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di brani estrapolati da:
CONCILIO
DI BASILEA – FERRARA – FIRENZE – ROMA
Dal 23 luglio 1431 al 7 maggio 1437
SESSIONE 1 (14 dicembre 1431) (Scopo del concilio). Poiché ogni essere
dirige più direttamente e intensamente la sua azione quando ne conosce lo
scopo, il santo sinodo, riflettendo assiduamente
alle necessità della religione cristiana, dopo matura e accurata
deliberazione, coli l'aiuto di Dio, da cui proviene ogni bene decide di
perseguire con ogni attenzione e sollecitudine questi tre scopi. Primo, far si
che, fugate dai confini del popolo cristiano le tenebre di ogni eresia, per
dono del Cristo, vera luce, rifulga lo splendore della verità cattolica. […] Ma la preoccupazione
principale del vescovo nel Sinodo sia quella di vigilare e di usare i dovuti
rimedi perché nessuna dottrina eretica, erronea, scandalosa, offensiva per
orecchie delicate, o sortilegi, divinazioni, incantesimi, superstizioni, e
ogni altra diabolica invenzione, contaminino la sua
diocesi. […] SESSIONE XXII (15 ottobre 1435) (Condanna del libello di Agostino Favaroni). Il sacrosanto
sinodo di Basilea, legittimamente riunito nello Spirito santo, espressione
della chiesa universale, a perpetua memoria. Poiché tra le altre opere
di pietà, questo santo sinodo si è riunito in modo
particolare per conservare la verità della fede cattolica e per estirpare gli
errori e le eresie, è nostra precipua sollecitudine - non appena sappiamo che
si diffonde qualcosa che possa offendere la purezza della fede cristiana ed
annebbiare lo splendore della luce nelle menti dei fedeli - intervenire
tempestivamente e liberare con ogni diligenza il campo del Signore dalla
nociva zizzania (23) e dai rovi. […] In particolare condanna la
scandalosa affermazione contenuta nello stesso libro, erronea nella fede e
che le pie orecchie dei fedeli non possono ascoltare senza orrore, che, cioè, il Cristo pecca ogni giorno, e che da quando
cominciò ad essere ha peccato ogni giorno, quantunque egli dica che non
intende affermare ciò del Cristo, capo della chiesa e nostro salvatore, ma
delle sue membra, che egli ha affermato essere Un solo Cristo, col Cristo
capo. Condanna anche queste proposizioni
ed altre simili, che esso dichiara ricadere negli articoli condannati nel
sacro concilio di Costanza, e cioè: Non tutti i
fedeli giustificati sono membra del Cristo, ma solo gli eletti, che alla fine
regneranno col Cristo. Le membra di Cristo, da cui è formata la chiesa, sono costituite secondo l'ineffabile prescienza di Dio
(24); essa tuttavia, non è formata se non da quelli che sono stati
chiamati secondo il proposito (25) della scelta. Non è sufficiente, perché
alcuni diventino membra del Cristo, essere uniti a lui dal vincolo
dell'amore, ma si richiede un'altra unione. Ed anche (condanna) le
seguenti proposizioni, contenute nel libro: L'umana natura nel Cristo è veramente Cristo. L'umana natura nel Cristo è la persona di Cristo. L'intima causa che determina la natura umana nel Cristo, non si
distingue realmente dalla stessa natura determinata. La natura umana nel Cristo è senza dubbio la persona del Verbo:
e il Verbo, nel Cristo, assunta la natura, è realmente la persona che assume.
La natura umana assunta dal verbo con unione
personale è veramente Dio naturale e proprio. Cristo secondo la volontà creata ama tanto la natura umana unita
alla persona del Verbo, quanto ama la persona divina. Come in Dio due persone sono ugualmente amabili, così nel Cristo
le due nature, l'umana e la divina sono ugualmente amabili a causa della
persona che hanno in comune. L'anima del Cristo vede Dio così
chiaramente ed intensamente, come Dio vede chiaramente ed intensamente se
stesso. Il santo sinodo condanna queste
proposizioni ed altre che derivano dalla stessa radice e contenute nello
stesso libro come erronee nella fede. Perché, quindi, non
avvenga che qualcuno dei fedeli a causa di questa dottrina cada in errore,
comanda severamente che nessuno osi insegnare, predicare, difendere o
approvare la dottrina di questo libro e in particolare le proposizioni sopra
riferite, già dannate e riprovate, come abbiamo riferito, ed anche quei
trattati che lo difendessero. Quelli poi che si
comportassero diversamente vengano puniti come
eretici ed anche con altre pene canoniche. […] Concludendo, questo santo sinodo comanda ed impone
a tutti gli arcivescovi, vescovi, cancellieri delle università, e agli
inquisitori per l'eresia, che vogliano usare la loro accorta diligenza e
provvedere che nessuno possa avere questo libro e gli scritti che lo
difendono, od osi conservarlo e tenerlo presso di sé, e che anzi lo consegni
alle persone sopra indicate, perché ne facciano quello che le leggi
dispongono. In caso diverso, si proceda contro di essi
con, le sanzioni canoniche. SESSIONE XXIII (16 marzo 1436) (Dell'elezione del sommo pontefice). […] Poiché un buon pastore è la salvezza del popolo, è giusto che
questo santo sinodo cerchi in tutti i modi - almeno
per quanto è possibile alla diligenza della legge umana, - che il romano
pontefice, che è il primo e più alto pastore del gregge del Signore, sia
eletto e continui ad essere tale da provvedere alla salvezza di tutte le
anime e all'utilità di tutto il mondo cristiano, e possa degnamente adempiere
un ufficio così grave. […] Il giorno seguente, tutti i cardinali, alla presenza di quelli
che sono in conclave, ascoltata la messa dello
Spirito santo, ricevano l'eucarestia. E prima di cominciare lo scrutinio, giurino sui santi
evangeli in questa, forma: Io, cardinale tale, giuro e prometto a Dio
onnipotente, Padre, Figlio e Spirito santo, e al beato Pietro, principe degli
apostoli, di eleggere come pontefice
quello che crederò utile alla chiesa universale, sia nello spirituale che nel
temporale, e idoneo a tanta dignità; di non dare il voto a chi capirò che
verisimilmente cerca di procurarsi l'elezione con la promessa o con la
donazione di qualche bene temporale, o con suppliche, presentate da sé o da
altri - o in qualunque altra maniera, direttamente o indirettamente. E
giuro di non prestare obbedienza a chi è stato eletto pontefice, prima che
questi abbia prestato giuramento secondo la formula
del decreto del sacro concilio di Basilea. Così mi aiuti Dio, al quale il giorno del tremendo giudizio dovrò
render conto di questo giuramento e di tutte le mie opere. Dopo ciò, ognuno di essi consegnerà la
sua scheda, in cui dovranno essere indicati non più di tre nomi; se ne
nominasse più di uno, che un nome sia scelto fuori dal collegio cardinalizio.
