere umano. Come
conseguenza della crisi del razionalismo ha preso corpo, infine, il nichilismo. Quale filosofia del nulla,
esso riesce ad esercitare un suo fascino sui nostri contemporanei. I suoi
seguaci teorizzano la ricerca come fine a se stessa, senza speranza né
possibilità alcuna di raggiungere la meta della verità. Nell'interpretazione
nichilista, l'esistenza è solo un'opportunità per
sensazioni ed esperienze in cui l'effimero ha il primato. Il nichilismo è
all'origine di quella diffusa mentalità secondo cui non si deve assumere più
nessun impegno definitivo, perché tutto è fugace e provvisorio. 47. Non è da
dimenticare, d'altra parte, che nella cultura moderna è venuto
a cambiare il ruolo stesso della filosofia. Da saggezza e sapere universale,
essa si è ridotta progressivamente a una delle tante
province del sapere umano; per alcuni aspetti, anzi, è stata limitata a un
ruolo del tutto marginale. Altre forme di razionalità si sono nel frattempo affermate con sempre maggior rilievo,
ponendo in evidenza la marginalità del sapere filosofico. Invece che verso la
contemplazione della verità e la ricerca del fine ultimo e del senso della
vita, queste forme di razionalità sono orientate — o almeno orientabili —
come " ragione strumentale " al servizio di fini utilitaristici, di
fruizione o di potere. Quanto sia pericoloso assolutizzare
questa strada l'ho fatto osservare fin dalla mia prima Lettera enciclica
quando scrivevo: " L'uomo di oggi sembra essere sempre minacciato da ciò
che produce, cioè dal risultato del lavoro delle sue mani e, ancor più, del
lavoro del suo intelletto, delle tendenze della sua volontà. I frutti di questa
multiforme attività dell'uomo, troppo presto e in modo spesso imprevedibile,
sono non soltanto e non tanto oggetto di 'alienazione', nel senso che vengono semplicemente tolti a colui che li ha prodotti;
quanto, almeno parzialmente, in una cerchia conseguente e indiretta dei loro
effetti, questi frutti si rivolgono contro l'uomo stesso. Essi sono, infatti,
diretti, o possono essere diretti contro di lui. In questo sembra consistere
l'atto principale del dramma dell'esistenza umana contemporanea, nella sua
più larga e universale dimensione. L'uomo, pertanto, vive sempre più nella
paura. Egli teme che i suoi prodotti, naturalmente non tutti e non nella
maggior parte, ma alcuni e proprio quelli che contengono una speciale
porzione della sua genialità e della sua iniziativa, possano essere rivolti
in modo radicale contro lui stesso ".(53) Sulla scia
di queste trasformazioni culturali, alcuni filosofi, abbandonando la ricerca
della verità per se stessa, hanno assunto come loro unico scopo il
raggiungimento della certezza soggettiva o dell'utilità pratica. Conseguenza
di ciò è stato l'offuscamento della vera dignità della ragione, non più messa
nella condizione di conoscere il vero e di ricercare l'assoluto. 48. Ciò che
emerge da questo ultimo scorcio di storia della filosofia
è, dunque, la constatazione di una progressiva separazione tra la fede e la
ragione filosofica. E ben vero che, ad una attenta
osservazione, anche nella riflessione filosofica di coloro che contribuirono
ad allargare la distanza tra fede e ragione si manifestano talvolta germi
preziosi di pensiero, che, se approfonditi e sviluppati con rettitudine di
mente e di cuore, possono far scoprire il cammino della verità. Questi germi
di pensiero si trovano, ad esempio, nelle approfondite analisi sulla percezione
e l'esperienza, sull'immaginario e l'inconscio, sulla personalità e
l'intersoggettività, sulla libertà ed i valori, sul tempo e la storia. Anche il tema della morte può diventare severo richiamo,
per ogni pensatore, a ricercare dentro di sé il senso autentico della propria
esistenza. Questo tuttavia non toglie che l'attuale rapporto tra fede e
ragione richieda un attento sforzo di discernimento,
perché sia la ragione che la fede si sono impoverite e sono divenute deboli
l'una di fronte all'altra. La ragione, privata dell'apporto della
Rivelazione, ha percorso sentieri laterali che rischiano di farle perdere di
vista la sua meta finale. La fede, privata della ragione, ha sottolineato il sentimento e l'esperienza, correndo il
rischio di non essere più una proposta universale. E’ illusorio pensare che
la fede, dinanzi a una ragione debole, abbia maggior
incisività; essa, al contrario, cade nel grave pericolo di essere ridotta a
mito o superstizione. Alla stessa stregua, una ragione che non abbia dinanzi una fede adulta non è provocata a puntare lo
sguardo sulla novità e radicalità dell'essere. Non sembri
fuori luogo, pertanto, il mio richiamo forte e incisivo, perché la fede e la
filosofia recuperino l'unità profonda che le rende capaci di
essere coerenti con la loro natura nel rispetto della reciproca
autonomia. Alla parresia della fede deve corrispondere
l'audacia della ragione. CAPITOLO V GLI INTERVENTI DEL MAGISTERO Il discernimento del Magistero come diaconia alla verità49. La
Chiesa non propone una propria filosofia né canonizza una qualsiasi filosofia
particolare a scapito di altre.(54) La ragione profonda di questa
riservatezza sta nel fatto che la filosofia, anche quando entra in rapporto
con la teologia, deve procedere secondo i suoi metodi e le sue regole; non vi
sarebbe altrimenti garanzia che essa rimanga orientata verso la verità e ad essa tenda con un processo razionalmente controllabile. Di
poco aiuto sarebbe una filosofia che non procedesse alla
luce della ragione secondo propri principi e specifiche metodologie.
In fondo, la radice della autonomia di cui gode la
filosofia è da individuare nel fatto che la ragione è per sua natura
orientata alla verità ed è inoltre in se stessa fornita dei mezzi necessari
per raggiungerla. Una filosofia consapevole di questo suo " statuto
costitutivo " non può non rispettare anche le esigenze e le evidenze
proprie della verità rivelata. La storia, tuttavia, ha mostrato le deviazioni e gli errori in cui non
di rado il pensiero filosofico, soprattutto moderno, è incorso. Non è compito
né competenza del Magistero intervenire per colmare le lacune di un discorso
filosofico carente. E’ suo obbligo, invece, reagire in maniera chiara e forte
quando tesi filosofiche discutibili minacciano la retta comprensione del dato
rivelato e quando si diffondono teorie false e di parte che seminano gravi
errori, confondendo la semplicità e la purezza della fede del popolo di Dio. 50. Il
Magistero ecclesiastico, quindi, può e deve esercitare autoritativamente,
alla luce della fede, il proprio discernimento critico nei confronti delle
filosofie e delle affermazioni che si scontrano con la dottrina
cristiana.(55) Al Magistero spetta di indicare, anzitutto, quali presupposti
e conclusioni filosofiche sarebbero incompatibili con la verità rivelata,
formulando con ciò stesso le esigenze che si impongono
alla filosofia dal punto di vista della fede. Nello sviluppo del sapere
filosofico, inoltre, sono sorte diverse scuole di pensiero. Anche questo
pluralismo pone il Magistero di fronte alla responsabilità di esprimere il
suo giudizio circa la compatibilità o meno delle concezioni di fondo, a cui queste scuole si attengono, con le
esigenze proprie della Parola di Dio e della riflessione teologica. La Chiesa ha
il dovere di indicare ciò che in un sistema filosofico può risultare
incompatibile con la sua fede. Molti contenuti filosofici,
infatti, quali i temi di Dio, dell'uomo, della sua libertà e del suo agire
etico, la chiamano in causa direttamente, perché toccano la verità rivelata
che essa custodisce. Quando esercitiamo questo discernimento, noi
Vescovi abbiamo il compito di essere "
testimoni della verità " nell'adempimento di una diaconia umile ma
tenace, quale ogni filosofo dovrebbe apprezzare, a vantaggio della recta ratio, ossia della ragione che riflette
correttamente sul vero. 51. Questo
discernimento, comunque, non deve essere inteso
primariamente in forma negativa, come se intenzione del Magistero fosse di
eliminare o ridurre ogni possibile mediazione. Al contrario, i suoi
interventi sono tesi in primo luogo a provocare, promuovere e incoraggiare il
pensiero filosofico. I filosofi per primi, d'altronde, comprendono l'esigenza
dell'autocritica, della correzione di eventuali
errori e la necessità di oltrepassare i limiti troppo ristretti in cui la
loro riflessione è concepita. Si deve considerare, in modo particolare, che
una è la verità, benché le sue espressioni portino l'impronta della storia e,
per di più, siano opera di una ragione umana ferita
e indebolita dal peccato. Da ciò risulta che nessuna
forma storica della filosofia può legittimamente pretendere di abbracciare la
totalità della verità, né di essere la spiegazione piena dell'essere umano,
del mondo e del rapporto dell'uomo con Dio. Oggi poi, col moltiplicarsi dei sistemi, dei metodi, dei concetti e
argomenti filosofici, spesso estremamente
particolareggiati, un discernimento critico alla luce della fede si impone
con maggiore urgenza. Discernimento non facile,
perché se è già laborioso riconoscere le capacità congenite e inalienabili
della ragione, con i suoi limiti costitutivi e storici, ancora più problematico qualche volta può risultare il discernimento,
nelle singole proposte filosofiche, di ciò che, dal punto di vista della
fede, esse offrono di valido e di fecondo rispetto a ciò che, invece,
presentano di erroneo o di pericoloso. La Chiesa, comunque,
sa che i " tesori della sapienza e della scienza " sono nascosti in
Cristo (Col 2, 3); per questo
interviene stimolando la riflessione filosofica, perché non si precluda la
strada che conduce al riconoscimento del mistero. 52. Non è solo di recente che il Magistero della Chiesa è intervenuto
per manifestare il suo pensiero nei confronti di determinate dottrine
filosofiche. A titolo esemplificativo basti ricordare, nel corso dei secoli,
i pronunciamenti circa le teorie che sostenevano la preesistenza delle anime,(56) come pure circa le diverse forme di idolatria e di
esoterismo superstizioso, contenute in tesi astrologiche; (57) per non
dimenticare i testi più sistematici contro alcune tesi dell'averroismo
latino, incompatibili con la fede cristiana.(58) Se la parola
del Magistero si è fatta udire più spesso a partire dalla metà del secolo scorso è perché in quel periodo non pochi cattolici
sentirono il dovere di opporre una loro filosofia alle varie correnti del
pensiero moderno. A questo punto, diventava obbligatorio per il Magistero
della Chiesa vegliare perché queste filosofie non deviassero, a loro volta,
in forme erronee e negative. Furono così censurati simmetricamente: da una
parte, il fideismo (59) e il tradizionalismo radicale,(60) per la loro sfiducia nelle capacità naturali della
ragione; dall'altra parte, il razionalismo
(61) e l'ontologismo,(62)
perché attribuivano alla ragione naturale ciò che è conoscibile solo alla
luce della fede. I contenuti positivi di questo
dibattito furono formalizzati nella Costituzione dogmatica Dei Filius, con la quale per la prima
volta un Concilio ecumenico, il Vaticano I, interveniva in maniera solenne
sui rapporti tra ragione e fede. L'insegnamento contenuto in quel testo
caratterizzò fortemente e in maniera positiva la
ricerca filosofica di molti credenti e costituisce ancora oggi un punto di
riferimento normativo per una corretta e coerente riflessione cristiana in
questo particolare ambito. 53. Più che
di singole tesi filosofiche, i pronunciamenti del Magistero si sono occupati
della necessità della conoscenza razionale e, dunque, ultimamente filosofica
per l'intelligenza della fede. Il Concilio Vaticano I, sintetizzando
e riaffermando in modo solenne gli insegnamenti che in maniera ordinaria e
costante il Magistero pontificio aveva proposto per i fedeli, mise in
evidenza quanto fossero inseparabili e insieme irriducibili la conoscenza
naturale di Dio e la Rivelazione, la ragione e la fede. Il Concilio
partiva dall'esigenza fondamentale, presupposta dalla Rivelazione stessa,
della conoscibilità naturale dell'esistenza di Dio, principio e fine di ogni cosa,(63) e concludeva con l'asserzione solenne
già citata: " esistono due ordini di
conoscenza, distinti non solo per il loro principio, ma anche per il loro
oggetto ".(64) Bisognava affermare, dunque, contro ogni forma di
razionalismo, la distinzione dei misteri della fede dai ritrovati filosofici
e la trascendenza e precedenza di quelli rispetto a questi; d'altra parte, contro le tentazioni
fideistiche, era necessario che si ribadisse l'unità della verità e, quindi,
anche l'apporto positivo che la conoscenza razionale può e deve dare alla
conoscenza di fede: " Ma anche se la fede è sopra la ragione, non
vi potrà mai essere una vera divergenza tra fede e ragione: poiché lo stesso
Dio, che rivela i misteri e comunica la fede, ha anche deposto nello spirito
umano il lume della ragione, questo Dio non potrebbe negare se stesso, né il
vero contraddire il vero ".(65) 54. Anche nel nostro secolo, il Magistero è
ritornato più volte sull'argomento mettendo
in guardia contro
la tentazione razionalistica. E’ su
questo scenario che si devono collocare gli interventi del Papa san Pio X, il quale rilevava come alla base del
modernismo vi fossero asserti filosofici di indirizzo
fenomenista, agnostico e immanentista.(66) Non si
può neppure dimenticare l'importanza che ebbe il rifiuto cattolico della
filosofia marxista e del comunismo ateo.(67) Successivamente, il Papa Pio XII fece sentire la sua voce
quando, nella Lettera enciclica Humani
generis, mise in guardia contro interpretazioni erronee, collegate con le
tesi dell'evoluzionismo, dell'esistenzialismo e dello storicismo. Egli precisava che queste tesi erano state elaborate e venivano proposte non da teologi, avendo la loro origine
" fuori dall'ovile di Cristo "; (68) aggiungeva, comunque, che tali
deviazioni non erano semplicemente da rigettare, ma da esaminare
criticamente: " Ora queste tendenze, che più o meno deviano dalla retta
strada, non possono essere ignorate o trascurate dai filosofi o dai teologi
cattolici, che hanno il grave compito di difendere la verità divina ed umana
e di farla penetrare nelle menti degli uomini. Anzi, essi devono conoscere
bene queste opinioni, sia perché le malattie non si possono curare se prima
non sono ben conosciute, sia perché qualche volta nelle stesse false
affermazioni si nasconde un po' di verità, sia, infine, perché gli stessi
errori spingono la mente nostra a investigare e a
scrutare con più diligenza alcune verità sia filosofiche sia teologiche
".(69) Da ultimo, anche la Congregazione per la Dottrina della Fede, in
adempimento del suo specifico compito a servizio del magistero universale del
Romano Pontefice,(70) ha dovuto intervenire per
ribadire il pericolo che comporta l'assunzione acritica, da parte di alcuni
teologi della liberazione, di tesi e metodologie derivanti dal marxismo.(71) Nel passato il Magistero ha dunque esercitato ripetutamente e sotto
diverse modalità il discernimento in materia
filosofica. Quanto i miei Venerati Predecessori hanno apportato costituisce
un prezioso contributo che non può essere dimenticato. 55. Se guardiamo alla nostra condizione
odierna, vediamo che i problemi di un tempo ritornano, ma con peculiarità
nuove. Non si tratta più solamente di questioni che interessano singole
persone o gruppi, ma di convinzioni diffuse nell'ambiente al punto da
divenire in qualche misura mentalità comune. Tale è, ad esempio, la radicale
sfiducia nella ragione che rivelano i più recenti
sviluppi di molti studi filosofici. Da più parti si è sentito parlare, a
questo riguardo, di " fine della metafisica ": si vuole che la
filosofia si accontenti di compiti più modesti, quali la sola interpretazione
del fattuale o la sola indagine su campi determinati del sapere umano o sulle
sue strutture. Nella stessa teologia tornano ad affacciarsi le tentazioni di un tempo.
In alcune teologie contemporanee, ad esempio, si fa nuovamente strada un certo razionalismo,
soprattutto quando asserti ritenuti filosoficamente fondati sono assunti come
normativi per la ricerca teologica. Ciò accade soprattutto quando il teologo,
per mancanza di competenza filosofica, si lascia condizionare in modo acritico
da affermazioni entrate ormai nel linguaggio e nella cultura corrente, ma
prive di sufficiente base razionale.(72) Non mancano neppure pericolosi ripiegamenti sul fideismo, che non riconosce l'importanza della conoscenza
razionale e del discorso filosofico per l'intelligenza della fede, anzi per
la stessa possibilità di credere in Dio. Un'espressione oggi diffusa di tale
tendenza fideistica è il " biblicismo ", che tende a fare della
lettura della Sacra Scrittura o della sua esegesi l'unico punto di riferimento
veritativo. Accade così che si identifichi la parola
di Dio con la sola Sacra Scrittura, vanificando in tal modo la dottrina
della Chiesa che il Concilio Ecumenico Vaticano II ha ribadito espressamente.
