BEATO PIO IX PAPA
Con quanta
cura e pastorale vigilanza i Romani Pontefici Predecessori Nostri, eseguendo
l’ufficio loro affidato dallo stesso Cristo Signore nella persona del
Beatissimo Pietro, Principe degli Apostoli, e l’incarico di pascere gli
agnelli e le pecore, non abbiano mai tralasciato di nutrire diligentemente
tutto il gregge del Signore con le parole della fede, di educarlo con la
salutare dottrina e di rimuoverlo dai pascoli velenosi, a tutti ed a Voi in
particolare, Venerabili Fratelli, è chiaro e manifesto. Invero i predetti
Nostri Predecessori dell’augusta Religione cattolica – difensori e garanti
della verità e della giustizia, sommamente solleciti della salute delle anime
– non ebbero a cuore niente di più che individuare e condannare, con le loro
sapientissime Lettere e Costituzioni, tutte le eresie e gli errori i quali,
avversando la divina nostra fede, la dottrina della Chiesa cattolica,
l’onestà dei costumi e l’eterna salute degli uomini, spesso suscitarono gravi
tempeste e funestarono in modo devastante la cristiana e la civile
repubblica. Pertanto i suddetti Nostri Predecessori con apostolica forza continuamente
resistettero alle nefande macchinazioni di uomini iniqui che, schizzando come
i flutti di procelloso mare la spuma delle loro fallacie e promettendo
libertà mentre sono schiavi della corruzione, con le loro opinioni
ingannevoli e con i loro scritti perniciosissimi si sono sforzati di demolire
le fondamenta della Religione cattolica e della società civile, di levare di
mezzo ogni virtù e giustizia, di depravare gli animi e le menti di tutti, di
sviare dalla retta disciplina dei costumi gl’incauti, e principalmente la
gioventù impreparata, e di corromperla miseramente, di imprigionarla nei
lacci degli errori e infine di strapparla dal seno della Chiesa cattolica. Intanto,
come a Voi, Venerabili Fratelli, è ben noto, poiché per un’arcana decisione
della divina provvidenza, non certo per qualche Nostro merito, fummo
innalzati a questa Cattedra di Pietro, vedendo Noi con estremo dolore del
Nostro animo l’orribile procella sollevata da tante prave opinioni e i
gravissimi, e non mai abbastanza lacrimabili danni che da tanti errori
ridondano sul popolo cristiano, per dovere del Nostro Apostolico Ministero,
seguendo le vestigia illustri dei Nostri Predecessori, alzammo la Nostra voce
e con parecchie Lettere Encicliche divulgate per mezzo della stampa, con le
Allocuzioni tenute nel Concistoro e con altre Lettere Apostoliche condannammo
i principali errori della tristissima età nostra, e stimolammo la Vostra
esimia vigilanza episcopale, ammonimmo con ogni Nostro potere ed esortammo
tutti i figli della Chiesa cattolica a Noi carissimi che avessero in sommo
abominio l’infezione di una peste così crudele e la fuggissero. Specialmente
poi con la Nostra prima Lettera Enciclica del 9 novembre 1846 e con due
Allocuzioni (delle quali una fu tenuta da Noi nel Concistoro del 9 dicembre
1854, e l’altra in quello del 9 giugno 1862) condannammo le mostruose
enormità delle opinioni che segnatamente dominano in questa nostra età, con
grandissimo danno delle anime e con detrimento della stessa civile società,
le quali non solo avversano la Chiesa cattolica, la sua salutare dottrina e i
suoi venerandi diritti, ma altresì la sempiterna legge naturale scolpita da
Dio nei cuori di tutti e la retta ragione; da tali opinioni traggono origine
quasi tutti gli altri errori. Ma
quantunque non abbiamo omesso di bandire spesso e di riprovare i più capitali
errori di tal fatta, nondimeno la causa della Chiesa cattolica, la salute
delle anime a Noi divinamente affidate e il bene della stessa società umana
richiedono assolutamente che di nuovo eccitiamo la Vostra pastorale
sollecitudine a sconfiggere altre prave opinioni, che scaturiscono dai
predetti errori come da fonte. Tali false e perverse opinioni tanto più sono
da detestare, in quanto mirano in special modo a far sì che sia impedita e rimossa
quella salutare forza che la Chiesa cattolica, per istituzione e mandato del
suo divino Autore, deve liberamente esercitare fino alla consumazione dei
tempi, sia verso i singoli uomini, sia verso le nazioni, i popoli e i supremi
loro Principi: esse operano affinché sia tolta di mezzo quella mutua società
e concordia fra il Sacerdozio e l’Impero, che sempre riuscirono fauste e
salutari alle cose sia sacre, sia civili . Infatti Voi sapete molto bene,
Venerabili Fratelli, che in questo tempo si trovano non pochi i quali,
applicando al civile consorzio l’empio ed assurdo principio del naturalismo (come lo chiamano) osano
insegnare che "l’ottima regione
della pubblica società e il civile progresso richiedono che la società umana si
costituisca e si governi senza avere alcun riguardo per la religione, come se
questa non esistesse o almeno senza fare alcuna differenza tra la vera e le
false religioni". Contro la dottrina delle sacre Lettere
della Chiesa e dei Santi Padri, non dubitano di affermare "essere ottima la condizione della società
nella quale non si riconosce nell’Impero il dovere di reprimere con pene
stabilite i violatori della Religione cattolica, se non in quanto lo chieda
la pubblica pace". Con tale idea di governo sociale, assolutamente
falsa, non temono di caldeggiare l’opinione sommamente dannosa per la Chiesa
