CONCILIO
DI TRENTO (selezione)
25 sessioni dal 13 dicembre
1545 al 4 dicembre 1563 in tre periodi: I-VIII sessione a Trento 1545-47
(IX-XI sessione a Bologna 1547) tutte sotto Papa Paolo III (1534-1549);
XII-XVI sessione a Trento 1551-52 sotto Papa Giulio III (1550-1555); XVII-XXV
sessione a Trento sotto Papa Pio IV (1559-1565).
Dottrina sulla Scrittura e la tradizione, peccato originale e
giustificazione, sacramenti e sacrificio della messa, culto dei Santi.
Decreti di riforma.
SESSIONE I
(Decreto di inizio del concilio)
Reverendi Padri, credete opportuno, a lode e gloria della santa
e indivisa Trinità, Padre, Figlio e Spirito santo, per l’incremento e
l’esaltazione della fede e della religione cristiana, per l’estirpazione delle eresie, per la pace e l’unione della
chiesa, per la riforma del clero e del popolo, per la repressione e l’estinzione
dei nemici del nome cristiano, decretare e dichiarare aperto il sacro,
generale concilio tridentino? [Risposero: sì].
[...]
SESSIONE II
(Decreto sul modo di vivere e su altre cose da osservarsi nel
concilio)
Il sacrosanto concilio tridentino, legittimamente riunito nello
Spirito santo, sotto la presidenza degli stessi tre legati della sede
apostolica, ben sapendo col beato Giacomo apostolo, che quanto di meglio ci vien dato ed ogni
dono perfetto viene dall’alto, scendendo dal Padre dei lumi - il quale
a quelli che domandano la sapienza dà a
tutti abbondantemente senza rimproveri - ed anche che l’inizio
della sapienza è il timore di Dio, ha stabilito che debbano esortarsi
- ed esorta di fatto - tutti i fedeli cristiani raccolti nella città di
Trento, perché vogliano correggersi del male e dei peccati finora commessi,
e, nel futuro, camminare nel timore del Signore, e non seguire i desideri della carne, perché vogliano esser assidui
alle orazioni, più spesso confessarsi e ricevere il sacramento dell’eucarestia,
frequentare le chiese, mettere in pratica, per quanto ognuno lo potrà, i
comandamenti di Dio e pregare ogni giorno, privatamente, per la pace dei
principi cristiani e per l’unità della chiesa.
Quanto ai vescovi e a qualsiasi altro
sacerdote che si trovi in questa città per la celebrazione del concilio
ecumenico, li esorta a voler attendere assiduamente alle lodi di Dio,
offrendo sacrifici, lodi, preghiere, celebrando il sacrificio della messa
almeno ogni domenica, giorno nel quale il Signore creò la luce, risorse dai
morti, ed effuse lo Spirito santo sui discepoli. Offrano, come lo stesso
Spirito santo comanda per mezzo degli apostoli, suppliche, preghiere,
richieste, rendimenti di grazie, per il santissimo nostro signore il
papa, per l’imperatore, per i re, per tutti gli altri che sono costituiti
in autorità e per tutti gli uomini, perché conduciamo una vita quieta e
tranquilla, possiamo goder della pace e vedere l’espansione della fede.
Li esorta, inoltre, a voler digiunare almeno ogni venerdì, in
memoria della passione del Signore e a far elemosine ai poveri.
Nella chiesa cattedrale sia celebrata, ogni giovedì, la messa
dello Spirito santo, con le litanie e le altre preghiere stabilite a questo
scopo. Nelle altre chiese vengano dette nello stesso giorno almeno le litanie
e le orazioni. E durante il tempo delle funzioni sacre, non si chiacchieri e
non si raccontino storie, ma si assista il celebrante con la bocca e col
cuore.
E poiché bisogna che i vescovi siano
irreprensibili, sobri, casti, bravi amministratori della loro casa, li
esorta anche affinché prima di tutto ognuno conservi, a mensa, la sobrietà e
la moderazione nei cibi; e poi, dato che in essa, di solito, si tengono
discorsi oziosi, perché nelle mense dei vescovi si faccia sempre un po’ di
lettura della Scrittura.
Ognuno istruisca e cerchi di educare i suoi familiari, perché
sfuggano le risse, il vino, la disonestà, la cupidigia; perché non siano
superbi, né bestemmiatori o amanti dei piaceri. Fuggano, finalmente, i vizi e
abbraccino le virtù; nel modo di vestire e di ornarsi, ed in ogni loro altra
azione si mostrino onesti, come si addice ai servi dei servi di Dio.
Inoltre, poiché la
principale preoccupazione, sollecitudine, intenzione di questo sacrosanto
concilio è che, - dissipate le tenebre delle eresie, che per tanti anni hanno
imperversato sulla terra, - con l’aiuto di Gesù Cristo, luce vera, risplenda
la luce, lo splendore, la purezza della verità cattolica, e sia riformato ciò
che ne ha bisogno, lo
stesso concilio esorta tutti i cattolici, convenuti o che converranno a
Trento, e in modo particolare quelli che hanno una particolare conoscenza
delle sacre scritture, perché vogliano seriamente riflettere per quali vie e
con quali mezzi specialmente possa realizzarsi l’intenzione del concilio e
sia conseguito l’effetto desiderato: una
sollecita e consapevole condanna degli errori, la conferma delle cose
degne di approvazione; così che per tutto il mondo tutti con una sola voce e con la confessione della stessa fede glorifichino Dio, Padre del signore nostro
Gesù Cristo.
Nell’esporre, poi, le proprie opinioni - poiché i sacerdoti del
Signore siedono nel luogo della benedizione - secondo quanto stabilisce il
concilio Toletano, nessuno deve strepitare con espressioni smodate, o
disturbare con tumulti; così come non deve far valere le sue idee con dispute
false, vane, ostinate. Tutto ciò che viene detto, invece, sia moderato da una
forma così mite, che né offenda chi ascolta, né offuschi, per lo
sconvolgimento dell’animo, il sereno giudizio della mente.
Lo stesso santo
concilio ha stabilito, inoltre, e decretato che, se durante il concilio
qualcuno esercitasse un diritto che non gli spetta persino col voto e con la
partecipazione alle congregazioni non ne deriverà pregiudizio per alcuno né
acquisizione di diritti.
SESSIONE III
Si accoglie il simbolo della fede cattolica.
Nel nome della Santa ed
indivisa Trinità, Padre, Figlio e Spirito santo. Questo sacrosanto e generale concilio ecumenico
tridentino, legittimamente riunito nello Spirito santo, sotto la presidenza
degli stessi tre legati della sede apostolica, considerando l’importanza degli argomenti da trattare, specie di
quelli che sono compresi nei due capitoli della estirpazione delle eresie e
della riforma dei costumi, per cui principalmente è stato radunato; ben
comprendendo, con l’Apostolo, che esso
non deve lottare con la carne e il sangue, ma contro gli esseri spirituali
del male che abitano le regioni celesti, con lo stesso apostolo esorta,
in primo luogo, tutti e singoli, perché
siano forti nel Signore, e nella potenza della sua forza; imbracciando in
ogni cosa lo scudo della fede, con cui possano estinguere tutti i dardi
infuocati del malvagio (nemico), e prendano l’elmo della speranza della
salvezza e la spada dello Spirito, che è la parola di Dio.
Perché, quindi, questa sua
materna sollecitudine abbia inizio e progredisca per la grazia di Dio, prima
di tutto stabilisce e dispone di premettere la professione di fede. Esso
segue, in ciò, l’esempio dei padri, i quali usarono opporre nei concili più
venerandi questo scudo contro ogni eresia, all’inizio della loro attività;
solo con esso condussero gli infedeli alla fede, espugnarono gli eretici,
confermarono i fedeli.
Ha creduto bene, quindi, che si professi il simbolo della fede in uso presso
la santa chiesa Romana, come principio in cui tutti quelli che professano la
fede di Cristo necessariamente convengono, e come fondamento fermo e unico,
contro il quale le porte dell’inferno
non prevarranno mai, con le
esatte parole, con cui si legge in tutte le chiese. Eccone il testo: Credo in
un solo Dio, Padre onnipotente, creatore del cielo e della terra, di tutti
gli esseri, visibili e invisibili. Credo anche in un solo Signore, Gesù Cristo, figlio unigenito di Dio,
nato dal Padre prima di qualsiasi tempo, Dio da Dio, luce da luce, Dio vero
da Dio vero, generato, non creato, consostanziale al Padre, per mezzo del
quale sono state create tutte le cose. Per noi uomini e la nostra salvezza
Egli è disceso dal cielo, si è incarnato dalla vergine Maria per opera
dello Spirito santo, e si è fatto uomo. È stato anche crocifisso per noi
sotto Ponzio Pilato, ha sofferto la passione ed è stato sepolto. È
risuscitato il terzo giorno secondo le scritture, è salito al cielo e siede
alla destra del Padre. Verrà di nuovo nella gloria per giudicare i vivi e i
morti e il suo regno non avrà fine. Credo nello Spirito santo, signore e
vivificante, che procede dal Padre e dal Figlio. Egli è adorato e glorificato insieme col Padre e col Figlio, ed
ha parlato per bocca dei profeti. Credo una sola chiesa santa, cattolica e
apostolica. Confesso un solo battesimo per la remissione dei peccati ed
aspetto la resurrezione dei morti e la vita del tempo futuro. Amen.
[...]
SESSIONE IV
Primo decreto: Si ricevono i libri sacri e le tradizioni apostoliche.
Il sacrosanto, ecumenico e generale concilio tridentino,
legittimamente riunito nello Spirito santo, sotto la presidenza dei medesimi
tre legati della sede apostolica, ha
sempre presente che, tolti di mezzo gli errori, si conservi nella chiesa la
stessa purezza del Vangelo, quel Vangelo che, promesso un tempo
attraverso i profeti nelle scritture sante, il signore nostro Gesù Cristo,
figlio di Dio, prima promulgò con la sua bocca, poi comandò che venisse
predicato ad ogni creatura per mezzo dei suoi apostoli, quale fonte di ogni
verità salvifica e della disciplina dei costumi.
E poiché il sinodo sa che questa verità e disciplina è contenuta
nei libri scritti e nelle tradizioni non scritte - che raccolte dagli
apostoli dalla bocca dello stesso Cristo e dagli stessi apostoli, sotto
l’ispirazione dello Spirito santo, tramandate quasi di mano in man, sono
giunte fino a noi, — seguendo l’esempio dei padri ortodossi, con uguale pietà
e pari riverenza accoglie e venera
tutti i libri, sia dell’antico che
del nuovo Testamento, - Dio, infatti, è autore dell’uno e dell’altro ed anche
le tradizioni stesse, che riguardano la fede e i costumi, poiché le ritiene
dettate dallo stesso Cristo oralmente o dallo Spirito santo, e conservate
con successione continua nella chiesa cattolica.
E perché nessuno possa dubitare quali siano i libri accettati
dallo stesso sinodo come sacri, esso ha creduto opportuno aggiungere a questo
decreto l’elenco.
Dell’antico Testamento: i cinque di Mosè, e cioè: Genesi, Esodo, Levitico, Numeri,
Deuteronomio; Giosuè, Giudici, Ruth; i quattro dei Re; i due dei Paralipomeni;
il primo e il secondo di Esdra (che
è detto di Neemia); Tobia, Giuditta, Ester, Giobbe; i Salmi di
David; i Proverbi, l’Ecclesiaste, il Cantico dei cantici, la Sapienza,
l’Ecclesiastico, Isaia, Geremia con Baruch,
Ezechiele, Daniele; i dodici Profeti
minori, cioè: Osea, Gioele, Amos,
Abdia, Giona, Michea, Naum, Abacuc, Sofonia, Aggeo, Zaccaria, Malachia; i
due dei Maccabei, primo e secondo.
Del
nuovo Testamento: i quattro Evangeli:
secondo Matteo, Marco, Luca, Giovanni; gli Atti degli apostoli, scritti dall’evangelista Luca; le
quattordici Lettere dell’Apostolo
Paolo: ai Romani, due
ai Corinti, ai Galati, agli Efesini, ai Filippesi, ai Colossesi,
due ai Tessalonicesi, due a Timoteo, a Tito, a Filemone,
agli Ebrei; due dell’apostolo
Pietro, tre dell’apostolo Giovanni, una dell’apostolo Giacomo, una
dell’apostolo Giuda, e l’Apocalisse dell’apostolo Giovanni.
Se qualcuno, poi, non
accetterà come sacri e canonici questi libri, interi con tutte le loro parti,
come si è soliti leggerli nella chiesa cattolica e come si trovano
nell’edizione antica della volgata latina e disprezzerà consapevolmente le
predette tradizioni, sia anatema.