La Costituzione Dei Verbum, dopo
aver ricordato che la parola di Dio è presente sia nei testi sacri che nella
Tradizione,(73) afferma con forza: " La Sacra
Tradizione e la Sacra Scrittura costituiscono un solo sacro deposito della
parola di Dio affidato alla Chiesa. Aderendo ad esso
tutto il popolo santo, unito ai suoi Pastori, persevera costantemente
nell'insegnamento degli Apostoli ".(74) La Sacra Scrittura, pertanto,
non è il solo riferimento per la Chiesa. La " regola suprema della
propria fede ",(75) infatti, le proviene
dall'unità che lo Spirito ha posto tra la Sacra Tradizione, la Sacra
Scrittura e il Magistero della Chiesa in una reciprocità tale per cui i tre
non possono sussistere in maniera indipendente.(76) Non è da
sottovalutare, inoltre, il pericolo insito nel voler derivare la verità della
Sacra Scrittura dall'applicazione di una sola metodologia, dimenticando la
necessità di una esegesi più ampia che consenta di
accedere, insieme con tutta la Chiesa, al senso pieno dei testi. Quanti si
dedicano allo studio delle Sacre Scritture devono sempre tener presente che
le diverse metodologie ermeneutiche hanno anch'esse alla base una concezione
filosofica: occorre vagliarla con discernimento prima
di applicarla ai testi sacri. Altre forme
di latente fideismo sono riconoscibili nella poca considerazione che viene riservata alla teologia speculativa, come pure nel
disprezzo per la filosofia classica, alle cui nozioni sia l'intelligenza
della fede sia le stesse formulazioni dogmatiche hanno attinto i loro
termini. Il Papa Pio XII, di venerata memoria, ha messo in guardia contro
tale oblio della tradizione filosofica e contro l'abbandono delle
terminologie tradizionali.(77) 56. Si nota,
insomma, una diffusa diffidenza verso gli asserti globali
e assoluti, soprattutto da parte di chi ritiene che la verità sia il
risultato del consenso e non dell'adeguamento dell'intelletto alla realtà
oggettiva. E certo comprensibile che, in un mondo suddiviso
in molti campi specialistici, diventi difficile riconoscere quel senso totale
e ultimo della vita che la filosofia tradizionalmente ha cercato.
Nondimeno alla luce della fede che riconosce in Gesù Cristo tale senso
ultimo, non posso non incoraggiare i filosofi,
cristiani o meno, ad avere fiducia nelle capacità della ragione umana e a non
prefiggersi mete troppo modeste nel loro filosofare. La lezione della storia
di questo millennio, che stiamo per concludere,
testimonia che questa è la strada da seguire: bisogna non perdere la passione
per la verità ultima e l'ansia per la ricerca, unite all'audacia di scoprire
nuovi percorsi. E la fede che provoca la ragione a
uscire da ogni isolamento e a rischiare volentieri per tutto ciò che è bello,
buono e vero. La fede si fa così avvocato convinto e convincente della
ragione. L'interesse della Chiesa per la filosofia 57. Il
Magistero, comunque, non si è limitato solo a
rilevare gli errori e le deviazioni delle dottrine filosofiche. Con
altrettanta attenzione ha voluto ribadire i principi
fondamentali per un genuino rinnovamento del pensiero filosofico, indicando
anche concreti percorsi da seguire. In questo senso, il Papa Leone XIII con
la sua Lettera enciclica Æterni Patris compì un passo di autentica
portata storica per la vita della Chiesa. Quel testo è stato, fino ad oggi,
l'unico documento pontificio di quel livello dedicato interamente alla
filosofia. Il grande Pontefice riprese e sviluppò l'insegnamento del Concilio
Vaticano I sul rapporto tra fede e ragione, mostrando come il pensare
filosofico sia un contributo fondamentale per la fede e la scienza
teologica.(78) A più di un secolo di distanza, molte indicazioni contenute in
quel testo non hanno perduto nulla del loro interesse dal punto di vista sia
pratico che pedagogico; primo fra tutti, quello relativo
all'incomparabile valore della filosofia di san Tommaso. La riproposizione del pensiero del Dottore
Angelico appariva a Papa Leone XIII come la strada migliore per ricuperare un
uso della filosofia conforme alle esigenze della fede. San Tommaso, egli
scriveva, " nel momento stesso in cui, come conviene, distingue perfettamente
la fede dalla ragione, le unisce ambedue con legami di amicizia
reciproca: conserva ad ognuna i propri diritti e ne salvaguarda la dignità
".(79) 58. Si sa
quante felici conseguenze abbia avuto quell'invito
pontificio. Gli studi sul pensiero di san Tommaso e di altri
autori scolastici ricevettero nuovo slancio. Fu dato vigoroso impulso agli
studi storici, con la conseguente riscoperta delle ricchezze del pensiero
medievale, fino a quel momento largamente sconosciute, e si costituirono
nuove scuole tomistiche. Con l'applicazione della metodologia storica, la
conoscenza dell'opera di san Tommaso fece grandi progressi e numerosi furono
gli studiosi che con coraggio introdussero la tradizione tomista nelle
discussioni sui problemi filosofici e teologici di quel momento. I teologi
cattolici più influenti di questo secolo, alla cui
riflessione e ricerca molto deve il Concilio Vaticano II, sono figli di tale
rinnovamento della filosofia tomista. La Chiesa ha potuto così disporre, nel
corso del XX secolo, di una vigorosa schiera di
pensatori formati alla scuola dell'Angelico Dottore. 59. Il
rinnovamento tomista e neotomista, comunque, non è
stato l'unico segno di ripresa del pensiero filosofico nella cultura di
ispirazione cristiana. Già prima, e in parallelo con l'invito leoniano, erano emersi non pochi filosofi cattolici che,
ricollegandosi a correnti di pensiero più recenti, secondo una propria
metodologia, avevano prodotto opere filosofiche di grande influsso e di
valore durevole. Ci fu chi organizzò sintesi di così alto profilo che nulla hanno da invidiare ai grandi sistemi dell'idealismo; chi,
inoltre, pose le basi epistemologiche per una nuova trattazione della fede
alla luce di una rinnovata comprensione della coscienza morale; chi, ancora,
produsse una filosofia che, partendo dall'analisi dell'immanenza, apriva il
cammino verso il trascendente; e chi, infine, tentò di coniugare le esigenze
della fede nell'orizzonte della metodologia fenomenologica.
Da diverse prospettive, insomma, si è continuato a produrre forme di
speculazione filosofica che hanno inteso mantenere viva la grande
tradizione del pensiero cristiano nell'unità di fede e ragione. 60. Il
Concilio Ecumenico Vaticano II, per parte sua, presenta un insegnamento molto
ricco e fecondo nei confronti della filosofia. Non posso dimenticare,
soprattutto nel contesto di questa Lettera
enciclica, che un intero capitolo della Costituzione Gaudium et spes costituisce quasi un compendio di antropologia
biblica, fonte di ispirazione anche per la filosofia. In quelle pagine si
tratta del valore della persona umana creata a
immagine di Dio, si motiva la sua dignità e superiorità sul resto del creato
e si mostra la capacità trascendente della sua ragione.(80) Anche il problema
dell'ateismo viene considerato nella Gaudium
et spes e ben si motivano gli errori di quella visione filosofica,
soprattutto nei confronti dell'inalienabile dignità della persona e della sua
libertà.(81) Certamente possiede anche un profondo significato filosofico
l'espressione culminante di quelle pagine, che ho ripreso nella mia prima
Lettera enciclica Redemptor hominis e
che costituisce uno dei punti di riferimento costante del mio insegnamento:
" In realtà solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il
mistero dell'uomo. Adamo, infatti, il primo uomo, era figura di quello futuro
e cioè di Cristo Signore. Cristo, che è il nuovo
Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche
pienamente l'uomo all'uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione
".(82) Il Concilio
si è occupato anche dello studio della filosofia, a cui devono dedicarsi i
candidati al sacerdozio; sono raccomandazioni estensibili più in generale
all'insegnamento cristiano nel suo insieme. Afferma il Concilio: " Le
discipline filosofiche si insegnino in maniera che
gli alunni siano anzitutto guidati all'acquisto di una solida e armonica
conoscenza dell'uomo, del mondo e di Dio, basandosi sul patrimonio filosofico
perennemente valido, tenuto conto anche delle correnti filosofiche moderne ".(83) Queste
direttive sono state a più riprese ribadite e specificate in altri documenti
magisteriali con lo scopo di garantire una solida formazione filosofica,
soprattutto per coloro che si preparano agli studi teologici. Da parte mia,
più volte ho sottolineato l'importanza di questa
formazione filosofica per quanti dovranno un giorno, nella vita pastorale,
confrontarsi con le istanze del mondo contemporaneo e cogliere le cause di
alcuni comportamenti per darvi pronta risposta.(84) 61. Se in
diverse circostanze è stato necessario intervenire su questo tema, ribadendo anche il valore delle intuizioni del Dottore
Angelico e insistendo per l'acquisizione del suo pensiero, ciò è dipeso dal
fatto che le direttive del Magistero non sono state sempre osservate con la
desiderabile disponibilità. In molte scuole cattoliche, negli anni che
seguirono il Concilio Vaticano II, si è potuto osservare, in materia, un
certo decadimento dovuto ad una minore stima, non solo della filosofia
scolastica, ma più in generale dello stesso studio della filosofia. Con
meraviglia e dispiacere devo costatare che non pochi
teologi condividono questo disinteresse per lo studio della filosofia. Diverse sono
le ragioni che stanno alla base di questa disaffezione. In primo luogo, è da
registrare la sfiducia nella ragione che gran parte della filosofia
contemporanea manifesta, abbandonando largamente la ricerca metafisica sulle
domande ultime dell'uomo, per concentrare la propria attenzione su problemi
particolari e regionali, talvolta anche puramente formali. Si deve
aggiungere, inoltre, il fraintendimento che si è creato soprattutto in
rapporto alle " scienze umane ". Il Concilio Vaticano II ha più
volte ribadito il valore positivo della ricerca
scientifica in ordine a una conoscenza più profonda del mistero
dell'uomo.(85) L'invito fatto ai teologi perché conoscano queste scienze e,
all'occorrenza, le applichino correttamente nella loro indagine non deve,
tuttavia, essere interpretato come un'implicita autorizzazione ad emarginare
la filosofia o a sostituirla nella formazione pastorale e nella praeparatio fidei. Non si può dimenticare,
infine, il ritrovato interesse per l'inculturazione della fede. In modo
particolare la vita delle giovani Chiese ha permesso
di scoprire, accanto ad elevate forme di pensiero, la presenza di molteplici
espressioni di saggezza popolare. Ciò costituisce un reale patrimonio di
cultura e di tradizioni. Lo studio, tuttavia, delle usanze tradizionali deve
andare di pari passo con la ricerca filosofica. Sarà questa a permettere di
far emergere i tratti positivi della saggezza
popolare, creando il necessario collegamento con l'annuncio del Vangelo.(86) 62. Desidero
ribadire con vigore che lo studio della filosofia
riveste un carattere fondamentale e ineliminabile nella struttura degli studi
teologici e nella formazione dei candidati al sacerdozio. Non è un caso che
il curriculum di studi teologici sia preceduto da un periodo di tempo nel quale è previsto
uno speciale impegno nello studio della filosofia. Questa scelta, confermata
dal Concilio Lateranense V,(87) affonda le sue
radici nell'esperienza maturata durante il Medio Evo, quando è stata posta in
evidenza l'importanza di una costruttiva armonia tra il sapere filosofico e
quello teologico. Questo ordinamento degli studi ha influenzato, facilitato e
promosso, anche se in maniera indiretta, una buona parte dello sviluppo della
filosofia moderna. Un esempio significativo è dato
dall'influsso esercitato dalle Disputationes metaphysicae di Francesco Suárez,
le quali trovavano spazio perfino nelle università luterane tedesche. Il
venire meno di questa metodologia, invece, fu causa di gravi carenze sia nella formazione sacerdotale che nella ricerca
teologica. Si consideri, ad esempio, la disattenzione nei confronti del
pensiero e della cultura moderna, che ha portato alla chiusura ad ogni forma
di dialogo o alla indiscriminata accoglienza di ogni
filosofia. Confido
vivamente che queste difficoltà siano superate da un'intelligente formazione
filosofica e teologica, che non deve mai venire meno nella Chiesa. 63. In forza
delle ragioni espresse, mi è sembrato urgente ribadire,
con questa Lettera enciclica, il forte interesse che la Chiesa dedica alla
filosofia; anzi, il legame intimo che unisce il lavoro teologico alla ricerca
filosofica della verità. Di qui deriva il
dovere che il Magistero ha di discernere e stimolare un pensiero filosofico
che non sia in dissonanza con la fede. Mio compito è di proporre alcuni
principi e punti di riferimento che ritengo necessari per poter instaurare
una relazione armoniosa ed efficace tra la teologia e la filosofia. Alla loro
luce sarà possibile discernere con maggior chiarezza se e quale rapporto la teologia debba intraprendere con i diversi
sistemi o asserti filosofici, che il mondo attuale presenta. CAPITOLO VI INTERAZIONE La scienza della fede e le esigenze della ragione filosofica64. La
parola di Dio si indirizza a ogni uomo, in ogni
tempo e in ogni parte della terra; e l'uomo è naturalmente filosofo. La teologia,
da parte sua, in quanto elaborazione riflessa e
scientifica dell'intelligenza di questa parola alla luce della fede, sia per
alcuni suoi procedimenti come anche per adempiere a specifici compiti, non
può fare a meno di entrare in rapporto con le filosofie di fatto elaborate
nel corso della storia. Senza voler indicare ai teologi particolari
metodologie, cosa che non compete al Magistero, desidero piuttosto richiamare
alla mente alcuni compiti propri della teologia, nei
quali il ricorso al pensiero filosofico si impone in forza della natura
stessa della Parola rivelata. 65. La
teologia si organizza come scienza della fede alla luce di un duplice
principio metodologico: l'auditus fidei e l'intellectus fidei. Con il primo, essa
entra in possesso dei contenuti della Rivelazione così come sono stati esplicitati progressivamente nella Sacra Tradizione, nella
Sacra Scrittura e nel Magistero vivo della Chiesa.(88) Con il secondo, la
teologia vuole rispondere alle esigenze proprie del pensiero mediante la riflessione
speculativa. Per quanto
concerne la preparazione ad un corretto auditus fidei, la filosofia reca alla teologia il suo peculiare
contributo nel momento in cui considera la struttura della conoscenza e della
comunicazione personale e, in particolare, le varie forme e funzioni del
linguaggio. Ugualmente importante è l'apporto della filosofia per una più
coerente comprensione della Tradizione ecclesiale, dei pronunciamenti del
Magistero e delle sentenze dei grandi maestri della teologia: questi infatti si esprimono spesso in concetti e forme di
pensiero mutuati da una determinata tradizione filosofica. In questo caso, è
richiesto al teologo non solo di esporre concetti e termini con i quali la
Chiesa riflette ed elabora il suo insegnamento, ma anche di conoscere a fondo
i sistemi filosofici che hanno eventualmente influito sia sulle nozioni che
sulla terminologia, per giungere a interpretazioni
corrette e coerenti. 66. Per
quanto riguarda l'intellectus fidei, si
deve considerare, anzitutto, che la Verità divina, " a noi proposta
nelle Sacre Scritture, interpretate rettamente dalla dottrina della Chiesa
",(89) gode di una propria intelligibilità così
logicamente coerente da proporsi come un autentico sapere. L'intellectus fidei esplicita questa
verità, non solo cogliendo le strutture logiche e concettuali delle
proposizioni nelle quali si articola l'insegnamento della Chiesa, ma anche, e
primariamente, nel far emergere il significato di salvezza che tali
proposizioni contengono per il singolo e per l'umanità. E dall'insieme di queste proposizioni che il credente arriva a
conoscere la storia della salvezza, la quale culmina nella persona di Gesù
Cristo e nel suo mistero pasquale. A questo mistero egli partecipa con
il suo assenso di fede. La teologia dogmatica, per parte sua,
deve essere in grado di articolare il senso universale del mistero del Dio
Uno e Trino e dell'economia della salvezza sia in
maniera narrativa sia, soprattutto, in forma argomentativa.
