SAN LEONE MAGNO PAPA
CONCILIO DI CALCEDONIA
Due nature nell'unica
Persona del Cristo
LETTERA DI PAPA LEONE, A FLAVIANO
VESCOVO DI COSTANTINOPOLI SU EUTICHE Letta
la lettera della Tua Dilezione (e ci meravigliamo che sia stata scritta così
tardi), e scorso l'ordine degli atti dei vescovi, finalmente abbiamo potuto
renderci conto dello scandalo sorto fra voi contro l'integrità della fede.
Quello che prima sembrava oscuro, ci appare in tutta la sua chiarezza.
Eutiche, che pareva degno di onore per la sua dignità
di sacerdote, ora ne balza fuori come molto imprudente ed incapace. Si
potrebbe applicare anche a lui la parola del profeta: Non volle capire per non dover agire rettamente. Ha meditato
l'iniquità nel suo cuore (1). Che
vi può essere infatti di peggio, che essere empio e
non volersi sottomettere ai più saggi e ai più dotti? Cadono in questa
stoltezza quelli che, quando incontrano qualche oscura difficoltà nella
conoscenza della verità, non ricorrono alle testimonianze dei profeti, alle
lettere degli apostoli o alle affermazioni dei Vangeli, ma a se stessi, e si fanno, quindi, maestri di errore
proprio perché non hanno voluto essere discepoli della verità. Quale
conoscenza può avere dalle pagine sacre del nuovo e dell'antico Testamento
chi non sa comprendere neppure i primi elementi del Simbolo? Ciò che viene espresso in tutto il mondo dalla voce di tutti i
battezzandi non è ancora compreso dal cuore di questo vecchio. Non sapendo perciò quello che dovrebbe pensare sulla incarnazione del Verbo di Dio, e non volendo
applicarsi nel campo delle sacre scritture per attingervi luce per
l'intelligenza, avrebbe almeno dovuto ascoltare con attenzione la comune e
unanime confessione, con cui l'insieme dei fedeli professa di credere in Dio
padre onnipotente, e in Gesù Cristo suo unico figlio, nostro signore, nato
dallo Spirito santo e da Maria vergine: tre affermazioni da cui vengono
distrutte le costruzioni di quasi tutti gli eretici. Se infatti si crede che Dio è onnipotente
e padre, si dimostra con ciò che il Figlio è a lui coeterno, in nessuna cosa
diverso dal Padre, perché è Dio nato da Dio, onnipotente da onnipotente,
coeterno da eterno; e non è a lui posteriore nel tempo, inferiore per
potenza, dissimile nella gloria, diverso per essenza. Questo eterno unigenito
dell'eterno padre, inoltre, è nato dallo Spirito santo e da Maria vergine; e
questa nascita nel tempo non ha
tolto nulla, come nulla ha aggiunto, a quella divina ed eterna nascita,
ma fu consacrata interamente alla redenzione dell'uomo, che era stato
ingannato, e a vincere la morte, e a distruggere col suo potere il diavolo,
che aveva il dominio della morte (2). Noi
non avremmo potuto vincere l'autore del peccato e della morte, se non avesse
assunto e fatta sua la nostra natura colui che il peccato non avrebbe potuto contaminare e la morte avere in suo
dominio. Egli infatti fu concepito dallo Spirito
santo nel seno della vergine Madre, che lo diede alla luce nella sua
integrità verginale, così come senza diminuzione della sua verginità l'aveva
concepito. Se
poi Eutiche, non era capace di attingere da questa purissima fonte della fede
cristiana il genuino significato, perché aveva oscurato
lo splendore di una verità così evidente con la propria cecità, avrebbe dovuto
sottomettersi alla dottrina del Vangelo. Matteo dice: Libro della
genealogia di Gesù Cristo, figlio di David, figlio di Abramo
(3). Egli avrebbe dovuto consultare anche l'insegnamento della predicazione
apostolica; e leggendo nella lettera ai Romani: Paolo, servo di Gesù
Cristo, chiamato apostolo, scelto Per la predicazione del Vangelo di Dio, che
aveva già Promesso attraverso i Profeti nelle sacre scritture riguardo al
Figlio suo, che gli è nato dalla stirpe di David, secondo la carne (4),
avrebbe dovuto rivolgere la sua pia considerazione alle pagine dei profeti.