Non si faccia più di uno scrutinio al
giorno. E questo subito dopo la messa. Lette le
schede, se i voti dei due terzi non confluiscono nella stessa persona, siano
subito bruciate. Prima di sei scrutini, non si può fare accesso nei confronti di
nessuno. Durante questo tempo i
cardinali considerino attentamente quanto merito o demerito possono acquistare per sé con l'elezione del pontefice, e
quanto frutto o quanto danno, quanto bene e quanto male possono fare al
popolo cristiano. E certo che in nessuna cosa si può conseguire la grazia del
signore nostro Gesù Cristo o meritare la sua ira, più di quando si tratta di
preporre il suo vicario alle sue pecore: quelle pecore che egli ha talmente amato,
da degnarsi di morire (27) e di soffrire per esse il
supplizio della croce. […] (Forma del consenso). In nome della
santa ed indivisa Trinità, Padre, Figlio e Spirito santo. lo N., eletto papa, col
cuore e con la bocca confesso e prometto a Dio onnipotente, la cui chiesa col
suo aiuto mi accingo a governare, e al beato Pietro, principe degli apostoli,
che, fino a che vivrò questa fragile vita, crederò e terrò fermamente la fede
cattolica come è stata tramandata dagli apostoli, dai concili generali, e
dagli altri santi padri, specialmente dagli otto santi concili universali, e
cioè dal primo di Nicea; dal secondo, di Costantinopoli; dal terzo, primo di
Efeso; dal quarto, di Calcedonia; dal quinto e sesto, ugualmente di
Costantinopoli; dal settimo, di Nicea; dall'ottavo, similmente di
Costantinopoli; ed inoltre dal Lateranense da quelli di Lione, di Vienne, di Costanza, e di Basilea, concili generali
anch'essi; prometto di conservare intatta questa fede fino all'ultima sillaba
(28), di difenderla e di predicarla fino all'effusione della vita e del
sangue; e similmente di seguire in ogni modo e di osservare il rito dei
sacramenti della chiesa ad essa trasmesso. Prometto anche di lavorare fedelmente per la difesa della fede cattolica, per la estirpazione
delle eresie e degli errori, per la riforma dei costumi, e per la pace
del popolo cristiano. […] Ho sottoscritto questa professione di mia mano: la offro a te,
con mente sincera, sull'altare, o Dio
onnipotente, cui nel giorno del tremendo giudizio dovrò
render conto di questo e di tutte le mie opere. Ripeterò solennemente
questa professione nel primo concistoro pubblico. Perché col passare del tempo
una così salutare prescrizione non venga dimenticata
dal sommo pontefice, ogni anno, nel giorno in cui si celebra l'anniversario
della sua elezione o della sua incoronazione, durante la messa il primo dei
cardinali presenti, pubblicamente, ad alta voce, legga in questo modo dinanzi
al sommo pontefice: "Santissimo padre, rifletta la tua santità e consideri
attentamente questa promessa che ha fatto a Dio il giorno
dell'elezione". Quindi la legga; e in fine
dica: "Veda, dunque, la santità
tua, per l'onore di Dio, per la salvezza della sua anima, per il bene della
chiesa universale, di osservare come meglio può quanto è stato premesso, in
buona fede, senza inganno e frode. Ricordati anche di chi fai
le veci in terra: di colui, cioè, che diede la
sua vita per le pecore (29), che per tre volte, prima di affidarle a
Pietro, gli chiese se lo amasse (30); e che, giusto giudice, cui nessun
segreto è nascosto (31), ti chiederà conto fino all'ultimo centesimo (32). […] Cercando, quindi, di
vigilare attentissimamente e di far vigilare sui grandi e sui piccoli, non
tardi a correggere tutto ciò che egli troverà degno di correzione, e non lo dissimili, ben sapendo che doppio è il peccato: uno,
quello che li si commette; l'altro, assai più grave, quello che ne consegue.
Qualsiasi cosa, infatti, si compie nella curia romana facilmente
viene preso come esempio. Di conseguenza, se languisce il capo, il male
invade tutto il resto del corpo. La casa del pontefice, invece, e la curia
devono essere come uno specchio terso; e gli altri, guardandolo, devono
potersi conformare ad esso e vivere secondo il suo
esempio. […] Quando
i cardinali riceveranno le insegne della loro dignità, il cui significato è
che essi non devono temere di versare, se necessario, il proprio sangue per
il bene della chiesa universale - giureranno in pubblico concistoro, se sono in curia; se
fossero assenti, giureranno pubblicamente nelle mani di un vescovo, a cui sia
stato conferito l'incarico con lettere apostoliche, nelle quali sia inclusa
la formula del Giuramento. […] SESSIONE VI (6 luglio 1439) (Definizione del santo concilio ecumenico fiorentino). […] Radunatisi, infatti, i Latini e i Greci in questo sacrosanto
concilio ecumenico, gli uni e gli altri hanno posto grande impegno perché,
tra le altre cose, con somma diligenza e assidua. ricerca
fosse discusso anche l'articolo della divina processione dello Spirito santo.