Sappiano quindi
tutti, con quali argomenti lo stesso sinodo, posto il fondamento della
confessione della fede, procederà, e soprattutto di quali testimonianze e
difese si servirà nel confermare gli insegnamenti e nel riformare i costumi
nella chiesa.
Secondo decreto: Si accetta l’edizione volgata della Bibbia e si prescrive il modo di
interpretare la sacra Scrittura ecc.
Lo stesso sacrosanto sinodo, considerando, inoltre, che la
chiesa di Dio potrebbe ricavare non piccola utilità, se si sapesse quale, fra
tutte le edizioni latine dei libri sacri, che sono in uso, debba essere
ritenuta autentica, stabilisce e dichiara che questa stessa antica edizione
volgata, approvata nella chiesa dall’uso di tanti secoli, si debba ritenere
come autentica nelle pubbliche letture, nelle dispute, nella predicazione e
che nessuno osi o presuma respingerla con qualsiasi pretesto.
Inoltre, per reprimere gli
ingegni troppo saccenti, dichiara che nessuno, basandosi sulla propria
saggezza, negli argomenti di fede e di costumi, che riguardano la dottrina
cristiana, piegando la sacra Scrittura secondo i propri modi di vedere, osi
interpretarla contro il senso che ha (sempre) ritenuto e ritiene la santa
madre chiesa, alla quale spetta di giudicare del vero senso e
dell’interpretazione delle sacre scritture o anche contro l’unanime consenso
dei padri, anche se queste interpretazioni non dovessero esser mai
pubblicate. Chi contravvenisse sia denunciato dagli ordinari e punito secondo
il diritto.
Ma, volendo anche com’è giusto, imporre un limite in questo
campo agli editori, i quali, ormai, senza alcun criterio - credendo che sia
loro lecito tutto quello che loro piace — stampano, senza il permesso dei
superiori ecclesiastici, i libri della sacra scrittura con note e commenti di
chiunque indifferentemente, spesso tacendo il nome dell’editore, spesso
nascondendolo con uno pseudonimo, e - cosa ancor più grave, - senza il nome
dell’autore, e pongono in vendita altrove, temerariamente, questi libri
stampati, il concilio prescrive e stabilisce che, d’ora in poi la sacra
scrittura - specialmente questa antica volgata edizione, sia stampata nel
modo più corretto, e che nessuno possa stampare o far stampare libri di
soggetto sacro senza il nome dell’autore né venderli in futuro o anche
tenerli presso di sé, se prima non sono stati esaminati ed approvati
dall’ordinario, sotto minaccia di scomunica e della multa stabilita dal
canone dell’ultimo concilio Lateranense.
Se si trattasse di religiosi, oltre a questo esame e a questa
approvazione, siano obbligati ad ottenere anche la licenza dei loro
superiori, dopo che questi avranno esaminato i libri secondo le prescrizioni
delle loro regole.
Chi comunica o diffonde per iscritto tali libri, senza che siano
stati prima esaminati ed approvati, sia sottoposto alle stesse pene riservate
agli stampatori. Quelli che li posseggono o li leggono, se non diranno il
nome dell’autore, siano considerati come autori. L’approvazione di questi
libri venga data per iscritto, e quindi sia posta sul frontespizio del libro,
sia esso scritto a mano o stampato. L’approvazione e l’esame siano gratuiti,
così che le cose da approvarsi siano approvate e siano riprovate quelle da
riprovarsi.
Volendo infine reprimere il
temerario uso, per cui parole e espressioni della sacra scrittura vengono
adattate e contorte a significare cose profane, volgari, favolose, vane,
adulazioni, detrazioni, superstizioni, incantesimi empi e diabolici,
divinazioni, sortilegi, libelli diffamatori, il concilio comanda ed ordina
per togliere di mezzo questo irriverente disprezzo, ed anche perché in
avvenire nessuno osi servirsi, in qualsiasi modo, delle parole della sacra
scrittura per indicare simili cose, che tutti i corruttori e violatori della
parola di Dio, siano puniti dai vescovi secondo il diritto o la discrezione
dei vescovi stessi.
[...]
SESSIONE V
Decreto sul peccato originale.
Perché la nostra fede
cattolica, senza la quale è impossibile
piacere a Dio, rimossi gli errori, resti integra e pura e perché il
popolo cristiano non sia turbato da
ogni vento di dottrina dal momento che l’antico, famoso serpente, sempre
nemico del genere umano, tra i moltissimi mali da cui è sconvolta la chiesa
di Dio in questi nostri tempi, ha suscitato nuovi e vecchi dissidi, anche nei riguardi del peccato
originale e dei suoi rimedi il sacrosanto, ecumenico e generale concilio
tridentino, legittimamente riunito nello Spirito santo, sotto la presidenza
degli stessi tre legati della sede apostolica, volendo richiamare gli erranti
e confermare gli incerti, seguendo le testimonianze delle sacre scritture,
dei santi padri, dei concili più venerandi ed il giudizio e il consenso della
chiesa stessa, stabilisce, confessa e dichiara quanto segue sul peccato
originale.
1. Chi non ammette che il primo uomo
Adamo, avendo trasgredito nel paradiso il comando di Dio, ha perso subito la
santità e la giustizia, nelle quali era stato creato e che è incorso per
questo peccato di prevaricazione nell’ira e nell’indignazione di Dio, e,
quindi, nella morte, che Dio gli aveva prima minacciato, e, con la morte,
nella schiavitù di colui che, in seguito, ebbe il potere della morte e
cioè il demonio; e che Adamo per quel peccato di prevaricazione fu
peggiorato nell’anima e nel corpo: sia anatema.
2. Chi afferma che la prevaricazione di
Adamo nocque a lui solo, e non anche alla sua discendenza; che perdette per
sé soltanto, e non anche per noi, la santità e giustizia che aveva ricevuto
da Dio; o che egli, inquinato dal peccato di disobbedienza, abbia trasmesso a
tutto il genere umano solo la morte e le pene del corpo, e non invece anche
il peccato, che è la morte dell’anima: sia anatema. Contraddice infatti
all’apostolo, che afferma: Per mezzo di un sol uomo il peccato entrò nel
mondo e a causa del peccato la morte, e così la morte si trasmise a tutti gli
uomini, perché in lui tutti peccarono.
3. Chi afferma che il peccato di Adamo, uno per la sua origine,
trasmesso con la generazione e non per imitazione, che aderisce a tutti, ed è
proprio di ciascuno, possa esser tolto con le forze della natura umana, o con
altro mezzo, al di fuori dei meriti dell’unico mediatore, il signore nostro
Gesù Cristo, che ci ha riconciliati con Dio per mezzo del suo sangue, diventato per noi giustizia, santificazione
e redenzione; o nega che lo stesso merito di Gesù Cristo venga applicato
sia agli adulti che ai bambini col sacramento
del battesimo, rettamente conferito secondo il modo proprio della chiesa: sia
anatema. Perché non esiste sotto il
cielo altro nome dato agli uomini nel quale è stabilito che possiamo essere
salvi. Da cui l’espressione: Ecco
l’agnello di Dio, ecco colui che toglie i peccati del mondo e l’altra: Tutti voi che siete stati battezzati, vi
siete rivestiti di Cristo.
4. Chi nega che i fanciulli, appena nati debbano esser
battezzati, anche se figli di genitori battezzati oppure sostiene che essi
sono battezzati per la remissione dei peccati, ma che non contraggono da
Adamo alcun peccato originale, che sia necessario purificare col lavacro della
rigenerazione per conseguire la vita eterna, e che, quindi, per loro la forma
del battesimo per la remissione dei peccati non debba credersi vera, ma falsa
sia anatema. Infatti, non si deve intendere in altro modo quello che dice
l’apostolo: Per mezzo di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo, e col
peccato la morte, così la morte si è trasmessa ad ogni uomo perché tutti gli
uomini hanno peccato se non nel senso in cui la chiesa cattolica
universale l’ha sempre inteso. Secondo questa norma di fede per tradizione
apostolica anche i bambini, che non hanno ancora potuto commettere peccato,
vengono veramente battezzati, affinché in essi sia purificato con la
rigenerazione quello che contrassero con la generazione. Se, infatti, uno non rinasce per l’acqua e lo Spirito santo, non può
entrare nel regno di Dio.
5. Chi nega che per la grazia del signore nostro Gesù Cristo,
conferita nel battesimo, sia rimesso il peccato originale, o anche se
asserisce che tutto quello che è vero e proprio peccato, non viene tolto, ma
solo cancellato o non imputato sia anatema. In quelli infatti che sono rinati
a nuova vita Dio non trova nulla di odioso, perché non vi è dannazione per
coloro che col battesimo sono stati sepolti con Cristo nella morte, i quali non camminano secondo la carne,
ma spogliandosi dell’uomo vecchio e rivestendosi del nuovo, che è stato
creato secondo Dio, sono diventati innocenti, immacolati, puri, senza
macchia, figli cari a Dio, eredi di Dio
e coeredi di Cristo; di modo che assolutamente nulla li trattiene
dall’ingresso nel cielo.
Questo santo sinodo confessa che tuttavia nei battezzati rimane
la concupiscenza o passione. Ma, essendo questa lasciata per la lotta, non
può nuocere a quelli che non acconsentono e che le si oppongono virilmente
con la grazia di Gesù Cristo. Anzi, chi
avrà combattuto secondo le regole, sarà coronato.
Il santo sinodo dichiara che mai la chiesa cattolica ha inteso
che venga chiamato "peccato" la concupiscenza, qualche volta
chiamata dall’apostolo peccato, per il fatto che nei rinati alla grazia non è
un vero e proprio peccato, ma perché ha origine dal peccato e ad esso
inclina. Chi pensasse il contrario sia anatema.
6. Questo santo sinodo dichiara
tuttavia, che non è sua intenzione comprendere in questo decreto, dove si
tratta del peccato originale, la beata ed immacolata vergine Maria, madre di
Dio, ma che si debbano osservare a questo riguardo le costituzioni di papa
Sisto IV, di felice memoria, sotto pena di incorrere nelle sanzioni in esse
contenute che il sinodo rinnova.
Secondo decreto: Sulla lettura della s. scrittura e la predicazione.
[...]
15. Se un predicatore
seminasse errori o scandali in mezzo al popolo, anche se predica in un
monastero del proprio o di un altro ordine, il vescovo gli proibisca la
predicazione. Se predicasse delle eresie proceda contro di lui secondo il
diritto o l’uso del luogo, anche se il predicatore pretendesse di essere
esente per un privilegio generale o speciale. In questo caso il vescovo
proceda con autorità apostolica e come delegato della sede apostolica. I
vescovi impediscano che un predicatore sia molestato per false informazioni o
comunque calunniosamente, e che possa a giusto motivo di lamentarsi di essi.
[...]
SESSIONE VI
Decreto sulla giustificazione.
Proemio
In questi anni è stata divulgata con
grave danno per molte anime e per l’unità della chiesa, una dottrina erronea
sulla giustificazione. Perciò questo sacrosanto concilio tridentino ecumenico
e generale, riunito legittimamente nello Spirito santo, a lode e gloria di
Dio onnipotente, per la tranquillità della chiesa e per la salvezza delle
anime, sotto la presidenza dei reverendissimi signori Gianmaria del Monte,
cardinale vescovo di Palestrina, Marcello Cervini, cardinale presbitero del
titolo di S. Croce in Gerusalemme, cardinali della santa chiesa romana, e
legati apostolici de latere, a nome del nostro santissimo padre in Cristo e
signore Paolo III, per divina provvidenza papa, intende esporre a tutti i
fedeli cristiani la vera e sana dottrina sulla giustificazione che Gesù Cristo,
sole di giustizia, autore e perfezionatore della nostra fede, ha insegnato
che gli apostoli hanno trasmesso e che la chiesa cattolica, sotto
l’ispirazione dello Spirito santo, ha sempre ritenuto. E proibisce
assolutamente che, d’ora innanzi, qualcuno osi credere, predicare e insegnare
diversamente da quello che col presente decreto si stabilisce e si dichiara.
Capitolo I.
L’impotenza della natura e della legge a
giustificare gli uomini.