Imbattendosi nella promessa di Dio ad Abramo, quando dice: nella tua
discendenza saranno benedette tutte le genti (5), per non dover dubitare della identità di questa discendenza, avrebbe dovuto
seguire l'apostolo, che dice: Le Promesse sono state fatte ad Abramo e
alla sua discendenza (6). Non dice: ai suoi
discendenti, quasi che fossero molti; ma, quasi che fosse una: alla sua
discendenza, che è Cristo. Avrebbe anche compreso con l'udito interiore
la profezia di Isaia, quando dice: Ecco, una
vergine concepirà nel suo seno e darà alla luce un figlio, e lo chiameranno
Emmanuele, che viene interpretato Dio Con noi (7). Ed avrebbe letto con
fede le parole dello stesso profeta: Ci è
nato un fanciullo, ci è stato dato un figlio, il suo potere sarà sulle sue
spalle. E lo chiameranno: angelo di somma prudenza,
Dio forte, principe della Pace, Padre del secolo futuro (8); e non direbbe con inganno che il Verbo si
è fatto carne in tal modo, che Cristo, nato dalla Vergine, avesse bensì la
forma di un uomo, ma non la realtà del corpo di sua madre. Forse egli può
aver pensato che nostro signore Gesù Cristo non
aveva la nostra natura per il fatto che l'angelo mandato alla beata vergine
Maria disse: Lo Spirito santo scenderà su di te, e la forza dell'Altissimo
ti coprirà della sua ombra. E perciò l'essere santo
che nascerà da te sarà chiamato figlio di Dio (9), quasi che, dato che il
concepimento della Vergine fu effetto di un'operazione divina, il corpo da essa
concepito non provenisse dalla natura di chi lo concepiva. Non così
dev'essere intesa quella generazione singolarmente
mirabile e mirabilmente singolare,
come se per la novità della creazione sia stato annullato ciò che è proprio
del genere (umano). Ora, lo Spirito santo rese
feconda la Vergine, ma la realtà del corpo proviene dal corpo. E mentre la
sapienza si edificava una casa (10), il Verbo si
fece carne e pose la sua dimora fra noi (11), con quella carne, cioè, che
aveva assunta dall'uomo, e che lo
spirito razionale animava. Salva
quindi la proprietà di ciascuna delle due nature, che concorsero a formare
una sola persona, la maestà si rivestì di umiltà, la
forza di debolezza, l'eternità di ciò che è mortale; e per poter annullare il
debito della nostra condizione, una natura inviolabile si unì ad una natura
capace di soffrire; e perché, proprio come esigeva la nostra condizione, un
identico mediatore fra Dio e gli uomini, l'uomo Cristo Gesù (12) potesse morire secondo una natura, non
potesse morire secondo l'altra. Nella completa e perfetta natura di vero
uomo, quindi, è nato il vero Dio, completo
nelle sue facoltà, completo nelle nostre. Quando
diciamo "nostre", intendiamo quelle facoltà che il creatore mise in
noi da principio, e che ha assunto per restaurarle. Quegli elementi, infatti,
che l'ingannatore introdusse, e che l'uomo,
ingannato, accettò, non lasciarono alcuna traccia nel Salvatore. Né perché volle partecipare a tutte le
umane miserie, fu anche partecipe dei nostri peccati. Egli prese la forma
di servo (13) senza la macchia del peccato, elevando ciò che era umano, senza
abbassare ciò che era divino; perché quell'abbassamento per
cui egli da invisibile si fece
visibile, e, pur essendo creatore e signore di tutte le cose, volle essere
dei mortali, fu condiscendenza della misericordia non mancanza di potenza.