Addotte, quindi, le testimonianze scavate dalle divine scritture
e da molti passi dei santi dottori orientali ed occidentali, poiché
qualcuno dice che lo Spirito santo procede dal Padre
e dal Figlio, qualcuno, invece, che procede dal Padre attraverso il Figlio,
dato che con diverse formulazioni tutti intendono la medesima realtà, i Greci
affermano che dicendo che lo Spirito santo procede dal Padre non intendono
escludere il Figlio; ma poiché sembrava loro, come dicono, che i Latini
asseriscono che lo Spirito santo procede dal Padre e dal Figlio come da due
principi e da due spirazioni, per questo si
astengono dal dire che lo Spirito santo procede dal Padre e dal Figlio. I Latini dal canto loro affermano che dicendo che lo Spirito santo procede dal Padre e dal Figlio non intendono
escludere che il Padre sia la fonte e il principio di ogni divinità, cioè
del Figlio e dello Spirito santo; né vogliono negare che il Figlio abbia dal
Padre [il fatto] che lo Spirito santo procede dal Figlio; né ritengono che vi
siano due principi o due spirazioni; ma
affermano che unico è il principio ed unica la spirazione
dello Spirito santo, come finora hanno asserito. E poiché da tutto ciò scaturisce un
unico ed identico senso della verità, finalmente con lo stesso senso e con lo
stesso significato essi si sono intesi e hanno convenuto nella seguente
formula d'unione, santa e gradita a Dio. Nel nome della santa Trinità, Padre, Figlio e Spirito santo, con
l'approvazione di questo sacro ed universale concilio fiorentino, definiamo che questa verità di fede debba essere creduta e
accettata da tutti i cristiani; e così tutti debbono professare che lo
Spirito santo è eternamente dal Padre e dal Figlio, che ha la sua
essenza e l'essere sussistente ad un tempo dal Padre e dal Figlio, e che dall'eternità
procede dall'uno e dall'altro come da un unico principio e da un'unica spirazione; e dichiariamo che quello che affermano i
santi dottori e padri - che lo Spirito santo procede dal Padre per mezzo del
Figlio, - tende a far comprendere che anche il Figlio come il Padre è causa,
secondo i Greci, principio, secondo i Latini, della sussistenza dello Spirito
santo. E poiché tutto quello che è del Padre, lo stesso Padre lo ha
dato al Figlio con la generazione, meno l'essere Padre; questa stessa
processione della Spirito santo dal Figlio l'ha dall'eternità
anche il Figlio dal Padre, da cui è stato pure eternamente generato. Definiamo, inoltre, che la
spiegazione data con l'espressione Filioque, è
stata lecitamente e ragionevolmente aggiunta al simbolo per rendere più
chiara la verità e per necessità allora incombenti. […] SESSIONE VII (4 settembre 1439) (Decreto del concilio
fiorentino contro il concilio di Basilea). Eugenio vescovo, servo dei
servi di Dio, a perpetua memoria. Mosè, uomo di Dio, zelante per
la salvezza del popolo affidatogli e temendo che l'ira di Dio si abbattesse
su di esso, se avesse seguito lo scisma sedizioso di
Core, Datan e Abiron, per
comando di Dio disse a tutto il popolo: Allontanatevi
dalle tende degli empi, e non toccate quanto loro appartiene, perché non
siate coinvolti nei loro peccati (50). Aveva compreso, infatti, per
ispirazione del Signore stesso, che quei sediziosi
e scismatici avrebbero ricevuto una gravissima punizione, come poi mostrarono gli avvenimenti, quando la terra stessa non
poté sostenerli e li inghiotti, per
giusto giudizio di Dio; e così discesero viventi nell'inferno. Così anche noi, cui il signore Gesù Cristo, anche se indegni, si è degnato
affidare il suo popolo, sentendo il delitto esecrando che alcuni scellerati
hanno perpetrato in questi ultimi giorni a Basilea per scindere l'unità della
santa chiesa, e temendo che possano
sedurre con le loro frodi gli incauti e avvelenarli, ci vediamo costretti a
gridare con uguali espressioni allo stesso popolo del signore nostro Gesù
Cristo: Allontanatevi dalle tende degli empi (51); tanto più che
il popolo cristiano è molto più numeroso di quello dei Giudei di allora e la
chiesa è più santa della sinagoga, e il vicario di Cristo è superiore per
autorità e dignità allo stesso Mosè. […] lo
spirito trema nel ricordare quante molestie, quante opposizioni, quante
persecuzioni abbiamo incontrato finora in questa
divina opera, e non certo dai Turchi o dai Saraceni, ma da chi si dice
cristiano. Riferisce s. Gerolamo che dai
tempi di Adriano fino all'impero di Costantino sul
luogo della resurrezione del Signore i pagani veneravano una statua di Giove
e sul dirupo della croce una statua marmorea di Venere: gli autori della
persecuzione credevano che avrebbero spento in noi la fede nella resurrezione
e nella croce se avessero profanato quei luoghi coi loro idoli. Qualcosa di simile è perpetrato in
questi giorni, contro di noi e la chiesa di Dio da quegli sciagurati che sono
a Basilea; sennonché quello è stato fatto da pagani, che non conoscevano il
vero Dio; questo, da gente che lo
conosce e lo odia (55); quindi la loro superbia, come dice il
profeta, cresce sempre (56), e tanto più pericolosamente, inquantoché
essi diffondono i loro veleni col pretesto della riforma, che essi però hanno
sempre avuto in orrore per se stessi. […] In ciò sono dannosissimi,
perché camuffano la loro malvagità sotto parvenza di verità di fede e
distorcono il concilio di Costanza ad un significato empio, riprovevole e del
tutto alieno dalla sua dottrina; e seguono l'insegnamento di tutti gli
scismatici ed eretici, che cercano sempre di costruirsi i loro erronei ed
empi dogmi sulla base delle divine scritture e dei santi padri, interpretati
perversamente. […] E benché Dio non abbia
permesso finora che la loro iniquità, che sempre mentisce loro (61),
prevalesse, poiché, tuttavia, essi cercano con tutte le loro forze di portare
a compimento l'abominazione della desolazione nella chiesa di Dio (62), noi,
non potendo in nessun modo ignorare tutto ciò senza gravissima offesa di Dio
e pericolo imminente di confusione e abominazione nella sua chiesa, secondo
il dovere del nostro ufficio pastorale, - anche perché molti, accesi dello