cattolica e per la salute delle anime, dal Nostro Predecessore Gregorio XVI
di venerata memoria chiamata delirio,
cioè "la libertà di coscienza e
dei culti essere un diritto proprio di ciascun uomo che si deve proclamare e
stabilire per legge in ogni ben ordinata società ed i cittadini avere diritto
ad una totale libertà che non deve essere ristretta da nessuna autorità
ecclesiastica o civile, in forza della quale possano palesemente e
pubblicamente manifestare e dichiarare i loro concetti, quali che siano, sia
con la parola, sia con la stampa, sia in altra maniera". E mentre affermano ciò temerariamente, non pensano
e non considerano che essi predicano "la libertà della perdizione" , e che "se in nome delle umane convinzioni sia
sempre libero il diritto di disputare, non potranno mai mancare coloro che
osano resistere alla verità e confidano nella loquacità della sapienza umana,
mentre la fede e la sapienza cristiane debbono evitare questa nociva vanità,
in linea con la stessa istituzione del Signor Nostro Gesù Cristo" . E poiché nei luoghi nei
quali la religione è stata rimossa dalla società civile o nei quali la
dottrina e l’autorità della rivelazione divina sono state ripudiate, anche lo
stesso autentico concetto della giustizia e del diritto umano si copre di
tenebre e si perde, ed in luogo della giustizia vera e del diritto legittimo
si sostituisce la forza materiale, quindi si
fa chiaro il perché alcuni, spregiando completamente e nulla valutando i
principi certissimi della sana ragione, ardiscono proclamare che "la volontà del popolo manifestata
attraverso l’opinione pubblica (come essi dicono) o in altro modo costituisce una sovrana legge, sciolta da qualunque
diritto divino ed umano, e nell’ordine Politico i fatti consumati, per ciò
stesso che sono consumati, hanno forza di diritto". Ma chi
non vede e non sente pienamente che una società di uomini sciolta dai vincoli
della religione e della vera giustizia non può avere altro proposito fuorché
lo scopo di acquisire e di accumulare ricchezze, e non può seguire nelle sue
operazioni altra legge fuorché un’indomita cupidigia di servire alle proprie
voluttà e comodità? Conseguentemente questi uomini, con odio veramente
acerbo, perseguitano le Famiglie Religiose, quantunque sommamente benemerite
della cosa cristiana, civile e letteraria, e vanno dicendo che esse non hanno
alcuna ragione di esistere, e con ciò applaudono le idee degli eretici.
Infatti, come sapientissimamente insegnava Pio VI, Nostro Predecessore di
venerata memoria, "l’abolizione
dei regolari lede lo stato di pubblica professione dei consigli evangelici,
lede una maniera di vita raccomandata nella Chiesa come consentanea alla
dottrina Apostolica, lede gli stessi insigni fondatori che veneriamo sopra
gli altari, i quali non ispirati che da Dio istituirono queste società"
. Ed affermano altresì empiamente doversi togliere ai cittadini e alla Chiesa
la facoltà "di potere
pubblicamente erogare elemosine per motivo di cristiana carità", e
doversi abolire la legge "che per
ragione del culto divino proibisce le opere servili in certi determinati
giorni" con il fallace pretesto che quella facoltà e quella legge
contrastano con i principi della migliore economia pubblica. Né contenti di
allontanare la religione dalla pubblica società, vogliono rimuoverla anche
dalle famiglie private. Infatti, insegnando e professando il funestissimo
errore del Comunismo e del Socialismo dicono che "la società domestica, cioè la famiglia,
riceve dal solo diritto civile ogni ragione della propria esistenza, e che
pertanto dalla sola legge civile procedono e dipendono tutti i diritti dei
genitori sui figli, principalmente quello di curare la loro istruzione e la
loro educazione". Con tali empie opinioni e macchinazioni codesti
fallacissimi uomini intendono soprattutto eliminare dalla istruzione e dalla
educazione la dottrina salutare e la forza della Chiesa cattolica, affinché i
teneri e sensibili animi dei giovani vengano miseramente infettati e
depravati da ogni sorta di errori perniciosi e di vizi. Infatti, tutti coloro che si sono sforzati di
turbare le cose sacre e le civili, e sovvertire il retto ordine della società
e cancellare tutti i diritti divini ed umani, rivolsero sempre i loro
disegni, studi e tentativi ad ingannare specialmente e a corrompere
l’improvvida gioventù, come sopra accennammo, e nella corruzione della
medesima riposero ogni loro speranza. Pertanto non cessano mai con
modi totalmente nefandi di vessare l’uno e l’altro Clero da cui, come viene
splendidamente attestato dai certissimi monumenti della storia, tanti grandi
vantaggi derivarono alla cristiana, civile e letteraria repubblica; e vanno
dicendo che "il Clero, come nemico
del vero ed utile progresso della scienza e della civiltà, deve essere
rimosso da ogni ingerenza ed ufficio nella istruzione e nella educazione dei
giovani". Altri poi, rinnovando le
prave e tante volte condannate affermazioni dei novatori, ardiscono con
rilevante impudenza sottomettere all’arbitrio dell’autorità civile la suprema
autorità della Chiesa e di questa Sede Apostolica, ad essa affidata da Cristo
Signore, e di negare alla Chiesa e alla Sede Apostolica tutti i diritti che a
loro appartengono intorno alle cose che si riferiscono all’ordine esterno.