Lo deve fare, cioè, mediante espressioni concettuali,
formulate in modo critico e universalmente comunicabile. Senza l'apporto
della filosofia, infatti, non si potrebbero illustrare contenuti teologici
quali, ad esempio, il linguaggio su Dio, le relazioni personali all'interno
della Trinità, l'azione creatrice di Dio nel mondo, il rapporto tra Dio e
l'uomo, l'identità di Cristo che è vero Dio e vero uomo. Le stesse
considerazioni valgono per diversi temi della teologia morale, dove è
immediato il ricorso a concetti quali: legge morale, coscienza, libertà, responsabilità
personale, colpa ecc., che ricevono una loro
definizione a livello di etica filosofica. E
necessario, dunque, che la ragione del credente abbia una conoscenza
naturale, vera e coerente delle cose create, del mondo e dell'uomo, che sono anche oggetto della rivelazione divina; ancora di
più, essa deve essere in grado di articolare tale conoscenza in modo
concettuale e argomentativo. La teologia dogmatica
speculativa, pertanto, presuppone ed implica una filosofia dell'uomo, del
mondo e, più radicalmente, dell'essere, fondata sulla verità oggettiva. 67. La teologia fondamentale, per il suo
carattere proprio di disciplina che ha il compito di rendere ragione della
fede (cfr 1 Pt 3, 15), dovrà farsi
carico di giustificare ed esplicitare la relazione
tra la fede e la riflessione filosofica. Già il Concilio Vaticano I, recuperando l'insegnamento paolino (cfr Rm 1, 19-20), aveva richiamato
l'attenzione sul fatto che esistono verità conoscibili naturalmente, e quindi
filosoficamente. La loro conoscenza costituisce un presupposto necessario per
accogliere la rivelazione di Dio. Nello studiare la Rivelazione e la sua credibilità insieme con il corrispondente atto di fede, la
teologia fondamentale dovrà mostrare come, alla luce della conoscenza per
fede, emergano alcune verità che la ragione già coglie nel suo autonomo
cammino di ricerca. A queste la Rivelazione conferisce pienezza di senso,
orientandole verso la ricchezza del mistero rivelato, nel quale trovano il
loro ultimo fine. Si pensi, ad esempio, alla conoscenza naturale di Dio, alla
possibilità di discernere la rivelazione divina da altri fenomeni o al
riconoscimento della sua credibilità, all'attitudine
del linguaggio umano a parlare in modo significativo e vero anche di ciò che
eccede ogni esperienza umana. Da tutte queste verità, la mente è condotta a
riconoscere l'esistenza di una via realmente propedeutica alla fede, che può
sfociare nell'accoglienza della rivelazione, senza in nulla venire meno ai
propri principi e alla propria autonomia.(90) Alla stessa
stregua, la teologia fondamentale dovrà mostrare l'intima compatibilità tra
la fede e la sua esigenza essenziale di esplicitarsi
mediante una ragione in grado di dare in piena libertà il proprio assenso. La
fede saprà così " mostrare in pienezza il cammino ad una ragione in
ricerca sincera della verità. In tal modo la fede, dono di Dio, pur non
fondandosi sulla ragione, non può certamente fare a meno di essa; al tempo stesso, appare la necessità per la ragione
di farsi forte della fede, per scoprire gli orizzonti ai quali da sola non
potrebbe giungere ".(91) 68. La
teologia morale ha forse un bisogno ancor maggiore dell'apporto filosofico.
Nella Nuova Alleanza, infatti, la vita umana è molto meno regolamentata
da prescrizioni che nell'Antica. La vita nello Spirito conduce i credenti ad
una libertà e responsabilità che vanno oltre la Legge stessa. Il Vangelo e
gli scritti apostolici, comunque, propongono sia
principi generali di condotta cristiana sia insegnamenti e precetti puntuali.
Per applicarli alle circostanze particolari della vita individuale e sociale,
il cristiano deve essere in grado di impegnare a fondo la sua coscienza e la
forza del suo ragionamento. In altre parole, ciò significa che la teologia
morale deve ricorrere ad una visione filosofica corretta sia della natura
umana e della società che dei principi generali di
una decisione etica. 69. Si può
forse obiettare che nella situazione attuale il teologo, piuttosto che alla
filosofia, dovrebbe ricorrere all'aiuto di altre
forme del sapere umano, quali la storia e soprattutto le scienze, di cui
tutti ammirano i recenti straordinari sviluppi. Altri poi, a seguito di una
cresciuta sensibilità nei confronti della relazione tra fede e culture,
sostengono che la teologia dovrebbe rivolgersi, di preferenza, alle saggezze
tradizionali, piuttosto che a una filosofia di
origine greca ed eurocentrica. Altri ancora, a
partire da una concezione errata del pluralismo delle culture, negano
semplicemente il valore universale del patrimonio filosofico accolto dalla
Chiesa. Queste
sottolineature, tra l'altro già presenti nell'insegnamento conciliare,(92) contengono una parte di verità. Il riferimento alle
scienze, utile in molti casi perché permette una conoscenza più completa
dell'oggetto di studio, non deve tuttavia far dimenticare la necessaria
mediazione di una riflessione tipicamente filosofica, critica e tesa
all'universale, richiesta peraltro da uno scambio fecondo tra le culture. Ciò
che mi preme sottolineare è il dovere di non
fermarsi al solo caso singolo e concreto, tralasciando il compito primario
che è quello di manifestare il carattere universale del contenuto di fede.
Non si deve, inoltre, dimenticare che l'apporto peculiare del pensiero
filosofico permette di discernere, sia nelle diverse concezioni di vita che
nelle culture, " non che cosa gli uomini pensino, ma quale sia la verità
oggettiva ".(93) Non le varie opinioni umane, ma solamente la verità può
essere di aiuto alla teologia. 70. Il tema,
poi, del rapporto con le culture merita una riflessione specifica, anche se
necessariamente non esaustiva, per le implicanze
che ne derivano sia sul versante filosofico che su quello teologico. Il
processo di incontro e confronto con le culture è
un'esperienza che la Chiesa ha vissuto fin dagli inizi della predicazione del
Vangelo. Il comando di Cristo ai discepoli di andare in ogni luogo, "
fino agli estremi confini della terra " (At 1, 8), per trasmettere la verità da Lui rivelata, ha posto la
comunità cristiana nella condizione di verificare ben presto l'universalità
dell'annuncio e gli ostacoli derivanti dalla diversità delle culture. Un
brano della lettera di san Paolo ai cristiani di Efeso
offre un valido aiuto per comprendere come la comunità primitiva abbia
affrontato questo problema. Scrive l'Apostolo: " Ora invece, in Cristo
Gesù, voi che un tempo eravate i lontani siete diventati i vicini grazie al
sangue di Cristo. Egli infatti è la nostra pace,
colui che ha fatto dei due un popolo solo, abbattendo il muro di separazione
che era frammezzo " (2, 13-14). Alla luce di
questo testo la nostra riflessione s'allarga alla trasformazione che si è
venuta a creare nei Gentili una volta arrivati alla fede. Davanti alla
ricchezza della salvezza operata da Cristo, cadono le barriere che separano
le diverse culture. La promessa di Dio in Cristo diventa, adesso, un'offerta
universale: non più limitata alla particolarità di un popolo, della sua
lingua e dei suoi costumi, ma estesa a tutti come patrimonio a cui ciascuno
può attingere liberamente. Da diversi luoghi e tradizioni tutti sono chiamati
in Cristo a partecipare all'unità della famiglia dei figli di
Dio. E Cristo che permette ai due popoli di diventare
" uno ". Coloro che erano " i lontani " diventano
" i vicini " grazie alla novità operata dal mistero pasquale. Gesù
abbatte i muri di divisione e realizza l'unificazione in modo originale e
supremo mediante la partecipazione al suo mistero. Questa unità è talmente
profonda che la Chiesa può dire con san Paolo: " Non siete più stranieri
né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio " (Ef 2, 19). In una così
semplice annotazione è descritta una grande verità:
l'incontro della fede con le diverse culture ha dato vita di fatto a una
realtà nuova. Le culture, quando sono profondamente radicate nell'umano,
portano in sé la testimonianza dell'apertura tipica dell'uomo all'universale
e alla trascendenza. Esse presentano, pertanto, approcci diversi alla verità,
che si rivelano di indubbia utilità per l'uomo, a
cui prospettano valori capaci di rendere sempre più umana la sua
esistenza.(94) In quanto poi le culture si richiamano ai valori delle
tradizioni antiche, portano con sé — anche se in maniera implicita, ma non
per questo meno reale — il riferimento al manifestarsi di Dio nella natura,
come si è visto precedentemente parlando dei testi sapienziali
e dell'insegnamento di san Paolo. 71. Essendo
in stretto rapporto con gli uomini e con la loro storia, le culture
condividono le stesse dinamiche secondo cui il tempo
umano si esprime. Si registrano di conseguenza trasformazioni e progressi
dovuti agli incontri che gli uomini sviluppano e alle comunicazioni che
reciprocamente si fanno dei loro modelli di vita. Le culture traggono
alimento dalla comunicazione di valori, e la loro vitalità e sussistenza è data dalla capacità di rimanere aperte all'accoglienza
del nuovo. Qual è la spiegazione di queste dinamiche?
Ogni uomo è inserito in una cultura, da essa
dipende, su di essa influisce. Egli è insieme figlio e padre della cultura in
cui è immerso. In ogni espressione della sua vita, egli porta con sé qualcosa
che lo contraddistingue in mezzo al creato: la sua apertura costante al
mistero ed il suo inesauribile desiderio di conoscenza. Ogni cultura, di
conseguenza, porta impressa in sé e lascia trasparire la tensione verso un
compimento. Si può dire, quindi, che la cultura ha in sé la possibilità di
accogliere la rivelazione divina. Il modo in
cui i cristiani vivono la fede è anch'esso permeato dalla cultura
dell'ambiente circostante e contribuisce, a sua volta, a modellarne
progressivamente le caratteristiche. Ad ogni cultura i cristiani recano la
verità immutabile di Dio, da Lui rivelata nella storia e nella cultura di un
popolo. Nel corso dei secoli continua così a riprodursi
l'evento di cui furono testimoni i pellegrini presenti a Gerusalemme nel
giorno di Pentecoste. Ascoltando gli Apostoli, si domandavano: "
Costoro che parlano non sono forse tutti Galilei? E com'è che li sentiamo ciascuno parlare la nostra lingua
nativa? Siamo Parti, Medi, Elamiti e abitanti della Mesopotamia,
della Giudea, della Cappadocia, del Ponto e dell'Asia, della Frigia e della Panfilia,
dell'Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirene, stranieri di Roma,
Ebrei e proseliti, Cretesi e Arabi e li udiamo annunziare nelle nostre lingue
le grandi opere di Dio " (At 2,
7-11). L'annuncio del Vangelo nelle diverse culture, mentre esige dai singoli
destinatari l'adesione della fede, non impedisce loro di conservare una
propria identità culturale. Ciò non crea divisione alcuna, perché il popolo
dei battezzati si distingue per una universalità che
sa accogliere ogni cultura, favorendo il progresso di ciò che in essa vi è di
implicito verso la sua piena esplicazione nella verità. Conseguenza
di ciò è che una cultura non può mai diventare criterio di giudizio ed ancor
meno criterio ultimo di verità nei confronti della rivelazione di Dio. Il Vangelo non è contrario a questa od a quella
cultura come se, incontrandosi con essa, volesse
privarla di ciò che le appartiene e la obbligasse ad assumere forme
estrinseche che non le sono conformi. Al contrario, l'annuncio che il
credente porta nel mondo e nelle culture è forma reale di liberazione da ogni
disordine introdotto dal peccato e, nello stesso tempo, è chiamata alla
verità piena. In questo incontro, le culture non
solo non vengono private di nulla, ma sono anzi stimolate ad aprirsi al nuovo
della verità evangelica per trarne incentivo verso ulteriori sviluppi. 72. Il fatto
che la missione evangelizzatrice abbia incontrato sulla sua strada per prima
la filosofia greca, non costituisce indicazione in alcun modo preclusiva per
altri approcci. Oggi, via via che il Vangelo entra
in contatto con aree culturali rimaste finora al di fuori dell'ambito di irradiazione del cristianesimo, nuovi compiti si aprono
all'inculturazione. Problemi analoghi a quelli che la Chiesa dovette affrontare nei primi secoli si pongono alla nostra
generazione. Il mio
pensiero va spontaneamente alle terre d'Oriente, così ricche di tradizioni
religiose e filosofiche molto antiche. Tra esse,
l'India occupa un posto particolare. Un grande slancio spirituale porta il
pensiero indiano alla ricerca di un'esperienza che, liberando lo spirito dai
condizionamenti del tempo e dello spazio, abbia
valore di assoluto. Nel dinamismo di questa ricerca di liberazione si situano
grandi sistemi metafisici. Spetta ai
cristiani di oggi, innanzitutto a quelli dell'India,
il compito di estrarre da questo ricco patrimonio gli elementi compatibili
con la loro fede così che ne derivi un arricchimento del pensiero cristiano.
Per questa opera di discernimento, che trova la sua
ispirazione nella Dichiarazione conciliare Nostra aetate, essi terranno conto di
un certo numero di criteri. Il primo è quello dell'universalità dello spirito
umano, le cui esigenze fondamentali si ritrovano identiche nelle culture più
diverse. Il secondo, derivante dal primo, consiste in questo: quando la
Chiesa entra in contatto con grandi culture precedentemente
non ancora raggiunte, non può lasciarsi alle spalle ciò che ha acquisito
dall'inculturazione nel pensiero greco-latino.
Rifiutare una simile eredità sarebbe andare contro il disegno provvidenziale
di Dio, che conduce la sua Chiesa lungo le strade del tempo e della storia.
Questo criterio, del resto, vale per la Chiesa di ogni
epoca, anche per quella di domani, che si sentirà arricchita dalle
acquisizioni realizzate nell'odierno approccio con le culture orientali e
troverà in questa eredità nuove indicazioni per entrare fruttuosamente in
dialogo con quelle culture che l'umanità saprà far fiorire nel suo cammino
incontro al futuro. In terzo luogo, ci si guarderà dal confondere la
legittima rivendicazione della specificità e dell'originalità del pensiero
indiano con l'idea che una tradizione culturale debba
rinchiudersi nella sua differenza ed affermarsi nella sua opposizione alle
altre tradizioni, ciò che sarebbe contrario alla natura stessa dello spirito
umano. Quanto è qui
detto per l'India vale anche per l'eredità delle
grandi culture della Cina, del Giappone e degli altri Paesi dell'Asia, come
pure delle ricchezze delle culture tradizionali dell'Africa, trasmesse
soprattutto per via orale. 73. Alla luce di queste considerazioni, il rapporto che deve
opportunamente instaurarsi tra la teologia e la filosofia sarà all'insegna
della circolarità. Per la teologia, punto di partenza e fonte
originaria dovrà essere sempre la parola di Dio rivelata nella storia, mentre
obiettivo finale non potrà che essere l'intelligenza di essa
via via approfondita nel susseguirsi delle
generazioni. Poiché, d'altra parte, la parola di Dio
è Verità (cfr Gv 17, 17), alla sua
migliore comprensione non può non giovare la ricerca umana della verità,
ossia il filosofare, sviluppato nel rispetto delle leggi che gli sono
proprie. Non si tratta semplicemente di utilizzare, nel discorso teologico,
l'uno o l'altro concetto o frammento di un impianto filosofico; decisivo è
che la ragione del credente eserciti le sue capacità di riflessione nella
ricerca del vero all'interno di un movimento che, partendo dalla parola di
Dio, si sforza di raggiungere una migliore comprensione di essa.
E chiaro, peraltro, che, muovendosi entro questi due poli — parola di Dio e
migliore sua conoscenza —, la ragione è come avvertita, e in
qualche modo guidata, ad evitare sentieri che la porterebbero fuori
della Verità rivelata e, in definitiva, fuori della verità pura e semplice;
essa viene anzi stimolata ad esplorare vie che da sola non avrebbe nemmeno
sospettato di poter percorrere. Da questo rapporto di circolarità con la
parola di Dio la filosofia esce arricchita, perché
la ragione scopre nuovi e insospettati orizzonti. 74. La
conferma della fecondità di un simile rapporto è offerta dalla vicenda
personale di grandi teologi cristiani che si segnalarono anche come grandi
filosofi, lasciando scritti di così alto valore speculativo, da giustificarne
l'affiancamento ai maestri della filosofia antica.