zelo di Dio, ci sollecitano a ciò - intendiamo ovviare a tanti mali e, per
quanto è in noi, opportunamente e salutarmente
provvedere, eliminando questa odiosa empietà e
perniciosissima peste dalla chiesa di Dio. […] Stabiliamo e decretiamo di
nuovo che tutto ciò che è stato fatto e tentato dagli empi che sono a
Basilea, di cui si fa menzione nel nostro decreto di Ferrara, e ugualmente
ciò che è stato fatto, compiuto, tentato dopo, e specialmente nelle due pretese
sessioni, o, per essere più precisi cospirazioni cui abbiamo
accennato da ultimo e tutto ciò che possa essere seguito da esse o che
potrebbe derivarne in futuro, poiché si tratta di cose fatte da uomini empi,
senza alcuna potestà, ma rigettati e riprovati da Dio, è stato ed è tutto
nullo, vano e senza effetto, come atti presunti e assolutamente privi di
efficacia, valore ed importanza. Con l'approvazione del santo concilio,
inoltre, condanniamo e riproviamo le proposizioni sopra menzionate nel senso corrotto
inteso dagli stessi Basileesi, contrario al senso
genuino delle sacre scritture, dei santi padri e dello stesso concilio di
Costanza; ed inoltre la asserita sentenza di privazione, di cui si è parlato,
con tutte le conseguenze già verificatesi o che si verificheranno in futuro:
sono, infatti, empie e scandalose, e tendono ad un aperto scisma nella chiesa
di Dio e al sovvertimento di ogni ordine ecclesiastico e del potere
cristiano. Decretiamo anche e
dichiariamo che tutti e singoli quelli di cui parliamo
sono stati e sono scismatici ed eretici e che come tali, oltre alle pene
stabilite nel concilio di Ferrara, sono da punirsi nel modo meritato con
tutti i loro fautori o difensori, di qualunque stato, condizione o grado, sia
ecclesiastico che secolare, anche se fossero insigniti della dignità,
cardinalizia, patriarcale, arcivescovile, vescovile, abbaziale, o di
qualsiasi altra dignità, perché abbiano la meritata parte con i predetti
Core, Datan e Abiron
(63). […] Per una più facile comprensione per gli Armeni,
presenti e futuri, abbiamo compendiato in questa
brevissima formula la dottrina sui
sacramenti: sette sono i sacramenti della nuova legge: battesimo,
confermazione, eucarestia, penitenza, estrema
unzione, ordine e matrimonio. Essi
sono molto differenti dai sacramenti dell'antica legge: quelli, infatti, non
producevano la grazia, ma indicavano solo che questa sarebbe stata data per
la passione di Cristo. I nostri, invece, contengono la grazia e la danno a chi li riceve degnamente. Di essi,
i primi cinque sono ordinati alla perfezione individuale di ciascuno, i due
ultimi, al governo e alla moltiplicazione di tutta la chiesa. […] Tutti questi sacramenti
constano di tre elementi: cose come materia, parole come forma, la persona
del ministro che conferisce il sacramento, con l'intenzione di fare quello
che fa la chiesa. Se manca uno di questi elementi,
il sacramento non si compie. […] SESSIONE XI (4 febbraio 1442) (Bolla di unione dei copti). […] Noi, quindi, incaricati dalla voce del Signore di pascere le
pecore del Cristo (87) abbiamo fatto esaminare diligentemente questo abate Andrea da alcuni insigni membri di questo
sacro concilio sugli articoli della fede, i sacramenti della chiesa e tutto
ciò che riguarda la salvezza; e alla fine, esposta allo stesso abate - per
quanto necessario - la fede cattolica della santa chiesa romana, da lui
umilmente accettata, oggi, in questa solenne sessione, con l'approvazione del
sacro concilio ecumenico fiorentino, gli abbiamo affidato, nel nome del
Signore, la dottrina che segue, vera e necessaria. In primo luogo, dunque, la sacrosanta chiesa romana, fondata
dalla voce del nostro Signore e Salvatore, crede fermamente, professa e
predica un solo, vero Dio, onnipotente, incommutabile, eterno: Padre, Figlio
e Spirito santo; uno nell'essenza, trino nelle persone; Padre, non generato,
Figlio, generato dal Padre, Spirito santo, procedente dal Padre e dal Figlio;
crede che il Padre non è il Figlio o lo Spirito santo, che il Figlio non è il
Padre o lo Spirito Santo che lo Spirito santo non è
il Padre o il Figlio; ma che il Padre è solo Padre, il Figlio, solo Figlio,
lo Spirito santo, solo Spirito santo. Solo il Padre ha generato il Figlio
dalla sua sostanza; solo il Figlio è stato generato dal solo Padre; solo lo
Spirito santo procede nello stesso tempo dal Padre e
dal Figlio. Queste tre persone sono un solo Dio, non tre Dei poiché una sola
è la sostanza una l'essenza, una la natura, una la divinità, una l'immensità,
una l'eternità di tutti e tre, tutti sono uno, dove non si opponga
la relazione. Per questa unità il Padre è tutto nel
Figlio e tutto nello Spirito santo; il Figlio è tutto nel Padre e tutto nello
Spirito santo; lo Spirito santo è tutto nel Padre e tutto nel Figlio. Nessuno
precede l'altro per eternità, o lo sorpassa in grandezza, o lo supera per
potenza: è eterno, infatti, e senza principio che il Figlio ha origine dal
Padre; ed eterno e senza principio, che lo Spirito santo
procede dal Padre e dal Figlio. Tutto quello che il Padre è od ha, non lo ha da un altro, ma da sé; ed è principio
senza principio. Tutto ciò che il Figlio è od ha, lo
ha dal Padre, ed è principio da principio. Tutto ciò che lo Spirito santo è od ha, lo ha dal Padre e dal Figlio insieme; ma il Padre
ed il Figlio non sono due principi dello Spirito santo, ma un solo principio,
come il Padre, il Figlio e lo Spirito santo non sono tre principi della
creatura, ma un solo principio. Essa condanna, perciò, riprova e anatematizza tutti quelli che
credono diversamente e contrariamente e li dichiara solennemente estranei al
corpo di Cristo, che è la chiesa. Condanna, quindi, Sabellio,
che confonde le persone e toglie del tutto la distinzione reale di esse; condanna gli Ariani, gli Eunomiani,
i Macedoniani, che affermano che solo il Padre è
vero Dio, e collocano il Figlio e lo Spirito santo nell'ordine delle
creature. Condanna anche qualunque altro, che ponga dei
gradi o l'ineguaglianza nella Trinità. Crede fermissimamente, ritiene e predica che un solo, vero Dio,