Infatti costoro non si vergognano di affermare che "le leggi della Chiesa non obbligano in coscienza se non quando
vengono promulgate dal potere civile; che gli atti e i decreti dei Romani
Pontefici relativi alla Religione e alla Chiesa hanno bisogno della sanzione
e dell’approvazione, o almeno dell’assenso, del Potere civile; che le
Costituzioni Apostoliche con le
quali sono condannate le associazioni clandestine, sia che in esse si esiga,
sia che non si esiga il giuramento di mantenere il segreto, e con le quali
sono fulminati di anatema i loro
seguaci e fautori, non hanno vigore in quelle contrade dove siffatte
associazioni sono tollerate dal governo civile; che la scomunica inflitta dal
Concilio di Trento e dai Romani Pontefici a coloro i quali invadono ed
usurpano i diritti e i beni della Chiesa si appoggia alla confusione
dell’ordine spirituale col civile e politico, per promuovere il solo bene
mondano; che la Chiesa non deve decretare nulla che possa costringere le
coscienze dei fedeli in ordine all’uso delle cose temporali; che alla Chiesa
non compete il diritto di reprimere con pene temporali i violatori delle sue
leggi; che sia conforme alla sacra teologia ed ai principi del diritto
pubblico attribuire e rivendicare al governo civile la proprietà dei beni
posseduti dalle Chiese, dalle Famiglie Religiose e dagli altri luoghi pii". Né arrossiscono di
professare apertamente e pubblicamente le parole e i principi degli eretici,
da cui nascono tante perverse sentenze ed errori. Essi ripetono che "la potestà ecclesiastica non è per diritto
divino distinta ed indipendente dalla potestà civile, e che questa
distinzione e questa indipendenza non possono essere mantenute senza che da
parte della Chiesa non si usurpino i diritti essenziali della potestà
civile". Né possiamo passare sotto
silenzio l’audacia di coloro che, intolleranti della sana dottrina,
pretendono "che si possa, senza
peccato e pregiudizio della professione cattolica, negare l’assenso e
l’obbedienza a quei decreti e a quelle disposizioni della Sede Apostolica che
hanno per oggetto il bene generale della Chiesa, i suoi diritti e la sua
disciplina, purché essi non tocchino i dogmi della fede e dei costumi".
Quanto ciò grandemente contrasti con il dogma cattolico della piena potestà del
Romano Pontefice, divinamente conferitagli dallo stesso Cristo Signore in
ordine a pascere, reggere e governare la Chiesa universale, non è chi
apertamente e chiaramente non vegga ed intenda. Noi dunque, in tanta
perversità di depravate opinioni, ben memori del Nostro apostolico ufficio e
massimamente solleciti della santissima nostra religione, della sana dottrina
e della salute delle anime affidateci da Dio, e del bene della stessa società
umana, abbiamo ritenuto di dovere nuovamente elevare la Nostra apostolica
voce. Pertanto, tutte e singole le prave opinioni e dottrine espresse
nominatamente in questa Lettera, con la Nostra autorità apostolica
riproviamo, proscriviamo e condanniamo; e vogliamo e comandiamo che esse
siano da tutti i figli della Chiesa cattolica tenute per riprovate,
proscritte e condannate. Ma,
oltre a queste, Voi ben sapete, Venerabili Fratelli, che nel presente tempo
altre empie dottrine d’ogni genere vengono disseminate dai nemici di ogni
verità e giustizia con pestiferi libri, libelli e giornali sparsi per tutto
il mondo, con i quali essi illudono i popoli e maliziosamente mentiscono. Né
ignorate come anche in questa nostra età si trovino alcuni che, mossi ed
incitati dallo spirito di Satana, pervennero a tanta empietà da non paventare
di negare con scellerata impudenza lo stesso Dominatore e Signore Nostro Gesù
Cristo ed impugnare la sua Divinità. E qui non possiamo
astenerci dall’elogiare con massime e meritate lodi Voi, Venerabili Fratelli,
che in nessun modo tralasciaste di elevare con tutto zelo la Vostra voce
episcopale contro tanta nequizia. Pertanto, con questa
Nostra Lettera riprendiamo con tanto affetto il discorso con Voi che,
chiamati a partecipare della Nostra sollecitudine, Ci siete di sommo
conforto, letizia e consolazione in mezzo alle gravissime Nostre angosce, per
l’egregia religione e pietà per cui Vi siete segnalati, e per quel
meraviglioso amore, per la fedeltà e per l’osservanza con cui, stretti a Noi
ed a quest’Apostolica Sede con cuori concordi, Vi sforzate di adempiere
strenuamente e diligentemente al Vostro gravissimo ministero episcopale. In
verità, dall’esimio Vostro zelo pastorale Ci aspettiamo che, impugnando la
spada dello spirito, che è la parola di Dio, e confortati nella grazia del
Signore Nostro Gesù Cristo, vogliate con
rinforzate cure ogni giorno più provvedere a che i fedeli affidati alla
Vostra sollecitudine "si astengano
dalle erbe nocive che Gesù Cristo non coltiva perché non sono piantagione del
Padre" . Né mancate d’inculcare sempre agli stessi fedeli che
ogni vera felicità ridonda negli uomini dall’augusta nostra religione, dalla
sua dottrina e dalla sua pratica: è beato quel popolo il cui Signore è il suo
Dio (Sal 144,15). Insegnate "che
sul fondamento della fede cattolica restano saldi i regni , e nulla è così mortifero, così vicino al
precipizio, così esposto a tutti i pericoli, come il credere che ci possa
bastare di aver ricevuto, quando nascemmo, il libero arbitrio, e non occorra
domandare più altro al Signore: questo è dimenticare il nostro creatore e
rinnegare, per mostrarci liberi, la sua potenza" . Né trascurate