Ciò vale sia per i Padri della Chiesa, tra i quali bisogna citare almeno i
nomi di san Gregorio Nazianzeno e sant'Agostino,
sia per i Dottori medievali, tra i quali emerge la grande
triade di sant'Anselmo, san Bonaventura e san Tommaso d'Aquino. Il fecondo
rapporto tra filosofia e parola di Dio si manifesta anche nella ricerca
coraggiosa condotta da pensatori più recenti, tra i quali mi piace menzionare,
per l'ambito occidentale, personalità come John Henry
Newman, Antonio Rosmini, Jacques Maritain, Étienne Gilson, Edith Stein e, per quello orientale,
studiosi della statura di Vladimir S. Solov'ev, Pavel A. Florenskij, Petr J. Caadaev, Vladimir N. Lossky. Ovviamente, nel fare riferimento a questi autori,
accanto ai quali altri nomi potrebbero essere citati, non intendo avallare
ogni aspetto del loro pensiero, ma solo proporre esempi significativi
di un cammino di ricerca filosofica che ha tratto considerevoli vantaggi dal
confronto con i dati della fede. Una cosa è certa: l'attenzione
all'itinerario spirituale di questi maestri non potrà che giovare al
progresso nella ricerca della verità e nell'utilizzo a servizio dell'uomo dei
risultati conseguiti. C'è da sperare che questa grande
tradizione filosofico-teologica trovi oggi e nel
futuro i suoi continuatori e i suoi cultori per il bene della Chiesa e
dell'umanità. Differenti stati della filosofia 75. Come risulta dalla storia dei rapporti tra fede e filosofia,
sopra brevemente accennata, si possono distinguere diversi stati della
filosofia rispetto alla fede cristiana. Un primo è quello della filosofia totalmente indipendente dalla
Rivelazione evangelica: è lo stato della filosofia quale si è storicamente
concretizzata nelle epoche che hanno preceduto la
nascita del Redentore e, dopo di essa, nelle regioni non ancora raggiunte dal
Vangelo. In questa situazione, la filosofia manifesta la
legittima aspirazione ad essere un'impresa autonoma, che procede cioè secondo le leggi sue proprie,
avvalendosi delle sole forze della ragione. Pur nella consapevolezza dei
gravi limiti dovuti alla congenita debolezza dell'umana ragione, questa aspirazione va sostenuta e rafforzata. L'impegno
filosofico, infatti, quale ricerca della verità nell'ambito naturale, rimane
almeno implicitamente aperto al soprannaturale. Di più:
anche quando è lo stesso discorso teologico ad avvalersi di concetti e
argomenti filosofici, l'esigenza di corretta autonomia del pensiero va
rispettata. L'argomentazione sviluppata secondo rigorosi criteri razionali,
infatti, è garanzia del raggiungimento di risultati universalmente validi. Si verifica anche qui il principio secondo cui la grazia
non distrugge, ma perfeziona la natura: l'assenso di fede, che impegna
l'intelletto e la volontà, non distrugge ma perfeziona il libero arbitrio di
ogni credente che accoglie in sé il dato rivelato. Da questa
corretta istanza si allontana in modo netto la
teoria della cosiddetta filosofia " separata ", perseguita da
parecchi filosofi moderni. Più che l'affermazione della giusta autonomia del
filosofare, essa costituisce la rivendicazione di una autosufficienza
del pensiero che si rivela chiaramente illegittima: rifiutare gli apporti di
verità derivanti dalla rivelazione divina significa infatti precludersi
l'accesso a una più profonda conoscenza della verità, a danno della stessa
filosofia. 76. Un
secondo stato della filosofia è quello che molti designano con l'espressione filosofia cristiana. La denominazione
è di per sé legittima, ma non deve essere equivocata: non si
intende con essa alludere ad una filosofia ufficiale della Chiesa,
giacché la fede non è come tale una filosofia. Con questo appellativo
si vuole piuttosto indicare un filosofare cristiano, una speculazione
filosofica concepita in unione vitale con la fede. Non ci si riferisce quindi
semplicemente ad una filosofia elaborata da filosofi cristiani, i quali nella
loro ricerca non hanno voluto contraddire la fede. Parlando di filosofia
cristiana si intendono abbracciare tutti quegli
importanti sviluppi del pensiero filosofico che non si sarebbero realizzati
senza l'apporto, diretto o indiretto, della fede cristiana. Due sono,
pertanto, gli aspetti della filosofia cristiana: uno soggettivo, che consiste
nella purificazione della ragione da parte della fede. Come
virtù teologale, essa libera la ragione dalla presunzione, tipica tentazione
a cui i filosofi sono facilmente soggetti. Già san Paolo e i Padri
della Chiesa e, più vicino a noi, filosofi come Pascal
e Kierkegaard l'hanno stigmatizzata.
Con l'umiltà, il filosofo acquista anche il coraggio di affrontare alcune
questioni che difficilmente potrebbe risolvere senza prendere in
considerazione i dati ricevuti dalla Rivelazione. Si pensi, ad esempio, ai
problemi del male e della sofferenza, all'identità personale di Dio e alla
domanda sul senso della vita o, più direttamente, alla domanda metafisica
radicale: " Perché vi è qualcosa? ". Vi è poi
l'aspetto oggettivo, riguardante i contenuti: la Rivelazione propone
chiaramente alcune verità che, pur non essendo naturalmente inaccessibili
alla ragione, forse non sarebbero mai state da essa
scoperte, se fosse stata abbandonata a sé stessa. In questo
orizzonte si situano questioni come il concetto di un Dio personale,
libero e creatore, che tanto rilievo ha avuto per lo sviluppo del pensiero
filosofico e, in particolare, per la filosofia dell'essere. A quest'ambito
appartiene pure la realtà del peccato, così com'essa appare alla luce della
fede, la quale aiuta a impostare filosoficamente in
modo adeguato il problema del male. Anche la concezione della persona come essere spirituale è una peculiare originalità della
fede: l'annuncio cristiano della dignità, dell'uguaglianza e della libertà
degli uomini ha certamente influito sulla riflessione filosofica che i
moderni hanno condotto. Più vicino a noi, si può menzionare la scoperta
dell'importanza che ha anche per la filosofia l'evento storico, centro della
Rivelazione cristiana. Non a caso, esso è diventato perno di una filosofia
della storia, che si presenta come un nuovo capitolo della ricerca
umana della verità. Tra gli
elementi oggettivi della filosofia cristiana rientra anche la necessità di
esplorare la razionalità di alcune verità espresse
dalla Sacra Scrittura, come la possibilità di una vocazione soprannaturale
dell'uomo ed anche lo stesso peccato originale. Sono compiti che provocano la
ragione a riconoscere che vi è del vero e del razionale ben oltre gli stretti
confini entro i quali essa sarebbe portata a rinchiudersi. Queste tematiche allargano di fatto l'ambito del razionale. Speculando
su questi contenuti, i filosofi non sono diventati teologi, in quanto non hanno cercato di comprendere e di illustrare
le verità della fede a partire dalla Rivelazione. Hanno continuato a lavorare
sul loro proprio terreno e con la propria metodologia puramente razionale, ma
allargando la loro indagine a nuovi ambiti del vero. Si può dire che, senza questo influsso stimolante della parola di Dio, buona
parte della filosofia moderna e contemporanea non esisterebbe. Il dato
conserva tutta la sua rilevanza, pur di fronte alla deludente costatazione dell'abbandono dell'ortodossia
cristiana da parte di non pochi pensatori di questi ultimi secoli. 77. Un altro
stato significativo della filosofia si ha quando è la stessa teologia a chiamare in causa la
filosofia. In realtà, la teologia ha sempre avuto e continua ad avere
bisogno dell'apporto filosofico. Essendo opera della ragione critica alla
luce della fede, il lavoro teologico presuppone ed esige in tutto il suo
indagare una ragione concettualmente e argomentativamente
educata e formata. La teologia, inoltre, ha bisogno della filosofia come
interlocutrice per verificare l'intelligibilità e la verità universale dei
suoi asserti. Non a caso furono filosofie non cristiane ad essere assunte dai
Padri della Chiesa e dai teologi medievali a tale funzione esplicativa.
Questo fatto storico indica il valore dell'autonomia che la filosofia conserva anche in questo suo terzo
stato, ma insieme mostra le trasformazioni necessarie e profonde che essa
deve subire. E proprio nel senso di un apporto indispensabile e nobile che la
filosofia fu chiamata fin dall'età patristica ancilla theologiae. Il titolo non fu applicato per indicare una servile sottomissione o
un ruolo puramente funzionale della filosofia nei confronti della teologia.
Fu utilizzato piuttosto nel senso in cui Aristotele parlava delle scienze esperienziali quali " ancelle " della "
filosofia prima ". L'espressione, oggi difficilmente utilizzabile in
forza dei principi di autonomia a cui si è fatto
cenno, è servita nel corso della storia per indicare la necessità del
rapporto tra le due scienze e l'impossibilità di una loro separazione. Se il teologo si rifiutasse di avvalersi
della filosofia, rischierebbe di far filosofia a sua insaputa e di
rinchiudersi in strutture di pensiero poco adatte all'intelligenza della
fede. Il filosofo, da parte sua, se escludesse ogni contatto con la teologia,
si sentirebbe in dovere di impadronirsi per conto proprio dei contenuti della
fede cristiana, come è avvenuto con alcuni filosofi
moderni. In un caso come nell'altro, si profilerebbe il pericolo della
distruzione dei principi basilari di autonomia che
ogni scienza giustamente vuole garantiti. Lo stato
della filosofia qui considerato, per le implicanze
che comporta nell'intelligenza della Rivelazione, si colloca insieme alla
teologia più direttamente sotto l'autorità del Magistero e del suo discernimento,
come ho precedentemente esposto. Dalle verità di
fede, infatti, derivano determinate esigenze che la filosofia deve rispettare
nel momento in cui entra in rapporto con la teologia. 78. Alla
luce di queste riflessioni, ben si comprende perché il Magistero abbia
ripetutamente lodato i meriti del pensiero di san Tommaso e lo abbia posto
come guida e modello degli studi teologici. Ciò che interessava non era
prendere posizione su questioni propriamente filosofiche, né imporre
l'adesione a tesi particolari. L'intento del Magistero era, e continua ad
essere, quello di mostrare come san Tommaso sia un
autentico modello per quanti ricercano la verità. Nella sua riflessione,
infatti, l'esigenza della ragione e la forza della fede hanno trovato la
sintesi più alta che il pensiero abbia mai
raggiunto, in quanto egli ha saputo difendere la radicale novità portata
dalla Rivelazione senza mai umiliare il cammino proprio della ragione. 79. Esplicitando ulteriormente i contenuti del Magistero
precedente, intendo in questa ultima parte indicare alcune esigenze che la
teologia — anzi, prima ancora la parola di Dio — pone oggi al pensiero
filosofico e alle filosofie odierne. Come già ho
rilevato, il filosofo deve procedere secondo le proprie regole e fondarsi sui
propri principi; la verità, tuttavia, non può essere che una sola. La
Rivelazione, con i suoi contenuti, non potrà mai umiliare la ragione nelle
sue scoperte e nella sua legittima autonomia; per parte sua, però, la ragione
non dovrà mai perdere la sua capacità d'interrogarsi e di interrogare, nella
consapevolezza di non potersi ergere a valore assoluto ed esclusivo. La
verità rivelata, offrendo pienezza di luce sull'essere a partire dallo
splendore che proviene dallo stesso Essere sussistente, illuminerà il cammino
della riflessione filosofica. La Rivelazione cristiana, insomma, diventa il
vero punto di aggancio e di confronto tra il pensare
filosofico e quello teologico nel loro reciproco rapportarsi. E auspicabile,
quindi, che teologi e filosofi si lascino guidare dall'unica autorità della
verità così che venga elaborata una filosofia in
consonanza con la parola di Dio. Questa filosofia sarà il terreno d'incontro
tra le culture e la fede cristiana, il luogo d'intesa tra credenti e non
credenti. Sarà di aiuto perché i credenti si
convincano più da vicino che la profondità e genuinità della fede è favorita
quando è unita al pensiero e ad esso non rinuncia. Ancora una volta, è la
lezione dei Padri che ci guida in questa convinzione: " Lo stesso
credere null'altro è che pensare assentendo [...]. Chiunque crede pensa, e
credendo pensa e pensando crede [...]. La fede se non è pensata è nulla
".(95) Ed ancora: " Se si toglie l'assenso, si toglie la fede,
perché senza assenso non si crede affatto ".(96) CAPITOLO VII ESIGENZE E COMPITI
ATTUALI Le esigenze irrinunciabili della parola di Dio80. La Sacra
Scrittura contiene, in maniera sia esplicita che implicita, una serie di elementi che consentono di raggiungere una visione
dell'uomo e del mondo di notevole spessore filosofico. I cristiani hanno
preso progressivamente coscienza della ricchezza racchiusa in quelle pagine
sacre. Da esse risulta che la realtà di cui facciamo esperienza non è l'assoluto: non è
increata, né si è autogenerata. Dio soltanto è l'Assoluto. Dalle pagine
della Bibbia emerge inoltre una visione dell'uomo come imago Dei, che contiene precise
indicazioni circa il suo essere, la sua libertà e l'immortalità del suo
spirito. Non essendo il mondo creato autosufficiente, ogni illusione di autonomia, che ignori la essenziale dipendenza da Dio
di ogni creatura — uomo compreso — porta a drammi che distruggono la ricerca
razionale dell'armonia e del senso dell'esistenza umana. Anche il problema del male morale — la forma di male
più tragica — è affrontato nella Bibbia, la quale ci dice che esso non
è riconducibile ad una qualche deficienza dovuta alla materia, ma è una
ferita che proviene dall'esprimersi disordinato della libertà umana. La
parola di Dio, infine, prospetta il problema del senso dell'esistenza e rivela
la sua risposta indirizzando l'uomo a Gesù Cristo, il Verbo di Dio incarnato,
che realizza in pienezza l'esistenza umana. Altri aspetti si potrebbero esplicitare dalla lettura del testo sacro; ciò che emerge,
comunque, è il rifiuto di ogni forma di relativismo, di materialismo, di
panteismo. La
convinzione fondamentale di questa " filosofia " racchiusa nella
Bibbia è che la vita umana e il mondo hanno un senso e sono diretti verso il
loro compimento, che si attua in Gesù Cristo. Il mistero dell'Incarnazione
resterà sempre il centro a cui riferirsi per poter comprendere l'enigma
dell'esistenza umana, del mondo creato e di Dio stesso. In questo mistero le
sfide per la filosofia si fanno estreme, perché la ragione è chiamata a far
sua una logica che abbatte le barriere in cui essa stessa rischia di
rinchiudersi. Solo qui, però, il senso dell'esistenza raggiunge il suo
culmine. Si rende intelligibile, infatti, l'intima essenza di Dio e
dell'uomo: nel mistero del Verbo incarnato, natura divina e natura umana, con
la rispettiva autonomia, vengono salvaguardate e
insieme si manifesta il vincolo unico che le pone in reciproco rapporto senza
confusione.(97) 81. E’ da osservare che uno dei dati più rilevanti della nostra
condizione attuale consiste nella " crisi del senso ". I punti di
vista, spesso di carattere scientifico, sulla vita e sul mondo si sono
talmente moltiplicati che, di fatto, assistiamo all'affermarsi del fenomeno
della frammentarietà del sapere. Proprio questo
rende difficile e spesso vana la ricerca di un senso. Anzi
— cosa anche più drammatica — in questo groviglio di dati e di fatti tra cui
si vive e che sembrano costituire la trama stessa dell'esistenza, non pochi
si chiedono se abbia ancora senso porsi una domanda sul senso. La
pluralità delle teorie che si contendono la risposta, o i diversi modi di
vedere e di interpretare il mondo e la vita dell'uomo, non fanno
che acuire questo dubbio radicale, che facilmente sfocia in uno stato di
scetticismo e di indifferenza o nelle diverse espressioni del nichilismo. La conseguenza di ciò è che spesso lo spirito umano è occupato da una
forma di pensiero ambiguo, che lo porta a rinchiudersi ancora di più in se
stesso, entro i limiti della propria
immanenza, senza alcun
riferimento al trascendente. Una
filosofia priva della domanda sul senso dell'esistenza incorrerebbe nel grave
pericolo di degradare la ragione a funzioni soltanto strumentali, senza alcuna autentica passione per la ricerca della verità. Per essere
in consonanza con la parola di Dio è necessario, anzitutto, che la filosofia
ritrovi la sua dimensione sapienziale di
ricerca del senso ultimo e globale della vita.
Questa prima esigenza, a ben guardare, costituisce per la filosofia uno
stimolo utilissimo ad adeguarsi alla sua stessa
natura. Ciò facendo, infatti, essa non sarà soltanto l'istanza
critica decisiva, che indica alle varie parti del sapere scientifico la loro
fondatezza e il loro limite, ma si porrà anche come istanza ultima di
unificazione del sapere e dell'agire umano, inducendoli a convergere verso
uno scopo ed un senso definitivi. Questa dimensione sapienziale è oggi tanto
più indispensabile in quanto l'immensa crescita del
potere tecnico dell'umanità richiede una rinnovata e acuta coscienza dei
valori ultimi. Se questi mezzi tecnici dovessero mancare dell'ordinamento ad
un fine non meramente utilitaristico, potrebbero presto rivelarsi disumani,
ed anzi trasformarsi in potenziali distruttori del genere umano.(98) La parola di
Dio rivela il fine ultimo dell'uomo e dà un senso globale
al suo agire nel mondo. E per questo che essa invita la filosofia ad
impegnarsi nella ricerca del fondamento naturale di questo senso, che è la
religiosità costitutiva di ogni persona.
Una
filosofia che volesse negare la possibilità di un senso ultimo e
globale sarebbe non soltanto inadeguata, ma erronea.