Prima di tutto il santo sinodo dichiara
che, per una conoscenza esatta e corretta della dottrina della
giustificazione, è necessario che ognuno riconosca e confessi che tutti gli
uomini, perduta l’innocenza per la prevaricazione di Adamo, fatti immondi e
(come dice l’apostolo) per natura figli
dell’ira, come ha esposto nel decreto sul peccato originale, erano
talmente servi del peccato e sotto il potere del diavolo e della morte, che
non solo i gentili con le forze della natura, ma neppure i Giudei con
l’osservanza della lettera della legge di Mosè potevano esserne liberati e
risollevati, anche se in essi il libero arbitrio non era affatto estinto, ma
solo attenuato e indebolito.
Capitolo II.
L’economia della salvezza e il mistero della venuta di Cristo.
Perciò
il Padre celeste, padre delle misericordie e Dio di ogni consolazione,
quando giunse quella beata pienezza dei tempi, mandò agli uomini Gesù Cristo, suo figlio, annunciato e promesso,
sia prima della legge, sia durante il tempo della legge da molti santi padri,
affinché riscattasse i Giudei, che erano sotto la legge, e i
gentili i quali non cercavano la giustizia, ottenessero la giustizia; e
tutti ricevessero l’adozione di
figli. Questo Dio ha posto quale propiziatore mediante la fede nel suo
sangue, per i nostri peccati, e non solo per i nostri, ma anche per
quelli di tutto l’universo.
Capitolo III.
Chi sono i giustificati da Gesù Cristo.
Ma benché egli sia risorto
per tutti, tuttavia non tutti ricevono il beneficio della sua morte, ma
solo quelli cui viene comunicato il merito della sua passione.
Come infatti gli uomini, in concreto, se non nascessero dalla
discendenza del seme di Adamo, non nascerebbero ingiusti, proprio perché con
questa propagazione, quando vengono concepiti, contraggono da lui la propria
ingiustizia: così se essi non rinascessero nel Cristo, non potrebbero mai
essere giustificati, proprio perché con quella rinascita viene attribuita
loro, per il merito della sua passione la grazia per cui diventano giusti.
Per questo
beneficio l’apostolo ci esorta a rendere sempre grazie al Padre, che ci ha fatti degni di partecipare alla eredità dei santi
nella luce, che ci ha liberati dal potere delle tenebre e ci ha trasportati
nel regno del Figlio del suo amore, nel quale abbiamo la redenzione e la
remissione dei peccati.
Capitolo IV.
Descrizione della giustificazione dell’empio.
Suo modo sotto la grazia.
Queste parole
indicano chiaramente che la giustificazione dell’empio è il passaggio dallo
stato, in cui l’uomo nasce figlio del primo Adamo, allo stato di grazia e di
adozione dei figli di Dio, per mezzo del secondo Adamo, Gesù Cristo, nostro
Salvatore. Questo passaggio, dopo la promulgazione del Vangelo, non può
avvenire senza il lavacro della rigenerazione o senza il desiderio di esso,
conformemente a quanto sta scritto: Se
uno non rinascerà per acqua e Spirito santo, non può entrare nel regno di Dio.
Capitolo V.
Necessità degli adulti di prepararsi alla giustificazione, e da
dove essa scaturisce.
Dichiara ancora il concilio che negli adulti l’inizio della
stessa giustificazione deve prender la mosse dalla grazia preveniente di Dio,
per mezzo di Gesù Cristo, cioè della chiamata, che essi ricevono senza alcun
loro merito, di modo che quelli che coi loro peccati si erano allontanati da
Dio, disposti dalla sua grazia, che sollecita ed aiuta, ad orientarsi verso
la loro giustificazione, accettando e
cooperando liberamente alla stessa grazia, così che, toccando Dio il cuore
dell’uomo con l’illuminazione dello Spirito Santo, l’uomo non resti
assolutamente inerte subendo quella ispirazione, che egli può anche respingere,
né senza la grazia divina possa, con la sua libera volontà, rivolgersi
alla giustizia dinanzi a Dio.
Perciò quando
nelle sacre scritture si dice: Convertitevi a me, ed io mi rivolgerò a
voi, si accenna alla nostra libertà e quando rispondiamo: Facci tornare, Signore, a te e noi
ritorneremo, noi confessiamo di essere prevenuti dalla grazia di Dio.
Capitolo VI.
Il modo di prepararsi.
Gli uomini si dispongono alla stessa giustizia, quando, eccitati
ed aiutati dalla grazia divina, ricevendo la fede mediante l’ascolto, si
volgono liberamente verso Dio, credendo vero ciò che è stato divinamente
rivelato e promesso, e specialmente che l’empio viene giustificato da Dio col
dono della sua grazia, mediante la
redenzione che è in Cristo Gesù. Parimenti accade quando, riconoscendo di
essere peccatori, scossi dal timore della divina giustizia passano a
considerare la misericordia di Dio e sentono nascere in sé la speranza,
confidando che Dio sarà loro propizio a causa del Cristo, e cominciano ad
amarlo come fonte di ogni giustizia; e si rivolgono, quindi, contro il
peccato con odio e detestazione, cioè con quella penitenza, che bisogna fare
prima del battesimo; infine si propongono di ricevere il battesimo, di cominciare
una nuova vita e di osservare i comandamenti divini.
Di questo
atteggiamento sta scritto: È necessario
che chiunque s’accosta a Dio, creda che egli esiste
e che ricompensa quelli che lo cercano; e: Confida, figlio, ti
sono rimessi i tuoi peccati; come pure: Il timore del Signore scaccia il peccato; e: Fate penitenza e ciascuno di voi sia battezzato nel nome di Gesù
Cristo per la remissione dei vostri peccati e riceverete il dono dello
Spirito santo; e: Andate dunque e
istruite tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre, del Figlio, e
dello Spirito santo, insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho
comandato; finalmente: Rivolgete al
Signore i vostri cuori.
Capitolo VII.
Cosa è la giustificazione del peccatore e quali le sue cause.
A questa disposizione o preparazione segue la stessa
giustificazione. Essa non è solo remissione dei peccati, ma anche
santificazione e rinnovamento dell’uomo interiore, attraverso l’accettazione
volontaria della grazia e dei doni, per cui l’uomo da ingiusto diviene
giusto, e da nemico amico, così da essere erede
secondo la speranza della vita eterna.
Cause di questa giustificazione sono: causa finale, la gloria di
Dio e del Cristo e la vita eterna; causa efficiente la misericordia di Dio,
che gratuitamente lava e santifica, segnando ed ungendo con lo Spirito della promessa, quello santo che è pegno della nostra eredità causa
meritoria è il suo dilettissimo unigenito e signore nostro Gesù Cristo, il
quale, pur essendo noi suoi nemici, per l’infinito
amore con cui ci ha amato, ci ha meritato la giustificazione con la sua
santissima passione sul legno della croce e ha soddisfatto per noi Dio Padre.
Causa strumentale è il sacramento del battesimo, che è il sacramento della
fede, senza la quale a nessuno, mai, viene concessa la giustificazione.
Finalmente, unica causa formale è la giustizia di Dio, non certo quella per
cui egli è giusto, ma quella per cui ci rende giusti; con essa, cioè per suo
dono, veniamo rinnovati interiormente nello spirito, e non solo veniamo considerati
giusti, ma siamo chiamati tali e lo siamo di fatto, ricevendo in noi ciascuno
la propria giustizia, nella misura in cui lo Spirito santo la distribuisce ai
singoli come vuole e secondo la disposizione e la cooperazione propria di
ciascuno.
Quantunque infatti nessuno possa esser giusto, se non colui al
quale vengono comunicati i menti della passione del signore nostro Gesù
Cristo, ciò, tuttavia, in questa giustificazione del peccatore, si opera
quando, per mento della stessa santissima passione, l’amore di Dio viene
diffuso mediante lo Spirito santo nei cuori di coloro che sono giustificati e
inerisce loro. Per cui nella stessa giustificazione l’uomo, con la remissione
dei peccati, riceve insieme tutti questi doni per mezzo di Gesù Cristo nel
quale è innestato: la fede, la speranza e la carità. Infatti la fede, qualora non si aggiungano ad essa la speranza e la
carità, non unisce perfettamente a Cristo né rende membra vive del suo corpo.
Per questo motivo è assolutamente vero affermare che la fede senza le opere è
morta ed inutile e che in Cristo non valgono né la circoncisione, né la
incirconcisione, ma la fede operante
per mezzo della carità.
Questa fede,
secondo la tradizione apostolica, chiedono i catecumeni alla chiesa prima del
sacramento del battesimo quando chiedono la fede che dà la vita eterna, che
la fede non può garantire senza la speranza e la carità. È per questo che
essi ascoltano subito la parola di Cristo: Se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti. Perciò a chi
riceve lo vera giustizia cristiana, non appena rinato viene comandato di
conservare candida e senza macchia la prima stola, donata loro da Gesù Cristo
in luogo di quella che Adamo ha perso con la sua disobbedienza per sé e per
noi. Essi dovranno portarla dinanzi al tribunale del signore nostro Gesù
Cristo per avere la vita eterna.
Capitolo VIII.
Come si debba intendere che il peccatore è giustificato per la
fede e gratuitamente.
Quando poi l’apostolo dice che l’uomo
viene giustificato per la fede e gratuitamente, queste parole si devono
intendere secondo l’interpretazione accettata e manifestata dal concorde e
permanente giudizio della chiesa cattolica e cioè che siamo giustificati
mediante la fede, perché la fede è il principio dell’umana salvezza, il
fondamento e la radice di ogni giustificazione, senza la quale è impossibile
piacere a Dio, giungere alla comunione che con lui hanno i suoi figli. Si
dice poi che noi siamo giustificati gratuitamente, perché nulla di ciò che
precede la giustificazione - sia la fede che le opere - merita la grazia
della giustificazione, se infatti è per grazia,
non è per le opere; o altrimenti (come dice lo stesso apostolo) la grazia non sarebbe più grazia.
Capitolo IX.
Contro la vana fiducia degli eretici.
Quantunque sia necessario
credere che i peccati non vengano rimessi, né siano stati mai rimessi, se non
gratuitamente dalla divina misericordia a cagione del Cristo: deve dirsi,
tuttavia, che a nessuno che ostenti fiducia e certezza della remissione dei
propri peccati e che si abbandoni in essa soltanto, vengono rimessi o sono
stati rimessi i peccati, mentre fra gli eretici e gli scismatici potrebbe
esservi, anzi vi è, in questo nostro tempo, e viene predicata con grande
accanimento contro la chiesa cattolica questa fiducia vana e lontana da ogni
vera pietà.
Ma neppure si può affermare che sia necessario che coloro che
sono stati realmente giustificati, debbano credere assolutamente e senza
alcuna esitazione, dentro di sé, di essere giustificati; e che nessuno venga
assolto dai peccati e giustificato, se non chi crede fermamente di essere
assolto e giustificato e che l’assoluzione e la giustificazione sia operata
per questa sola fede, quasi che chi non credesse ciò, dubiti delle promesse
di Dio e dell’efficacia della morte e della resurrezione del Cristo.
Infatti come
nessun uomo pio deve dubitare della misericordia di Dio, del merito del
Cristo, del valore e dell’efficacia dei sacramenti, così ciascuno nel
considerare se stesso, la propria debolezza e le sue cattive disposizioni, ha
motivo di temere ed aver paura della sua grazia, non potendo alcuno sapere
con certezza di fede, scevra di falso, se ha conseguito la grazia di Dio.
Capitolo X.
L’aumento della grazia ricevuta.
Gli uomini così
giustificati e divenuti amici e familiari di Dio, progredendo di virtù in virtù, si rinnovano (come dice
l’apostolo) di giorno in giorno, mortificando, cioè, le membra del proprio
corpo e mostrandole come armi di giustizia per la santificazione, attraverso
l’osservanza dei comandamenti di Dio e della chiesa: nella stessa giustizia
ricevuta per la grazia di Cristo, con la cooperazione della fede alle buone
opere, essi crescono e vengono resi sempre più giusti, come è scritto: Chi è giusto, continui a compiere atti di
giustizia, ed ancora: Non aspettare
fino alla morte a giustificarti, e di nuovo: Voi dunque vedete che l’uomo è giustificato dalle opere e non dalla
fede soltanto. Questo aumento della giustizia chiede la santa chiesa
quando prega: Dacci, o Signore, un
aumento di fede, di speranza e di carità.
Capitolo XI.
Dell’osservanza dei comandamenti e della
sua necessità e possibilità.
Nessuno, poi, per quanto
giustificato, deve ritenersi libero dall’osservanza dei comandamenti, nessuno
deve far propria quell’espressione temeraria e proibita dai padri sotto pena
di scomunica, esser cioè impossibile per l’uomo giustificato osservare i
comandamenti di Dio. Dio, infatti, non comanda l’impossibile; ma quando
comanda ti ammonisce di fare quello che puoi e di chiedere quello che non
puoi, ed aiuta perché tu possa: i suoi comandamenti non sono gravosi, il suo
giogo è soave e il peso leggero.