Perciò chi rimanendo nella forma di Dio fece l'uomo, si fece
uomo nella forma di servo. Ciascuna natura, infatti, conserva
senza difetto ciò che le è proprio. E come la
natura divina non sopprime quella di servo, così la natura di servo non porta
alcun pregiudizio a quella divina. Il diavolo, infatti, si gloriava che
l'uomo, ingannato dalla sua frode, aveva perduto i doni divini; che era stato
spogliato della dote dell'immortalità ed era andato incontro ad una dura
sentenza di morte; che, quindi, egli, il diavolo, nei suoi mali aveva trovato
un certo conforto nella comune sorte del prevaricatore; e che anche Dio,
secondo la esigenze della giustizia verso l'uomo
(quell'uomo che aveva innalzato a tanto onore, creandolo) aveva dovuto mutare
il suo disegno. Fu necessario, allora, che, nell'economia del suo segreto
consiglio, Dio, che è immutabile, e la cui volontà non può esser privata
della sua innata bontà, completasse per così dire il
primitivo disegno della sua benevolenza verso di noi con un misterioso e più
profondo piano divino, e così l'uomo, spinto alla colpa dall'inganno della
malvagità diabolica, non perisse contro il disegno di Dio. Il Figlio di
Dio, scendendo dalla sede dei cieli senza cessare di essere
partecipe della gloria del Padre, fa l'ingresso in questo basso mondo,
generato secondo un ordine ed una nascita del tutto nuovi: secondo un ordine
nuovo, perché invisibile nella sua natura divina, si fece visibile nella
nostra; perché incomprensibile, volle esser compreso; fuori del tempo,
cominciò ad esistere nel tempo; Signore di tutte le cose, assunse la natura
di servo, nascondendo l'immensità della sua maestà; incapace di soffrire
perché Dio, non disdegnò di farsi uomo soggetto alla sofferenza, infine,
perché immortale, volle sottoporsi alle leggi della morte. Generato
secondo una nuova nascita, perché la verginità inviolata non conobbe passione
e somministrò la materia della carne. Dalla madre il Signore ha assunto
la natura non la colpa. E nel signore nostro Gesù
Cristo, generato dal seno della Vergine, la nascita ammirabile non rende la
natura dissimile dalla nostra. Colui, infatti, che è vero Dio, quegli è anche
vero uomo. In questa unione non vi è nulla di incongruente,
trovandosi insieme contemporaneamente la bassezza dell'uomo e l'altezza della
divinità. Come,
infatti, Dio non muta per la sua misericordia, così l'uomo non viene annullato dalla dignità divina. Ognuna delle due nature, infatti, opera insieme con l'altra ciò che
le è proprio: e cioè il Verbo, quello che è del
Verbo; la carne, invece, quello che è della carne. L'uno brilla per i
suoi miracoli, l'altra sottostà alle ingiurie. E
come al Verbo non viene meno l'uguaglianza nella gloria paterna, così la
carne non abbandona la natura umana. La
stessa e identica persona, infatti, - cosa che dobbiamo ripetere spesso - è vero figlio di Dio e vero figlio dell'uomo: Dio, per
ciò, che in principio esisteva il Verbo: e il Verbo era presso Dio, e il
Verbo era Dio (14); uomo, per ciò, che: il Verbo si fece carne e
stabilì la sua dimora fra noi (15); Dio, perché tutte le cose sono
state fatte per mezzo suo, e senza di lui
nulla è stato fatto (16), uomo, perché nacque da una donna
sottoposto alla legge (17).La nascita della carne manifesta l'umana
natura; il parto di una Vergine è segno della divina potenza. L'infanzia del
bambino è attestata dall'umile culla; la grandezza dell'Altissimo è proclamata dalle voci degli angeli. Nel suo
nascere è simile agli altri uomini quegli che Erode tenta
ampiamente di uccidere; ma è Signore di ogni cosa quello che i Magi godono di
poter adorare prostrati. Già quando si recò dal suo precursore
Giovanni per il battesimo, perché non restasse nascosto che sotto il velo
della carne si celava la divinità, la voce del Padre, tonando dal cielo,
disse: Questi è il mio Figlio diletto, nel quale mi sono compiaciuto
(18). A colui, perciò, che l'astuzia del demonio tentò come
uomo, a lui come ad un Dio rendono i loro uffici gli angeli. Aver fame, aver sete, stancarsi e dormire, evidentemente è
proprio degli uomini; ma saziare cinquemila uomini (19) con cinque pani, dare
alla samaritana l'acqua viva, che produca l'effetto in chi beve di non aver
più sete (20); camminare (21) sul dorso del mare senza che i piedi
sprofondino, e render docili (22) i flutti furiosi (23) dopo aver
rimproverato la tempesta: tutto ciò senza dubbio è cosa divina. Come,
quindi, per tralasciare molte cose, non è della stessa natura piangere con
affetto pietoso un amico morto (24) e richiamarlo alla vita (25), redivivo,
al solo comando della voce, tolta di mezzo la pietra di una tomba chiusa già
da quattro giorni; o pendere dalla croce e sconvolgere gli elementi della
natura, trasformando la luce in tenebre; o essere trapassato (26) dai chiodi
e aprire le porte del paradiso alla fede del ladrone (27); così non
è della stessa natura dire: Io e il Padre siamo
una cosa sola (28), e dire: Il Padre è maggiore di me (29).