parimenti d’insegnare "che la
reale potestà non fu data solamente per il governo del mondo, bensì
soprattutto per il presidio della Chiesa , e nulla vi è che ai Principi e ai Re possa recare maggior profitto e
gloria quanto, come un altro sapientissimo e fortissimo Nostro Predecessore,
San Felice, inculcava a Zenone imperatore: lasciare che la Chiesa
cattolica... si serva delle sue leggi, e non permettere che alcuno si opponga
alla sua libertà... Giacché è certo che sarà loro utile che, quando si tratta
della causa di Dio, si studino, secondo la Sua legge, non di anteporre ma di
sottoporre la regia volontà ai Sacerdoti di Cristo" . Ma se fu sempre
necessario, Venerabili Fratelli, ora specialmente, in mezzo a così grandi
calamità della Chiesa e della società civile, in tanta cospirazione di
avversari contro il cattolicesimo e questa Sede Apostolica, e fra così gran
cumulo di errori, è assolutamente indispensabile che ricorriamo con fiducia
al trono della grazia per ottenere misericordia e trovare benevolenza
nell’aiuto opportuno. Perciò abbiamo ritenuto giusto eccitare la devozione di
tutti i fedeli affinché, insieme con Noi e con Voi, con fervidissime ed
umilissime preci preghino e supplichino incessantemente il clementissimo
Padre della luce e delle misericordie; nella pienezza della fede ricorrano
sempre al Signore Nostro Gesù Cristo, che ci redense a Dio nel Sangue Suo; e
caldamente e continuamente implorino il Suo dolcissimo Cuore, vittima della
Sua ardentissima carità verso di noi, perché coi vincoli del Suo amore attiri
tutto a se stesso, e tutti gli uomini, infiammati del Suo santissimo amore,
camminino rettamente secondo il Cuore Suo, in tutto piacendo a Dio e
fruttificando in ogni opera buona. Ed essendo, senza dubbio, più gradite a
Dio le preghiere degli uomini se questi ricorrono a Lui con l’animo mondo da
ogni macchia, perciò abbiamo creduto giusto aprire con apostolica liberalità
i celesti tesori della Chiesa affidati alla Nostra dispensazione, perché gli
stessi fedeli più intensamente accesi alla vera pietà e lavati dalle macchie
dei peccati nel Sacramento della Penitenza, con maggiore fiducia volgano a
Dio le loro preghiere e conseguano la Sua grazia e la Sua misericordia. Dunque con questa
Lettera, con la Nostra autorità Apostolica, a tutti e ai singoli fedeli del
mondo cattolico di ambo i sessi concediamo l’Indulgenza Plenaria in forma di
Giubileo per il periodo solamente di un mese, fino a tutto il prossimo anno
1865, e non oltre, da stabilirsi da Voi, Venerabili Fratelli, e dagli altri
legittimi Ordinari, nello stesso modo e forma in cui all’inizio del sommo
Nostro Pontificato lo concedemmo con l’apostolica Nostra Lettera in forma di
Breve del 20 novembre 1846 e mandata a tutto il vostro Ordine episcopale, la
quale comincia "Arcanae Divinae
Providentiae consilio", e con tutte le stesse facoltà che con detta
Lettera furono da Noi concesse. Vogliamo però che si osservino tutte quelle
cose che sono prescritte in detta Lettera, e si eccettuino quelle che
dichiarammo eccettuate. Ciò concediamo, nonostante le cose contrarie,
qualunque siano, ancorché degne di speciale ed individua menzione e deroga. E
perché siano eliminati ogni dubbio e difficoltà, abbiamo disposto che Vi si mandi
copia di tale Lettera. "Preghiamo, Venerabili Fratelli,
dall’intimo del cuore e con tutta l’anima, la misericordia di Dio, perché
Egli stesso disse: "Non disperderò la mia misericordia da
loro". Domandiamo e riceveremo, e
se vi saranno indugio e ritardo nel ricevere, poiché peccammo gravemente,
bussiamo, perché a chi bussa verrà aperto, purché alla porta si bussi con le
preghiere, con i gemiti e con le lacrime nostre, con le quali bisogna
insistere e durare; e se sia unanime la nostra orazione... ciascuno preghi
Dio non solamente per sé, ma per tutti i fratelli, così come il Signore ci
insegnò a pregare" . E perché il
Signore più facilmente si pieghi alle preghiere Nostre, Vostre e di tutti i
fedeli, con ogni fiducia adoperiamo presso di Lui come interceditrice l’Immacolata
e Santissima Vergine Maria, Madre di Dio, la quale uccise tutte le eresie
nell’universo mondo, e madre amantissima di tutti noi "è tutta soave... e piena di
misericordia... a tutti si offre indulgente, a tutti clementissima; e con un
sicuro amplissimo affetto ha compassione delle necessità di tutti" ;
come Regina che sta alla destra dell’Unigenito Figlio suo, il Signore Nostro
Gesù Cristo, in manto d’oro e riccamente vestita, nulla esiste che da Lui non
possa impetrare. Domandiamo anche l’aiuto del Beatissimo Pietro,
Principe degli Apostoli, e del suo Coapostolo Paolo e di tutti i Santi che,
divenuti già amici di Dio, pervennero al regno celeste e, coronati,
posseggono la palma; sicuri della loro immortalità, sono solleciti della
nostra salvezza. Infine, invocando da Dio, con tutto l’animo, su di Voi l’abbondanza di tutti i doni celesti, come pegno della singolare Nostra benevolenza verso di Voi, con tanto amore impartiamo l’Apostolica Benedizione che viene dall’intimo del Nostro cuore a Voi stessi, Venerabili Fratelli, ed a tutti i Chierici e Laici fedeli affidati alle Vostre cure. Dato a Roma, presso San Pietro, 1’8 dicembre dell’anno 1864, decimo dopo la dogmatica Definizione dell’Immacolata Concezione della Vergine Maria Madre di Dio, anno decimonono del Nostro Pontificato. SILLABO DEI PRINCIPALI ERRORI DELL’ETÀ NOSTRA,
CHE SON NOTATI NELLE
ALLOCUZIONI CONCISTORIALI,
NELLE ENCICLICHE E IN