Quelli infatti che sono figli di Dio, amano Cristo e quelli che
lo amano (come dice lui stesso) osservano le sue parole, cosa che con l’aiuto
di Dio certamente possono fare. Quantunque
infatti in questa vita mortale, per quanto santi e giusti, qualche volta essi
cadono almeno in mancanze leggere e quotidiane, che si dicono anche veniali,
non per questo cessano di essere giusti. Ed è propria dei giusti
l’espressione, umile e verace: Rimetti
a noi i nostri debiti.
Deriva da ciò, che gli stessi giusti debbano sentirsi tanto
maggiormente obbligati a camminare per la via della giustizia, quanto più, liberi già dal peccato e fatti schiavi di
Dio, vivendo con moderazione,
giustizia e pietà, possono progredire per mezzo di Gesù Cristo, mediante
il quale ebbero accesso a questa grazia. Dio infatti non abbandona con la sua
grazia quelli che una volta ha giustificato, a meno che prima non sia
abbandonato da essi.
Nessuno quindi deve
cullarsi nella sola fede, credendo di essere stato costituito erede e di
conseguire l’eredità per la sola fede, anche senza soffrire con Cristo per
poi esser con lui glorificato. Cristo stesso, infatti, come dice l’apostolo, sebbene fosse Figlio, imparò, da ciò che
sofferse, l’obbedienza; sicché reso perfetto, divenne principio di eterna
salvezza per tutti quelli che gli obbediscono. Per questo lo stesso
apostolo ammonisce quelli che sono stati giustificati, dicendo: Non sapete che nelle corse allo stadio
tutti corrono, ma uno solo conquista il premio? Io dunque corro, ma non come
chi è senza meta, faccio il pugilato, ma non come chi batte l’aria, anzi
tratto duramente il mio corpo e lo trascino in schiavitù perché non succeda
che dopo avere predicato agli altri, venga io stesso squalificato.
Ugualmente Pietro principe degli apostoli, dice: Adoperatevi sempre più per rendere sicura
la vostra vocazione e la vostra elezione; poiché facendo questo voi mai
peccherete.
Deriva da ciò,
che sono in contrasto con la dottrina della vera religione quelli che dicono
che il giusto pecca, almeno venialmente, in ogni opera buona; o (cosa ancora
più insostenibile) che merita le pene eterne. E sono pure in contrasto quelli
che sostengono che in tutte le opere buone i giusti peccano, se, eccitando in
quelle la loro pigrizia ed esortando se stessi a correre nello stadio,
insieme anzitutto con la gloria di Dio, essi guardano anche al premio eterno
poiché sta scritto: Ho piegato il mio
cuore ad osservare i tuoi precetti, per la ricompensa. E di Mosè
l’apostolo dice che tendeva alla ricompensa.
Capitolo XII.
Bisogna evitare la presunzione temeraria
della predestinazione.
Nessuno, inoltre, fino che vivrà in
questa condizione mortale, deve presumere talmente del mistero segreto della
divina predestinazione, da ritenere per certo di essere senz’altro nel numero
dei predestinati, quasi fosse vero che chi è stato giustificato o non possa
davvero più peccare, o se anche peccasse, debba ripromettersi un sicuro
ravvedimento. Infatti non si possono conoscere quelli che Dio si è scelti se
non per una speciale rivelazione.
Capitolo XIII.
Del dono della perseveranza.
Similmente, per quanto riguarda il dono della perseveranza, di
cui sta scritto: Chi avrà perseverato sino alla fine, questi sarà salvo (dono
che non si può avere se non da chi ha tanta potenza da mantenere in piedi
colui che già vi è, perché perseveri, e da riporvi colui che cade), nessuno
si riprometta qualche cosa con assoluta certezza, quantunque tutti debbano nutrire
e riporre fiducia fermissima nell’aiuto di Dio. Dio infatti se essi non
vengono meno alla sua grazia, come ha cominciato un’opera buona, così la
perfezionerà, suscitando il volere e l’operare.
Tuttavia quelli
che credono di esser in piedi, guardino di non cadere, e lavorino per la
propria salvezza con timore e tremore, nelle fatiche, nelle veglie, nelle
elemosine, nelle preghiere e nelle offerte, nei digiuni e nella castità.
Proprio perché sanno di essere rinati alla speranza della gloria, e non ancora
alla gloria, devono temere per la battaglia che ancora rimane contro la
carne, contro il mondo, contro il diavolo, nella quale non possono riuscire
vincitori, se non si atterranno con la grazia di Dio, alle parole
dell’apostolo: Noi siamo debitori, ma non
verso la carne, da dovere vivere secondo la carne. Se vivete secondo la
carne, morrete; se invece per mezzo dello Spirito fate morire le azioni del
corpo, vivrete.
Capitolo XIV.
Di quelli che cadono e della loro riparazione.
Quelli poi che col peccato sono venuti meno alla grazia della
giustificazione, potranno nuovamente essere giustificati, se procureranno,
sotto l’ispirazione di Dio, di recuperare la grazia perduta attraverso il
sacramento della penitenza, per merito
del Cristo. Questo modo di essere giustificato consiste nella riparazione
di colui che è caduto; quella riparazione che i santi padri chiamarono, con
espressione adatta, la seconda tavola dopo il naufragio della grazia perduta.
Infatti, per quelli che cadono in peccato dopo il battesimo, Gesù Cristo ha
istituito il sacramento della penitenza, quando disse: Ricevete lo Spirito santo. A chi rimetterete i peccati saranno loro
rimessi, e a chi li riterrete, saranno ritenuti.
Bisogna quindi, insegnare che la penitenza del cristiano dopo la
caduta è di natura molto diversa da quella del battesimo e che essa comporta
non solo la cessazione dai peccati e la loro detestazione, cioè un
cuore contrito ed umiliato, ma anche la confessione sacramentale dei
medesimi, almeno nel desiderio e da farsi a suo tempo e l’assoluzione del
sacerdote; e così pure la soddisfazione col digiuno, con le elemosine, con le
orazioni e con le altre pie pratiche della vita spirituale, non certo per la
pena eterna, che è rimessa con la colpa mediante il sacramento o il desiderio
del sacramento, ma per la pena temporale, che (come insegna la sacra
scrittura) non sempre viene totalmente rimessa, come nel battesimo, a quelli
che, ingrati verso la grazia di Dio, che hanno ricevuto, contristarono lo Spirito
santo, ed osarono violare il tempio del Signore.
Di
questa penitenza sta scritto: Ricordati dunque da dove sei caduto,
ravvediti e compi le opere di prima. Ed inoltre: La tristezza che è secondo Dio, produce un pentimento salutare che
non si rimpiange, perché conduce a salvezza. E di nuovo: Ravvedetevi;
e: Fate degni frutti di penitenza.
Capitolo XV.
Con qualunque peccato mortale si perde la grazia, ma non la
fede.
Contro le maligne insinuazioni di
certi spiriti, i quali con parole dolci e seducenti ingannano i cuori dei
semplici, bisogna affermare che non solo con l’infedeltà, per cui si
perde la stessa fede, ma anche con
qualsiasi altro peccato mortale, sebbene non si perda la fede, si perde però
la grazia della giustificazione. Con ciò difendiamo l’insegnamento della
legge divina, che esclude dal regno di Dio non soltanto gli infedeli, ma
anche i fedeli impuri, adulteri, effeminati, sodomiti, ladri, avari,
ubriaconi, maledici, rapaci e tutti gli altri che commettono peccati mortali,
da cui con l’aiuto della grazia potrebbero astenersi e a causa dei quali
vengono separati dalla grazia del Cristo.
Capitolo XVI.
Del
frutto della giustificazione, ossia del merito delle buone opere e della
ragione di questo merito.
Ora agli uomini giustificati in questo
modo, sia che abbiano sempre conservato la grazia ricevuta, sia che, dopo
averla perduta, l’abbiano recuperata si devono proporre le parole
dell’apostolo: Abbondate in ogni opera buona, sapendo che il vostro lavoro
nel Signore non è vano. Egli infatti non è ingiusto e non dimentica
ciò che avete fatto, né l’amore che avete dimostrato per il suo nome. E: non
abbandonate dunque la vostra fiducia, alla quale è riservata una grande
ricompensa.
Perciò a quelli che operano bene fino alla fine e sperano in Dio
deve proporsi la vita eterna, sia come grazia promessa misericordiosamente ai
figli di Dio per i meriti del Cristo Gesù, sia come ricompensa da darsi
fedelmente, per la promessa di Dio stesso, alle loro opere buone e ai loro
meriti. Questa è infatti quella corona di giustizia che, dopo la sua lotta e
la sua corsa, l’apostolo diceva essere stata messa da parte per lui e che gli
sarebbe stata data dal giusto giudice, e non a lui solo, ma anche a tutti
quelli che amano la sua venuta.
Poiché infatti lo stesso Gesù Cristo,
come il capo nelle membra e la vite nei tralci, trasfonde continuamente la
sua virtù in quelli che sono giustificati, virtù che sempre precede,
accompagna e segue le loro opere buone, e senza la quale non potrebbero in
alcun modo piacere a Dio ed esser meritorie, si deve credere che niente altro
manchi agli stessi giustificati, perché si dica che essi, con le opere che
hanno compiuto in Dio, hanno pienamente soddisfatto alla legge divina, per
quanto possibile in questa vita, e che hanno veramente meritato di ottenere a
suo tempo la vita eterna (se tuttavia moriranno in grazia). Dice, infatti, il
Cristo, nostro Salvatore: Chi berrà l’acqua che gli darò io, non avrà più
sete in eterno; ma l’acqua che gli darò, diventerà in lui sorgente di acqua
zampillante per la vita eterna.
In tal modo né si esalta la nostra giustizia come se provenisse
proprio da noi, né si pone in ombra o si rifiuta la giustizia di Dio. Infatti
quella giustizia che si dice nostra, perché inerente a noi ci giustifica, è
quella stessa di Dio, perché ci viene infusa da Dio per i meriti del Cristo.
Né si deve trascurare che, quantunque
nelle sacre Scritture si dia tanta importanza alle opere buone, che perfino a
chi ha dato a uno dei suoi piccoli un bicchiere d’acqua fresca Cristo promette
che non resterà senza ricompensa, e l’apostolo testimoni: la nostra presente tribolazione
momentanea e leggera ci procura un incommensurabile e eterno cumulo di gloria,
mai un cristiano deve confidare o gloriarsi di se stesso e non nel Signore,
il quale è talmente buono verso tutti gli uomini, da volere che diventino
loro meriti, quelli che sono suoi doni.
E poiché tutti pecchiamo in molte
maniere, ciascuno deve avere dinanzi agli occhi con la misericordia e la
bontà anche la severità e il giudizio, né alcuno deve giudicare se stesso,
anche se non fosse consapevole di nessuna colpa poiché tutta la vita degli
uomini deve essere esaminata e giudicata non secondo il giudizio umano, ma
secondo quello di Dio, il quale illuminerà i segreti Più occulti, e
renderà manifesti i consigli dei cuori; e allora ciascuno avrà da Dio la sua
lode; che, come sta scritto, renderà
a ciascuno secondo le sue opere.
Dopo questa
dottrina cattolica della giustificazione, - e nessuno potrà essere
giustificato se non l’accetterà fedelmente e fermamente -, è sembrato
opportuno al santo sinodo aggiungere i seguenti canoni, perché ognuno sappia
non solo quello che deve credere e seguire, ma anche quello che dovrà evitare
e fuggire.
CANONI SULLA GIUSTIFICAZIONE
1. Se qualcuno afferma che
l’uomo può essere giustificato davanti a Dio dalle sue opere, compiute con le
sole forze umane, o con il solo insegnamento della legge, senza la grazia
divina meritata da Gesù Cristo: sia anatema.
2. Se qualcuno afferma che
la grazia divina meritata da Gesù Cristo viene data solo perché l’uomo possa
più facilmente vivere giustamente e meritare la vita eterna, come se col
libero arbitrio, senza la grazia egli possa realizzare l’una e l’altra cosa,
benché faticosamente e con difficoltà: sia anatema.
3. Se qualcuno afferma che
l’uomo, senza previa ispirazione ed aiuto dello Spirito santo, può credere,
sperare ed amare o pentirsi come si conviene, perché gli venga conferita la
grazia della giustificazione: sia anatema.
