PAPA GIOVANNI PAOLO II CONGREGAZIONE
PER LA DOTTRINA DELLA FEDE ISTRUZIONE DONUM
VERITATIS INTRODUZIONE 1.
La verità che rende liberi è un dono di Gesù Cristo (cf.Gv
8, 32). La ricerca della verità è insita nella natura dell’uomo, mentre
l’ignoranza lo mantiene in una condizione di schiavitù. L’uomo infatti non può essere veramente libero se non riceve
luce sulle questioni centrali della sua esistenza, ed in particolare su
quella di sapere da dove venga e dove vada. Egli diventa libero quando Dio si
dona a lui come un Amico, secondo la parola del Signore: «Non vi chiamo più
servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre
l’ho fatto conoscere a voi» (Gv 15, 15). La liberazione
dall’alienazione del peccato e della morte si realizza per l’uomo quando il
Cristo, che è la Verità, diventa per lui la «via» (cf.Gv
14, 6). I LA
VERITÀ, DONO DI DIO AL SUO POPOLO 2.
Mosso da un amore senza misura, Dio ha voluto farsi vicino all’uomo che
ricerca la propria identità e camminare con lui (cf. Lc 24, 15). Egli lo
ha anche liberato dalle insidie del «padre della menzogna» (cf. Gv 8,
44) e gli ha dato accesso alla sua intimità perché vi trovi, in
sovrabbondanza, la verità piena e la vera libertà. Questo disegno d’amore
concepito dal «Padre della luce» (Gc
1, 17; cf. 1 Pt 2, 9; 1 Gv 1, 5), realizzato dal Figlio
vincitore della morte (cf. Gv 8, 36) è reso continuamente attuale
dallo Spirito che guida «alla verità tutta intera» (Gv
16, 13). 3.
La verità ha in sé una forza unificante: libera gli uomini dall’isolamento e
dalle opposizioni nelle quali sono rinchiusi dall’ignoranza della verità e
aprendo loro la via verso Dio, li unisce gli uni agli altri. Il Cristo ha
distrutto il muro di separazione che aveva reso gli uomini estranei alla
promessa di Dio e alla comunione dell’alleanza (cf. Ef 2, 12-14). Egli
invia nel cuore dei credenti il suo Spirito, per mezzo del quale noi tutti in
Lui siamo «uno solo» (cf. Ro
5, 5; Gal 3, 28). Così, grazie alla nuova nascita ed
all’unzione dello Spirito Santo (cf. Gv 3, 5;
1 Gv 2, 20. 27), diventiamo l'unico e nuovo Popolo di Dio che,
con vocazioni e carismi diversi, ha la missione di conservare e trasmettere
il dono della verità. Infatti la Chiesa tutta, come
«sale della terra» e «luce del mondo» (cf. Mt 5, 13s.), deve rendere
testimonianza alla verità di Cristo che rende liberi. 4. A
questa chiamata il Popolo di Dio risponde «soprattutto per mezzo di una vita
di fede e di carità, e offrendo a Dio un sacrificio di lode». Per quello che riguarda più specificamente la «vita di fede», il
Concilio Vaticano II precisa che «la totalità dei fedeli che hanno ricevuto
l’unzione dello Spirito Santo (cf. 1 Gv 2, 20. 27), non può
sbagliarsi nel credere, e manifesta questa proprietà peculiare mediante il
senso soprannaturale della fede di tutto il popolo, quando ‘dai vescovi fino
agli ultimi fedeli laici’, esprime l’universale suo
consenso in materia di fede e di costumi»[2]. 5.
Per esercitare la sua funzione profetica nel mondo, il Popolo di Dio deve
continuamente risvegliare o «ravvivare» la propria vita di fede (cf. 2 Tm
1, 6), in particolare per mezzo di una riflessione sempre più approfondita,
guidata dallo Spirito Santo, sul contenuto della fede stessa e tramite
l'impegno di dimostrarne la ragionevolezza a coloro che gliene chiedono i
motivi (cf. 1 Pt 3, 15). In vista di questa missione lo Spirito di
verità dispensa, fra i fedeli di ogni ordine, grazie
speciali date «per l'utilità comune» (1 Cor 12, 7-11). II LA
VOCAZIONE DEL TEOLOGO 6.