ALTRE LETTERE APOSTOLICHE DEL SS. SIGNOR NOSTRO
PAPA PIO
IX I - Panteismo, naturalismo e razionalismo assoluto
I. Non esiste niun
Essere divino, supremo, sapientissimo, provvidentissimo, che sia distinto da
quest’universo, e Iddio non è altro che la natura delle cose, e perciò va
soggetto a mutazioni, e Iddio realmente vien fatto nell’uomo e nel mondo, e
tutte le cose sono Dio ed hanno la sostanza stessissima di Dio; e Dio è una
sola e stessa cosa con il mondo, e quindi si identificano parimenti tra loro,
spirito e materia, necessità e libertà, vero e falso, bene e male, giusto ed
ingiusto. Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862. II. È da negare
qualsiasi azione di Dio sopra gli uomini e il mondo. Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862. III. La ragione umana è
l’unico arbitro del vero e del falso, del bene e del male indipendentemente
affatto da Dio; essa è legge a se stessa, e colle sue forze naturali basta a
procurare il bene degli uomini e dei popoli. Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862. IV. Tutte le verità
religiose scaturiscono dalla forza nativa della ragione umana; laonde la
ragione è la prima norma, per mezzo di cui l’uomo può e deve conseguire la
cognizione di tutte quante le verità, a qualsivoglia genere esse
appartengano. Encicl. Qui pluribus,
9 novembre 1846. Encicl. Singulari
quidem, 17 marzo 1856. Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862. V. La rivelazione divina
è imperfetta, e perciò soggetta a processo continuo e indefinito,
corrispondente al progresso della ragione umana. Encicl. Qui pluribus,
9 novembre 1846. Alloc. Maxima
quidem, 9 giugno 1862. VI. La fede di Cristo si
oppone alla umana ragione; e la rivelazione divina non solo non giova a
nulla, ma nuoce anzi alla perfezione dell’uomo. Encicl. Qui pluribus,
9 novembre 1846. Alloc. Maxima
quidem, 9 giugno 1862. VII. Le profezie e i
miracoli esposti e narrati nella sacra Scrittura sono invenzioni di poeti, e
i misteri della fede cristiana sono il risultato di indagini filosofiche; e i
libri dell’Antico e Nuovo Testamento contengono dei miti; e Gesù stesso è un
mito. Encicl. Qui pluribus,
9 novembre 1846. Alloc. Maxima
quidem, 9 giugno 1862. II - Razionalismo moderato
VIII. Siccome la ragione
umana si equipara colla stessa religione, perciò le discipline teologiche si
devono trattare al modo delle filosofiche. Alloc. Singulari quadam perfusi, 9 dicembre 1854. IX. Tutti
indistintamente i dommi della religione cristiana sono oggetto della naturale
scienza ossia filosofia, e l’umana ragione, storicamente solo coltivata, può
colle sue naturali forze e principi pervenire alla vera scienza di tutti i dommi,
anche i più reconditi, purché questi dommi siano stati alla stessa ragione
proposti. Lett. all’Arciv. di Frisinga Gravissimas, 11 dicembre 1862. Lett. al medesimo Tuas libenter, 21 dicembre 1862. X. Altro essendo il
filosofo ed altro la filosofia, quegli ha diritto e ufficio di sottomettersi
alle autorità che egli ha provato essere vere: ma la filosofia né può, né
deve sottomettersi ad alcuna autorità. Lett. all’Arciv. di Frisinga Gravissimas, 11 dicembre 1862. Lett. al medesimo Tuas libenter, 21 dicembre 1862. XI. La Chiesa non solo
non deve mai correggere la filosofia, ma anzi deve tollerarne gli errori e
lasciare che essa corregga se stessa. Lett. all’Arciv. di Frisinga Gravissimas, 11 dicembre 1862. XII. I decreti della
Sede apostolica e delle romane Congregazioni impediscono il libero progresso
della scienza. Lett. all’Arciv. di Frisinga Tuas libenter, 21
dicembre 1862. XIII. Il metodo e i
principi, coi quali gli antichi Dottori scolastici coltivarono la teologia,
non si confanno alle necessità dei nostri tempi e al progresso delle scienze. Lett. all’Arciv. di Frisinga Tuas libenter, 21
dicembre 1862. XIV. La filosofia si
deve trattare senza aver riguardo alcuno alla soprannaturale rivelazione. Lett. all’Arciv. di Frisinga Tuas libenter, 21
dicembre 1862. N. B. – Col sistema del razionalismo sono in
massima parte uniti gli errori di Antonio Günther, che vengono condannati
nella Lett. al Card. Arciv. di Colonia, Eximiam
tuam, 15 giugno 1847, e nella Lett. al Vesc. di Breslavia, Dolore haud mediocri, 30 aprile 1860. III - Indifferentismo, latitudinarismo
XV. È libero ciascun
uomo di abbracciare e professare quella religione che, sulla scorta del lume
della ragione, avrà reputato essere vera. Lett. Apost. Multiplices
inter, 10 giugno 1851. Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862. XVI. Gli uomini
nell’esercizio di qualsivoglia religione possono trovare la via della eterna
salvezza, e conseguire l’eterna salvezza. Encicl. Qui pluribus,
9 novembre 1846. Alloc. Ubi
primum, 17 dicembre 1847. Encicl. Singulari quidem, 17 marzo 1856. XVII. Almeno si deve bene sperare della eterna
salvezza di tutti coloro che non sono nella vera Chiesa di Cristo. Alloc. Singulari quadam, 9 dicembre 1854. Encicl. Quanto conficiamur, 17 agosto 1863. XVIII. Il protestantesimo non è altro che una
forma diversa della medesima vera religione cristiana, nella quale egualmente
che nella Chiesa cattolica si può piacere a Dio. Encicl. Noscitis et
Nobiscum, 8 dicembre 1849. IV - Socialismo, comunismo, società segrete, società
bibliche, società clerico-liberali Tali pestilenze, spesso, e
con gravissime espressioni, sono riprovate nella Epist. Encicl. Qui pluribus,
9 novembre 1846; nella Alloc. Quibus quantisque, 20 aprile 1849: nella Epist.