4. Se qualcuno dice che il
libero arbitrio dell’uomo, mosso ed eccitato da Dio, non coopera in nessun
modo esprimendo il proprio assenso a Dio, che lo muove e lo prepara ad
ottenere la grazia della giustificazione; e che egli non può dissentire, se lo
vuole, ma come cosa senz’anima non opera in nessun modo e si comporta del
tutto passivamente: sia anatema.
5. Se qualcuno afferma che
il libero arbitrio dell’uomo dopo il peccato di Adamo è perduto ed estinto; o
che esso è cosa di sola apparenza anzi nome senza contenuto e finalmente
inganno introdotto nella chiesa da Satana: sia anatema.
6. Se qualcuno afferma che
non è in potere dell’uomo rendere cattive le sue vie, ma che è Dio che opera
il male come il bene, non solo permettendoli, ma anche volendoli in sé e per
sé, di modo che possano considerarsi opera sua propria il tradimento di Giuda
non meno che la chiamata di Paolo: sia anatema.
7. Se qualcuno dice che tutte le opere fatte prima della
giustificazione, in qualunque modo siano compiute, sono veramente peccati che
meritano l’odio di Dio, e che quanto più uno si sforza di disporsi alla
grazia tanto più gravemente pecca: sia anatema.
8. Se qualcuno afferma che il timore dell’inferno, per il quale,
dolendoci dei peccati, ci rifugiamo nella misericordia di Dio o ci asteniamo
dal male, è peccato e rende peggiori i peccatori: sia anatema.
9. Se qualcuno afferma che
l’empio è giustificato dalla sola fede, così da intendere che non si richieda
nient’altro con cui cooperare al conseguimento della grazia della
giustificazione e che in nessun modo è necessario che egli si prepari e si
disponga con un atto della sua volontà: sia anatema.
10. Se qualcuno dice che
gli uomini sono giustificati senza la giustizia del Cristo mediante la quale
egli ha meritato per noi, o che essi sono formalmente giusti proprio per
essa: sia anatema.
11. Se qualcuno afferma che gli uomini sono giustificati o per
la sola imputazione della giustizia del Cristo, o con la sola remissione dei
peccati, senza la grazia e la carità che è diffusa nei loro cuori mediante lo
Spirito santo e inerisce ad essi; o anche che la grazia, con cui siamo
giustificati, è solo favore di Dio: sia anatema.
12. Se qualcuno afferma
che la fede giustificante non è altro che la fiducia nella divina
misericordia, che rimette i peccati a motivo del Cristo, o che questa fiducia
sola giustifica: sia anatema.
13. Chi afferma che per
conseguire la remissione dei peccati è necessario che ogni uomo creda con
certezza e senza alcuna esitazione della propria infermità e indisposizione,
che i peccati gli sono rimessi: sia anatema.
14. Se qualcuno afferma che l’uomo è assolto dai peccati e
giustificato per il fatto che egli crede con certezza di essere assolto e
giustificato, o che nessuno è realmente giustificato, se non colui che crede
di essere giustificato, e che l’assoluzione e la giustificazione venga
operata per questa sola fede: sia anatema.
15. Se qualcuno afferma
che l’uomo rinato e giustificato è tenuto per fede a credere di essere
certamente nel numero dei predestinati: sia anatema.
16. Se qualcuno dice, con
infallibile e assoluta certezza, che egli avrà certamente il grande dono
della perseveranza finale (a meno che non sia venuto a conoscere ciò per una
rivelazione speciale): sia anatema.
17. Se qualcuno afferma che la grazia della giustificazione
viene concessa solo ai predestinati alla vita, e che tutti gli altri sono
bensì chiamati, ma non ricevono la Grazia, in quanto predestinati al male per
divino volere: sia anatema.
18. Se qualcuno dice che
anche per l’uomo giustificato e costituito in grazia i comandamenti di Dio
sono impossibili ad osservarsi, sia anatema.
19. Chi afferma che nel Vangelo non si comanda altro, fuorché la
fede, che le altre cose sono indifferenti, né comandate, né proibite, ma
libere; o che i dieci comandamenti non hanno nulla a che vedere coi
cristiani: sia anatema.
20. Se qualcuno afferma che l’uomo giustificato e perfetto
quanto si voglia non è tenuto ad osservare i comandamenti di Dio e della
chiesa, ma solo a credere, come se il Vangelo non fosse altro che una
semplice e assoluta promessa della vita eterna, non condizionata
all’osservanza dei comandamenti: sia anatema.
21. Se qualcuno afferma
che Gesù Cristo è stato dato agli uomini da Dio come redentore, in cui confidare
e non anche come legislatore, cui obbedire: sia anatema.
22. Se qualcuno afferma che l’uomo giustificato può perseverare
nella giustizia ricevuta senza uno speciale aiuto di Dio, o non lo può
nemmeno con esso: sia anatema.
23. Se qualcuno afferma che l’uomo, una volta giustificato, non
può più peccare, né perdere la grazia, e che quindi chi cade e pecca, in
realtà non mai è stato giustificato; o, al contrario, che si può per tutta la
vita evitare ogni peccato, anche veniale, senza uno speciale privilegio di
Dio, come la chiesa ritiene della beata Vergine: sia anatema.
24. Se qualcuno afferma che la giustizia ricevuta non viene
conservata ed anche aumentata dinanzi a Dio con le opere buone, ma che queste
sono solo frutto e segno della giustificazione conseguita, e non anche causa
del suo aumento: sia anatema.
25. Se qualcuno afferma che in ogni opera buona il giusto pecca
almeno venialmente, o (cosa ancor più intollerabile) mortalmente, e quindi
merita le pene eterne, e che non viene condannato solo perché Dio non gli
imputa a dannazione quelle opere: sia anatema.
26. Se qualcuno afferma che i giusti non devono aspettare e
sperare da Dio - per la sua misericordia e per tutti i meriti di Gesù Cristo
- l’eterna ricompensa in premio delle buone opere che essi hanno compiuto in
Dio, qualora, agendo bene ed osservando i divini comandamenti, abbiano
perseverato fino alla fine: sia anatema.
27. Se qualcuno afferma
che non vi è peccato mortale, se non quello della mancanza di fede, o che la
grazia, una volta ricevuta, non può esser perduta con nessun altro peccato,
per quanto grave ed enorme, salvo quello della mancanza di fede: sia anatema.
28. Se qualcuno afferma
che, perduta la grazia col peccato, si perde sempre insieme anche la fede, o
che la fede che rimane non è vera fede, in quanto non è viva, o che colui che
ha la fede senza la carità, non è cristiano: sia anatema.
29. Se qualcuno afferma
che chi dopo il battesimo è caduto nel peccato non può risorgere con la
grazia di Dio; o che può recuperare la grazia perduta, ma per la sola fede,
senza il sacramento della penitenza, come la santa chiesa romana e
universale, istruita da Cristo signore e dai suoi apostoli, ha finora
creduto, osservato e insegnato: sia anatema.
30. Se qualcuno afferma che, dopo aver ricevuto la grazia della
giustificazione, a qualsiasi peccatore pentito viene rimessa la colpa e
cancellato il debito della pena eterna in modo tale che non gli rimanga alcun
debito di pena temporale da scontare sia in questo mondo sia nel futuro in
purgatorio, prima che possa essergli aperto l’ingresso al regno dei cieli:
sia anatema.
31. Se qualcuno afferma che colui che è giustificato pecca,
quando opera bene in vista della eterna ricompensa: sia anatema.
32. Se qualcuno afferma che le opere buone dell’uomo giustificato
sono doni di Dio, così da non essere anche meriti di colui che è
giustificato, o che questi con le buone opere da lui compiute per la grazia
di Dio e i meriti di Gesù Cristo (di cui è membro vivo), non merita realmente
un aumento di grazia, la vita eterna e il conseguimento della stessa vita
eterna (posto che muoia in grazia) ed anche l’aumento della gloria: sia
anatema.
33. Se qualcuno afferma
che con questa dottrina cattolica della giustificazione, espressa dal santo
sinodo col presente decreto, si riduce in qualche modo la gloria di Dio o i
meriti di Gesù Cristo nostro signore, e non piuttosto si manifesta la verità
della nostra fede e infine la gloria di Dio e di Gesù Cristo: sia anatema.
[...]
SESSIONE
XIII
Decreto sul santissimo sacramento dell’eucarestia.
Il
sacrosanto concilio ecumenico e generale Tridentino, legittimamente riunito
nello Spirito santo, sotto la presidenza dello stesso legato e degli stessi
nunzi della Sede Apostolica, benché non senza una particolare guida e
ammaestramento dello Spirito santo si sia raccolto per esporre, cioè, la vera
e antica dottrina della fede e dei sacramenti e rimediare a tutte le eresie e
agli altri gravissimi mali, da cui la chiesa di Dio è ora miseramente
travagliata e divisa in molte e diverse parti, questo, tuttavia, fin da
principio si prefisse in modo particolare: strappare dalle radici la zizzania
degli abominevoli errori e degli scismi, che il nemico in questi nostri tempi
procellosi ha sovraseminato sulla dottrina della fede, sull’uso e sul culto
della sacrosanta eucarestia, che, d’altra parte, il nostro Salvatore ha
lasciato nella sua chiesa come segno di unita e di amore, con cui volle che
tutti i cristiani fosse congiunti ed uniti fra loro.
Quindi
lo stesso sacrosanto sinodo intende proporre su questo venerabile e divino
sacramento dell’eucarestia, la sana, pura dottrina che la chiesa cattolica,
istruita dallo stesso Gesù Cristo, nostro signore, e dagli apostoli, e sotto
l’influsso dello Spirito santo, che le suggerisce di giorno in giorno ogni
verità, ha sempre ritenuto e riterrà fino alla fine del mondo. Esso, quindi, proibisce a tutti i fedeli
cristiani di osare in seguito, di credere, insegnare o predicare diversamente
da come è stato spiegato e definito da questo presente decreto.
Capitolo I.
Della presenza reale del signore nostro Gesù Cristo
nel santissimo sacramento dell’eucarestia.
Prima di tutto questo santo sinodo
insegna e professa chiaramente e semplicemente che nel divino sacramento della
santa eucarestia, dopo la consacrazione del pane e del vino, è contenuto
veramente, realmente e sostanzialmente, sotto l’apparenza di quelle cose
sensibili, il nostro signore Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo.
Non sono, infatti, in contrasto fra loro
questo due cose: che lo stesso nostro
Salvatore sieda sempre nei cieli alla destra del Padre, secondo il modo
naturale di esistere, e che, tuttavia, presente in molti altri luoghi, sia
presso di noi con la sua sostanza, sacramentalmente, con quel modo di esistenza,
che, anche se difficilmente possiamo esprimere a parole, possiamo, tuttavia,
comprendere con la nostra mente, illuminata dalla fede, essere possibile a Dio, e che anzi dobbiamo credere fermissimamente.
Questo, infatti, tutti i nostri padri, che vissero nella vera chiesa di
Cristo, e che hanno trattato di questo santissimo sacramento, hanno
professato chiarissimamente: che il nostro Redentore ha istituito questo
meraviglioso sacramento nell’ultima cena, quando, dopo la benedizione del
pane e del vino, affermò con parole esplicite e chiare di dare ad essi il
proprio corpo e il proprio sangue.
Queste
parole, riportate dai santi evangelisti, e ripetute poi da S. Paolo, hanno
per sé quel significato proprio e chiarissimo, secondo cui sono state
comprese dai padri, è pertanto sommamente indegno che esse vengano distorte
da alcuni uomini rissosi e corrotti a immagini fittizie e immaginarie, con le
quali è negata la verità della carne e del sangue di Cristo, contro il senso
generale della chiesa, la quale come colonna
e sostegno della verità, ha detestato come sataniche queste costruzioni
fantastiche, escogitate da uomini empi, riconoscendo con animo sempre grato e
memore questo preziosissimo dono di Cristo.
Capitolo
II.
Del modo come è stato istituito questo santissimo
sacramento.
Il Signore, quindi, nell’imminenza di
tornare da questo mondo al Padre, istituì questo sacramento. In esso ha
effuso le ricchezze del suo amore verso gli uomini, rendendo memorabili i suoi prodigi, e ci ha comandato di onorare,
nel riceverlo, la sua memoria e di annunziare
la sua morte, fino a che egli venga a giudicare il mondo.
Egli volle che questo sacramento fosse
ricevuto come cibo spirituale delle anime, perché ne siano alimentate e
rafforzate, vivendo della vita di colui, che disse: Chi mangia me, anche lui vive per mezzo mio e come antidoto, con
cui liberarsi dalle colpe d’ogni giorno ed essere preservati dai peccati
mortali.