Fra le vocazioni suscitate dallo Spirito nella Chiesa si distingue quella del
teologo, che in modo particolare ha la funzione di acquisire, in comunione con il Magistero,
un’intelligenza sempre più profonda della Parola di Dio contenuta nella Scrittura
ispirata e trasmessa dalla Tradizione viva della Chiesa. 7.
Il lavoro del teologo risponde così al dinamismo insito nella fede stessa: di
sua natura la Verità vuole comunicarsi, perché l'uomo è stato creato per
percepire la verità, e desidera nel più profondo di se stesso conoscerla per
ritrovarsi in essa e per trovarvi la sua salvezza
(cf. 1 Tm 2, 4). Per questo il Signore ha inviato i suoi apostoli
perché facciano «discepole» tutte le nazioni e le ammaestrino
(cf. Mt 28, 19s.). La teologia, che ricerca la «ragione della fede» ed
a coloro che cercano offre questa ragione come una
risposta, costituisce parte integrante dell’obbedienza a questo comandamento,
perché gli uomini non possono diventare discepoli se la verità contenuta
nella parola della fede non viene loro presentata (cf. Rm 10, 14s). 8. Poiché oggetto della
teologia è la Verità, il Dio vivo ed il suo disegno di salvezza rivelato in
Gesù Cristo, il teologo è chiamato ad intensificare la sua vita di fede ed ad
unire sempre ricerca scientifica e preghiera[4]. Sarà così più aperto al
«senso soprannaturale della fede» da cui dipende e che gli apparirà come una
sicura regola per guidare la sua riflessione e misurare la correttezza delle
sue conclusioni. 9.
Nel corso dei secoli la teologia si è progressivamente costituita in vero e
proprio sapere scientifico. È quindi necessario che il teologo sia attento
alle esigenze epistemologiche della sua disciplina, alle esigenze di rigore
critico, e quindi al controllo razionale di ogni
tappa della sua ricerca. Ma l’esigenza critica non
va identificata con lo spirito critico, che nasce piuttosto da motivazioni di
carattere affettivo o da pregiudizio. Il
teologo deve discernere in se stesso l’origine e le motivazioni del suo
atteggiamento critico e lasciare che il suo sguardo sia purificato dalla
fede. L’impegno teologico esige uno sforzo spirituale di rettitudine e di
santificazione. 10.
Pur trascendendo la ragione umana, la verità rivelata è in profonda armonia
con essa. Ciò suppone che la ragione sia per sua
natura ordinata alla verità in modo che, illuminata dalla fede, essa possa
penetrare il significato della Rivelazione. Contrariamente alle affermazioni
di molte correnti filosofiche, ma conformemente ad un retto modo di pensare
che trova conferma nella Scrittura, si deve riconoscere la capacità della
ragione umana di raggiungere la verità, così come la sua capacità metafisica
di conoscere Dio a partire dal creato[5]. 11. Il teologo, non dimenticando mai di essere anch’egli membro del Popolo di Dio, deve nutrire
rispetto nei suoi confronti e impegnarsi nel dispensargli un
insegnamento che non leda in alcun modo la dottrina della fede.
12.
La libertà di ricerca, che giustamente sta a cuore
alla comunità degli uomini di scienza come uno dei suoi beni più preziosi,
significa disponibilità ad accogliere la verità così come essa si presenta al
termine di una ricerca, nella quale non sia intervenuto alcun elemento
estraneo alle esigenze di un metodo che corrisponda all’oggetto studiato. III IL
MAGISTERO DEI PASTORI 13.
«Dio, con somma benignità, dispose che quanto egli aveva rivelato per la salvezza
di tutte le genti, rimanesse sempre integro e venisse
trasmesso a tutte le generazioni»[8]. Egli ha dato alla sua Chiesa, mediante
il dono dello Spirito Santo, una partecipazione alla propria infallibilità[9].