Encicl. Nostis et Nobiscum, 8 dicembre 1849; nella Alloc. Singulari quadam, 9
dicembre 1854; nell’Epist. Quanto conficiamur, 10 agosto 1863. V - Errori sulla Chiesa e suoi diritti
XIX. La Chiesa non è una vera e perfetta società
pienamente libera, né è fornita di suoi propri e costanti diritti,
conferitile dal suo divino Fondatore, ma tocca alla potestà civile definire
quali siano i diritti della Chiesa e i limiti entro i quali possa esercitare
detti diritti. Alloc. Singulari quadam, 9 dicembre 1854. Alloc. Multis gravibusque, 18 dicembre 1860. Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862. XX. La potestà ecclesiastica non deve esercitare
la sua autorità senza licenza e consenso del governo civile. Alloc. Meminit
unusquisque, 30 settembre 1861. XXI. La Chiesa non ha
potestà di definire dommaticamente che la religione della Chiesa cattolica
sia l’unica vera religione. Lett. Apost. Multiplices
inter, 10 giugno 1851. XXII. L’obbligazione che
vincola i maestri e gli scrittori cattolici, si riduce a quelle cose
solamente, che dall’infallibile giudizio della Chiesa sono proposte a
credersi da tutti come dommi di fede. Lett. all’Arciv. di Frisinga Tuas libenter, 21
dicembre 1862. XXIII. I Romani
Pontefici ed i Concilii ecumenici si scostarono dai limiti della loro
potestà, usurparono i diritti dei Principi, ed anche nel definire cose di
fede e di costumi errarono. Lett. Apost. Multiplices
inter, 10 giugno 1851. XXIV. La Chiesa non ha
potestà di usare la forza, né alcuna temporale potestà diretta o indiretta. Lett. Apost. Ad
Apostolicae, 22 agosto 1851. XXV. Oltre alla potestà inerente all’episcopato,
ve n’è un’altra temporale che è stata ad esso concessa o espressamente o
tacitamente dal civile impero il quale per conseguenza la può revocare,
quando vuole. Lett. Apost. Ad
apostolicae, 22 agosto 1851. XXVI. La Chiesa non ha connaturale e legittimo
diritto di acquistare e di possedere. Alloc. Nunquam
fore, 15 dicembre 1856. Lett. Encicl. Incredibili, 17 settembre 1863. XXVII. I sacri ministri della Chiesa ed il Romano
Pontefice debbono essere assolutamente esclusi da ogni cura e da ogni dominio
di cose temporali. Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862. XXVIII. Ai Vescovi, senza il permesso del Governo,
non è lecito neanche promulgare le Lettere apostoliche. Alloc. Nunquam
fore, 15 dicembre 1856. XXIX. Le grazie concesse dal Romano Pontefice si
debbono stimare irrite, quando non sono state implorate per mezzo del
Governo. Alloc. Nunquam
fore, 15 dicembre 1856. XXX. L’immunità della Chiesa e delle persone
ecclesiastiche ebbe origine dal diritto civile. Lett. Apost. Multiplices
inter, 10 giugno 1851. XXXI. Il foro ecclesiastico per le cause temporali
dei chierici, siano esse civili o criminali, dev’essere assolutamente
abolito, anche senza consultare la Sede apostolica, e nonostante che essa
reclami. Alloc. Acerbissimum,
27 settembre 1852. Alloc. Nunquam
fore, 15 dicembre 1856. XXXII. Senza violazione alcuna del naturale
diritto e delle equità, si può abrogare l’immunità personale, in forza della
quale i chierici sono esenti dalla leva e dall’esercizio della milizia; e
tale abrogazione è voluta dal civile progresso, specialmente in quelle
società le cui costituzioni sono secondo la forma del più libero governo. Epist. al Vescovo di Monreale Singularis Nobisque, 29 sett. 1864. XXXIII. Non appartiene unicamente alla
ecclesiastica potestà di giurisdizione, qual diritto proprio e connaturale,
il dirigere l’insegnamento della teologia. Lett. all’Arciv. di Frisinga Tuas libenter, 21
dicembre 1862. XXXIV. La dottrina di
coloro che paragonano il Romano Pontefice ad un Principe libero che esercita
la sua azione in tutta la Chiesa, è una dottrina la quale prevalse nel medio
evo. Lett. Apost. Ad
apostolicae, 22 agosto 1851. XXXV. Niente vieta che per sentenza di qualche
Concilio generale, o per opera di tutti i popoli, il sommo Pontificato si
trasferisca dal Vescovo Romano e da Roma ad un altro Vescovo e ad un’altra
città. Lett. Apost. Ad
apostolicae, 22 agosto 1851. XXXVI. La definizione di un Concilio nazionale non
si può sottoporre a verun esame, e la civile amministrazione può considerare
tali definizioni come norma irretrattabile di operare. Lett. Apost. Ad
apostolicae, 22 agosto 1851. XXXVII. Si possono istituire Chiese nazionali non
soggette all’autorità del Romano Pontefice, e del tutto separate. Alloc. Multis gravibusque, 17 dicembre 1860. Alloc. Iamdudum cernimus, 18 marzo 1861. XXXVIII. Gli arbìtri
eccessivi dei Romani Pontefici contribuirono alla divisione della Chiesa in
quella di Oriente e in quella di Occidente. Lett. Apost. Ad
apostolicae, 22 agosto 1851. VI - Errori che riguardano la società civile, considerata in sé come nelle sue relazioni con la Chiesa XXXIX. Lo Stato, come quello che è origine e fonte
di tutti i diritti, gode un certo suo diritto del tutto illimitato. Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862. XL. La dottrina della Chiesa cattolica è contraria
al bene ed agl’interessi della umana società. Encicl. Qui pluribus,
9 novembre 1846. Alloc. Quibus
quantisque, 20 aprile 1849. XLI. Al potere civile, anche esercitato dal signore
infedele, compete la potestà indiretta negativa sopra le cose sacre; perciò
gli appartiene non solo il diritto del cosidetto exequatur, ma anche il diritto del cosidetto appello per abuso. Lett. Apost. Ad
apostolicae, 22 agosto 1851. XLII. Nella collisione delle leggi dell’una e
dell’altra potestà, deve prevalere il diritto civile. Lett. Apost. Ad
apostolicae, 22 agosto 1851. XLIII. Il potere laicale ha la potestà di