Quantunque, infatti, nel signore Gesù Cristo vi sia una sola persona per Dio e per
l'uomo, altro però è l'elemento da cui sgorga per l'uno e per l'altro
l'offesa, altro ciò da cui promana per l'uno e l’altro la gloria. Dalla
nostra natura egli ha un'umanità inferiore al Padre; dal Padre gli deriva una
divinità uguale a quella del Padre. Proprio per questa unità di persona, da intendersi come propria di
ognuna delle due nature, si legge che
il Figlio dell'uomo discese dal cielo, mentre fu il Figlio di Dio che assunse
la carne dalla Vergine da cui è nato; e, d'altra parte, si dice che il Figlio
di Dio fu crocifisso e sepolto, quantunque non abbia subito questo nella
stessa divinità, per cui l'unigenito è coeterno e consostanziale al Padre, ma
nella infermità della natura umana. Proprio per questo confessiamo tutti
anche nel Simbolo che il Figlio unigenito di Dio è stato crocifisso
e sepolto, secondo le parole dell'apostolo: Se infatti l'avessero
conosciuta, non avrebbero mai crocifisso il Signore della gloria (30). E lo stesso
nostro Signore e Salvatore, volendo istruire con le sue domande i discepoli
nella fede: Chi dicono gli uomini, disse,
che sia il Figlio dell'uomo? Essi riferiscono le varie opinioni degli
altri. E voi, riprese, chi dite che
io sia? (31): io, che sono il Figlio dell’uomo, e che voi vedete sotto
l'aspetto di un servo e nella verità della carne, chi dite che sia? Fu allora
che S. Pietro divinamente ispirato e
destinato a giovare a tutti i popoli con la sua confessione, Tu sei il Cristo, disse, il Figlio del Dio vivo
(32). E bene a ragione fu chiamato beato dal
Signore; e dalla pietra principale trasse la solidità della virtù e del nome,
lui che per rivelazione del Padre riconobbe in lui il Figlio di Dio e il
Cristo, poiché accettare una cosa senza l'altra, non avrebbe giovato
alla salvezza. E vi era uguale pericolo nel credere che il signore
Gesù Cristo fosse o solo Dio, senza essere uomo, o uomo soltanto, senza che
fosse anche Dio. Dopo la resurrezione del Signore, poi,
che avvenne certamente nel vero corpo, poiché
non altri risuscitò se non quegli che era stato crocifisso
ed era morto, che altro Egli fece, nello spazio di quaranta giorni, se
non rendere pura ed integra la nostra fede da ogni errore? Per questo Egli parlava con i suoi discepoli e, vivendo e
mangiando con essi (33), permetteva loro, scossi com'erano dal dubbio, di
avvicinarlo e di avere frequentemente contatto con lui, entrò a porte chiuse
dai discepoli e col suo soffio diede loro lo Spirito santo (34); e donava
luce all'intelligenza e svelava (35) il senso misterioso e profondo delle
sacre Scritture; e mostrava (36) ripetutamente la stessa ferita del suo
fianco, e i fori dei chiodi, e tutti i segni della recentissima passione,
dicendo: Guardate le mie mani e i miei piedi: sono io, toccate: uno
spirito non ha carne ed ossa, Come voi invece vedete che io ho (37) perché
si potesse costatare che le proprietà della natura divina e di quella umana
rimanevano in lui; e così sapessimo che il Verbo non è la stessa
cosa che la carne, e confessassimo che il Verbo e la carne costituiscono un
solo Figlio di Dio. Dinanzi a
questo sacramento della fede Eutiche si dimostra ben sprovvisto, egli che
nell'Unigenito di Dio né attraverso l'umiltà di uno stato soggetto alla
morte, né attraverso la gloria della resurrezione ha riconosciuta
la nostra natura; né è restato scosso dalle parole del beato Giovanni,
apostolo ed evangelista, quando dice: Chiunque confessa che Gesù Cristo è apparso nella carne, è da Dio. E chiunque divide Gesù, non è da Dio; anzi è l'anticristo (38). E che cos'è dividere Gesù, se
non separare da lui la natura umana e con vanissime ciance annullare il
mistero per cui soltanto siamo stati salvati? Inoltre, chi brancola nelle tenebre per quanto riguarda la natura
del corpo di Cristo, bisogna per forza che vaneggi con la stessa cecità anche
per quanto riguarda la sua passione. Se,