Il Popolo di Dio, grazie al «senso soprannaturale
della fede», gode di questa prerogativa, sotto la
guida del Magistero vivo della Chiesa, che, per l’autorità esercitata nel
nome di Cristo, è il solo interprete autentico della Parola di Dio, scritta o
trasmessa[10]. 14. Come
successori degli Apostoli, i Pastori della Chiesa «ricevono dal Signore... la
missione di insegnare a tutte le genti e di predicare il vangelo ad ogni
creatura, affinché tutti gli uomini... ottengano la salvezza»[11]. Ad essi è quindi affidato il compito di conservare, esporre e
diffondere la Parola di Dio, della quale sono servitori[12]. La missione del Magistero è quella
di affermare, coerentemente con la natura «escatologica» propria dell’evento
di Gesù Cristo, il carattere definitivo dell’Alleanza instaurata da Dio per
mezzo di Cristo con il suo popolo, tutelando quest’ultimo da deviazioni e
smarrimenti, e garantendogli la possibilità obiettiva di professare senza
errori la fede autentica, in ogni tempo e nelle diverse situazioni. Ne
consegue che il significato del Magistero ed il suo valore sono comprensibili
solo in relazione alla verità della dottrina
cristiana ed alla predicazione della Parola vera. La funzione del Magistero
non è quindi qualcosa di estrinseco alla verità
cristiana né di sovrapposto alla fede; essa emerge direttamente dall’economia
della fede stessa, in quanto il Magistero è, nel suo servizio alla Parola di
Dio, un’istituzione voluta positivamente da Cristo come elemento costitutivo
della Chiesa. Il servizio alla verità cristiana reso dal Magistero è perciò a
favore di tutto il Popolo di Dio, chiamato ad entrare in quella libertà della
verità che Dio ha rivelato in Cristo. 15. Perché possano adempiere
pienamente il compito loro affidato di insegnare il vangelo e di interpretare
autenticamente la Rivelazione, Gesù Cristo ha promesso ai Pastori della
Chiesa l’assistenza dello Spirito Santo. Egli li ha dotati in
particolare del carisma di infallibilità per quanto
concerne materie di fede e di costumi. L’esercizio di questo carisma può avere
diverse modalità. Si esercita in particolare quando
i vescovi, in unione con il loro capo visibile, mediante un atto collegiale, come nel caso dei concili ecumenici,
proclamano una dottrina, o quando il Pontefice romano, esercitando la sua
missione di Pastore e Dottore supremo di tutti i cristiani, proclama una
dottrina «ex cathedra»[13]. 16. Il compito di custodire
santamente e di esporre fedelmente il deposito della divina Rivelazione
implica, di sua natura, che il Magistero possa
proporre «in modo definitivo»[14] enunciati che, anche se non sono
contenuti nelle verità di fede, sono ad esse tuttavia intimamente connessi,
così che il carattere definitivo di tali affermazioni deriva, in ultima
analisi, dalla Rivelazione stessa[15]. 17. L’assistenza divina è data inoltre ai successori
degli Apostoli, che insegnano in comunione con il successore di Pietro,
e, in una maniera particolare, al Romano Pontefice, Pastore di tutta la
Chiesa, quando, senza giungere ad una definizione infallibile
e senza pronunciarsi in un «modo definitivo», nell’esercizio del loro magistero ordinario propongono un
insegnamento, che conduce ad una migliore comprensione della Rivelazione in
materia di fede e di costumi, e direttive morali derivanti da questo insegnamento. 18.
Il Pontefice Romano adempie la sua missione universale con l’aiuto degli
organismi della Curia Romana ed in particolare della Congregazione per la
Dottrina della Fede per ciò che riguarda la dottrina sulla fede e sulla morale.
Ne consegue che i documenti di questa Congregazione approvati espressamente
dal Papa partecipano al magistero
ordinario del successore di Pietro[18]. 19. Nelle Chiese particolari spetta al vescovo custodire
ed interpretare la Parola di Dio e giudicare con autorità ciò che le è
conforme o meno. L’insegnamento di ogni vescovo,
preso singolarmente, si esercita in comunione con quello del Pontefice
romano, Pastore della Chiesa universale, e con gli altri vescovi dispersi
per il mondo o riuniti in Concilio ecumenico. Questa comunione è
condizione della sua autenticità. 20. Il compito pastorale del Magistero, che ha lo scopo
di vigilare perché il Popolo di Dio rimanga nella verità che libera, è dunque
una realtà complessa e diversificata. Il teologo,
nel suo impegno al servizio della verità, dovrà, per restare fedele alla sua
funzione, tener conto della missione propria al Magistero e collaborare con esso. Come si deve intendere questa collaborazione?
Come si realizza concretamente e quali ostacoli può
incontrare? È ciò che occorre adesso esaminare più da vicino. IV MAGISTERO
E TEOLOGIA A. I rapporti di collaborazione
21.