rescindere, di dichiarare e far nulli i solenni trattati (che diconsi
Concordati) pattuiti con la Sede apostolica intorno all’uso dei diritti
appartenenti alla immunità ecclesiastica; e ciò senza il consenso della
stessa Sede apostolica, ed anzi, malgrado i suoi reclami. Alloc. In
Concistoriali, 1° novembre 1850. Alloc. Multis gravibusque, 17 dicembre 1860. XLIV. L’autorità civile può interessarsi delle
cose che riguardano la religione, i costumi ed il governo spirituale. Quindi
può giudicare delle istruzioni che i pastori della Chiesa sogliono dare per
dirigere, conforme al loro ufficio, le coscienze, ed anzi può fare
regolamenti intorno all’amministrazione dei Sacramenti ed alle disposizioni
necessarie per riceverli. Alloc. In
Concistoriali, 1° novembre 1850. Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862. XLV. L’intero regolamento delle pubbliche scuole,
nelle quali è istruita la gioventù dello Stato, eccettuati solamente sotto
qualche riguardo i Seminari vescovili, può e dev’essere attribuito
all’autorità civile; e talmente attribuito, che non si riconosca in
nessun’altra autorità il diritto di intromettersi nella disciplina delle
scuole, nella direzione degli studi, nella collazione dei gradi, nella scelta
e nell’approvazione dei maestri. Alloc. In
Concistoriali, 1° novembre 1850. Alloc. Quibus
luctuosissimis, 5 settembre 1851. XLVI. Anzi, negli stessi Seminari dei Chierici, il
metodo da adoperare negli studi è soggetto alla civile autorità. Alloc. Numquam
fore, 15 dicembre 1856. XLVII. L’ottima forma della civile società esige
che le scuole popolari, quelle cioè che sono aperte a tutti i fanciulli di
qualsiasi classe del popolo, e generalmente gl’istituti pubblici, che sono
destinati all’insegnamento delle lettere e delle più gravi discipline, nonché
alla educazione della gioventù, si esimano da ogni autorità, forza
moderatrice ed ingerenza della Chiesa, e si sottomettano al pieno arbitrio
dell’autorità civile e politica secondo il placito degli imperanti e la norma
delle comuni opinioni del secolo. Epist. all’Arciv. di Frisinga Quum non sine, 14 luglio 1864. XLVIII. Può approvarsi dai cattolici quella maniera di educare la gioventù, la quale sia disgiunta dalla fede cattolica, e dall’autorità della Chiesa e miri solamente alla scienza delle cose naturali, e soltanto o per lo meno primieramente ai fini della vita sociale. Epist. all’Arciv. di Frisinga Quum non sine, 14 luglio 1864. IL. La civile autorità può impedire ai Vescovi ed
ai popoli fedeli di comunicare liberamente e mutuamente col Romano Pontefice. Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862. L. L’autorità laicale ha di per sé il diritto di presentare
i Vescovi e può esigere da loro che incomincino ad amministrare le diocesi
prima che essi ricevano dalla S. Sede la istituzione canonica e le Lettere
apostoliche. Alloc. Nunquam
fore, 15 dicembre 1856. LI. Anzi il Governo laicale ha diritto di deporre
i Vescovi dall’esercizio del ministero pastorale, né è tenuto ad obbedire al
Romano Pontefice nelle cose che spettano alla istituzione dei Vescovati e dei
Vescovi. Lett. Apost. Multiplices
inter, 10 giugno 1851. Alloc. Acerbissimum,
27 settembre 1852. LII. Il Governo può di suo diritto mutare l’età
prescritta dalla Chiesa in ordine alla professione religiosa tanto delle
donne quanto degli uomini, ed ingiungere alle famiglie religiose di non
ammettere alcuno ai voti solenni senza suo permesso. Alloc. Nunquam
fore, 15 dicembre 1856. LIII. Sono da abrogarsi le leggi che appartengono
alla difesa dello stato delle famiglie religiose, e dei loro diritti e
doveri; anzi il Governo civile può dare aiuto a tutti quelli i quali vogliono
disertare la maniera di vita religiosa intrapresa, e rompere i voti solenni;
e parimenti, può spegnere del tutto le stesse famiglie religiose, come anche
le Chiese collegiate ed i benefici semplici ancorché di giuspatronato e
sottomettere ed appropriare i loro beni e le rendite all’amministrazione ed
all’arbitrio della civile potestà. Alloc. Acerbissimum,
27 settembre 1852. Alloc. Probe
memineritis, 22 gennaio 1855. Alloc. Cum saepe, 27 luglio 1855. LIV. I Re e i Principi non solamente sono esenti
dalla giurisdizione della Chiesa, ma anzi nello sciogliere le questioni di
giurisdizione sono superiori alla Chiesa. Lett. Apost. Multiplices
inter, 10 giugno 1851. LV. È da separarsi la Chiesa dallo Stato, e lo
Stato dalla Chiesa. Alloc. Acerbissimum,
27 settembre 1852. VII - Errori circa la morale naturale e cristiana
LVI. Le leggi dei costumi non abbisognano della
sanzione divina, né è necessario che le leggi umane siano conformi al diritto
di natura, o ricevano da Dio la forza di obbligare. Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862. LVII. La scienza delle
cose filosofiche e dei costumi, ed anche le leggi civili possono e debbono
prescindere dall’autorità divina ed ecclesiastica. Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862. LVIII. Non sono da riconoscere altre forze se non quelle
che sono poste nella materia, ed ogni disciplina ed onestà di costumi si deve
riporre nell’accumulare ed accrescere in qualsivoglia maniera la ricchezza e
nel soddisfare le passioni. Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862. Epistola encicl. Quanto conficiamur, 10 agosto
1863. LIX. Il diritto consiste nel fatto materiale;
tutti i doveri degli uomini sono un nome vano, e tutti i fatti umani hanno
forza di diritto. Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862. LX. L’autorità non è altro che la somma del numero