Padre, Figlio e Spirito santo, è il creatore di tutte le cose visibili e
invisibili, il quale, quando volle, creò per sua
bontà tutte le creature, spirituali e materiali: buone, naturalmente, perché
hanno origine dal sommo bene, ma mutevoli, perché fatte dal nulla; ed afferma
che non vi è natura cattiva in sé stessa, perché ogni natura, in quanto tale,
è buona. Essa confessa che un solo, identico Dio è autore dell'antico e
del nuovo Testamento, cioè della legge e dei
profeti, e del Vangelo, perché i santi dell'uno e dell'altro Testamento hanno
parlato sotto l'ispirazione del medesimo Spirito santo. Essa accetta e venera i loro libri,
che sono indicati da questi titoli: I cinque di Mosè, cioè:
Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio; Giosuè, Giudici, Ruth, i 4 dei Re, i 2 dei
Paralipomeni, Esdra, Neemia, Tobia, Giuditta, Ester
Giobbe, Salmi di David, Parabole, Ecclesiaste,
Cantico dei Cantici, Sapienza, Ecclesiastico, Isaia, Geremia, Baruc, Ezechiele, Daniele, i 12 Profeti minori, e cioè:
Osea, Gioele, Amos, Abdia, Giona, Michea, Naum, Abacuc, Sofonia, Aggeo,
Zaccaria, Malachia; i 2 dei Maccabei, i 4 Evangeli:
di Matteo, di Marco, di Luca e di Giovanni; le 14 lettere di S. Paolo: ai
Romani, le 2 ai Corinti, ai Galati, agli Efesini, ai Filippesi, le 2 ai Tessalonicesi, ai Colossesi, le 2 a Timoteo, a Tito, a
Filemone, agli Ebrei; le 2 di Pietro, le 3 di Giovanni; 1 di Giacomo; 1 di
Giuda; gli Atti degli Apostoli, e l'Apocalisse di Giovanni. Essa anatematizza, quindi, la pazzia
dei Manichei, che ammettevano due primi principi, uno delle cose visibili,
l'altro delle invisibili e dicevano che altro è il Dio del nuovo
Testamento, altro quello dell'antico. Crede fermamente, professa e predica
che una delle persone della Trinità, vero figlio di Dio, generato dal Padre,
consostanziale al Padre e coeterno con lui, nella pienezza dei tempi,
stabilita dalla inscrutabile profondità del divino
consiglio, ha assunto la vera e completa natura umana nel seno immacolato
della vergine Maria per la salvezza del genere umano; e che ha unito a sé
questa natura in una unità personale così stretta, che tutto quello che è di
Dio non è separato dall'uomo, e quello che è proprio dell'uomo non è diviso
dalla divinità; ed è un essere solo ed indiviso, pur rimanendo l'una e
l’altra natura con le sue proprietà; Dio e uomo; Figlio di Dio e figlio
dell'uomo; uguale al Padre secondo la divinità, minore del Padre secondo
l'umanità; immortale ed eterno per la natura divina, soggetto alla sofferenza
e al tempo per la condizione umana che ha assunto. Crede fermamente, professa
e predica che il Figlio di Dio è veramente nato dalla Vergine,
nell'umanità che ha assunto; che in essa ha
veramente sofferto, è veramente morto ed è stato sepolto, è veramente
risorto dai morti, è asceso al cielo, siede alla destra del Padre, e verrà
alla fine dei secoli a giudicare i vivi e i morti. Essa anatematizza, quindi,
detesta e condanna ogni eresia che professi dottrine contrarie a queste. E prima di tutti condanna Ebione, Cerinto, Marcione, Paolo di Samosata, Fotino e tutti quelli che proferiscono simili bestemmie,
i quali, non riuscendo a comprendere l'unione personale dell'umanità col
Verbo, negano che Gesù Cristo, nostro Signore, sia vero Dio e lo
ritennero semplice uomo: un uomo, cioè che per una più intensa partecipazione
alla grazia divina - che avrebbe ricevuto per merito di una vita più santa -
sarebbe detto uomo divino. Anatematizza anche Manicheo con
i suoi seguaci, i quali fantasticando che il Figlio di Dio non ha assunto un
corpo vero, ma apparente, annullarono del tutto, nel
Cristo, la verità dell'umanità. Ed inoltre
Valentino, il quale afferma che il Figlio di Dio non ha ricevuto nulla dalla
Vergine Madre, ma che ha assunto un corpo celeste e che è passato per il seno
della Vergine, proprio come l'acqua scorre attraverso un acquedotto. Ed Ario, il quale afferma che il corpo
assunto dalla Vergine non avesse l'anima e pone al posto di essa la divinità. Ed Apollinare,
il quale, ben comprendendo che, se si negasse che l'anima informa il corpo,
non potrebbe più parlarsi nel Cristo di vera umanità, pone in lui solo
l'anima sensitiva e, quindi, la deità del Verbo sostituirebbe l'anima
razionale. Anatematizza anche Teodoro di Mopsuestia
e Nestorio, i quali affermano che l'umanità è unita al Figlio di Dio per
mezzo della grazia, e che quindi in Cristo vi sono due persone, come
ammettono esservi due nature. Essi non riuscirono a comprendere che l'unione
dell'umanità col Verbo è ipostatica, e negarono,
quindi, che essa abbia avuto la sussistenza del Verbo. Secondo questa
bestemmia, infatti, il Verbo non si è fatto carne, ma per mezzo della grazia
ha abitato nella carne e cioè non il Figlio di Dio
si è fatto uomo ma, piuttosto, il Figlio di Dio ha abitato nell'uomo. Anatematizza pure, detesta
e condanna Eutiche, archimandrita. Questi comprese che secondo la bestemmia
di Nestorio veniva annullata la verità
dell'incarnazione e che, quindi, era necessario che l'umanità fosse unita al
Verbo di Dio in modo che vi fosse una sola persona per la divinità e per
l'umanità. Non potendo però capire l'unità della persona, stante la pluralità
delle nature, e quindi, che in Gesù Cristo una sola fosse la persona per la
divinità e per l'umanità, ammise una sola natura: ammise, cioè, che prima dell'unione vi fossero due nature, ma che
esse nell'assunzione si fossero trasformate in una sola natura, ammettendo,
con orrenda bestemmia e somma empietà, che o l'umanità si era trasformata
nella divinità, o la divinità nella umanità. Anatematizza ancora, detesta
e condanna Macario di Antiochia e tutti quelli che
seguono dottrine simili. Questi, non ostante che
avesse una giusta opinione delle due nature e dell’unità della persona, errò
tremendamente, però, circa le operazioni di Cristo: disse, infatti, che delle
due nature, in Cristo, una sola era l'operazione e la volontà. La sacrosanta chiesa romana li condanna tutti questi con le loro
eresie, e afferma che in Cristo due sono le volontà e due le operazioni.