Il Magistero vivo della Chiesa
e la teologia, pur avendo doni e funzioni diverse, hanno ultimamente il medesimo
fine: conservare il Popolo di Dio nella verità che libera e farne così la
«luce delle nazioni». Questo servizio alla comunità ecclesiale mette in
relazione reciproca il teologo con il Magistero. Quest’ultimo insegna autenticamente la
dottrina degli Apostoli e, traendo vantaggio dal lavoro teologico, respinge
le obiezioni e le deformazioni della fede, proponendo inoltre con l’autorità
ricevuta da Gesù Cristo nuovi approfondimenti, esplicitazioni e applicazioni
della dottrina rivelata. La teologia invece acquisisce, in
modo riflesso, un’intelligenza sempre più profonda della Parola di Dio,
contenuta nella Scrittura e trasmessa fedelmente dalla Tradizione viva della
Chiesa sotto la guida del Magistero, cerca di chiarire l’insegnamento della
Rivelazione di fronte alle istanze della ragione, ed
infine gli dà una forma organica e sistematica[20]. 22.
La collaborazione fra il teologo ed il Magistero si realizza
in modo speciale quando il teologo riceve la missione canonica o il mandato
di insegnare. Essa diventa allora, in un certo senso, una partecipazione
all’opera del Magistero al quale la collega un vincolo giuridico. Le regole
di deontologia che derivano per se stesse e con evidenza dal servizio alla
Parola di Dio vengono corroborate dall’impegno assunto dal teologo accettando il suo
ufficio ed emettendo la Professione di fede ed il Giuramento di fedeltà[21]. 23. Quando il
Magistero della Chiesa si pronuncia infallibilmente dichiarando
solennemente che una dottrina è contenuta nella Rivelazione, l’adesione
richiesta è quella della fede teologale. Questa adesione si estende
all’insegnamento del Magistero ordinario ed universale quando propone una
dottrina di fede come divinamente rivelata. 24. Infine il Magistero, allo scopo di servire nel
miglior modo possibile il Popolo di Dio, e in particolare per metterlo in
guardia nei confronti di opinioni pericolose che
possono portare all’errore, può intervenire su questioni dibattute nelle
quali sono implicati, insieme ai principi fermi, elementi congetturali e
contingenti. E spesso è solo a distanza
di un certo tempo che diviene possibile operare una distinzione fra ciò che è
necessario e ciò che è contingente. 25. Anche quando la collaborazione si svolge nelle condizioni
migliori, non è escluso che nascano tra il teologo ed il Magistero delle
tensioni. Il significato che a queste si conferisce e lo spirito con il quale
le si affronta non sono indifferenti: se le tensioni
non nascono da un sentimento di ostilità e di opposizione, possono
rappresentare un fattore di dinamismo ed uno stimolo che sospinge il
Magistero ed i teologi ad adempiere le loro rispettive funzioni praticando il
dialogo. 26. Nel dialogo deve dominare una duplice regola: là
ove la comunione di fede è in causa vale il principio dell’«unitas veritatis»; là ove rimangono delle divergenze che
non mettono in causa questa comunione, si salvaguarderà l’«unitas caritatis». 27. Anche se la dottrina
della fede non è in causa, il teologo non presenterà le sue opinioni o le sue
ipotesi divergenti come se si trattasse di conclusioni indiscutibili. Questa
discrezione è esigita dal rispetto della
verità così come dal rispetto per il Popolo di Dio (cf. Rm
14, 1-15; 1 Cor 8; 10, 23-33). Per gli stessi motivi egli
rinuncerà ad una loro espressione pubblica intempestiva. 28. Ciò che precede ha
un’applicazione particolare nel caso del teologo che trovasse
serie difficoltà, per ragioni che gli paiono fondate, ad accogliere un
insegnamento magisteriale non irreformabile. 29. In ogni caso non potrà mai venir meno un
atteggiamento di fondo di disponibilità ad accogliere
lealmente l’insegnamento del Magistero, come si conviene ad ogni credente nel
nome dell’obbedienza della fede. Il teologo si sforzerà pertanto di
comprendere questo insegnamento nel suo contenuto,
nelle sue ragioni e nei suoi motivi. A ciò egli consacrerà una
riflessione approfondita e paziente, pronto a rivedere le
sue proprie opinioni ed a esaminare le obiezioni che gli fossero fatte dai
suoi colleghi. 30. Se, malgrado un leale
sforzo, le difficoltà persistono, è dovere del teologo far conoscere alle
autorità magisteriali i problemi suscitati
dall’insegnamento in se stesso, nelle giustificazioni che ne sono proposte o
ancora nella maniera con cui è presentato. Egli lo farà in uno spirito
evangelico, con il profondo desiderio di risolvere le difficoltà. Le sue
obiezioni potranno allora contribuire ad un reale progresso, stimolando il
Magistero a proporre l’insegnamento della Chiesa in modo più approfondito e
meglio argomentato. 31.