82. Questo
ruolo sapienziale non potrebbe, peraltro, essere svolto da una filosofia che
non fosse essa stessa un sapere autentico e vero, cioè rivolto non soltanto ad aspetti particolari e relativi — siano essi funzionali,
formali o utili — del reale, ma alla sua verità totale e definitiva, ossia
all'essere stesso dell'oggetto di conoscenza. Ecco, dunque, una seconda
esigenza: appurare la capacità dell'uomo di giungere alla conoscenza della verità; una
conoscenza, peraltro, che attinga la verità
oggettiva, mediante quella adaequatio rei et
intellectus a cui si riferiscono i Dottori della Scolastica.(99) Questa
esigenza, propria della fede, è stata esplicitamente riaffermata dal Concilio
Vaticano II: " L'intelligenza, infatti, non si restringe all'ambito dei
fenomeni soltanto, ma può conquistare la realtà intelligibile con vera
certezza, anche se, per conseguenza del peccato, si trova in parte oscurata e
debilitata ". (100) Una filosofia radicalmente fenomenista o relativista risulterebbe
inadeguata a recare questo aiuto nell'approfondimento della ricchezza
contenuta nella parola di Dio. La Sacra Scrittura, infatti, presuppone sempre
che l'uomo, anche se colpevole di doppiezza e di menzogna, sia capace di
conoscere e di afferrare la verità limpida e semplice. Nei Libri Sacri, e in
particolare nel Nuovo Testamento, si trovano testi e affermazioni di portata
propriamente ontologica. Gli autori ispirati, infatti, hanno inteso formulare
affermazioni vere, tali cioè da esprimere la realtà
oggettiva. Non si può dire che la tradizione cattolica abbia commesso un
errore quando ha compreso alcuni testi di san Giovanni e di san Paolo come
affermazioni sull'essere stesso di Cristo. La teologia, quando si applica a
comprendere e spiegare queste affermazioni, ha bisogno pertanto dell'apporto
di una filosofia che non rinneghi la possibilità di una conoscenza
oggettivamente vera, per quanto sempre perfezionabile. Quanto
detto vale anche per i giudizi della coscienza morale, che la Sacra Scrittura
suppone poter essere oggettivamente veri. (101) 83. Le due
suddette esigenze ne comportano una terza: è necessaria una filosofia di
portata autenticamente metafisica, capace cioè di trascendere i
dati empirici per giungere, nella sua ricerca
della verità, a qualcosa di assoluto, di ultimo, di fondante. E un'esigenza, questa, implicita sia nella conoscenza a carattere
sapienziale che in quella a carattere analitico; in particolare, è
un'esigenza propria della conoscenza del bene morale, il cui fondamento
ultimo è il Bene sommo, Dio stesso. Non intendo qui parlare della
metafisica come di una scuola specifica o di una particolare corrente
storica. Desidero solo affermare che la
realtà e la verità trascendono il fattuale e l'empirico, e voglio rivendicare la capacità che l'uomo possiede di
conoscere questa dimensione trascendente e metafisica in modo vero e certo,
benché imperfetto ed analogico. In questo
senso, la metafisica non va vista in alternativa
all'antropologia, giacché è proprio la metafisica che consente di dare
fondamento al concetto di dignità della persona in forza della sua condizione
spirituale. La persona, in particolare, costituisce un ambito privilegiato
per l'incontro con l'essere e, dunque, con la riflessione metafisica. Ovunque l'uomo
scopre la presenza di un richiamo all'assoluto e
al trascendente, lì gli si apre uno spiraglio verso la dimensione metafisica del
reale: nella verità, nella bellezza, nei valori morali, nella persona altrui,
nell'essere stesso, in Dio. Una grande sfida che ci aspetta al termine di
questo millennio è quella di saper compiere il
passaggio, tanto necessario quanto urgente, dal fenomeno al fondamento.
Non è possibile fermarsi alla sola esperienza;
anche quando questa esprime e rende manifesta l'interiorità dell'uomo e la
sua spiritualità, è necessario che la riflessione speculativa raggiunga la
sostanza spirituale e il fondamento che la sorregge. Un pensiero filosofico
che rifiutasse ogni apertura metafisica, pertanto, sarebbe radicalmente
inadeguato a svolgere una funzione mediatrice nella comprensione della
Rivelazione. La parola di Dio fa continui riferimenti a ciò che
oltrepassa l'esperienza e persino il pensiero dell'uomo; ma questo "
mistero " non potrebbe essere rivelato, né la teologia potrebbe renderlo
in qualche modo intelligibile, (102) se la conoscenza umana fosse rigorosamente limitata al
mondo dell'esperienza sensibile. La
metafisica, pertanto, si pone come mediazione privilegiata nella ricerca
teologica. Una teologia priva dell'orizzonte metafisico non riuscirebbe ad
approdare oltre l'analisi dell'esperienza religiosa e non permetterebbe all'intellectus fidei di esprimere con
coerenza il valore universale e trascendente della verità rivelata. Se tanto
insisto sulla componente metafisica, è perché sono
convinto che questa è la strada obbligata per superare la situazione di crisi
che pervade oggi grandi settori della filosofia e per correggere così alcuni
comportamenti erronei diffusi nella nostra società. 84.
L'importanza dell'istanza metafisica diventa ancora
più evidente se si considera lo sviluppo che oggi hanno le scienze
ermeneutiche e le diverse analisi del linguaggio. I risultati a cui questi
studi giungono possono essere molto utili per l'intelligenza della fede, in quanto rendono manifesti la struttura del nostro
pensare e parlare e il senso racchiuso nel linguaggio. Vi sono cultori di
tali scienze, però, che nelle loro indagini tendono ad arrestarsi al come si
comprende e come si dice la realtà, prescindendo dal verificare le
possibilità della ragione di scoprirne l'essenza. Come non vedere in tale
atteggiamento una conferma della crisi di fiducia, che il nostro tempo sta
attraversando, circa le capacità della ragione? Quando
poi, in forza di assunti aprioristici, queste tesi
tendono ad offuscare i contenuti della fede o a negarne la validità
universale, allora non solo umiliano la ragione, ma si pongono da se stesse
fuori gioco. La fede, infatti, presuppone con chiarezza che il linguaggio
umano sia capace di esprimere in modo universale —
anche se in termini analogici, ma non per questo meno significativi — la realtà divina e trascendente. (103) Se non fosse così, la parola di
Dio, che è sempre parola divina in linguaggio umano, non sarebbe capace di
esprimere nulla su Dio. L'interpretazione di questa Parola non può rimandarci
soltanto da interpretazione a interpretazione, senza
mai portarci ad attingere un'affermazione semplicemente vera; altrimenti non vi sarebbe rivelazione
di Dio, ma soltanto l'espressione di concezioni umane su di Lui e su ciò che
presumibilmente Egli pensa di noi. 85. So bene
che queste esigenze, poste alla filosofia dalla parola di Dio, possono
sembrare ardue a molti che vivono l'odierna situazione della ricerca
filosofica. Proprio per questo, facendo mio ciò che i Sommi Pontefici da
qualche generazione non cessano di insegnare e che lo stesso Concilio
Vaticano II ha ribadito, voglio esprimere con forza
la convinzione che l'uomo è capace di giungere a una visione unitaria e
organica del sapere. Questo è uno dei compiti di cui il pensiero cristiano
dovrà farsi carico nel corso del prossimo millennio dell'era cristiana. La
settorialità del sapere, in quanto comporta un
approccio parziale alla verità con la conseguente frammentazione del senso,
impedisce l'unità interiore dell'uomo contemporaneo. Come potrebbe la Chiesa
non preoccuparsene? Questo compito sapienziale deriva ai suoi Pastori
direttamente dal Vangelo ed essi non possono sottrarsi al dovere di perseguirlo. Ritengo che
quanti oggi intendono rispondere come filosofi alle esigenze che la parola di
Dio pone al pensiero umano dovrebbero elaborare il loro discorso sulla base di questi postulati e in coerente continuità
con quella grande tradizione che, iniziando con gli antichi, passa per i
Padri della Chiesa e i maestri della scolastica, per giungere fino a
comprendere le acquisizioni fondamentali del pensiero moderno e
contemporaneo. Se saprà attingere a questa tradizione ed ispirarsi ad essa, il filosofo non mancherà di mostrarsi fedele
all'esigenza di autonomia del pensare filosofico. In questo
senso, è quanto mai significativo che, nel contesto
attuale, alcuni filosofi si facciano promotori della riscoperta del ruolo
determinante della tradizione per una corretta forma di conoscenza. Il
richiamo alla tradizione, infatti, non è un mero ricordo del passato; esso
costituisce piuttosto il riconoscimento di un patrimonio culturale che
appartiene a tutta l'umanità. Si potrebbe, anzi, dire che siamo noi ad
appartenere alla tradizione e non possiamo disporre di
essa come vogliamo. Proprio questo affondare le radici nella tradizione è ciò
che permette a noi, oggi, di poter esprimere un pensiero originale, nuovo e
progettuale per il futuro. Questo stesso richiamo vale anche maggiormente per
la teologia. Non solo perché essa possiede la Tradizione viva della Chiesa
come fonte originaria, (104) ma anche perché, in forza di questo, deve essere capace di recuperare sia la profonda
tradizione teologica che ha segnato le epoche precedenti, sia la tradizione
perenne di quella filosofia che ha saputo superare per la sua reale saggezza
i confini dello spazio e del tempo. 86. L'insistenza sulla necessità di uno stretto rapporto di
continuità della riflessione filosofica contemporanea con quella
elaborata nella tradizione cristiana intende prevenire il pericolo che
si nasconde in alcune linee di pensiero, oggi particolarmente diffuse. Anche se brevemente, ritengo opportuno soffermarmi su di esse per rilevarne gli errori ed i conseguenti rischi per
l'attività filosofica. La prima è
quella che va sotto il nome di eclettismo, termine col quale si designa
l'atteggiamento di chi, nella ricerca, nell'insegnamento e
nell'argomentazione, anche teologica, è solito assumere singole idee derivate
da differenti filosofie, senza badare né alla loro coerenza e connessione
sistematica né al loro inserimento storico. In questo modo, egli si pone in
condizione di non poter discernere la parte di verità di un pensiero da
quello che vi può essere di erroneo o di inadeguato.
Una forma estrema di eclettismo è ravvisabile anche
nell'abuso retorico dei termini filosofici a cui a volte qualche teologo
s'abbandona. Una simile strumentalizzazione non
serve alla ricerca della verità e non educa la ragione — sia teologica che
filosofica — ad argomentare in maniera seria e scientifica. Lo studio
rigoroso e approfondito delle dottrine filosofiche, del linguaggio loro
peculiare e del contesto in cui sono sorte aiuta a
superare i rischi dell'eclettismo e permette una loro adeguata integrazione
nell'argomentazione teologica. 87.
L'eclettismo è un errore di metodo, ma potrebbe
anche nascondere in sé le tesi proprie dello storicismo. Per comprendere in maniera corretta una dottrina del passato, è
necessario che questa sia inserita nel suo contesto
storico e culturale. La tesi fondamentale dello storicismo, invece, consiste
nello stabilire la verità di una filosofia sulla base della sua adeguatezza
ad un determinato periodo e ad un determinato compito storico. In questo
modo, almeno implicitamente, si nega la validità perenne del vero. Ciò che
era vero in un'epoca, sostiene lo storicista, può non esserlo più in
un'altra. La storia del pensiero, insomma, diventa per lui poco più di un
reperto archeologico a cui attingere per evidenziare posizioni del passato
ormai in gran parte superate e prive di significato per il presente. Si deve
considerare, al contrario, che anche se la formulazione è in
certo modo legata al tempo e alla cultura, la verità o l'errore in
esse espressi si possono in ogni caso, nonostante la distanza
spazio-temporale, riconoscere e come tali valutare. Nella
riflessione teologica, lo storicismo tende a presentarsi per lo più sotto una
forma di " modernismo ". Con la giusta
preoccupazione di rendere il discorso teologico attuale e assimilabile per il
contemporaneo, ci si avvale soltanto degli asserti e del gergo filosofico più
recenti, trascurando le istanze critiche che, alla
luce della tradizione, si dovrebbero eventualmente sollevare. Questa forma di
modernismo, per il fatto di scambiare l'attualità per la verità, si rivela
incapace di soddisfare le esigenze di verità a cui la teologia è chiamata a
dare risposta. 88. Un altro
pericolo da considerare è lo scientismo. Questa concezione filosofica si rifiuta di ammettere come valide
forme di conoscenza diverse da quelle che sono proprie delle scienze positive, relegando nei confini della mera immaginazione
sia la conoscenza religiosa e teologica, sia il sapere etico ed estetico. Nel passato, la stessa idea si esprimeva nel positivismo e nel
neopositivismo, che ritenevano prive di senso le affermazioni di carattere
metafisico. La critica epistemologica ha screditato questa posizione,
ed ecco che essa rinasce sotto le nuove vesti dello scientismo. In questa
prospettiva, i valori sono relegati a semplici prodotti dell'emotività e la
nozione di essere è accantonata per fare spazio alla
pura e semplice fattualità. La scienza, quindi, si prepara a dominare tutti
gli aspetti dell'esistenza umana attraverso il progresso tecnologico. Gli
innegabili successi della ricerca scientifica e della tecnologia
contemporanea hanno contribuito a diffondere la mentalità scientista,
che sembra non avere più confini, visto come è
penetrata nelle diverse culture e quali cambiamenti radicali vi ha apportato. Si deve
costatare, purtroppo, che quanto attiene alla domanda circa il senso della
vita viene dallo scientismo considerato come appartenente al dominio
dell'irrazionale o dell'immaginario. Non meno deludente è l'approccio di questa
corrente di pensiero agli altri grandi problemi della filosofia, che, quando
non vengono ignorati, sono affrontati con analisi
poggianti su analogie superficiali, prive di fondamento razionale. Ciò porta
all'impoverimento della riflessione umana, alla quale vengono
sottratti quei problemi di fondo che l'animal rationale, fin dagli inizi della sua
esistenza sulla terra, costantemente si è posto. Accantonata, in questa
prospettiva, la critica proveniente dalla valutazione etica, la mentalità scientista è riuscita a fare accettare da molti l'idea
secondo cui ciò che è tecnicamente fattibile diventa per ciò stesso anche
moralmente ammissibile. 89. Foriero
di non minori pericoli è il pragmatismo, atteggiamento mentale che è
proprio di chi, nel fare le sue scelte, esclude il ricorso a riflessioni
teoretiche o a valutazioni fondate su principi etici. Notevoli sono le
conseguenze pratiche derivanti da questa linea di pensiero. In particolare,
vi si è venuta affermando una concezione della democrazia che non contempla
il riferimento a fondamenti di ordine assiologico e perciò immutabili: la ammissibilità o meno
di un determinato comportamento si decide sulla base del voto della
maggioranza parlamentare. (105) E chiara la conseguenza di una simile
impostazione: le grandi decisioni morali dell'uomo vengono di
fatto subordinate alle deliberazioni via via
assunte dagli organi istituzionali. Di più: è la stessa antropologia ad
essere fortemente condizionata, mediante la proposta di una visione unidimensionale dell'essere umano, dalla quale esulano i
grandi dilemmi etici, le analisi esistenziali sul senso della sofferenza e
del sacrificio, della vita e della morte. 90. Le tesi
fin qui esaminate conducono, a loro volta, a una più
generale concezione, che sembra oggi costituire l'orizzonte comune a molte
filosofie che hanno preso congedo dal senso dell'essere. Intendo riferirmi
alla lettura nichilista, che è insieme il rifiuto di ogni
fondamento e la negazione di ogni verità oggettiva. Il nichilismo, prima ancora di essere in
contrasto con le esigenze e i contenuti propri della parola di Dio, è
negazione dell'umanità dell'uomo e della sua stessa identità. Non si può
dimenticare, infatti, che l'oblio dell'essere comporta inevitabilmente la
perdita di contatto con la verità oggettiva e, conseguentemente, col
fondamento su cui poggia la dignità dell'uomo. Si fa così spazio alla
possibilità di cancellare dal volto dell'uomo i tratti che ne rivelano la
somiglianza con Dio, per condurlo progressivamente o a
una distruttiva volontà di potenza o alla disperazione della solitudine. Una
volta che si è tolta la verità all'uomo, è pura illusione pretendere di
renderlo libero. Verità e libertà, infatti, o si coniugano insieme o insieme
miseramente periscono. (106) 91. Nel commentare le linee di pensiero appena ricordate non è stata
mia intenzione presentare un quadro completo della situazione attuale della
filosofia: essa, del resto, sarebbe difficilmente riconducibile ad una
visione unitaria. Mi preme sottolineare che
l'eredità del sapere e della sapienza si è, di fatto, arricchita in diversi
campi. Basti citare la logica, la filosofia del linguaggio, l'epistemologia,
la filosofia della natura, l'antropologia, l'analisi approfondita delle vie
affettive della conoscenza, l'approccio esistenziale all'analisi della
libertà. D'altro canto, l'affermazione del principio d'immanenza, che sta al
centro della pretesa razionalista, ha suscitato, a partire dal secolo scorso,
reazioni che hanno portato ad una radicale rimessa in questione di postulati
ritenuti indiscutibili. Sono nate così correnti irrazionaliste, mentre la
critica metteva in evidenza l'inanità dell'esigenza
di autofondazione assoluta della ragione. La nostra
epoca è stata qualificata da certi pensatori come l'epoca della "
post-modernità ". Questo termine, utilizzato non di rado in contesti tra loro molto distanti, designa l'emergere di un
insieme di fattori nuovi, che quanto ad estensione ed efficacia si sono
rivelati capaci di determinare cambiamenti significativi e durevoli. Così il
termine è stato dapprima impiegato a proposito di fenomeni d'ordine estetico,
sociale, tecnologico. Successivamente è stato
trasferito in ambito filosofico, restando però segnato da una certa
ambiguità, sia perché il giudizio su ciò che è qualificato come " post-moderno
" è a volte positivo ed a volte negativo, sia perché non vi è consenso
sul delicato problema della delimitazione delle varie epoche storiche. Una cosa tuttavia è fuori dubbio: le correnti di
pensiero che si richiamano alla post-modernità
meritano un'adeguata attenzione. Secondo alcune di esse,
infatti, il tempo delle certezze sarebbe irrimediabilmente passato, l'uomo
dovrebbe ormai imparare a vivere in un orizzonte di totale assenza di senso,
all'insegna del provvisorio e del fuggevole. Parecchi autori, nella loro critica
demolitrice di ogni certezza, ignorando le
necessarie distinzioni, contestano anche le certezze della fede. Questo nichilismo trova in qualche modo una conferma nella terribile
esperienza del male che ha segnato la nostra epoca. Dinanzi alla drammaticità
di questa esperienza, l'ottimismo razionalista che
vedeva nella storia l'avanzata vittoriosa della ragione, fonte di felicità e
di libertà, non ha resistito, al punto che una delle maggiori minacce, in
questa fine di secolo, è la tentazione della disperazione. Resta tuttavia vero che una certa mentalità positivista continua ad
accreditare l'illusione che, grazie alle conquiste scientifiche e tecniche,
l'uomo, quale demiurgo, possa giungere da solo ad assicurarsi il pieno
dominio del suo destino. Compiti attuali per la teologia92. In quanto intelligenza della Rivelazione, la teologia
nelle diverse epoche storiche si è sempre trovata a dover recepire le istanze
delle varie culture per poi mediare in esse, con una concettualizzazione
coerente, il contenuto della fede. Anche oggi un
duplice compito le spetta. Da una parte, infatti, essa deve sviluppare
l'impegno che il Concilio Vaticano II, a suo tempo, le ha affidato:
rinnovare le proprie metodologie in vista di un servizio più efficace
all'evangelizzazione. Come non pensare, in
questa prospettiva, alle parole pronunciate dal Sommo Pontefice Giovanni
XXIII in apertura del Concilio? Egli disse allora: " E’ necessario che,
aderendo alla viva attesa di quanti amano sinceramente la religione
cristiana, cattolica, apostolica, questa dottrina sia più largamente e più
profondamente conosciuta, e che gli spiriti ne siano più pienamente istruiti
e formati; è necessario che questa dottrina certa ed immutabile, che deve essere fedelmente rispettata, sia approfondita e presentata in modo
che corrisponda alle esigenze del nostro tempo ". (107) Dall'altra
parte, la teologia deve puntare gli occhi sulla verità ultima che le viene consegnata con la Rivelazione, senza accontentarsi
di fermarsi a stadi intermedi. E bene per il teologo
ricordare che il suo lavoro corrisponde " al dinamismo insito nella fede
stessa " e che oggetto proprio della sua ricerca è " la Verità, il
Dio vivo e il suo disegno di salvezza rivelato in Gesù Cristo ".