Volle,
inoltre, che esso fosse pegno della nostra gloria futura e della gioia
eterna; e quindi simbolo di quell’unico corpo, di cui egli è il capo, e a cui
volle che noi fossimo congiunti, come membra, dal vincolo strettissimo della
fede, della speranza e della carità, perché tutti professassimo la stessa
verità, e non vi fossero scismi fra noi.
Capitolo III.
Eccellenza della santissima eucarestia sugli altri
sacramenti.
La santissima eucarestia ha questo di
comune con gli altri sacramenti: che è simbolo di una cosa sacra e forma
visibile della grazia invisibile.
Tuttavia in essa vi è questo di
eccellente e di singolare: che gli altri sacramenti hanno il potere di
santificare solo quando uno li riceve, mentre nell’eucarestia vi è l’autore
della santità già prima dell’uso. Difatti gli apostoli non avevano ancora
ricevuto l’eucarestia dalla mano del Signore e già Egli affermava che quello
che Egli dava era il suo corpo. Sempre vi è stata nella chiesa di Dio questa
fede, che, cioè, subito dopo la consacrazione, vi sia, sotto l’apparenza del
pane e del vino, il vero corpo di nostro Signore e il suo vero sangue, insieme
con la sua anima e divinità. In forza delle parole, il corpo è sotto la
specie del pane e il sangue sotto la specie del vino; ma lo stesso corpo
sotto la specie del vino, e il sangue sotto quella del pane, e l’anima sotto
l’una e l’altra specie, in forza di quella naturale unione e concomitanza,
per cui le parti di Cristo Signore, che ormai è risorto dai morti e non muore
più, sono unite fra loro; ed inoltre la divinità per quella sua ammirabile
unione ipostatica col corpo e con l’anima.
È
quindi verissimo che sotto una sola specie si contiene tanto, quanto sotto
l’una e l’altra. Cristo, infatti, è tutto e intero sotto la specie del pane e
sotto qualsiasi parte di questa specie; e similmente è tutto sotto la specie
del vino e sotto le sue parti.
Capitolo
IV.
La transustanziazione.
Poiché, poi, Cristo, nostro redentore,
disse che era veramente il suo corpo ciò che dava sotto la specie del pane,
perciò fu sempre persuasione, nella chiesa di Dio, - e lo dichiara ora di
nuovo questo santo concilio - che con la consacrazione del pane e del vino si
opera la trasformazione di tutta la sostanza del pane nella sostanza del
corpo di Cristo, nostro signore, e di tutta la sostanza del vino nella
sostanza del suo sangue.
Questa
trasformazione, quindi, in modo adatto e proprio è chiamata dalla santa
chiesa cattolica transustanziazione.
Capitolo V.
Del culto e della venerazione dovuti a questo
santissimo sacramento.
Non
vi è, dunque, alcun dubbio che tutti i fedeli cristiani secondo l’uso sempre
ritenuto nella chiesa cattolica, debbano rendere a questo santissimo
sacramento nella loro venerazione il culto di latria, dovuto al vero Dio.
Non
è, infatti, meno degno di adorazione, per il fatto che sia stato istituito da
Cristo signore per essere ricevuto. Crediamo, infatti, che è presente in esso
lo stesso Dio, di cui l’eterno Padre, introducendolo nel mondo, dice: E lo adorino tutti i suoi angeli; che
i magi, prostrandosi, adorarono, che la scrittura attesta essere stato
adorato in Galilea dagli apostoli.
Dichiara, inoltre, il santo concilio, che
con pensiero molto pio e religioso è stato introdotto nella chiesa di Dio
l’uso di celebrare ogni anno con singolare venerazione e solennità e con una
particolare festività questo nobilissimo e venerabile sacramento, e di
portarlo con riverenza ed onore per le vie e per i luoghi pubblici, nelle
processioni. È giustissimo, infatti, che siano stabiliti alcuni giorni
festivi, in cui tutti i cristiani manifestino con cerimonie particolari e
straordinarie il loro animo grato e memore verso il comune Signore e
Redentore, per un beneficio così ineffabile e divino, con cui viene ricordata
la sua vittoria e il suo trionfo sulla morte.
Ed era necessario che la verità
trionfasse talmente sulla menzogna e sull’eresia, perché i suoi avversari,
posti dinanzi a tanto splendore e a tanta letizia della chiesa universale, o
vengano meno, disfatti e vinti, o presi e confusi dalla vergogna, si
ricredano.
Capitolo
VI.
Della conservazione del sacramento della santa
eucarestia e del dovere di portarlo agli infermi.
L’uso di conservare la santa eucarestia
in un tabernacolo è così antico che fu conosciuto anche ai tempi del concilio
di Nicea.
Che poi la stessa santa eucarestia venga
portata agli infermi, e che a questo scopo venga diligentemente conservata
nelle chiese, oltre che esser sommamente giusto e ragionevole, è anche
comandato da molti concili ed è stato predicato con antichissima consuetudine
dalla chiesa cattolica.
Questo
santo sinodo, perciò, stabilisce che quest’uso del tutto salutare e
necessario debba esser conservato.
Capitolo
VII.
Della preparazione necessaria per ricevere
degnamente la santa eucarestia.
Se non è lecito ad alcuno partecipare a
qualsiasi sacra funzione, se non santamente, certo, quanto più il cristiano
percepisce la santità e la divinità di questo celeste sacramento, tanto più
diligentemente deve guardarsi dall’avvicinarsi a riceverlo senza una grande
riverenza e santità, specie quando leggiamo presso l’apostolo quelle parole,
piene di timore: Chi mangia e beve indegnamente, mangia e beve il proprio giudizio,
non distinguendo il corpo del Signore.
Chi,
quindi, intende comunicarsi, deve richiamare alla memoria il suo precetto:
L’uomo esamini se stesso. E la consuetudine della chiesa dichiara che
quell’esame è necessario così che nessuno, consapevole di peccato mortale,
per quanto possa credere di esser contrito, debba accostarsi alla santa
eucarestia senza aver premesso la confessione sacramentale.
Il santo sinodo stabilisce che questa
norma si debba sempre osservare da tutti i cristiani, anche da quei sacerdoti
che sono tenuti per il loro ufficio a celebrare, a meno che non manchino di
un confessore. Se poi, per necessità, il sacerdote celebrasse senza essersi
prima confessato, si confessi al più presto.
Capitolo
VIII.
Dell’uso di questo ammirabile sacramento.
Quanto al retto e sapiente uso, i nostri
padri distinsero tre modi di ricevere questo santo sacramento. Dissero,
infatti, che alcuni lo ricevono solo sacramentalmente, come i peccatori.
Altri solo spiritualmente, quelli, cioè che desiderando di mangiare quel pane
celeste, loro proposto, con fede viva,
che agisce per mezzo dell’amore, ne sentono il frutto e l’utilità. Gli
altri lo ricevono sacramentalmente e spiritualmente insieme, e sono quelli
che si esaminano e si preparano talmente prima, da avvicinarsi a questa
divina mensa vestiti della veste nuziale.
Nel ricevere la comunione sacramentale fu
sempre uso, nella chiesa di Dio, che i laici la ricevessero dai sacerdoti; e
che i sacerdoti che celebrano si comunicassero da sé. Quest’uso, che deriva
dalla tradizione apostolica, deve a buon diritto esser osservato.
Finalmente questo santo sinodo con
affetto paterno esorta, prega e supplica, per
la misericordia del nostro Dio, che tutti e singoli i cristiani
convengano una buona volta e siano concordi in questo segno di unità, in
questo legame di amore, in questo simbolo di concordia; e che, memori di
tanta maestà e di così meraviglioso amore di Gesù Cristo, nostro signore, che
sacrificò la sua vita diletta come prezzo della nostra salvezza, e ci diede
la sua carne da mangiare, credano e venerino questi sacri misteri del suo
corpo e del suo sangue con tale costanza e fermezza di fede, con tale
devozione dell’anima, con tale pietà ed ossequio, da poter ricevere
frequentemente quel pane supersostanziale, ed esso sia davvero per essi vita
dell’anima e perpetua sanità della mente, cosicché, rafforzati dal suo
vigore, da questo triste pellegrinaggio possano giungere alla patria celeste,
dove potranno mangiare, senza alcun velo, quello stesso pane degli angeli,
che ora mangiano sotto sacre specie.
Ma poiché non basta dire la verità, se
non si scoprono e non si ribattono gli errori, è piaciuto al santo sinodo
aggiungere questi canoni, di modo che tutti, conosciuta ormai la dottrina
cattolica, sappiano anche da quali eresie devono guardarsi e devono evitare.
CANONI
SUL SANTISSIMO SACRAMENTO DELL’EUCARESTIA
1.
Se qualcuno negherà che nel santissimo sacramento dell’eucarestia è contenuto
veramente, realmente, sostanzialmente il corpo e il sangue di nostro signore
Gesù Cristo, con l’anima e la divinità, e, quindi, tutto il Cristo, ma dirà
che esso vi è solo come in un simbolo o una figura, o solo con la sua
potenza, sia anatema.
2.
Se qualcuno dirà che nel santissimo sacramento dell’eucarestia assieme col
corpo e col sangue di nostro signore Gesù Cristo rimane la sostanza del pane
e del vino e negherà quella meravigliosa e singolare trasformazione di tutta
la sostanza del pane nel corpo, e di tutta la sostanza del vino nel sangue, e
che rimangono solamente le specie del pane e del vino, - trasformazione che
la chiesa cattolica con termine appropriatissimo chiama transustanziazione, -
sia anatema.
3.
Se qualcuno dirà che nel venerabile sacramento dell’eucarestia, fatta la
separazione, Cristo non è contenuto in ognuna delle due specie e in ognuna
delle parti di ciascuna specie, sia anatema.
4.
Se qualcuno dirà che, fatta la consacrazione, nel mirabile sacramento
dell’eucarestia non vi è il corpo e il sangue del signore nostro Gesù Cristo,
ma solo nell’uso, mentre si riceve, e non prima o dopo; e che nelle ostie o
parti consacrate, che dopo la comunione vengono conservate e rimangono, non
rimane il vero corpo del Signore, sia anatema.
5.
Se qualcuno dirà che il frutto principale della santissima eucarestia è la
remissione dei peccati, o che da essa non provengono altri effetti, sia
anatema.
6.
Se qualcuno dirà che nel santo sacramento dell’eucarestia Cristo, unigenito
figlio di Dio, non debba essere adorato con culto di latria, anche esterno;
e, quindi, che non debba neppure esser venerato con qualche particolare
festività; ed esser portato solennemente nelle processioni, secondo il
lodevole ed universale rito e consuetudine della santa chiesa; o che non
debba essere esposto alla pubblica venerazione del popolo, perché sia
adorato; e che i suoi adoratori sono degli idolatri, sia anatema.
7.
Se qualcuno dirà che non è lecito conservare la santa eucarestia nel
tabernacolo; ma che essa subito dopo la consacrazione debba distribuirsi agli
astanti; o non esser lecita che essa venga portata solennemente agli
ammalati, sia anatema.
8.
Se qualcuno dirà che Cristo, dato nell’eucarestia, si mangia solo
spiritualmente, e non anche sacramentalmente e realmente, sia anatema.
9.
Se qualcuno negherà che tutti e singoli i fedeli cristiani dell’uno e
dell’altro sesso, giunti all’età della ragione, sono tenuti ogni anno, almeno
a Pasqua, a comunicarsi, secondo il precetto della santa madre chiesa, sia
anatema.
10.
Se qualcuno dirà che non è lecito al sacerdote che celebra comunicare se
stesso, sia anatema.
11. Se qualcuno dirà che la fede è
preparazione sufficiente per ricevere il sacramento della santissima
eucarestia, sia anatema.
E perché un così grande sacramento non
sia ricevuto indegnamente e, quindi, a morte e a condanna, lo stesso santo
sinodo stabilisce e dichiara che quelli che hanno la consapevolezza di essere
in peccato mortale, per quanto essi credano di essere contriti, se vi è un
confessore, devono necessariamente premettere la confessione sacramentale.
Se poi qualcuno crederà di poter
insegnare, predicare o affermare pertinacemente il contrario, o anche
difenderlo in pubblica disputa, perciò stesso sia scomunicato.
SESSIONE XIV
Dottrina
dei santissimi sacramenti della penitenza e dell’estrema unzione.