Crede fermamente, professa e insegna che nessuno, concepito dall'uomo e dalla
donna, sia stato mai liberato dal dominio del demonio, se non per la fede in
Gesù Cristo, nostro Signore, mediatore tra Dio e gli uomini (88). Questi, concepito, nato e morto Senza peccato, ha vinto
da solo il nemico del genere umano cancellando i nostri peccati con la
sua morte, ed ha riaperto l'ingresso al regno celeste, che il primo uomo col
suo peccato aveva perduto con tutti i suoi successori. Tutti i santi
sacrifici, i sacramenti e le cerimonie dell'antico Testamento prefigurarono
che egli un giorno sarebbe venuto. Crede fermamente, conferma e
insegna che le prescrizioni legali dell'antico Testamento, cioè
della legge mosaica, che si dividono in cerimonie, santi sacrifici e
sacramenti proprio perché istituite per significare qualche cosa di futuro,
benché fossero adeguate al culto divino in quella età, venuto, però, nostro
signore Gesù Cristo, da esse significato, sono cessate e sono cominciati i sacramenti della nuova alleanza.
Chiunque avesse riposto in quelle la sua speranza e si fosse assoggettato ad esse anche dopo la passione, quasi fossero necessarie alla
salvezza e la fede nel Cristo non potesse salvare senza di esse, pecca
mortalmente. Non nega, tuttavia, che dalla passione di Cristo fino alla
promulgazione evangelica, esse potessero osservarsi, senza pensare con ciò
minimamente che fossero necessarie alla salvezza. Ma da quando è stato predicato il Vangelo, esse non
possono più osservarsi, pena la perdita della salvezza eterna. Essa, quindi, dichiara
apertamente che, da quel tempo, tutti quelli che osservano la circoncisione,
il sabato e le altre prescrizioni legali, sono fuori della fede di Cristo, e
non possono partecipare della salvezza eterna, a meno che non si ricredano finalmente dei loro errori. Ancora, comanda assolutamente a tutti
quelli che si gloriano del nome di cristiani, che si deve cessare dal
praticare la circoncisione sia prima che dopo il battesimo perché, che vi si
confidi o meno, non si può in nessun modo praticarla
senza perdere la salvezza eterna. […] Crede fermamente, confessa
e predica che nessuno di quelli che sono fuori della chiesa
cattolica, non solo pagani, ma anche Giudei o eretici e scismatici,
possano acquistar la vita eterna, ma che andranno nel fuoco eterno,
preparato per il demonio e per i suoi angeli (94), se prima della fine
della vita non saranno stati aggregati ad essa; e che è tanto importante
l'unità del corpo della chiesa, che solo a quelli che rimangono in essa
giovano per la salvezza i sacramenti ecclesiastici, i digiuni e le altre
opere di pietà, e gli esercizi della milizia cristiana procurano i premi
eterni. Nessuno per quante elemosine abbia potuto fare, e perfino se avesse versato il sangue per il nome di Cristo si può
salvare, qualora non rimanga nel seno e nell'unità della chiesa cattolica. Accoglie, poi, approva e
accetta il santo concilio di Nicea dei
trecentodiciotto padri, raccolto ai tempi del beatissimo Silvestro, nostro
predecessore, e di Costantino il grande, principe piissimo. In esso fu condannata l'empia eresia ariana assieme al suo
autore, e fu definito che il Figlio è
consustanziale e coeterno al Padre. Abbraccia anche, approva e accetta il
santo concilio di Costantinopoli, dei centocinquanta
padri, convocato al tempo del beatissimo Damaso,
nostro predecessore, e di Teodosio il vecchio, che anatematizzò l'errore di
Macedonio, il quale asseriva che lo Spirito santo non è Dio, ma una creatura.