infatti, non ritiene falsa la croce del Signore e non dubita che sia stata
vera la morte, accettata per la salvezza del mondo, dovrà pure ammettere la
carne di chi crede essere morto. Né potrà rifiutarsi di ammettere che sia
stato uomo con un corpo simile al nostro colui che
riconosce avere sofferto. Perché negare la verità
della carne, è negare la realtà della passione corporea. Se,
quindi, egli accetta la fede cristiana, e non trascura di ascoltare la parola
del Vangelo, consideri quale natura, trapassata dai chiodi, sia stata appesa
sul legno della croce, e il fianco del crocifisso
squarciato dalla lancia; da dove sia sgorgato il sangue e l'acqua (39),
perché la chiesa di Dio fosse irrigata da un lavacro e da una fonte. Ascolti
il beato apostolo Pietro predicare che la santificazione avviene con
l'aspersione del sangue di Cristo (40). Legga, riflettendo, le espressioni
dello stesso apostolo, quando dice: Sappiate che non siete stati redenti
con l'oro e con l'argento, cose che periscono, dal vostro vano modo di vivere
secondo la tradizione dei Padri, ma dal sangue prezioso di Gesù Cristo,
agnello Puro ed immacolato (41). E non resista
neppure alla testimonianza del beato apostolo Giovanni, che dice: Il
sangue di Gesù, figlio di Dio, ci purifica da ogni Peccato (42). Ed anche: Questa è la vittoria che vince il mondo, la
nostra fede. Chi è che vince il mondo, se
non colui che crede che Gesù è il figlio di Dio? A lui che è venuto attraverso l'acqua e il
sangue, Gesù Cristo,- non nell'acqua solo, ma
nell'acqua e nel sangue. Ed è lo Spirito a
rendere testimonianza, Poiché lo Spirito è verità. Poiché
sono tre che rendono testimonianza: lo
Spirito, l'acqua e il sangue.
E questi tre sono una cosa sola (43). Naturalmente si deve intendere dello
spirito di santificazione, del sangue della redenzione, dell'acqua del
battesimo: tre cose che sono una stessa cosa, eppure conservano la loro
individualità, e nessuna di esse è separata dalle
altre. Perché la chiesa cattolica vive e progredisce di questa fede: che
nel Cristo Gesù non vi è umanità senza vera divinità, né divinità senza vera
umanità. Esaminato e
interrogato da voi Eutiche rispose:
"Confesso che Nostro Signore avesse due nature prima della loro unione;
ma che ne avesse una sola dopo l'unione",
mi meraviglio come una professione di fede così assurda e perversa non abbia
trovato nei giudici una severa riprensione; e che un discorso così sciocco
sia potuto passare come se non contenesse nulla di offensivo. Eppure è ugualmente empia
l'affermazione: che l'unigenito Figlio di Dio prima dell'incarnazione abbia
avuto due nature, e l'altra affermazione: che dopo che il Verbo si è fatto
carne, vi sia stata in lui una sola natura. Perché,
dunque Eutiche non debba credere di avere fatto questa affermazione
o conforme a verità, o almeno tollerabilmente (per il fatto che non sia stato
confutato da nessuna sentenza in contrario), noi esortiamo il tuo amore
sempre sollecito, fratello carissimo, perché, se per grazia della
misericordia di Dio la causa si va risolvendo in modo soddisfacente, l'imprudenza di un uomo così ignorante
sia purificata anche da questa peste del suo pensiero. Egli, come documenta
la relazione degli atti, aveva rettamente cominciato a rinunziare alle sue
idee quando, costretto dalla vostra sentenza, affermava di ammettere quanto
prima non ammetteva, e di aderire a quella fede, da cui prima si era mostrato
alieno. Ma per il fatto che egli non volle dare il
suo assenso quando si trattò di condannare l'empia dottrina, la fraternità
vostra ben comprese che egli rimaneva nella sua perfida opinione, ed era
degno di ricevere un giudizio di condanna. Se quindi egli sinceramente ed utilmente si pente di tutto ciò, e
riconosce, benché tardi, con quanta ragione si sia mossa l'autorità dei
vescovi, se a piena soddisfazione egli condannerà a viva voce e firmando di sua mano tutti i suoi errori, nessuna misericordia, per