Il
sacrosanto concilio ecumenico e generale Tridentino, riunito legittimamente
nello Spirito santo, sotto la presidenza dello stesso legato e degli stessi
nunzi della santa sede, quantunque del sacramento della penitenza si sia
parlato molto nel decreto sulla giustificazione quasi necessariamente, per la
stretta relazione degli argomenti, è tanto, tuttavia, in questa nostra età,
il cumulo dei diversi errori su di esso, che non sarà di poca utilità
pubblica dare di esso una definizione più esatta e più completa. In essa, messi a nudo e abbattuti tutti
gli errori con l’aiuto dello Spirito santo, la verità cattolica diverrà più
chiara e più evidente. Questo santo sinodo la propone ora a tutti i
cristiani, perché la conservino per sempre.
Capitolo I.
Della
necessità e della istituzione del
sacramento della penitenza.
Se
in tutti i rigenerati la gratitudine verso Dio fosse tale, da conservare per
sempre la giustizia ricevuta, per suo beneficio e grazia, nel battesimo, non
sarebbe stato necessario che fosse istituito un altro sacramento diverso dal
battesimo stesso, per la remissione dei peccati.
Ma
Dio, ricco di misericordia, conosce la nostra debolezza, ha trovato
il rimedio della vita anche per quelli che si fossero, poi, consegnati alla
schiavitù del peccato e al potere dei demoni, e cioè il sacramento della
penitenza, con cui a chi cade dopo il battesimo, è applicato il beneficio
della morte di Cristo.
La penitenza è stata sempre necessaria,
per conseguire la grazia e la giustificazione, a qualsiasi uomo, che si fosse
macchiato di peccato mortale, anche a quelli che domandano di essere lavati
col sacramento del battesimo, perché, rinunciando al male e correggendolo,
mostrassero di detestare una così grande offesa, fatta a Dio, con l’odio del
peccato e col pio dolore dell’anima. Per questo il profeta disse: Convertitevi
e fate penitenza di tutte le vostre iniquità, e l’iniquità non vi sarà di
rovina. Anche il Signore disse: Se non farete penitenza, perirete
tutti allo stesso modo. E Pietro, il primo degli apostoli, ai peccatori
che si preparavano al battesimo diceva, raccomandando la penitenza: Fate
penitenza, e ognuno di voi sia battezzato.
La penitenza, inoltre, né prima della
venuta del Cristo era un sacramento, né dopo la sua venuta, per nessuno,
prima del battesimo. Il Signore, poi, istituì il sacramento della penitenza
principalmente quando, risorto dai morti, soffiò sui suoi discepoli dicendo: Ricevete
lo Spirito santo; a coloro, cui rimetterete i peccati, saranno rimessi. A
coloro cui li riterrete, saranno ritenuti.
Che con questo avvenimento così
importante e con queste parole così chiare, sia stato comunicato agli
apostoli e ai loro legittimi successori il potere di rimettere o di ritenere
i peccati, per riconciliare i fedeli caduti dopo il battesimo, il consenso di
tutti i padri l’ha sempre così interpretato e la chiesa cattolica rigettò e condannò con piena ragione come eretici
i Novaziani, che un tempo negavano ostinatamente il potere di rimettere i
peccati.
Perciò questo santo sinodo, approvando
e accogliendo questo verissimo senso di quelle parole del Signore, condanna
le fantastiche interpretazioni di quelli che traggono falsamente quelle
parole a significare il potere di predicare la parola di Dio e di annunziare
il vangelo del Cristo, contro l’istituzione di questo sacramento.
Capitolo
II.
Differenza
tra il sacramento della penitenza e il battesimo.
Del resto questo sacramento differisce
dal battesimo per molte ragioni. Infatti, oltre che esser diversissimi per la
materia e la forma, che costituiscono l’essenza del sacramento, è certo che
il ministro del battesimo non deve essere un giudice. La chiesa, infatti, non
esercita su nessuno il suo giudizio, se prima non è entrato a far parte di
essa attraverso la porta del battesimo. Che interessa a me (afferma
l’apostolo) giudicare quelli che sono fuori?.
Diversamente, invece, agisce con quelli
che sono suoi familiari nella fede, una volta che il signore Gesù li ha fatti
membra del suo corpo col lavacro del battesimo. Se questi, infatti, dopo, si
fossero contaminati con qualche peccato, essa volle non già che fossero
purificati ripetendo il battesimo (cosa che nella chiesa cattolica non è in
nessun modo possibile), ma che comparissero dinanzi a questo tribunale come
rei, affinché con la sentenza del sacerdote potessero essere liberati non una
volta soltanto, ma tutte le volte che, pentendosi dei peccati commessi,
cercassero rifugio presso di lui.
Altro, poi, è il frutto del battesimo,
altro quello della penitenza. Col battesimo, infatti, rivestendo Cristo,
diventiamo in lui una creatura del tutto nuova, conseguendo la piena e totale
remissione di tutti i peccati. Ora col sacramento della penitenza non è possibile
giungere ad un tale rinnovamento ed integrità senza grandi gemiti e fatiche,
date le esigenze della divina giustizia. Così che a buon diritto la penitenza
è stata chiamata dai santi padri, in certo modo, un battesimo laborioso.
Per coloro che sono caduti dopo il
battesimo questo sacramento della penitenza è necessario alla salvezza, come
lo stesso battesimo per quelli che non sono stati ancora rigenerati.
Capitolo
III.
Parti
e frutto di questo sacramento.
Insegna, inoltre, il santo sinodo, che la forma del sacramento della penitenza,
nella quale è posta tutta la sua efficacia, è in quelle parole del ministro:
lo ti assolvo ecc., alle quali, nell’uso della santa chiesa, si
aggiungono lodevolmente alcune preghiere, ma che non appartengono in nessun modo
all’essenza della forma e non sono necessarie all’amministrazione del
sacramento.
Sono
quasi materia di questo sacramento gli atti dello stesso penitente e cioè: la
contrizione, la confessione, la soddisfazione. E poiché questi si richiedono,
nel penitente, per l’integrità del sacramento e per la piena e perfetta
remissione dei peccati, per questo sono considerati parti della penitenza.
Sostanza ed effetto di questo sacramento,
per quanto riguarda la sua azione e la sua efficacia, è la riconciliazione con
Dio, che non di rado nelle persone pie e che ricevono questo sacramento con
devozione, suole essere accompagnata da pace e serenità della coscienza e da
vivissima consolazione dello spirito.
Insegnando
queste cose sulle parti e sull’effetto di questo sacramento, il concilio
condanna nello stesso tempo le opinioni di coloro che affermano essere parti
della penitenza i terrori della coscienza e la fede.
Capitolo
IV.
La
contrizione
La
contrizione, che tra i suddetti atti del penitente occupa il primo posto, è
il dolore dell’animo e la detestazione del peccato commesso, col proposito di
non peccare più in avvenire.
Questo
atto della contrizione è stato sempre necessario per impetrare la remissione
dei peccati. Nell’uomo caduto in peccato dopo il battesimo, esso prepara alla
remissione dei peccati solo se congiunto con la fiducia della divina
misericordia e col desiderio di fare ciò che ancora si richiede per ricevere
nel modo dovuto questo sacramento.
Dichiara,
quindi, il santo sinodo, che questa contrizione include non solo la
cessazione del peccato e il proposito e l’inizio di una nuova vita, ma anche
l’odio della vecchia vita, conforme all’espressione: Allontanate da voi
tutte le vostre iniquità, con cui avete prevaricato e costruitevi un cuore
nuovo ed un’anima nuova.
Certamente colui che riflette su quelle
grida dei santi: Ho peccato contro te solo ed ho compiuto il male contro
di te; sono stanco di gemere, vado lavando ogni notte il mio giaciglio;
ripenserò a tutti i miei anni, nell’amarezza della mia anima, e su
altre simili, comprenderà facilmente che esse provenivano da un odio
veramente profondo della vita passata e da una grande detestazione del
peccato.
Insegna, inoltre, il concilio che, se
anche avviene che questa contrizione talvolta possa esser perfetta
nell’amore, e riconcilia l’uomo con Dio, già prima che questo sacramento
realmente sia ricevuto, tuttavia
questa riconciliazione non è da attribuirsi alla contrizione in sé senza il
proposito di ricevere il sacramento incluso in essa.
E dichiara anche che quella contrizione
imperfetta, che vien detta ‘attrizione’ perché prodotta comunemente o dalla
considerazione della bruttezza del peccato o dal timore dell’inferno e delle
pene, se esclude la volontà di peccare con la speranza del perdono, non solo
non rende l’uomo ipocrita e maggiormente peccatore, ma è addirittura un dono
di Dio ed un impulso dello Spirito santo, - che non abita ancora nell’anima,
ma che soltanto la sprona - da cui il penitente viene stimolato e con cui si
prepara la via alla giustizia. E quantunque per sé, senza il sacramento della
penitenza, sia impotente a condurre il peccatore alla giustificazione,
tuttavia lo dispone ad impetrare la grazia di Dio nel sacramento della
penitenza.
Scossi, infatti, salutarmente da questo
timore, gli abitanti di Ninive fecero penitenza alla predicazione di Giona,
piena di minacce. Ed ottennero misericordia da Dio.
Perciò
falsamente alcuni accusano gli scrittori cattolici, quasi abbiano insegnato
che il sacramento della penitenza conferisca la grazia senza un moto
interiore, buono, di chi lo riceve: cosa che la chiesa di Dio non ha mai
insegnato e mai creduto.
Ma
anche questo insegnano falsamente: che, cioè, la contrizione sia cosa estorta
e forzata, non libera e volontaria.
Capitolo V.
La
confessione.
Dalla istituzione del sacramento della
penitenza già spiegata, tutta la chiesa ha sempre creduto che sia stata
istituita anche, dal Signore, la confessione completa dei peccati e che per
tutti quelli che dopo il battesimo siano caduti in peccato essa sia necessaria iure divino;
Gesù Cristo, infatti, nostro signore, poco prima di salire dalla terra in
cielo, lasciò i sacerdoti, suoi vicari, come capi e giudici, cui devono deferirsi tutte le colpe mortali,
in cui i fedeli cristiani fossero caduti, perché, in virtù del potere delle
chiavi, pronunzino la sentenza di remissione o di retenzione. È chiaro,
infatti, che i sacerdoti non avrebbero potuto esercitare questo giudizio
senza conoscere la causa né imporre le penitenze con equità, se i penitenti
avessero dichiarato i loro peccati solo genericamente, e non invece, nella
loro specie ed uno per uno.
Si conclude da ciò che è necessario che i
penitenti manifestino nella confessione tutti i peccati mortali, di cui hanno
consapevolezza dopo un diligente esame di coscienza, anche se essi sono del
tutto nascosti e sono stati commessi soltanto contro i due ultimi
comandamenti del Decalogo, che spesso feriscono più gravemente l’anima, e
sono più pericolosi di quelli che si commettono alla luce del sole.
I veniali, infatti, dai quali non siamo
privati della grazia di Dio, e nei quali cadiamo più facilmente, benché
opportunamente ed utilmente e al di fuori di ogni presunzione vengano
manifestati in confessione (come dimostra l’uso di persone pie), possono
tuttavia esser taciuti senza colpa ed espiati con molti altri rimedi. Ma poiché tutti i mortali, anche solo di
pensiero, rendono gli uomini figli dell’ira e nemici di Dio, è anche necessario chiedere perdono di tutti a Dio
con una esplicita ed umile confessione.
Quindi, mentre i fedeli cristiani si
studiano di confessare tutti i peccati che vengono loro in mente, senza
dubbio li espongono tutti alla divina misericordia perché li perdoni. Quelli, invece, che fanno diversamente e
ne tacciono consapevolmente qualcuno, non espongono nulla alla divina bontà
perché li perdoni per mezzo del sacerdote. Se infatti l’ammalato si
vergognasse di mostrare al medico la ferita, il medico non potrebbe curare
quello che non conosce.
Si deduce, inoltre, che nella confessione
debbano manifestarsi anche quelle circostanze che mutano la specie del
peccato: senza di esse, infatti, né il penitente espone completamente gli
stessi peccati, né questi potrebbero venir conosciuti dai giudici e sarebbe
impossibile ad essi percepire esattamente la gravità delle colpe ed imporre
per essa ai penitenti la pena dovuta.
Non è quindi ragionevole insegnare che
queste circostanze sono state inventate da uomini oziosi o che debba
confessarsi questa sola circostanza: che si è peccato contro il fratello.
Ed è empio affermare che una tale
confessione sia impossibile o chiamarla carneficina delle coscienze. Tutti
sanno, infatti, che la chiesa nient’altro richiede da chi si confessa, se non
di confessare - dopo che ciascuno si è diligentemente esaminato ed ha
esplorato tutti gli angoli più riposti della sua coscienza - quei peccati,
con cui egli si ricorda di aver offeso mortalmente il suo Signore e suo Dio;
gli altri peccati, che, pur esaminandosi diligentemente, non gli vengano in
mente, si ritengono inclusi genericamente nella stessa confessione. Per
questi noi diciamo con fede assieme al profeta: Dai miei peccati occulti,
purificami, Signore.