e delle forze materiali. Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862. LXI. La fortunata ingiustizia del fatto non
apporta alcun detrimento alla santità del diritto. Alloc. Iamdudum
cernimus, 18 marzo 1861. LXII. È
da proclamarsi e da osservarsi il principio del cosidetto non-intervento. Alloc. Novos et ante,
28 settembre 1860. LXIII. Il negare
obbedienza, anzi il ribellarsi ai Principi legittimi, è cosa logica. Encicl. Qui pluribus,
9 novembre 1846. Alloc. Quisque vestrum, 4 ottobre 1847. Epist. Encicl. Nostis
et Nobiscum, 8 dicembre 1849. Lett. Apost. Cum
catholica, 26 marzo 1860. LXIV. La violazione di qualunque santissimo
giuramento e qualsivoglia azione scellerata e malvagia ripugnante alla legge
eterna, non solo non sono da riprovare, ma anzi da tenersi del tutto lecite e
da lodarsi sommamente, quando si commettano per amore della patria. Alloc. Quibus quantisque, 20 aprile 1849. VIII - Errori circa il matrimonio cristiano
LXV. Non si può in alcun
modo tollerare che Cristo abbia elevato il matrimonio alla dignità di
Sacramento. Lett. Apost. Ad
apostolicae, 22 agosto 1851. LXVI. Il Sacramento del matrimonio non è che una
cosa accessoria al contratto, e da questo separabile, e lo stesso Sacramento
è riposto nella sola benedizione nuziale. Lett. Apost. Ad
apostolicae, 22 agosto 1851. LXVII. Il vincolo del matrimonio non è
indissolubile per diritto di natura, ed in vari casi può sancirsi per la
civile autorità il divorzio propriamente detto. Lett. Apost. Ad
apostolicae, 22 agosto 1851. Alloc. Acerbissimum,
27 settembre 1852. LXVIII. La Chiesa non ha la potestà d’introdurre
impedimenti dirimenti il matrimonio, ma tale potestà compete alla autorità
civile, dalla quale debbono togliersi gl’impedimenti esistenti. Lett. Apost. Multiplices
inter, 10 giugno 1851. LXIX. La Chiesa incominciò ad introdurre
gl’impedimenti dirimenti, nei secoli passati non per diritto proprio, ma
usando di quello che ricevette dalla civile potestà. Lett. Apost. Multiplices
inter, 10 giugno 1851. LXX. I canoni tridentini, nei quali s’infligge
scomunica a coloro che osano negare alla Chiesa la facoltà di stabilire
gl’impedimenti dirimenti, o non sono dommatici, ovvero si debbono intendere
dell’anzidetta potestà ricevuta. Lett. Apost. Ad
apostolicae, 22 agosto 1851. LXXI. La forma del Concilio Tridentino non obbliga
sotto pena di nullità in quei luoghi, ove la legge civile prescriva un’altra
forma, e ordina che il matrimonio celebrato con questa nuova forma sia
valido. Lett. Apost. Ad
apostolicae, 22 agosto 1851. LXXII. Bonifazio VIII per primo asserì che il voto
di castità emesso nella ordinazione fa nullo il matrimonio. Lett. Apost. Ad
apostolicae, 22 agosto 1851. LXXIII. In virtù del contratto meramente civile può
aver luogo tra cristiani il vero matrimonio; ed è falso che, o il contratto
di matrimonio tra cristiani è sempre sacramento, ovvero che il contratto è
nullo se si esclude il sacramento. Lett. Apost. Ad
apostolicae, 22 agosto 1851. Lett. di S. S. Pio IX al Re di Sardegna, 9
settembre 1852. Alloc. Acerbissimum,
27 settembre 1852. Alloc. Multis gravibusque, 17 dicembre 1860. LXXIV. Le cause matrimoniali e gli sponsali di
loro natura appartengono al foro civile. Lett. Apost. Ad
apostolicae, 22 agosto 1851. Alloc. Acerbissimum,
27 settembre 1852. N. B. – Si possono qui
ridurre due altri errori, dell’abolizione del celibato dei chierici, e della
preferenza dello stato di matrimonio allo stato di verginità. Sono
condannati, il primo nell’Epist. Encicl. Qui pluribus, 9 novembre 1846, il
secondo nella Lettera Apost. Multiplices
inter, 10 giugno 1851. IX - Errori intorno al civile principato del Romano
Pontefice
LXXV. Intorno alla compatibilità del regno temporale
col regno spirituale disputano tra loro i figli della Chiesa cristiana e
cattolica. Lett. Apost. Ad
apostolicae, 22 agosto 1851. LXXVI. L’abolizione del civile impero posseduto
dalla Sede apostolica gioverebbe moltissimo alla libertà ed alla prosperità
della Chiesa. Alloc. Quibus quantisque, 20 aprile 1849. N. B. – Oltre a questi errori censurati esplicitamente, molti altri implicitamente vengono riprovati in virtù della dottrina già proposta e decisa intorno al principato civile del Romano Pontefice: la quale dottrina tutti i cattolici sono obbligati a rispettare fermissimamente. Essa apertamente s’insegna nell’Alloc. Quibus quantisque, 20 aprile 1849; nell’Alloc. Si semper antea, 20 maggio 1850; nella Lett. Apost. Cum catholica Ecclesia, 26 marzo 1860; nell’Alloc. Novos, 28 settembre 1860; nell’Alloc. Iamdudum, 18 marzo 1861, e nell’Alloc. Maxima quidem, 9 giugno 1862. X - Errori che si riferiscono all’odierno liberalismo
LXXVII. In questa nostra
età non conviene più che la religione cattolica si ritenga come l’unica
religione dello Stato, esclusi tutti gli altri culti, quali che si vogliano. Alloc. Nemo
vestrum, 26 luglio 1855. LXXVIII. Però lodevolmente in alcuni paesi
cattolici si è stabilito per legge che a coloro i quali vi si recano, sia
lecito avere pubblico esercizio del culto proprio di ciascuno. Alloc. Acerbissimum,
27 settembre 1852. LXXIX. È assolutamente falso che la libertà civile di qualsivoglia culto, e similmente l’ampia facoltà a tutti concessa di manifestare qualunque opinione e qualsiasi pensiero palesemente ed in pubblico, conduca a corrompere più facilmente i costumi e gli animi dei popoli, e a diffondere la peste dell’indifferentismo. Alloc. Numquam
fore, 15 dicembre 1856. LXXX. Il Romano
Pontefice può e deve riconciliarsi e venire a composizione col progresso, col
liberalismo e con la moderna civiltà. Alloc. Iamdudum cernimus, 18 marzo 1861. |