(108) Questo compito, che tocca in prima istanza la
teologia, provoca nello stesso tempo la filosofia. La mole dei problemi che
oggi si impongono, infatti, richiede un lavoro
comune, anche se condotto con metodologie differenti, perché la verità sia di
nuovo conosciuta ed espressa. La Verità, che è Cristo, si impone
come autorità universale che regge, stimola e fa crescere (cfr Ef 4, 15) sia la teologia che la
filosofia. Credere nella possibilità di conoscere una verità
universalmente valida non è minimamente fonte di intolleranza;
al contrario, è condizione necessaria per un sincero e autentico dialogo tra
le persone. Solamente a questa
condizione è possibile superare le divisioni e percorrere insieme il cammino
verso la verità tutta intera, seguendo quei sentieri che solo lo Spirito del
Signore risorto conosce. (109) Come l'esigenza di unità si configuri concretamente oggi, in vista dei
compiti attuali della teologia, è quanto desidero ora indicare. 93. Lo scopo fondamentale a cui mira la teologia consiste nel
presentare l'intelligenza della
Rivelazione ed il contenuto della fede. Il vero centro della sua riflessione sarà, pertanto, la contemplazione
del mistero stesso del Dio Uno e Trino. A questi si accede
riflettendo sul mistero dell'incarnazione del Figlio di Dio: sul suo farsi
uomo e sul conseguente suo andare incontro alla passione e alla morte,
mistero che sfocerà nella sua gloriosa risurrezione e ascensione alla destra
del Padre, da dove invierà lo Spirito di verità a costituire e ad animare la
sua Chiesa. Impegno primario della teologia, in questo orizzonte,
diventa l'intelligenza della kenosi di Dio,
vero grande mistero per la mente umana, alla quale appare insostenibile che
la sofferenza e la morte possano esprimere l'amore che si dona senza nulla
chiedere in cambio. In questa prospettiva si impone
come esigenza di fondo ed urgente una attenta analisi dei testi: in primo
luogo, dei testi scritturistici, poi di quelli in
cui si esprime la viva Tradizione della Chiesa. A questo riguardo si
propongono oggi alcuni problemi, solo parzialmente nuovi, la cui coerente
soluzione non potrà essere trovata prescindendo dall'apporto della filosofia. 94. Un primo
aspetto problematico riguarda il rapporto tra il significato e la verità. Come
ogni altro testo, così anche le fonti che il teologo interpreta trasmettono innanzitutto un significato, che va rilevato
ed esposto. Ora, questo significato si presenta come la verità su Dio, che da
Dio stesso viene comunicata mediante il testo sacro.
Nel linguaggio umano, quindi, prende corpo il linguaggio di Dio, che comunica
la propria verità con la mirabile " condiscendenza " che rispecchia
la logica dell'Incarnazione. (110) Nell'interpretare le fonti della
Rivelazione, pertanto, è necessario che il teologo si domandi quale sia la
verità profonda e genuina che i testi vogliono comunicare, pur nei limiti del
linguaggio. Quanto ai testi biblici, e in
particolare ai Vangeli, la loro verità non si riduce certo alla narrazione di
semplici avvenimenti storici o alla rilevazione di fatti neutrali, come
vorrebbe il positivismo storicista. (111) Questi testi,
al contrario, espongono eventi la cui verità sta oltre il semplice accadere
storico: sta nel loro significato nella
e per la storia della salvezza.
Questa verità trova piena esplicitazione nella lettura perenne che la Chiesa
compie di tali testi nel corso dei secoli, mantenendone immutato il
significato originario. E’ urgente, pertanto, che anche filosoficamente ci si interroghi sul rapporto che intercorre tra il fatto e
il suo significato; rapporto che costituisce il senso specifico della storia. 95. La parola di
Dio non si indirizza ad un solo popolo o a una sola
epoca. Ugualmente,
gli enunciati dogmatici, pur risentendo a volte della cultura del periodo in
cui vengono definiti, formulano una verità stabile e
definitiva. Sorge quindi la domanda di come si possa conciliare l'assolutezza e l'universalità della
verità con l'inevitabile condizionamento storico e culturale delle formule
che la esprimono. Come ho detto precedentemente, le tesi dello storicismo non
sono difendibili. L'applicazione di
un'ermeneutica aperta all'istanza metafisica,
invece, è in grado di mostrare come, dalle circostanze storiche e contingenti
in cui i testi sono maturati, si compia il passaggio alla verità da essi
espressa, che va oltre questi condizionamenti. Con il suo linguaggio storico e circoscritto l'uomo può esprimere verità che trascendono l'evento
linguistico. La verità, infatti, non può mai essere limitata al tempo e alla
cultura; si conosce nella storia, ma supera la storia stessa. 96. Questa considerazione permette di intravedere la soluzione di un
altro problema: quello della perenne
validità del linguaggio concettuale usato nelle definizioni conciliari. Già il mio venerato Predecessore Pio XII nella sua Lettera enciclica Humani generis affrontava la
questione. (112) Riflettere su questo argomento non è facile,
perché si deve tenere seriamente conto del senso che le parole acquistano
nelle diverse culture e in epoche differenti. La storia del pensiero, comunque, mostra che attraverso l'evoluzione e la varietà
delle culture certi concetti di base mantengono il loro valore conoscitivo
universale e perciò la verità delle proposizioni che li esprimono. (113) Se così non fosse, la
filosofia e le scienze non potrebbero comunicare tra loro né potrebbero
essere recepite da culture diverse da quelle in cui
sono state pensate ed elaborate. Il problema ermeneutico, dunque, esiste, ma
è risolvibile. Il valore realistico di molti concetti, d'altronde, non
esclude che spesso il loro significato sia imperfetto. La speculazione
filosofica molto potrebbe aiutare in questo campo. E’ auspicabile, pertanto,
un suo particolare impegno nell'approfondimento del rapporto tra linguaggio
concettuale e verità, e nella proposta di vie adeguate per una sua corretta
comprensione. 97. Se
compito importante della teologia è
l'interpretazione delle fonti, impegno
ulteriore e anche più delicato ed esigente è la comprensione
della verità rivelata, o l'elaborazione dell'intellectus fidei. Come già ho accennato, l'intellectus
fidei richiede l'apporto di una filosofia dell'essere, che consenta
innanzitutto alla teologia dogmatica di
svolgere in modo adeguato le sue funzioni. Il
pragmatismo dogmatico degli inizi di questo secolo, secondo cui le verità di
fede non sarebbero altro che regole di comportamento, è già stato rifiutato e
rigettato; (114) ciò
nonostante, rimane sempre la tentazione di comprendere queste verità in
maniera puramente funzionale. In questo caso, si cadrebbe in uno
schema inadeguato, riduttivo, e sprovvisto dell'incisività speculativa
necessaria. Una cristologia, ad esempio, che procedesse unilateralmente
" dal basso ", come oggi si suole dire, o una ecclesiologia,
elaborata unicamente sul modello delle società civili, difficilmente
potrebbero evitare il pericolo di tale riduzionismo. Se l'intellectus
fidei vuole integrare tutta la ricchezza della tradizione teologica, deve
ricorrere alla filosofia dell'essere. Questa dovrà essere in grado di riproporre il problema dell'essere secondo le esigenze e
gli apporti di tutta la tradizione filosofica, anche quella più recente,
evitando di cadere in sterili ripetizioni di schemi antiquati. La filosofia
dell'essere, nel quadro della tradizione metafisica
cristiana, è una filosofia dinamica che vede la realtà nelle sue strutture
ontologiche, causali e comunicative. Essa trova la sua forza e perennità nel
fatto di fondarsi sull'atto stesso dell'essere, che permette l'apertura piena
e globale verso tutta la realtà, oltrepassando ogni
limite fino a raggiungere Colui che a tutto dona compimento. (115) Nella
teologia, che riceve i suoi principi dalla Rivelazione quale nuova fonte di
conoscenza, questa prospettiva trova conferma secondo
l'intimo rapporto tra fede e razionalità metafisica. 98.
Considerazioni analoghe si possono fare anche in
riferimento alla teologia morale.
Il recupero della filosofia è urgente anche nell'ordine della comprensione
della fede che riguarda l'agire dei credenti. Di fronte alle sfide
contemporanee nel campo sociale, economico, politico e scientifico la
coscienza etica dell'uomo è disorientata. Nella
Lettera enciclica Veritatis splendor ho rilevato che molti problemi presenti nel mondo
contemporaneo derivano da una " crisi intorno alla verità. Persa l'idea
di una verità universale sul bene, conoscibile dalla ragione umana, è
inevitabilmente cambiata anche la concezione della coscienza: questa non è
più considerata nella sua realtà originaria, ossia un atto dell'intelligenza
della persona, cui spetta di applicare la conoscenza universale del bene in
una determinata situazione e di esprimere così un giudizio sulla condotta
giusta da scegliere qui e ora; ci si è orientati a concedere alla coscienza
dell'individuo il privilegio di fissare, in modo autonomo, i criteri del bene
e del male e agire di conseguenza. Tale visione fa tutt'uno
con un'etica individualistica, per la quale ciascuno si trova confrontato con
la sua verità, differente dalla verità degli altri ". (116) Nell'intera
Enciclica ho sottolineato chiaramente il
fondamentale ruolo spettante alla verità nel campo della morale. Questa
verità, riguardo alla maggior parte dei problemi etici più urgenti, richiede,
da parte della teologia morale, un'attenta riflessione che sappia
mettere in evidenza le sue radici nella parola di Dio. Per poter adempiere a questa sua missione, la
teologia morale deve far ricorso a un'etica filosofica rivolta alla verità
del bene; a un'etica,
dunque, né soggettivista né utilitarista.
L'etica richiesta implica e presuppone un'antropologia filosofica e una
metafisica del bene. Avvalendosi di questa visione unitaria, che è
necessariamente collegata alla santità cristiana e all'esercizio delle virtù
umane e soprannaturali, la teologia morale sarà capace di affrontare i vari
problemi di sua competenza — quali la pace, la giustizia sociale, la
famiglia, la difesa della vita e dell'ambiente naturale — in maniera più
adeguata ed efficace. 99. Il lavoro teologico nella Chiesa è in primo luogo al
servizio dell'annuncio della fede e della catechesi. (117) L'annuncio o il kerigma chiama alla
conversione, proponendo la verità di Cristo che culmina nel suo Mistero
pasquale: solo in
Cristo, infatti, è possibile conoscere la pienezza della verità che salva (cfr At 4, 12; 1 Tm 2, 4-6). In questo contesto, si capisce bene perché,
oltre alla teologia, assuma notevole rilievo anche il riferimento alla catechesi: questa possiede, infatti,
delle implicazioni filosofiche che vanno approfondite alla luce della fede. L'insegnamento
impartito nella catechesi ha un effetto formativo per la persona. La
catechesi, che è anche comunicazione linguistica, deve
presentare la dottrina della Chiesa nella sua integrità, (118) mostrandone l'aggancio con la vita dei credenti. (119) Si
realizza così una singolare unione tra insegnamento e vita che è impossibile
raggiungere altrimenti. Ciò che si
comunica nella catechesi, infatti, non è un corpo di verità concettuali, ma
il mistero del Dio vivente. (120) La riflessione filosofica molto può contribuire nel chiarificare il
rapporto tra verità e vita, tra evento e verità dottrinale e, soprattutto, la relazione tra verità trascendente e
linguaggio umanamente intelligibile. (121) La reciprocità che si crea tra le
discipline teologiche e i risultati raggiunti dalle differenti correnti filosofiche può esprimere, dunque, una reale fecondità in
vista della comunicazione della fede e di una sua più profonda comprensione. CONCLUSIONE 100. A più
di cento anni dalla pubblicazione dell'Enciclica Æterni Patris di Leone XIII, a cui mi sono
più volte richiamato in queste pagine, mi è sembrato doveroso riprendere di
nuovo e in maniera più sistematica il discorso sul tema del rapporto tra la
fede e la filosofia. L'importanza che il pensiero
filosofico riveste nello sviluppo delle culture e nell'orientamento dei
comportamenti personali e sociali è evidente. Esso esercita una forte influenza, non sempre percepita in maniera
esplicita, anche sulla teologia e le sue diverse discipline. Per questi motivi, ho ritenuto giusto e necessario
sottolineare il valore che la filosofia possiede nei
confronti dell'intelligenza della fede e i limiti a cui essa va incontro quando dimentica o
rifiuta le verità della Rivelazione. La Chiesa, infatti, permane nella più
profonda convinzione che fede e ragione " si
recano un aiuto scambievole ", (122) esercitando l'una per l'altra una
funzione sia di vaglio critico e purificatore, sia di stimolo a progredire
nella ricerca e nell'approfondimento. 101. Se il nostro sguardo si volge alla storia del pensiero,
soprattutto nell'Occidente, è facile vedere la ricchezza che è scaturita per
il progresso dell'umanità dall'incontro tra filosofia e teologia e dallo
scambio delle loro rispettive conquiste. La teologia, che ha ricevuto in dono
un'apertura e una originalità che le permettono di
esistere come scienza della fede, ha certamente provocato la ragione a
rimanere aperta davanti alla novità radicale che la rivelazione di Dio porta
con sé. E questo è stato un indubbio vantaggio per la filosofia, che ha visto
così schiudersi nuovi orizzonti su ulteriori
significati che la ragione è chiamata ad approfondire. E proprio
alla luce di questa costatazione che, come ho ribadito il dovere della teologia di recuperare il suo
genuino rapporto con la filosofia, così mi sento in dovere di sottolineare
l'opportunità che anche la filosofia, per il bene e il progresso del
pensiero, recuperi la sua relazione con la teologia. Troverà in essa non la riflessione del singolo individuo che, anche
se profonda e ricca, porta pur sempre con sé i limiti prospettici propri del
pensiero di uno solo, ma la ricchezza di una riflessione comune. La teologia,
infatti, nell'indagine sulla verità è sostenuta, per sua stessa natura, dalla
nota dell'ecclesialità
(123) e dalla tradizione del Popolo di Dio con la sua multiformità
di saperi e culture nell'unità della fede. 102.