quanto grande, sarà degna di biasimo. Nostro Signore, infatti, vero e
buon pastore, che diede la sua vita per le pecore, e che venne
a salvare le anime degli uomini, non a perderle, desidera che noi siamo
imitatori della sua pietà. E se la giustizia deve reprimere
chi manca, la misericordia non può respingere chi si converte. E’ allora, infatti, che la vera fede è
difesa con abbondantissimo frutto, quando l'errore viene
condannato anche da quelli che lo sostengono. Per
condurre a termine piamente e fedelmente la questione, abbiamo mandato come
nostri rappresentanti i nostri fratelli Giulio, vescovo, e Renato, presbitero
del titolo di S. Clemente, oltre a mio figlio Ilario, diacono. Abbiamo
aggiunto ad essi Dolcizio,
nostro notaio, la cui fedeltà a tutta prova ci è nota. E confidiamo che ci
assista l'aiuto divino, perché colui che ha errato,
condannato il suo malvagio modo di sentire, sia salvo. Dio ti custodisca
sano, fratello carissimo. DEFINIZIONE DELLA FEDE Questo
santo, grande e universale Sinodo, riunito per grazia di Dio e per volontà
dei piissimi e cristianissimi imperatori nostri, gli augusti Valentiniano e Marciano, nella metropoli di Calcedonia in
Bitinia, nel tempio della santa vincitrice e
martire Eufemia, definisce quanto segue. Il signore e salvatore nostro Gesù Cristo, confermando ai
suoi discepoli la conoscenza della fede, disse: Vi do la mia pace; vi
lascio la mia Pace (44), perché nessuno dissentisse dal suo prossimo nei
dogmi della pietà, e fosse dimostrato vero l'annuncio della verità. E poiché il maligno non cessa di
ostacolare, con la sua zizzania, il seme della pietà, e di trovare sempre
qualche cosa di nuovo contro la verità, per questo Dio, come sempre,
provvide al genere umano, e ispirò un grande zelo a questo nostro pio e
fedelissimo imperatore, e chiamò a sé da ogni parte i capi del sacerdozio,
affinché, con la grazia del signore di tutti noi, Cristo, allontanassero ogni peste di errore dalle pecore del
Cristo, e le ristorassero con i germogli della verità. Cosa che noi
abbiamo fatto, proscrivendo con voto comune le false dottrine, e rinnovando
la nostra adesione alla fede ortodossa dei padri; predicando a tutti il simbolo dei 318 [padri di Nicea], e
riconoscendo come propri padri coloro che hanno accolto questa sintesi della
pietà, e cioè i 150, che si raccolsero nella grande Costantinopoli e
confermarono anch'essi la medesima fede. Confermando
anche noi, quindi, le decisioni e le formule di fede del concilio radunato un tempo ad Efeso
[43I], cui presiedettero Celestino
[vescovo] dei Romani e Cirillo
[vescovo] degli Alessandrini, di santissima
memoria, definiamo che debba risplendere l'esposizione della retta e
incontaminata fede, fatta dai 315 santi e beati padri riuniti a Nicea [325], sotto l'imperatore
Costantino di pia memoria, e che si debba mantenere in vigore quanto fu
decretato dai 150 santi padri a Costantinopoli [381] per estirpare le eresie che allora germogliavano, e rafforzare la
stessa nostra fede cattolica e apostolica. [A
questo punto vennero ripetuti i simboli di fede dì
Nicea e di Costantinopoli]. Sarebbe
stato, dunque, già sufficiente alla piena conoscenza e conferma della pietà
questo sapiente e salutare simbolo della divina grazia. Insegna, infatti,
quanto di più perfetto si possa pensare intorno al
Padre, al Figlio e allo Spirito santo, e presenta, a chi l'accoglie con fede,
l'inumanazione del Signore. Ma poiché
quelli che tentano di respingere l'annuncio della verità, con le loro eresie
hanno coniato nuove espressioni: alcuni cercando di alterare il mistero
dell'economia dell'incarnazione del Signore per noi, e rifiutando
l'espressione Theotocos [Madre di Dio] per la Vergine; altri
introducendo confusione e mescolanza e immaginando scioccamente che unica sia
la natura della carne e della divinità,
e sostenendo assurdamente che la natura divina dell'Unigenito per la
confusione possa soffrire, per questo il presente, santo, grande e universale