Può anche accadere che al termine di un esame dell’insegnamento del
Magistero serio e condotto con volontà di ascolto
senza reticenze, la difficoltà rimanga, perché gli argomenti in senso opposto
sembrano al teologo prevalere. Davanti ad un’affermazione, alla quale non
sente di poter dare la sua adesione intellettuale, il suo dovere è di restare
disponibile per un esame più approfondito della questione. B. Il problema del dissenso. 32.
A più riprese il Magistero ha attirato l’attenzione sui gravi inconvenienti
arrecati alla comunione della Chiesa da quegli atteggiamenti di opposizione sistematica, che giungono perfino a costituirsi
in gruppi organizzati[25]. Nell'Esortazione apostolica Paterna cum benevolentia Paolo VI
ha proposto una diagnosi che conserva ancora tutta la sua pertinenza. In particolare qui si intende
parlare di quell’atteggiamento pubblico di opposizione al magistero della Chiesa, chiamato
anche «dissenso», e che occorre ben distinguere dalla situazione di
difficoltà personale, di cui si è trattato più sopra. Il fenomeno del
dissenso può avere diverse forme, e le sue cause remote o prossime sono
molteplici. 33. Il dissenso può rivestire diversi aspetti. Nella
sua forma più radicale, esso ha di mira il cambiamento della Chiesa secondo
un modello di contestazione ispirato da ciò che si fa nella società politica.
Più frequentemente si ritiene che il teologo sarebbe obbligato ad aderire all’insegnamento infallibile del Magistero,
mentre invece, adottando la prospettiva di una specie di positivismo
teologico, le dottrine proposte senza che intervenga il carisma
dell’infallibilità non avrebbero nessun carattere obbligatorio, lasciando al
singolo piena libertà di aderirvi o meno. Il teologo sarebbe quindi
totalmente libero di mettere in dubbio o di
rifiutare l’insegnamento non infallibile del Magistero, in particolare in
materia di norme morali particolari. Anzi con questa opposizione
critica egli contribuirebbe al progresso della dottrina. 34. La giustificazione del dissenso si appoggia in
generale su diversi argomenti, due dei quali hanno un carattere più fondamentale.
Il primo è di ordine ermeneutico:
i documenti del Magistero non sarebbero niente altro che il riflesso di una
teologia opinabile. Il secondo invoca il pluralismo teologico, spinto talora
fino ad un relativismo che mette in causa l'integrità della fede: gli interventi magisteriali
avrebbero la loro origine in una teologia fra molte altre, mentre nessuna
teologia particolare può pretendere di imporsi universalmente. In opposizione
ed in concorrenza con il magistero
autentico sorge così una specie di «magistero parallelo» dei teologi[27].