Insistendo in tal modo sull'importanza e sulle vere dimensioni del pensiero
filosofico, la Chiesa promuove insieme sia la difesa della dignità dell'uomo
sia l'annuncio del messaggio evangelico. Per tali compiti non vi è oggi,
infatti, preparazione più urgente di questa: portare gli uomini alla scoperta
della loro capacità di conoscere il vero (124) e del loro anelito verso un
senso ultimo e definitivo dell'esistenza. Nella prospettiva
di queste esigenze profonde, iscritte da Dio nella natura umana, appare anche
più chiaro il significato umano e umanizzante della parola di Dio. Grazie
alla mediazione di una filosofia divenuta anche vera saggezza, l'uomo
contemporaneo giungerà così a riconoscere che egli sarà tanto più uomo quanto
più, affidandosi al Vangelo, aprirà se stesso a Cristo. 103. La
filosofia, inoltre, è come lo specchio in cui si riflette la cultura dei
popoli. Una filosofia, che, sotto la provocazione delle esigenze teologiche,
si sviluppa in consonanza con la fede, fa parte di quella " evangelizzazione della cultura " che Paolo VI ha
proposto come uno degli scopi fondamentali dell'evangelizzazione. (125)
Mentre non mi stanco di richiamare l'urgenza di una nuova evangelizzazione, mi appello ai
filosofi perché sappiano approfondire le dimensioni del vero, del buono e del
bello, a cui la parola di Dio dà accesso. Ciò diventa tanto più urgente, se
si considerano le sfide che il nuovo millennio sembra portare con sé: esse
investono in modo particolare le regioni e le culture di antica
tradizione cristiana. Anche questa attenzione deve
considerarsi come un apporto fondamentale e originale sulla strada della
nuova evangelizzazione. 104. Il
pensiero filosofico è spesso l'unico terreno d'intesa e di dialogo con chi
non condivide la nostra fede. Il movimento filosofico contemporaneo esige
l'impegno attento e competente di filosofi credenti capaci di recepire le aspettative, le aperture e le problematiche di
questo momento storico. Argomentando alla luce della ragione e secondo le sue
regole, il filosofo cristiano, pur sempre guidato dall'intelligenza
ulteriore che gli dà la parola di Dio, può sviluppare una riflessione
che sarà comprensibile e sensata anche per chi non afferra ancora la verità
piena che la Rivelazione divina manifesta. Tale terreno d'intesa e di dialogo
è oggi tanto più importante in quanto i problemi che
si pongono con più urgenza all'umanità — si pensi al problema ecologico, al
problema della pace o della convivenza delle razze e delle culture — trovano
una possibile soluzione alla luce di una chiara e onesta collaborazione dei
cristiani con i fedeli di altre religioni e con quanti, pur non condividendo
una credenza religiosa, hanno a cuore il rinnovamento dell'umanità. Lo ha
affermato il Concilio Vaticano II: " Per quanto ci riguarda, il
desiderio di stabilire un dialogo che sia ispirato dal solo amore della
verità e condotto con la opportuna prudenza, non
esclude nessuno: né coloro che hanno il culto di alti valori umani, benché
non ne riconoscano ancora la Sorgente, né coloro che si oppongono alla Chiesa
e la perseguitano in diverse maniere ". (126) Una filosofia, nella quale
risplenda anche qualcosa della verità di Cristo, unica risposta definitiva ai
problemi dell'uomo, (127) sarà un sostegno efficace per
quell'etica vera e insieme planetaria di cui oggi l'umanità ha
bisogno. 105. Mi preme concludere questa Lettera
enciclica rivolgendo un ultimo pensiero anzitutto ai teologi, affinché prestino particolare
attenzione alle implicazioni filosofiche della parola di Dio e compiano una
riflessione da cui emerga lo spessore speculativo e pratico della scienza
teologica. Desidero ringraziarli per il loro servizio ecclesiale. Il legame
intimo tra la sapienza teologica e il sapere filosofico è una delle ricchezze
più originali della tradizione cristiana nell'approfondimento della verità
rivelata. Per questo, li esorto a recuperare ed evidenziare al meglio
la dimensione metafisica della verità per entrare così in un dialogo critico
ed esigente tanto con il pensiero filosofico contemporaneo quanto con tutta
la tradizione filosofica, sia questa in sintonia o invece in contrapposizione
con la parola di Dio. Tengano sempre presente l'indicazione di un grande maestro del pensiero e della spiritualità, san
Bonaventura, il quale introducendo il lettore al suo Itinerarium mentis in Deum lo invitava
a rendersi conto che " non è sufficiente la lettura senza la
compunzione, la conoscenza senza la devozione, la ricerca senza lo slancio
della meraviglia, la prudenza senza la capacità di abbandonarsi alla gioia,
l'attività disgiunta dalla religiosità, il sapere separato dalla carità,
l'intelligenza senza l'umiltà, lo studio non sorretto dalla grazia divina, la
riflessione senza la sapienza ispirata da Dio ". (128) Il mio pensiero è rivolto pure a quanti hanno la responsabilità della formazione
sacerdotale, sia accademica che pastorale, perché curino con particolare
attenzione la preparazione filosofica di chi dovrà annunciare il Vangelo
all'uomo di oggi e, più ancora, di chi dovrà
dedicarsi alla ricerca e all'insegnamento della teologia. Si sforzino di
condurre il loro lavoro alla luce delle prescrizioni del Concilio Vaticano II
(129) e delle disposizioni successive, dalle quali emerge
l'inderogabile e urgente compito, a cui tutti siamo
chiamati, di contribuire a una genuina e profonda comunicazione delle verità
di fede. Non si dimentichi la grave responsabilità di una previa e adeguata
preparazione del corpo docente destinato all'insegnamento della filosofia sia
nei Seminari che nelle Facoltà ecclesiastiche. (130) E’ necessario che
questa docenza comporti la conveniente preparazione scientifica, si presenti
in maniera sistematica proponendo il grande
patrimonio della tradizione cristiana e si compia con il dovuto discernimento
dinanzi alle esigenze attuali della Chiesa e del mondo. 106. Il
mio appello, inoltre, va ai filosofi e
a quanti insegnano la filosofia,
perché abbiano il coraggio di ricuperare, sulla scia di una tradizione
filosofica perennemente valida, le dimensioni di autentica
saggezza e di verità, anche metafisica, del pensiero filosofico. Si lascino
interpellare dalle esigenze che scaturiscono dalla parola di Dio ed abbiano la forza di condurre il loro discorso razionale ed
argomentativo in risposta a tale interpellanza.
Siano sempre protesi verso la verità e attenti al bene che il vero contiene.
Potranno in questo modo formulare quell'etica genuina di cui l'umanità ha
urgente bisogno, particolarmente in questi anni. La Chiesa segue con
attenzione e simpatia le loro ricerche; siano pertanto sicuri del rispetto
che essa conserva per la giusta autonomia della loro scienza. Vorrei incoraggiare, in particolare, i credenti
che operano nel campo della filosofia, perché illuminino i diversi ambiti
dell'attività umana con l'esercizio di una ragione che si fa più sicura e
acuta per il sostegno che riceve dalla fede. Non posso
non rivolgere, infine, una parola anche agli scienziati, che con le loro ricerche ci forniscono una crescente
conoscenza dell'universo nel suo insieme e della varietà incredibilmente
ricca delle sue componenti, animate ed inanimate,
con le loro complesse strutture atomiche e molecolari. Il cammino da essi compiuto ha raggiunto, specialmente in questo secolo,
traguardi che continuano a stupirci. Nell'esprimere la mia ammirazione ed il
mio incoraggiamento a questi valorosi pionieri della ricerca scientifica, ai
quali l'umanità tanto deve del suo presente sviluppo, sento
il dovere di esortarli a proseguire nei loro sforzi restando sempre in
quell'orizzonte sapienziale, in cui
alle acquisizioni scientifiche e tecnologiche s'affiancano i valori
filosofici ed etici, che sono manifestazione caratteristica ed
imprescindibile della persona umana. Lo scienziato è ben consapevole che
" la ricerca della verità, anche quando riguarda una realtà limitata del
mondo o dell'uomo, non termina mai; rinvia sempre verso qualcosa che è al di sopra dell'immediato oggetto degli studi, verso gli
interrogativi che aprono l'accesso al Mistero ". (131) 107. A tutti chiedo di
guardare in profondità all'uomo, che Cristo ha salvato nel mistero del suo
amore, e alla sua costante ricerca di verità e di senso. Diversi sistemi
filosofici, illudendolo, lo hanno convinto che egli è assoluto padrone di sé,
che può decidere autonomamente del proprio destino e del proprio futuro
confidando solo in se stesso e sulle proprie forze. La grandezza dell'uomo
non potrà mai essere questa. Determinante per la sua
realizzazione sarà soltanto la scelta di inserirsi nella verità, costruendo
la propria abitazione all'ombra della Sapienza e abitando in essa. Solo in questo orizzonte veritativo comprenderà il pieno
esplicitarsi della sua libertà e la sua chiamata all'amore e alla conoscenza
di Dio come attuazione suprema di sé. 108. Il mio ultimo pensiero è rivolto a Colei che la preghiera della
Chiesa invoca come Sede della Sapienza.
La sua stessa vita è una vera parabola capace di irradiare luce sulla
riflessione che ho svolto. Si può intravedere, infatti, una profonda
consonanza tra la vocazione della Beata Vergine e quella della genuina
filosofia. Come la Vergine fu chiamata ad offrire tutta la sua umanità e
femminilità affinché il Verbo di Dio potesse prendere carne e farsi uno di
noi, così la filosofia è chiamata a prestare la sua
opera, razionale e critica, affinché la teologia come comprensione della fede
sia feconda ed efficace. E come Maria, nell'assenso
dato all'annuncio di Gabriele, nulla perse della sua vera umanità e libertà,
così il pensiero filosofico, nell'accogliere l'interpellanza che gli viene
dalla verità del Vangelo, nulla perde della sua autonomia, ma vede sospinta
ogni sua ricerca alla più alta realizzazione. Questa verità l'avevano ben
compresa i santi monaci dell'antichità cristiana, quando chiamavano Maria
" la mensa intellettuale della fede ". (132) In lei vedevano
l'immagine coerente della vera filosofia ed erano convinti di dover philosophari in Maria. Possa, la Sede della Sapienza, essere il porto sicuro per quanti fanno
della loro vita la ricerca della saggezza. Il cammino verso la sapienza,
ultimo e autentico fine di ogni vero sapere, possa
essere liberato da ogni ostacolo per l'intercessione di Colei che, generando
la Verità e conservandola nel suo cuore, l'ha partecipata all'umanità intera per
sempre. Dato a Roma, presso
San Pietro, il 14 settembre, festa della Esaltazione
della Santa Croce, dell'anno 1998, ventesimo del mio Pontificato. (1) Già lo
scrivevo nella mia prima lettera enciclica Redemptor hominis: " Siamo diventati partecipi di questa
missione di Cristo-profeta e, in forza della stessa
missione, insieme con lui serviamo la verità divina nella Chiesa. La
responsabilità per tale verità significa anche amarla e cercarne la più
esatta comprensione, in modo da renderla più vicina a noi stessi e agli altri
in tutta la sua forza salvifica, nel suo splendore, nella sua profondità e
insieme semplicità ". N. 19: AAS 71
(1979), 306. (2) Cfr
Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past.
sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, 16. (3) Cost.
dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 25. (4) N. 4: AAS 85 (1993), 1136. (5) Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla
divina Rivelazione Dei Verbum, 2. (6) Cfr
Cost. dogm. sulla fede cattolica Dei Filius, III: DS 3008. (7) Ibid., IV: DS 3015; citato anche in Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, 59. (8) Cost.
dogm. sulla divina Rivelazione Dei Verbum, 2. (9) Lett.
ap. Tertio millennio adveniente
(10 novembre 1994), 10: AAS 87
(1995), 11. (10) N. 4. (11) N. 8. (12) N. 22. (13) Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla divina
Rivelazione Dei Verbum, 4. (14) Ibid., 5. (15) Il
Concilio Vaticano I, a cui fa riferimento la
sentenza sopra richiamata, insegna che l'obbedienza della fede esige l'impegno
dell'intelletto e della volontà: " Poiché l'uomo dipende totalmente da
Dio come suo creatore e signore e la ragione creata è sottomessa
completamente alla verità increata, noi siamo tenuti, quando Dio si rivela, a
prestargli, con la fede, la piena sottomissione della nostra intelligenza e
della nostra volontà " (Cost. dogm. sulla fede
cattolica Dei Filius, III; DS
3008). (16) Sequenza nella solennità del
Santissimo Corpo e Sangue di Cristo. (17) Pensées, 789 (ed. L. Brunschvicg). (18) Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. sulla
Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium
et spes, 22. (19) Cfr
Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla
divina Rivelazione Dei Verbum, 2. (20) Proemio
e nn. 1. 15: PL
158, 223-224.226; 235. (21) De vera religione, XXXIX, 72: CCL 32, 234. (22) "
Ut te semper desiderando quaererent
et inveniendo quiescerent
": Missale Romanum. (23)
Aristotele, Metafisica, I, 1. (24) Confessiones,
X, 23, 33: CCL 27, 173. (25) N. 34: AAS 85 (1993), 1161. (26) Cfr
Giovanni Paolo II, Lett. ap. Salvifici doloris (11 febbraio 1984), 9: AAS 76 (1984), 209-210. (27) Cfr
Conc. Ecum. Vat. II, Dich.
sulle relazioni della Chiesa con le religioni non
cristiane Nostra aetate,
2. (28) E questa un'argomentazione che perseguo da molto tempo e che ho
espresso in diverse occasioni. " Che
è l'uomo e a che può servire? Qual è il suo bene e
qual è il suo male? (Sir 18, 7)
[...]. Queste domande sono nel cuore di ogni uomo,
come ben dimostra il genio poetico di ogni tempo e di ogni popolo, che, quasi
profezia dell'umanità, ripropone continuamente la domanda seria che rende l'uomo veramente tale. Esse esprimono
l'urgenza di trovare un perché all'esistenza, ad ogni suo istante, alle sue
tappe salienti e decisive così come ai suoi momenti più comuni. In tali
questioni è testimoniata la ragionevolezza profonda dell'esistere umano,
poiché l'intelligenza e la volontà dell'uomo vi sono sollecitate a cercare
liberamente la soluzione capace di offrire un senso pieno alla vita. Questi
interrogativi, pertanto, costituiscono l'espressione più alta della natura
dell'uomo: di conseguenza la risposta ad esse misura
la profondità del suo impegno con la propria esistenza. In particolare,
quando il perché delle cose viene indagato con integralità alla ricerca della risposta
ultima e più esauriente, allora la ragione umana tocca il suo vertice e si
apre alla religiosità. In effetti, la religiosità
rappresenta l'espressione più elevata della persona umana, perché è il
culmine della sua natura razionale. Essa sgorga
dall'aspirazione profonda dell'uomo alla verità ed è alla base della ricerca
libera e personale che egli compie del divino ": Udienza generale del 19
ottobre 1983, 1-2: Insegnamenti VI,
2 (1983), 814-815. (29) " [Galileo] ha dichiarato esplicitamente che le due verità,
di fede e di scienza, non possono mai contrariarsi " procedendo di pari
dal Verbo divino la Scrittura sacra e la natura, quella come dettatura dello
Spirito Santo, e questa come osservantissima
esecutrice degli ordini di Dio " come scrive nella lettera al Padre
Benedetto Castelli il 21 dicembre 1613. Non
diversamente, anzi con parole simili, insegna il Concilio Vaticano II: "
La ricerca metodica di ogni disciplina, se procede
[...] secondo le norme morali, non sarà mai in reale
contrasto con la fede, perché le realtà profane e le realtà della fede hanno
origine dal medesimo Dio " (Gaudium
et spes, 36). Galileo sente nella sua ricerca scientifica la presenza del
Creatore che lo stimola, che previene e aiuta le sue intuizioni, operando nel
profondo del suo spirito ". Giovanni Paolo II,
Discorso alla Pontificia Accademia delle Scienze, 10 novembre 1979: Insegnamenti, II, 2 (1979), 1111-1112. (30) Cfr
Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla
divina Rivelazione Dei Verbum, 4. (31)
Origene, Contro Celso, 3, 55: SC 136, 130. (32) Dialogo con Trifone, 8,1: PG 6, 492. (33) Stromati I, 18, 90,
1: SC 30, 115. (34) Cfr ibid., I, 16,
80, 5: SC 30, 108. (35) Cfr ibid., I, 5,
28, 1: SC 30, 65. (36) Ibid., VI, 7, 55, 1-2: PG 9, 277. (37) Ibid., I, 20, 100, 1: SC 30, 124. (38) S.
Agostino, Confessiones VI, 5, 7: CCL 27, 77-78. (39) Cfr ibid., VII, 9,
13-14: CCL 27, 101-102. (40) De praescriptione
haereticorum, VII, 9: SC 46,
98. " Quid ergo Athenis et Hierosolymis? Quid academiae et ecclesiae? ". (41) Cfr
Congregazione per l'Educazione Cattolica, Istr. sullo studio dei Padri della Chiesa nella formazione
sacerdotale (10 novembre 1989), 25: AAS
82 (1990), 617-618. (42) S.