Sinodo, volendo impedire ad essi ogni raggiro contro
la verità, insegna che il contenuto di questa predicazione è sempre stato
identico; e stabilisce prima di tutto che la fede dei 318 santi padri
dev'essere intangibile; conferma la dottrina intorno alla natura dello
Spirito, trasmessa in tempi posteriori dai padri raccolti insieme nella città
regale contro quelli che combattevano lo Spirito santo; quella dottrina che
essi dichiararono a tutti, non certo per aggiungere qualche cosa a quanto
prima si riteneva, ma per illustrare, con le testimonianze della Scrittura,
il loro pensiero sullo Spirito santo,
contro coloro che tentavano di negarne la signoria. Per quelli, poi, che tentano di alterare il mistero
dell'economia, e blaterano impudentemente essere puro uomo, quello che nacque
dalla santa vergine Maria, [questo concilio] fa sue le lettere sinodali del beato
Cirillo, che fu pastore della chiesa di Alessandria,
a Nestorio e agli Orientali, come adeguate sia a confutare la follia
nestoriana, che a dare una chiara spiegazione a quelli che desiderano
conoscere con pio zelo il vero senso
del simbolo salutare. A queste ha aggiunto, e giustamente, contro le
false concezioni e a conferma delle vere dottrine, la lettera del presule
Leone, beatissimo e santissimo arcivescovo della grandissima e antichissima
città di Roma, scritta all’arcivescovo Flaviano, di santa memoria, per
confutare la malvagia concezione di Eutiche; essa,
infatti, è in armonia con la confessione del grande Pietro, ed è per noi una
comune colonna. [Questo
concilio], infatti, si oppone a coloro che tentano
di separare in due figli il mistero della divina economia; espelle dal sacro consesso quelli che osano dichiarare
passibile la divinità dell'Unigenito; resiste
a coloro che pensano ad una mescolanza o confusione delle due nature di
Cristo; e scaccia
quelli che affermano, da pazzi, essere stata o celeste, o di qualche altra
sostanza, quella forma umana di servo che Egli assunse da noi; e scomunica, infine, coloro che favoleggiano di due nature
del Signore prima dell'unione, ma ne concepiscono una sola dopo l'unione. Seguendo,
quindi, i santi Padri, all'unanimità noi insegniamo a confessare un solo e
medesimo Figlio: il signore nostro Gesù Cristo, perfetto nella sua divinità e
perfetto nella sua umanità, vero Dio e vero uomo, [composto] di anima razionale e del corpo, consostanziale al Padre
per la divinità, e consostanziale a noi per l'umanità, simile in tutto a noi,
fuorché nel peccato (45), generato dal Padre prima dei secoli secondo la
divinità, e in questi ultimi tempi per noi e per la nostra salvezza da Maria
vergine e madre di Dio, secondo l'umanità, uno e medesimo Cristo signore
unigenito; da riconoscersi in due nature, senza confusione, immutabili,
indivise, inseparabili, non essendo venuta meno la differenza delle nature a
causa della loro unione, ma essendo stata, anzi, salvaguardata la proprietà
di ciascuna natura, e concorrendo a formare una sola persona e ipostasi; Egli
non è diviso o separato in due persone, ma è un unico e medesimo Figlio,
unigenito, Dio, verbo e signore Gesù Cristo, come prima i profeti e poi lo
stesso Gesù Cristo ci hanno insegnato di lui, e come ci ha trasmesso il
simbolo dei padri. Stabilito
ciò da noi con ogni possibile diligenza, definisce il santo e universale
Sinodo, che a nessuno sia lecito presentare, o anche scrivere, o comporre una
[formula di] fede diversa, o credere, o insegnare in altro modo. Quelli poi che osassero o comporre una
diversa formula di fede, o presentarla, o insegnarla, o tramandare un diverso
simbolo a quelli che intendono convertirsi dall'Ellenismo alla conoscenza
della verità, o dal Giudaismo o da un'eresia qualsiasi, costoro, se sono
vescovi o chierici, siano considerati decaduti: il vescovo dal suo
episcopato, i chierici dal clero; se poi fossero monaci o laici, dovranno
essere scomunicati. [...] Note (1) Sal 35, 4 |