Quelli che essi condannano, li condanna, quello che approvano, approva; e
intende che ciò che in essi è definito, rimanga
intatto ed inviolato in ogni sua prescrizione. Abbraccia anche, approva e
accetta il santo primo concilio di Efeso, dei
duecento padri, terzo nella serie dei concili universali, convocato sotto il
beatissimo nostro predecessore Celestino e sotto Teodosio il giovane. In esso fu condannata la bestemmia dell'empio Nestorio; fu
definito che del signore nostro Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo è una sola
la persona, e che la beata Maria sempre vergine deve esser chiamata da tutta
la chiesa non solo madre del Cristo, ma anche di Dio. Condanna, poi,
anatematizza e respinge l'empio secondo concilio di Efeso,
riunito sotto il beato Leone, nostro predecessore, e il suddetto principe. In
esso Dioscoro, patriarca di Alessandria, difensore
dell'eresiarca Eutiche ed empio persecutore di S. Flaviano, vescovo di
Costantinopoli, trasse quel sinodo esecrando, con l'astuzia e con le minacce,
ad approvare l'empietà eutichiana. Accoglie anche, approva e
accetta il santo concilio di Calcedonia, quarto
nella serie dei sinodi universali, dei seicentotrenta padri, celebrato al
tempo del predetto predecessore nostro Leone e dell'imperatore Marciano, nel
quale fu condannata l'eresia eutichiana col suo autore Eutiche e con
Dioscoro, suo difensore. Vi fu anche
definito che Gesù Cristo, nostro signore, è vero Dio
e vero uomo e che in una stessa identica persona sono rimaste integre,
intatte, incorrotte, inconfuse, distinte la natura divina e la natura umana;
in cui l'umanità operava quello che è proprio dell'uomo, la divinità, quello
che è proprio di Dio. Quelli che esso condanna, li condanna anch'essa; quelli
che approva, li approva anch'essa. Abbraccia pure, approva e accetta il santo
quinto concilio, il secondo celebrato a Costantinopoli al tempo del beato
Vigilio, nostro predecessore, e dell'imperatore Giustiniano, nel quale fu
confermata la definizione del concilio di Calcedonia sulle due nature e
un'unica persona in Cristo e furono riprovati e condannati molti errori di Origene e dei suoi seguaci, specie quelli riguardanti
la penitenza e la liberazione dei demoni e degli altri dannati. Abbraccia anche, approva e accetta il santo, terzo concilio di
Costantinopoli, dei centocinquanta padri, - sesto nella serie dei concili
universali - celebrato al tempo del beato predecessore nostro Agatone e di
Costantino, IV imperatore di questo nome, nel quale fu condannata l'eresia di
Macario antiocheno, e fu definito che in Gesù
Cristo, nostro signore, vi sono due nature perfette ed integre, due
operazioni, ed anche due volontà, benché in una sola persona, a cui competono
le azioni dell'una e dell'altra natura, inquantoché la divinità compie quanto
è proprio di Dio, l'umanità quello che è proprio dell'uomo. […] (sull’eucaristia) Che poi il pane di
frumento, usato per il sacramento, sia stato cotto quel giorno o prima, non
ha proprio alcuna importanza: purché, infatti,
rimanga la sostanza del pane, non c'è affatto da dubitare che dopo le
predette parole della consacrazione del corpo, pronunciate dal sacerdote con intenzione adeguata, si
trasforma subito nel vero corpo di Cristo. Poiché si dice che qualcuno non ammette le quarte nozze come se
fossero condannate, perché non avvenga che si ponga il peccato dove non è, e dato che, secondo l'apostolo, morto il marito, la donna è
sciolta dal legame che a lui la stringeva ed ha la libertà di sposare, nel
Signore, chiunque voglia (96), e non distingue se sia morto il primo, il
secondo o il terzo, dichiarando che si possono contrarre non solo seconde e
terze nozze, ma anche quarte ed oltre, se nessun impedimento canonico le
impedisce. Riteniamo tuttavia più degno di lode chi, astenendosi da altre
nozze, rimanga nella castità, perché come crediamo
che la verginità sia da preferirsi alla vedovanza, così una casta vedovanza è
da preferirsi alle nozze, per lode e merito. […] SESSIONE XIII (30 novembre 1444) (Bolla di unione
dei Siri). […] Noi perciò, che fra tutte
le preoccupazioni della santa sede apostolica abbiamo
questa in cima a tutti i nostri pensieri, - come del resto sempre l'abbiamo
avuta - difendere la verità del Vangelo e, sterminate le eresie diffondere e propagare
il più largamente possibile la retta fede, abbiamo scelto alcuni dei nostri venerabili fratelli
cardinali della santa chiesa romana, i quali, chiamati alcuni maestri in
sacra scrittura da questo sacro concilio, trattassero con quell'arcivescovo delle
difficoltà, dei dubbi e degli errori di quella nazione, lo esaminassero e gli
esponessero l'insegnamento della verità cattolica, lo istruissero e lo
informassero completamente della integrità della fede della chiesa romana. Essi hanno trovato che egli ha idee
giuste su tutto quanto riguarda la fede e i costumi, meno che su tre punti:
sulla processione dello Spirito santo, sulle due nature in Gesù Cristo,
nostro salvatore, e sulle due volontà e operazioni in lui. Gli hanno spiegato
la verità della fede ortodossa, chiarito l'intelligenza delle sacre
scritture, adducendo le testimonianze dei santi dottori e portando anche
quegli argomenti di ragione che la materia comporta. […] Questa, dunque, è la fede che la sacrosanta madre chiesa romana
ha sempre ritenuto, predicato, e insegnato e che al presente tiene, predica,
professa e insegna. E’ questa dottrina che noi prescriviamo che l'arcivescovo
Abdalam debba ricevere nei tre articoli, e
custodire ed osservare per sempre,
in futuro, a nome e in vece del suddetto patriarca dei Siri, di tutta quella
nazione e suo. E prima di
tutto, che lo Spirito santo è ab aeterno dal Padre e dal Figlio, che ha la
sua essenza e l'essere sussistente dal Padre e dal Figlio insieme, e che
procede eternamente dall'uno e dall'altro come da un solo principio e da
un'unica spirazione. Ritiene, inoltre, professa e insegna
"un solo e medesimo
Figlio: i1 signore nostro Gesù Cristo, perfetto nella sua divinità e
perfetto nella sua umanità, vero Dio e vero uomo, [composto] di anima razionale e del corpo, consostanziale al Padre
per la divinità e consostanziale a noi per l'umanità, simile in tutto a noi,
fuorché nel peccato, generato dal
Padre prima dei secoli secondo la divinità, e in questi ultimi tempi per noi
e per la nostra salvezza da Maria vergine e madre di Dio, secondo l'umanità,
uno e medesimo Cristo signore unigenito; da riconoscersi in due nature, senza
confusione, immutabili, indivise, inseparabili, non essendo venuti
meno la differenza delle nature a causa delle loro unione, ma essendo stata,