35. Il dissenso fa appello anche talvolta ad una argomentazione sociologica, secondo la quale
l’opinione di un gran numero di cristiani sarebbe un’espressione diretta ed
adeguata del «senso soprannaturale della fede». 36. La libertà dell’atto di fede non può giustificare
il diritto al dissenso. In realtà essa non significa affatto la libertà nei
confronti della verità, ma il libero auto-determinarsi
della persona in conformità con il suo obbligo morale di accogliere la
verità. L’atto di fede è un atto volontario, perché l'uomo, riscattato dal
Cristo Redentore e chiamato da lui all’adozione filiale (cf. Rm 8, 15; Gal 4, 5; Ef 1, 5; Gv 1,
12), non può aderire a Dio se non a condizione che, «attirato dal Padre» (Gv
6, 44), egli faccia a Dio l’omaggio ragionevole della sua fede (cf. Rm
12, 1). Come ha ricordato la Dichiarazione Dignitatis Humanae[35], nessuna autorità
umana ha il diritto di intervenire, con costrizioni o pressioni, in questa
scelta che supera i limiti delle sue competenze. Il rispetto del diritto alla
libertà religiosa è il fondamento del rispetto dell’insieme dei diritti dell’uomo. 37. In forza del mandato divino che gli è stato
dato nella Chiesa, il Magistero ha per missione di proporre l’insegnamento
del Vangelo, di vegliare sulla sua integrità e di proteggere così la fede del
Popolo di Dio. Per realizzare questo talvolta può essere condotto a prendere
delle misure onerose, come per esempio quando ritira ad un teologo che si
discosta dalla dottrina della fede la missione canonica o il mandato
dell’insegnamento che gli aveva affidato, ovvero dichiara che degli scritti
non sono conformi a questa dottrina. Agendo così esso intende essere
fedele alla sua missione, perché difende il diritto del Popolo di Dio a
ricevere il messaggio della Chiesa nella sua purezza e nella sua integralità,
e quindi a non essere turbato da un’opinione particolare pericolosa. 38. Infine l’argomentazione che si rifà al dovere di
seguire la propria coscienza non può legittimare il
dissenso. Innanzitutto perché questo dovere si esercita
quando la coscienza illumina il giudizio pratico in vista di una decisione da
prendere, mentre qui si tratta della verità di un enunciato dottrinale.
Inoltre perché se il teologo deve, come ogni credente, seguire la sua
coscienza, egli è anche tenuto a formarla. La coscienza non è una facoltà
indipendente ed infallibile, essa è un atto di giudizio morale che riguarda
una scelta responsabile. La coscienza retta è una coscienza
debitamente illuminata dalla fede e dalla legge morale oggettiva, e suppone
anche la rettitudine della volontà nel perseguimento del vero bene. 39. La Chiesa, traendo la sua origine dall’unità del
Padre, del Figlio e dello Spirito Santo[39], è un mistero di comunione,
organizzata, secondo la volontà del suo fondatore, intorno ad una gerarchia
stabilita per il servizio del Vangelo e del Popolo di Dio che ne vive. Ad
immagine dei membri della prima comunità, tutti i battezzati, con i carismi
che sono loro propri, devono tendere con cuore sincero verso un’unità
armoniosa di dottrina, di vita e di culto (cf. At 2, 42). È questa una
regola che scaturisce dall’essere stesso della Chiesa. Non si possono
pertanto applicare a quest’ultima, puramente e semplicemente, dei criteri
di condotta che hanno la loro ragione d’essere nella società civile o nelle
regole di funzionamento di una democrazia. Ancor meno, nei rapporti
all’interno della Chiesa, ci si può ispirare alla mentalità del mondo
circostante (cf. Rm 12, 2). Chiedere all’opinione maggioritaria
ciò che conviene pensare e fare, ricorrere contro il Magistero a pressioni
esercitate dall’opinione pubblica, addurre a pretesto un «consenso» dei
teologi, sostenere che il teologo sia il portaparola
profetico di una «base» o comunità autonoma che sarebbe così l’unica fonte
della verità, tutto questo denota una grave perdita del senso della verità e
del senso della Chiesa. 40.
La Chiesa è «come il sacramento, cioè il segno e lo
strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano»[40].
Di conseguenza ricercare la concordia e la comunione è aumentare la forza
della sua testimonianza e la sua credibilità; cedere invece alla tentazione del dissenso, è
lasciare che si sviluppino «fermenti di infedeltà allo Spirito Santo»[41]. 41.
Gli uni e gli altri avranno sempre presente che il Cristo è la Parola
definitiva del Padre (cf. Eb 1, 2) nel quale, come osserva San
Giovanni della Croce, «Dio ci ha detto tutto insieme
ed in una sola volta»[43], e che, come tale, egli è la Verità che libera (cf.
Gv 8, 36; 14, 6). Gli atti di adesione e di ossequio alla Parola affidata alla Chiesa
sotto la guida del Magistero si riferiscono in definitiva a Lui ed
introducono nello spazio della vera libertà. CONCLUSIONE 43.