Anselmo, Proslogion,
1: PL 158, 226. (43) Id., Monologion, 64: PL 158, 210. (44) Cfr Summa contra Gentiles, I, VII. (45) Cfr Summa Theologiae,
I, 1, 8 ad 2: " cum enim
gratia non tollat naturam sed perficiat
". (46) Cfr
Giovanni Paolo II, Discorso ai partecipanti al IX
Congresso Tomistico Internazionale (29 settembre 1990): Insegnamenti, XIII, 2 (1990), 770-771. (47) Lett.
ap. Lumen Ecclesiae (20 novembre
1974), 8: AAS 66 (1974), 680. (48) Cfr I, 1, 6: " Praeterea, haec doctrina per studium acquiritur. Sapientia autem per infusionem habetur, unde inter septem dona Spiritus Sancti connumeratur ". (49) Ibid., II, II, 45, 1 ad 2; cfr pure II,
II, 45, 2. (50) Ibid., I, II,
109, 1 ad 1 che riprende la nota frase dell'Ambrosiaster, In prima Cor 12,3: PL 17, 258. (51) Leone
XIII, Lett. enc. Æterni Patris (4
agosto 1879): ASS 11 (1878-1879),
109. (52) Paolo
VI, Lett. ap. Lumen Ecclesiae (20
novembre 1974), 8: AAS 66 (1974),
683. (53) Lett.
enc. Redemptor hominis (4 marzo
1979), 15: AAS 71 (1979), 286. (54) Cfr Pio
XII, Lett. enc. Humani generis (12
agosto 1950): AAS 42 (1950), 566. (55) Cfr
Conc. Ecum. Vat. I, Cost.
dogm. prima sulla Chiesa di Cristo Pastor Aeternus: DS 3070; Conc. Ecum. Vat. II, Cost.
dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 25 c. (56) Cfr
Sinodo di Costantinopoli, DS 403. (57) Cfr
Concilio di Toledo I, DS 205; Concilio di Braga I, DS
459-460; Sisto V, Bolla Coeli et terrae Creator (5 gennaio 1586): Bullarium Romanum 44, Romae
1747, 176-179; Urbano VIII, Inscrutabilis iudiciorum (1o aprile 1631): Bullarium Romanum 61, Romae
1758, 268-270. (58) Cfr Conc. Ecum. Viennense,
Decr. Fidei catholicae, DS 902; Conc. Ecum. Lateranense V, Bolla Apostolici regiminis, DS 1440. (59) Cfr Theses a Ludovico Eugenio Bautain
iussu sui Episcopi subscriptae (8 settembre 1840), DS 2751-2756; Theses a Ludovico Eugenio Bautain
ex mandato S. Cong. Episcoporum
et Religiosorum subscriptae
(26 aprile 1844), DS 2765-2769. (60) Cfr S. Congr. Indicis, Decr. Theses contra traditionalismum
Augustini Bonnetty (11
giugno 1855), DS 2811-2814. (61) Cfr Pio IX, Breve Eximiam tuam (15 giugno 1857), DS 2828-2831; Breve Gravissimas inter (11 dicembre 1862), DS 2850-2861. (62) Cfr S. Congr. del S. Officio, Decr. Errores ontologistarum (18 settembre 1861), DS 2841-2847. (63) Cfr
Conc. Ecum. Vat. I, Cost.
dogm. sulla fede cattolica Dei Filius, II: DS 3004;
e can. 2, 1: DS 3026. (64) Ibid., IV: DS 3015, citato in Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, 59. (65) Conc. Ecum. Vat. I, Cost. dogm. sulla fede cattolica Dei
Filius, IV: DS 3017. (66) Cfr
Lett. enc. Pascendi dominici gregis (8
settembre 1907): ASS 40 (1907),
596-597. (67) Cfr Pio
XI, Lett. enc. Divini Redemptoris (19 marzo 1937): AAS 29 (1937), 65-106. (68) Lett. enc. Humani generis (12
agosto 1950): AAS 42 (1950),
562-563. (69) Ibid., l.c., 563-564. (70) Cfr
Giovanni Paolo II, Cost. ap. Pastor
Bonus (28 giugno 1988), artt. 48-49: AAS 80 (1988), 873; Congr. per la Dottrina della
Fede, Istr. sulla
vocazione ecclesiale del teologo Donum
veritatis (24 maggio 1990), 18: AAS
82 (1990), 1558. (71) Cfr Istr. su alcuni aspetti della
" teologia della liberazione " Libertatis nuntius (6 agosto 1984), VII-X: AAS 76 (1984), 890-903. (72) Il
Concilio Vaticano I, con parole tanto chiare quanto
autoritative, aveva già condannato questo errore, affermando da una parte che
" quanto a questa fede [...], la Chiesa cattolica professa che essa è
una virtù soprannaturale, per la quale sotto l'ispirazione divina e con
l'aiuto della grazia, noi crediamo vere le cose da lui rivelate, non a causa
dell'intrinseca verità delle cose percepite dalla luce naturale della
ragione, ma a causa dell'autorità di Dio stesso, che le rivela, il quale non
può ingannarsi né ingannare ": Cost. dogm. Dei Filius III: DS 3008, e can.3. 2: DS 3032. Dall'altra parte, il
Concilio dichiarava che la ragione mai " è resa capace di penetrare [tali
misteri] come le verità che formano il suo oggetto proprio ": ibid., IV: DS 3016. Da qui traeva la conclusione pratica: " I fedeli
cristiani non solo non hanno il diritto di difendere come legittime
conclusioni della scienza le opinioni riconosciute contrarie alla dottrina
della fede, specie se condannate dalla Chiesa, ma sono strettamente tenuti a
considerarle piuttosto come errori, che hanno solo una ingannevole
parvenza di verità ": ibid.,
IV: DS 3018. (73) Cfr nn. 9-10. (74) Ibid., 10. (75) Ibid., 21. (76) Cfr ibid., 10. (77) Cfr
Lett. enc. Humani generis (12
agosto 1950): AAS 42 (1950),
565-567; 571-573. (78) Cfr
Lett. enc. Æterni Patris (4
agosto 1879): ASS 11 (1878-1879),
97-115. (79) Ibid., l.c.,
109. (80) Cfr nn. 14-15. (81) Cfr ibid., 20-21. (82) Ibid., 22; cfr Giovanni Paolo II,
Lett. enc. Redemptor hominis (4
marzo 1979), 8: AAS 71 (1979),
271-272. (83) Decr. sulla formazione sacerdotale Optatam totius, 15. (84) Cfr
Giovanni Paolo II, Cost. ap. Sapientia christiana (15 aprile 1979),
art. 79-80: AAS 71 (1979), 495-496;
Esort. ap. postsinodale Pastores dabo vobis (25
marzo 1992), 52: AAS 84 (1992),
750-751. Cfr pure alcuni commenti sulla filosofia di S.
Tommaso: Discorso al Pontificio Ateneo Internazionale Angelicum
(17 novembre 1979): Insegnamenti II,
2 (1979), 1177-1189; Discorso ai partecipanti dell'VIII Congresso Tomistico
Internazionale (13 settembre 1980): Insegnamenti
III, 2 (1980), 604-615; Discorso ai partecipanti al Congresso
Internazionale della Società " San Tommaso " sulla dottrina dell'anima
in S. Tommaso (4 gennaio 1986): Insegnamenti
IX, 1 (1986), 18-24. Inoltre, S. Congr. per l'Educazione Cattolica, Ratio fundamentalis institutionis
sacerdotalis (6 gennaio 1970), 70-75: AAS 62 (1970), 366-368; Decr. Sacra Theologia (20 gennaio 1972): AAS 64 (1972), 583-586. (85) Cfr
Cost. past. sulla Chiesa
nel mondo contemporaneo Gaudium et spes,
57; 62. (86) Cfr ibid., 44. (87) Cfr
Conc. Ecum. Lateranense V, Bolla Apostolici regimini
sollicitudo, Sessione VIII: Conc. Oecum.
Decreta, 1991, 605-606. (88) Cfr
Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla
divina Rivelazione Dei Verbum, 10. (89) S.
Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, II-II, 5, 3 ad 2. (90) "
La ricerca delle condizioni nelle quali l'uomo pone da sé le prime domande
fondamentali sul senso della vita, sul fine che ad essa
vuole dare e su ciò che l'attende dopo la morte, costituisce per la teologia
fondamentale il necessario preambolo, affinché, anche oggi, la fede abbia a
mostrare in pienezza il cammino ad una ragione in ricerca sincera della verità
". Giovanni Paolo II, Lettera ai partecipanti al Congresso internazionale di Teologia
Fondamentale a 125 anni dalla " Dei Filius " (30 settembre
1995), 4: L'Osservatore Romano, 3
ottobre 1995, p. 8. (91) Ibid. (92) Cfr
Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past.
sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et
spes, 15; Decr. sull'attività missionaria della
Chiesa Ad gentes, 22. (93) S. Tommaso d'Aquino, De
Caelo, 1, 22. (94) Cfr
Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past.
sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, 53-59. (95) S. Agostino, De praedestinatione sanctorum,
2,5: PL 44, 963. (96) Id., De fide,
spe et caritate, 7: CCL 64, 61. (97) Cfr
Conc. Ecum. Calcedonense,
Symbolum, Definitio: DS 302. (98) Cfr
Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptor
hominis (4 marzo 1979), 15: AAS 71
(1979), 286-289. (99) Cfr, ad
esempio, S. Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae, I, 16,1; S.
Bonaventura, Coll. in Hex., 3,
8, 1. (100) Cost. past. sulla Chiesa nel mondo
contemporaneo Gaudium et spes, 15. (101) Cfr
Giovanni Paolo II, Lett. enc. Veritatis
splendor (6 agosto 1993), 57-61: AAS
85 (1993), 1179-1182. (102) Cfr
Conc. Ecum. Vat. I, Cost.
dogm. sulla fede cattolica Dei Filius, IV: DS 3016. (103) Cfr
Conc. Ecum. Lateranense IV, De errore abbatis Ioachim,
II: DS 806. (104) Cfr
Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla
divina Rivelazione Dei Verbum, 24; Decr. sulla formazione sacerdotale Optatam totius, 16. (105) Cfr
Giovanni Paolo II, Lett. enc. Evangelium vitae (25
marzo 1995), 69: AAS 87 (1995),
481. (106) Nello
stesso senso scrivevo nella mia prima Lettera enciclica a commento
dell'espressione del Vangelo di S. Giovanni: " Conoscerete la verità e
la verità vi farà liberi " (8, 32): "Queste parole racchiudono una
fondamentale esigenza ed insieme un ammonimento: l'esigenza di un rapporto
onesto nei riguardi della verità, come condizione di un'autentica libertà; e
l'ammonimento, altresì, perché sia evitata qualsiasi
libertà apparente, ogni libertà superficiale e unilaterale, ogni libertà che
non penetri tutta la verità sull'uomo e sul mondo. Anche oggi, dopo duemila
anni, il Cristo appare a noi come Colui che porta
all'uomo la libertà basata sulla verità, come Colui che libera l'uomo da ciò
che limita, menoma e quasi spezza alle radici stesse, nell'anima dell'uomo,
nel suo cuore, nella sua coscienza, questa libertà ": Lett. enc. Redemptor hominis (4 marzo 1979), 12: AAS 71 (1979), 280-281. (107)
Discorso di apertura del Concilio (11 ottobre 1962):
AAS 54 (1962), 792. (108) Congr. per la Dottrina della
Fede, Istr. sulla vocazione
ecclesiale del teologo Donum veritatis (24
maggio 1990), 7-8: AAS 82 (1990),
1552-1553. (109) Ho
scritto nell'Enciclica Dominum et vivificantem,
commentando Gv 16, 12-13:
" Gesù presenta il Consolatore, lo Spirito di verità, come colui che "insegnerà" e "ricorderà",
come colui che gli "renderà testimonianza"; ora dice: "Egli vi
guiderà alla verità tutta intera". Questo "guidare alla verità
tutta intera", in riferimento a ciò di cui gli
Apostoli "per il momento non sono capaci di portare il peso", è in
necessario collegamento con lo
spogliamento di Cristo per mezzo della passione e morte di croce, che
allora, quando pronunciava queste parole, era ormai imminente. In seguito,
tuttavia, diventa chiaro che quel "guidare alla verità tutta
intera" si ricollega, oltre che allo scandalum Crucis, anche a tutto ciò che Cristo "fece ed insegnò"
(At 1, 1). Infatti,
il mysterium Christi
nella sua globalità esige la fede, poiché è questa che introduce
opportunamente l'uomo nella realtà del mistero rivelato. Il
"guidare alla verità tutta intera" si realizza, dunque, nella fede
e mediante la fede: il che è opera dello Spirito di verità ed è frutto della
sua azione nell'uomo. Lo Spirito Santo deve essere in
questo la suprema guida dell'uomo, la luce dello spirito umano ": n. 6: AAS 78 (1986), 815-816. (110) Cfr
Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla
divina Rivelazione Dei Verbum, 13. (111) Cfr
Pontificia Commissione Biblica, Istr. sulla verità storica dei Vangeli (21 aprile 1964): AAS 56 (1964), 713. (112) " E’ chiaro che la Chiesa non può essere legata ad un
qualunque sistema filosofico effimero; ma quelle nozioni e quei termini, che
con generale consenso furono composti attraverso parecchi secoli dai dottori
cattolici per arrivare a qualche conoscenza e comprensione del dogma senza
dubbio non poggiano su di un fondamento così caduco. Si appoggiano invece a
principi e nozioni dettate da una vera conoscenza del creato; e nel dedurre
queste conoscenze, la verità rivelata, come una stella, ha illuminato, per mezzo
della Chiesa, la mente umana. Perciò non c'è da meravigliarsi se qualcuna di queste nozioni non solo sia stata adoperata in Concili
Ecumenici, ma vi abbia ricevuto tale sanzione per cui non ci è lecito
allontanarcene ": Lett. enc. Humani generis (12 agosto 1950): AAS 42 (1950), 566-567; cfr Commissione Teologica Internazionale,
Doc. Interpretationis
problema (ottobre 1989): Ench. Vat.
11, nn. 2717-2811. (113) " Quanto al significato
stesso delle formule dogmatiche, esso nella Chiesa rimane sempre vero e coerente,
anche quando è maggiormente chiarito e meglio compreso. Devono, quindi, i fedeli rifuggire dall'opinione la quale ritiene che
le formule dogmatiche (o qualche categoria di esse)
non possono manifestare la verità determinatamente, ma solo delle sue
approssimazioni cangianti che sono, in certa maniera, deformazioni e
alterazioni della medesima ": S. Congr. per la Dottrina della Fede, Dich.
sulla difesa della dottrina cattolica circa la
Chiesa, Mysterium Ecclesiae (24
giugno 1973), 5: AAS 65 (1973), 403. (114) Cfr Congr. S. Officii,
Decr. Lamentabili
(3 luglio 1907), 26: ASS 40
(1907), 473. (115) Cfr Giovanni Paolo II, Discorso al Pontificio Ateneo " Angelicum " (17 novembre 1979), 6: Insegnamenti, II, 2 (1979), 1183-1185. (116) N. 32:
AAS 85 (1993), 1159-1160. (117) Cfr
Giovanni Paolo II, Esort. ap. Catechesi tradendae (16 ottobre 1979),
30: AAS 71 (1979), 1302-1303; Congr. per la Dottrina della
Fede, Istr. sulla
vocazione ecclesiale del teologo Donum
veritatis (24 maggio 1990), 7: AAS 82
(1990), 1552-1553. (118) Cfr
Giovanni Paolo II, Esort. ap. Catechesi tradendae (16 ottobre 1979),
30: AAS 71 (1979), 1302-1303. (119) Cfr ibid., 22, l. c., 1295-1296. (120) Cfr ibid., 7, l. c., 1282. (121) Cfr ibid., 59, l. c., 1325. (122) Conc. Ecum. Vat. I, Cost.
dogm. sulla fede cattolica Dei Filius, IV: DS 3019. (123) "
Nessuno può fare della teologia quasi che fosse una semplice raccolta dei
propri concetti personali; ma ognuno deve essere consapevole di rimanere in
stretta unione con quella missione di insegnare la verità, di cui è
responsabile la Chiesa ": Giovanni Paolo II, Lett. enc. Redemptor hominis (4 marzo 1979), 19: AAS 71
(1979), 308. (124) Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Dich. sulla libertà religiosa Dignitatis humanae, 1-3. (125) Cfr Esort. ap. Evangelii nuntiandi (8 dicembre 1975), 20: AAS 68 (1976), 18-19. (126) Cost. past sulla Chiesa nel mondo
contemporaneo Gaudium et spes, 92. (127) Cfr ibid., 10. (128) Prologus, 4:
Opera omnia, Firenze 1891, t. V, 296. (129) Cfr
Conc. Ecum. Vat. II, Decr.
sulla formazione sacerdotale Optatam totius, 15. (130) Cfr
Giovanni Paolo II, Cost. ap. Sapientia christiana (15 aprile 1979), artt.
67-68: AAS 71 (1979), 491-492. (131) Giovanni Paolo II, Discorso all'Università di Cracovia per il 600o
anniversario dell'Alma Mater Jagellonica (8 giugno
1997), 4: L'Osservatore Romano, 9-10 giugno 1997, p. 12. (132) " 'e noerà tes
písteos tràpeza ": Omelia in lode di Santa Maria Madre di Dio,
dello pseudo Epifanio: PG 43, 493. |