anzi, salvaguardata la proprietà di ciascuna natura, e concorrendo a
formare una sola persona e ipostasi; Egli non è diviso o separato in due
persone, ma è un unico e medesimo Figlio, unigenito, Dio, verbo e signore
Gesù Cristo" (101). Crede, inoltre, professa
ed insegna che nello stesso signore Gesù Cristo vi
sono "due volontà naturali e due operazioni naturali, indivisibilmente,
immutabilmente, inseparabilmente, inconfusamente, secondo l'insegnamento dei
santi padri. Due volontà naturali, l'una divina, l'altra umana, che non sono
in contrasto fra loro, ma tali che la volontà umana sia
sottoposta alla divina e onnipotente sua volontà. Come, infatti, la sua
santissima carne, immacolata e animata, sebbene deificata, non fu distrutta,
ma rimase nel proprio stato e nel proprio modo d'essere, così la sua volontà
umana, anche se deificata, non fu annullata, ma piuttosto salvata"
(102). […] SESSIONE XIV (7 agosto 1445) (Bolla di unione dei Caldei e dei Maroniti di Cipro). […] Realizzata, infatti, l'unione della chiesa orientale con
l'occidentale nel concilio ecumenico fiorentino, dopo che gli Armeni, i Giacobiti e i popoli
della Mesopotamia erano stati ricondotti
all'obbedienza, inviammo il venerabile nostro fratello Andrea, arcivescovo di
Colocia, in oriente e all'isola di Cipro, perché
con la sua predicazione e con l'esposizione e la spiegazione dei decreti,
emanati per la loro unione e per il loro ritorno all'obbedienza, egli
confermasse nella fede ricevuta i Greci, gli Armeni
e i Giacobiti che abitavano in quelle terre, e
perché, secondo le nostre esortazioni ed ammonimenti, cercasse di ricondurre alla verità della fede quelli che avesse
trovato appartenere ad altre sètte alieni dalla vera
dottrina, seguaci di Nestorio o di Macario. Missione che egli eseguì con
somma diligenza, con la sapienza e le altre virtù, di cui l'arricchì il
donatore di ogni grazia, Dio. Così dopo varie e molteplici discussioni, tolse finalmente dal
loro cuore prima ogni impura dottrina di Nestorio, - che asseriva Cristo
essere un semplice uomo, e la beatissima Vergine non la madre di Dio, ma la
madre di Cristo -; poi di Macario d'Antiochia, uomo di somma empietà, - il
quale, pur ammettendo che Cristo è vero Dio e vero
uomo, tuttavia, detraendo troppo all'umanità, riteneva che in lui vi fosse
solo la volontà e l'operazione divina. Quindi con l'aiuto di Dio egli converti
i nostri venerabili fratelli Timoteo, metropolita dei Caldei,
che nell'isola di Cipro erano chiamati nestoriani perché seguivano Nestorio
ed Elia, vescovo dei Maroniti, che nello stesso regno era contaminato con
tutta la sua nazione dalle dottrine di Macario, e che egli riportò alla
verità della fede ortodossa nell'isola di Cipro, a lui soggetta, con tutto il
popolo e i chierici. A questi presuli e a tutti quelli che in quelle parti
erano loro soggetti, egli trasmise la
fede e la dottrina che la chiesa sacrosanta ha sempre
coltivato e osservato; ed essi l'accolsero con somma vene-
razione, in un pubblico e solenne raduno di popoli delle diverse nazioni del
regno, tenuto nella chiesa metropolitana di Santa Sofia. Fatto ciò, i Caldei mandarono fino a noi il suddetto Timoteo, loro
metropolita; Elia, invece, vescovo dei Maroniti, ci mandò un inviato, perché
facessero la solenne professione, e dinanzi a noi, in questa sacra
congregazione generale del concilio ecumenico lateranense, il metropolita
Timoteo, per primo, con riverenza e devozione, fece la professione della fede
e dottrina nella sua lingua caldea tradotta in
greco, e poi dal greco in latino, in questo modo. "Io Timoteo, arcivescovo Tarsense, metropolita dei Caldei
di Cipro, prometto per me e per tutti i miei popoli e mi impegno
solennemente dinanzi a Dio immortale, Padre, Figlio e Spirito santo, e
dinanzi a te, santissimo e beatissimo padre, Eugenio IV papa, e a questa
sacrosanta apostolica sede e a questa santa e venerabile congregazione, che
per l'avvenire sarò sempre sotto la tua obbedienza, dei tuoi successori e
della sacrosanta chiesa romana, in
quanto unica madre e capo di tutte le altre. Ed inoltre, che in avvenire riterrò sempre e professerò che lo
Spirito santo procede dal Padre e dal Figlio, come
insegna la santa chiesa romana. Similmente, che in avvenire crederò sempre ed approverò due
nature, due volontà, una ipostasi e due operazioni in
Cristo. Che in avvenire confesserò e approverò sempre tutti e sette i
sacramenti della chiesa romana, come essa li crede,
li insegna, li predica. Che in
avvenire non aggiungerò olio nella santa eucarestia. Che in avvenire, riterrò,
confesserò, predicherò e insegnerò sempre tutto ciò che ritiene, confessa,
insegna e predica la sacrosanta chiesa romana; e che tutto quello che essa
riprova, anatematizza e condanna, lo riprovo, lo anatematizzo e lo condanno
anch'io e lo riproverò e lo anatematizzerò e lo condannerò sempre anche in futuro, specialmente le empietà e le bestemmie dell'iniquissimo eresiarca Nestorio, ed ogni altra eresia, che
si manifesti contro questa santa, cattolica e
apostolica chiesa. Onesta è la fede, padre santo,
che io faccio voto e prometto di tenere e di osservare e di far tenere e
osservare da tutti i miei sudditi; e prometto anche, assicuro e faccio voto
di privare di tutti i beni e di tutti i benefici chiunque la respinga o si eriga contro di essa e di scomunicarlo e di
dichiararlo eretico e condannato, e, se fosse ostinato, di degradarlo e
consegnarlo al braccio secolare". Professione del tutto simile
fece, con molta venerazione, il diletto figlio in Cristo Isacco, nunzio del
nostro venerabile fratello Elia, vescovo dei Maroniti, in sua vece e a suo
nome, riprovando l'eresia di Macario dell'unica volontà in Cristo. Per
queste professioni e per la salvezza di tante anime, rendiamo infinite grazie a Dio e al
signore nostro Gesù Cristo, che si degna di dare in questi nostri tempi un incremento
così grande alla fede e tanti benefici ai popoli cristiani. Accettiamo e approviamo tali
professioni. Riceviamo il metropolita e il vescovo di Cipro e i loro sudditi
nel grembo della santa madre chiesa, e, se
rimarranno nella fede, nell'obbedienza e nella devozione, concediamo loro
grazie e privilegi; e specialmente: che nessuno, in seguito, osi chiamare
eretici il metropolita dei Caldei, il vescovo dei
Maroniti, e i loro. chierici e popoli, o qualcuno di
essi; o in seguito, chiamare i Caldei nestoriani. E
se qualcuno credesse di poter disprezzare questa
nostra disposizione, comandiamo che questi sia scomunicato dal suo ordinario,
per tutto il tempo che differirà di riparare degnamente o che sia punito con
qualche altra pena temporale, a giudizio dell'ordinario. […] |