Madre e perfetta Icona della Chiesa, la Vergine Maria è stata fin dagli inizi
del Nuovo Testamento proclamata beata, a motivo
della sua adesione di fede immediata e senza incertezze alla Parola di Dio
(cf. Lc 1, 38. 45), che continuamente conservava e meditava nel suo
cuore (cf. Lc 2, 19. 51). Ella è così
diventata, per tutto il Popolo di Dio affidato alla sua materna sollecitudine,
un modello ed un sostegno. Ella mostra ad esso la
via dell’accoglienza e del servizio della Parola, ed insieme il fine ultimo
da non perdere mai di vista: l’annuncio a tutti gli uomini e la realizzazione
della salvezza portata al mondo dal suo Figlio Gesù Cristo. Il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, nel
corso dell'Udienza concessa al sottoscritto Cardinale Prefetto, ha approvato la
presente Istruzione, decisa nella riunione ordinaria di questa Congregazione,
e ne ha ordinato la pubblicazione. Roma, dalla Sede della Congregazione per la Dottrina
della Fede, il 2 maggio 1990, nella solennità dell’Ascensione del Signore. [1] Costit. dogm. Dei Verbum, n.8. [2] Costit. dogm. Lumen
Gentium, n.12. [3] Cf.
S.BONAVENTURA, Prooem.in I Sent., q. 2, ad 6: «quando
fides non assentit propter
rationem, sed propter amorem eius cui assentit,
desiderat habere rationes». [4] Cf. GIOVANNI PAOLO II, Discorso in occasione della consegna del
premio internazionale Paolo VI a Hans Urs von Balthasar,
23 giugno 1984: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, VII,
1 (1984) 1911-1917. [5] Cf. Conc.
Vaticano I, Costit. dogm. De fide catholica,
De revelatione, can.1: DS 3026. [6] Decreto Optatam totius, n.15. [7] GIOVANNI PAOLO II, Discorso ai teologi
ad Altötting, 18 novembre 1980: AAS 73 (1981)
104; cf. anche PAOLO VI, Discorso ai membri della Commissione Teologica
Internazionale, 11 ottobre 1972: AAS 64 (1972) 682-683; GIOVANNI PAOLO
II, Discorso ai membri della Commissione Teologica Internazionale, 26
ottobre 1979: AAS 71 (1979) 1428-1433. [8] Costit. dogm. Dei Verbum, n.7. [9] Cf.
CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Dich. Mysterium
Ecclesiae, n. 2: AAS 65 (1973) 398s.. [10] Cf. Costit. dogm. Dei Verbum, n.10. [11] Costit. dogm. Lumen
Gentium, n.24. [12] Cf. Costit. dogm. Dei Verbum, n.10. [13] Cf. Costit. dogm. Lumen Gentium, n.25; CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Dich. Mysterium Ecclesiae,
n. 3: AAS 65 (1973) 400s.. [14] Cf. Professio Fidei et Iusiurandum fidelitatis: AAS 81 (1989) 104s: «omnia et singula quae circa doctrinam de fide vel moribus ab eadem
definitive proponuntur». [15] Cf. Costit. dogm. Lumen
Gentium, n.25; CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA
DELLA FEDE, Dich. Mysterium
Ecclesiae, nn.3-5:
AAS 65 (1973) 400-404; Professio fidei et
Iusiurandum fidelitatis:
AAS 81 (1989) 104s. [16] Cf. PAOLO VI, Encicl. Humanae vitae, n.4: AAS 60 (1968) 483. [17] Cf. Conc.
Vaticano I, Costit. dogm. Dei
Filius, Cap.2: DS 3005. [18] Cf. C.I.C. Can. 360-361; PAOLO VI, Costit. Apost. Regimini Ecclesiae universae,
15 agosto 1967, AAS 59 (1967) 897-899; GIOVANNI PAOLO II, Costit.
Apost. Pastor Bonus, 28
giugno 1988, AAS 80 (1988) 873-874. [19] Cf. Costit. dogm. Lumen Gentium, n. 22-23. Come è noto, a seguito della seconda Assemblea generale
straordinaria del Sinodo dei Vescovi, il Santo Padre ha affidato alla
Congregazione dei Vescovi l’incarico di approfondire lo «Status teologico-giuridico delle Conferenze Episcopali» [20] Cf. PAOLO VI, Discorso ai partecipanti al Congresso internazionale
sulla Teologia del Concilio Vaticano II, 1 ottobre 1966: AAS 58 (1966)
892s. [21] Cf. C.I.C. can.833;
Professio fidei et Iusiurandum
fidelitatis: AAS 81 (1989) 104s. [22] Il testo della
nuova Professione di fede (cf. nota 15) precisa l’adesione a questi
insegnamenti in questi termini: «Firmiter etiam amplector et retineo...» [23] Cf. Costit. dogm. Lumen Gentium,
n. 25; C.I.C. can. 752. [24] Cf. Costit. dogm. Lumen Gentium, n.25
par.1. [25] Cf. PAOLO VI, Esort. apost. Paterna cum benevolentia,
8 dicembre 1974: AAS 67 (1975) 5-23. Si veda anche CONGREGAZIONE PER
LA DOTTRINA DELLA FEDE, Dichiar. Mysterium Ecclesiae: AAS 65 (1973) 396-408. [26] Dichiar. Dignitatis Humanae, n.10. [27] L'idea di un
«magistero parallelo» dei teologi in opposizione e in concorrenza con il
magistero dei Pastori si appoggia talvolta su alcuni testi in cui San Tomaso
d’Aquino distingue fra «magisterium
cathedrae pastoralis» e «magisterium cathedrae magisterialis» (Contra
impugnantes, c.2; Quodlib. III, q.4, a.1 (9); In IV Sent. 19, 2, 2, q.3
sol.2 ad 4). In realtà questi testi non offrono
alcun fondamento a questa posizione, perché San Tomaso è assolutamente certo
che il diritto di giudicare in materia di dottrina spetta solo all’«officium praelationis». [28] Cf. PAOLO VI, Esort. apost. Paterna cum benevolentia, n.4: AAS 67 (1975) 14-15. [29] Cf. PAOLO VI, Discorso ai membri della Commissione Teologica
Internazionale, 11 ottobre 1973: AAS 65 (1973) 555-559. [30] Cf. GIOVANNI
PAOLO II, Encicl. Redemptor
Hominis, n.19: AAS 71
(1979) 308; Discorso ai fedeli di Managua, 4
marzo 1983, n.7: AAS 75 (1983) 723; Discorso ai
religiosi a Guatemala, 8 marzo 1983, n.3: AAS
75 (1983) 746; Discorso ai Vescovi a Lima, 2 febbraio 1985, n.5: AAS 77 (1985) 874; Discorso alla Conferenza dei
Vescovi belgi a Malines, 18 maggio 1985, n.5: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, VIII, 1
(1985) 1481; Discorso ad alcuni Vescovi americani in visita ad limina, 15 ottobre 1988,
n.6: L’Osservatore Romano, 16 ottobre 1988,
p.4. [31] Cf. GIOVANNI
PAOLO II, Esort. apost. Familiaris Consortio, n.5:
AAS 74 (1982) 85-86. [32] Cf. la formula
del Concilio di Trento, sess. VI,
cap. 9: fides «cui non potest subesse
falsum»: DS 1534; cf. SAN TOMASO D’AQUINO, Summa
Theologiae, II-II, q.1,
a.3, ad 3: «Possibile est enim hominem fidelem ex coniectura humana falsum aliquid aestimare. Sed quod ex fide falsum aestimet, hoc est impossibile». [33] Cf. Costit. dogm. Lumen
Gentium, n.12. [34] Cf. Costit. dogm. Dei Verbum, n. 10. [35] Cf. Dichiar. Dignitatis Humanae, nn.9-10. [36] ibid., n.1. [37] Cf. GIOVANNI
PAOLO II, Costit. Apost. Sapientia Christiana, 15 aprile 1979, n.27,1:
AAS 71 (1979) 483; C.I.C can.812. [38] Cf. PAOLO VI, Esort. apost. Paterna cum benevolentia,
n.4: AAS 67 (1975) 15. [39] Cf. Costit. dogm. Lumen Gentium, n.4. [40] ibid., n.1. [41] Cf. PAOLO VI, Esort. apost. Paterna cum benevolentia,
n. 2-3: AAS 67 (1975) 10-11. [42] Cf. GIOVANNI
PAOLO II, Esort. apost. post-sinodale Christifideles
laici, n. 32-35: AAS 81 (1989) 451-459. [43] SAN GIOVANNI DELLA CROCE, Salita al Monte Carmelo, II 22,3. |