Quanto poi alla difficoltà di questa
confessione e alla vergogna di dover manifestare i peccati, può sembrare
certamente grave; ma essa è alleggerita dai tanti e così grandi vantaggi e
consolazioni, che con l’assoluzione vengono certissimamente elargiti a tutti
quelli che si accostano degnamente a questo sacramento.
Del resto, per quanto riguarda il modo di
confessarsi segretamente dinanzi al solo sacerdote, quantunque Cristo non
abbia proibito che uno, in punizione dei suoi peccati e per propria umiliazione,
sia come esempio per gli altri, che per edificazione della Chiesa, che è
stata offesa, possa confessare pubblicamente i suoi peccati, ciò non è
comandato da alcuna legge divina; e non sarebbe saggio comandare con una
legge umana che si manifestassero le colpe, specie se segrete, con una
pubblica confessione.
Poiché, quindi, la confessione
sacramentale segreta, che la santa chiesa ha usato fin dall’inizio ed usa
ancora, è stata sempre raccomandata con grande, unanime consenso dai padri
più santi e più antichi, evidentemente risulta vana la calunnia di coloro che
non hanno scrupolo di insegnare che essa è aliena dal comando divino, che è
invenzione umana, e che ha avuto inizio dai padri del concilio Lateranense.
La chiesa, infatti, col concilio Lateranense non ha stabilito che i fedeli
cristiani si confessassero, - cosa che essa sapeva bene essere necessaria ed
essere stata istituita dal diritto divino -, ma che l’obbligo della
confessione venisse adempiuto almeno una volta all’anno da tutti e singoli
quelli che fossero giunti all’età della ragione.
È
per questo che in tutta la chiesa è invalso l’uso salutare, con grandissimo
frutto per le anime, di confessarsi durante il tempo sacro e sommamente
accetto della Quaresima. Quest’uso, il santo sinodo lo approva sommamente e
lo abbraccia come pio e degno di essere conservato.
Capitolo
VI.
Del
ministro di questo sacramento e dell’assoluzione.
Quanto al ministro di questo sacramento,
il santo sinodo dichiara, che sono false e del tutto aliene dalla verità del
vangelo tutte quelle dottrine che estendono perniciosamente a qualsiasi altro
uomo, oltre i vescovi e i sacerdoti, il ministero delle chiavi. Esse
ritengono che quelle parole del Signore: Tutto ciò che legherete sulla
terra, sarà legato anche in cielo, e tutto ciò che scioglierete sulla terra,
sarà sciolto anche in cielo e: a quelli, di cui avrete rimesso i
peccati, saranno rimessi, a quelli, di cui li avrete ritenuti, saranno
ritenuti siano state dette a tutti i fedeli del Cristo, senza differenza
alcuna e senza distinzione, contro l’istituzione di questo sacramento; così
che ognuno abbia il potere di rimettere i peccati: quelli pubblici con la
correzione, se chi viene corretto si sottomette; i segreti, attraverso una
spontanea confessione, fatta a chiunque.
Il concilio insegna pure che anche quei
sacerdoti che sono in peccato mortale, per la grazia dello Spirito santo,
conferita nell’ordinazione, esercitano la funzione di perdonare i peccati
come ministri di Cristo e che non giudicano secondo verità quelli che
sostengono che questo potere manchi ai sacerdoti cattivi.
Quantunque,
poi, l’assoluzione del sacerdote sia l’elargizione di un beneficio che si fa
ad altri, essa non è soltanto un nudo ministero di annunziare il vangelo o di
dichiarare rimessi i peccati, ma come un atto giudiziario, essa è pronunciata
come la sentenza di un giudice.
Perciò il penitente non deve
compiacersi tanto della sua fede, da credere che, se anche non avesse alcuna
contrizione, o mancasse al sacerdote l’intenzione di agire seriamente o di
assolvere, egli sia davvero assolto, dinanzi a Dio, per la sola fede. La
fede, infatti, non potrebbe operare in nessun modo la remissione dei peccati
e si dimostrerebbe negligentissimo della sua salvezza, chi si accorgesse che
un sacerdote lo assolve per ischerzo, e non ne cercasse diligentemente un
altro.
Capitolo
VII.
Dei casi riservati.
[...]
E tuttavia con disposizione sommamente
pia, perché nessuno a causa di ciò debba perire, si ebbe sempre cura nella
chiesa di Dio, che non vi fosse alcuna riserva in punto di morte; e quindi
tutti i sacerdoti possono assolvere qualsiasi penitente da qualsiasi peccato
e da qualsiasi censura.
Fuori
di questo caso, però, i sacerdoti, non avendo alcun potere nei casi
riservati, cerchino di persuadere i penitenti di quest’unica cosa: che per la
grazia dell’assoluzione vadano dai superiori e legittimi giudici.
Capitolo
VIII.
Della
necessità e del frutto della soddisfazione.
Finalmente, quanto alla soddisfazione - che,
come fra tutte le parti della penitenza è stata sempre raccomandata al popolo
cristiano dai nostri padri, così in questa nostra età è quella che, sotto il
pretesto di una vivissima pietà, viene maggiormente presa d’assalto da coloro
che mostrano certamente l’apparenza della pietà, ma ne negano la sostanza -
il santo sinodo dichiara essere assolutamente falso e lontano dalla parola di
Dio, che dal Signore mai venga rimessa la colpa, senza che venga
completamente rimessa anche la pena. Vi sono infatti, nella sacra Scrittura,
esempi chiari ed evidenti, da cui, al di fuori della divina tradizione,
questo errore può essere confutato.
Del
resto, sembra anche conforme alla divina giustizia, che siano diversamente
ammessi alla grazia divina quelli che prima del battesimo hanno peccato per
ignoranza, e quelli che, una volta liberati dalla servitù del peccato e del
demonio e ricevuto il dono dello Spirito santo, non hanno avuto ritegno a
violare consapevolmente il tempio di Dio e a contristare lo Spirito santo.
Ed è conforme alla divina clemenza, che
non ci vengano rimessi i peccati senza alcuna nostra soddisfazione, perché
non avvenga che noi, prendendo occasione da ciò, e credendo tutti i peccati
leggeri, come gente sempre pronta a recare ingiuria ed offesa allo Spirito
santo, cadiamo in peccati più gravi, accumulando su noi la collera per il
giorno dell’ira.
Senza dubbio, infatti, ci trattengono
molto dal peccato e quasi ci reprimono come un freno, queste pene imposte a
soddisfazione e rendono assai più cauti e vigilanti i penitenti per il
futuro. Sono anche una medicina per ciò che rimane del peccato e, con le
azioni contrarie delle virtù, contribuiscono a togliere le cattive abitudini
acquistate col mal vivere.
Nella chiesa di Dio mai si è creduto che
si potesse trovare una via più sicura per allontanare una punizione imminente
da parte di Dio di quella che gli uomini pratichino queste opere di penitenza
con vero dolore dell’animo.
Si aggiunge che mentre soffriamo in
soddisfazione per i nostri peccati, noi diveniamo conformi a Gesù Cristo, che
ha soddisfatto per i nostri peccati e da cui viene ogni nostra sufficienza,
ed abbiamo una certissima caparra che, se soffriamo insieme, insieme saremo
anche glorificati.
Inoltre
questa soddisfazione, che noi soffriamo per i nostri peccati, non è talmente
nostra, da non esserlo per mezzo di Gesù Cristo. Noi, infatti, che non possiamo nulla da noi
stessi, col suo aiuto però possiamo tutto in Lui che ci rende forti. Quindi
l’uomo non ha di che gloriarsi; ma ogni motivo di lode è, per noi, riposto in
Cristo, in cui viviamo, in cui meritiamo, in cui diamo soddisfazione, facendo
degni frutti di penitenza, che da lui traggono il loro valore, da lui sono
offerti al Padre, e che per via sua sono accettati da Dio.
I
sacerdoti del Signore, quindi, secondo che suggerirà lo spirito e la
prudenza, devono imporre salutari e giuste soddisfazioni, tenuto conto della
qualità dei peccati, e delle possibilità dei penitenti, affinché, qualora
fossero in qualche modo conniventi ai peccati e troppo indulgenti coi
penitenti, imponendo leggerissime opere di penitenza per gravissime colpe,
non diventino partecipi dei peccati degli altri.
Abbiano poi dinanzi agli occhi che la
soddisfazione che impongono sia non soltanto presidio per la nuova vita e
medicina per la debolezza, ma anche pena e castigo per i peccati passati.
Che, infatti, le chiavi dei sacerdoti siano state concesse non solo per
sciogliere, ma anche per legare, lo credono e lo insegnano anche gli antichi
padri. Non per questo tuttavia essi pensarono che il sacramento della
penitenza fosse il tribunale dell’ira e delle pene. Così come nessun cattolico credette mai che da queste nostre
soddisfazioni venisse oscurato, o in qualche parte diminuito il valore del
merito e della soddisfazione del Signore nostro Gesù Cristo.
Quando i novatori dimostrano di non
voler comprendere ciò, essi insegnano che la vita nuova è la miglior
penitenza; ma in modo tale da togliere alla soddisfazione ogni valore ed ogni
utilità.
Capitolo
IX.
[...]
CANONI
SUL SANTISSIMO SACRAMENTO DELLA PENITENZA
1. Se qualcuno dirà che nella chiesa
cattolica la penitenza non è un vero e proprio sacramento istituito dal
signore nostro Gesù Cristo, per riconciliare i fedeli con Dio, ogni volta che
cadono nei peccati dopo il battesimo, sia anatema.
2.
Se qualcuno, confondendo i sacramenti, dirà che il sacramento della penitenza
è lo stesso battesimo, quasi che questi due sacramenti non siano distinti e
che perciò la penitenza non può essere chiamata la seconda tavola di
salvezza, sia anatema.
3.
Se qualcuno dirà che le parole del Salvatore: Ricevete lo Spirito santo:
saranno rimessi i peccati di quelli, cui li rimetterete e ritenuti a quelli
cui li riterrete non devono intendersi del potere di rimettere e di
ritenere i peccati nel sacramento della penitenza, come sempre, fin
dall’inizio, ha interpretato la chiesa cattolica, e per contraddire
l’istituzione di questo sacramento, ne falsa il significato come se si
trattasse del potere di predicare il vangelo, sia anatema.
4. Se qualcuno negherà che per la
remissione completa e perfetta dei peccati si richiedano, nel penitente, come
materia del sacramento della penitenza, questi tre atti: la contrizione, la confessione e la soddisfazione, che sono le
tre parti della penitenza o dirà che due sole sono le parti della penitenza,
e cioè: i terrori indotti alla coscienza dalla conoscenza del peccato e la
fede, concepita attraverso il vangelo o l’assoluzione, per cui ciascuno crede
che gli sono rimessi i peccati per mezzo del Cristo, sia anatema.
5. Se qualcuno dirà che quella
contrizione, che si ottiene con l’esame, il raccoglimento, e la detestazione
dei peccati — per cui uno, ripensando alla propria vita nell’amarezza della
sua anima, riflettendo alla gravità, alla moltitudine, alla bruttezza dei
suoi peccati, alla perdita della beatitudine eterna e all’essere incorso
nella eterna dannazione, col proposito di una vita migliore — non è un dolore
vero ed utile, che non prepara alla grazia, ma che rende l’uomo ipocrita e
ancor più peccatore e che, finalmente, essa è un dolore imposto, non libero e
volontario, sia anatema.
6. Se qualcuno negherà che la confessione
sacramentale sia stata istituita da Dio, o che sia necessaria per volere
divino o dirà che il modo di confessarsi segretamente al solo sacerdote, come
ha sempre usato ed usa la chiesa cattolica fin dall’inizio, è estraneo
all’istituzione e al comando del Cristo ed invenzione umana, sia anatema.
7.
Se qualcuno dirà che nel sacramento della penitenza non è necessario per
disposizione divina confessare tutti e singoli i peccati mortali, di cui si
abbia la consapevolezza dopo debita e diligente riflessione, anche occulti, e
commessi contro i due ultimi precetti del decalogo ed anche le circostanze
che mutassero la specie del peccato; o dire che la confessione è utile
soltanto ad istituire e consolare il penitente, e che un tempo fu osservata
solo per imporre la penitenza canonica; o che quelli che si studiano di
confessare tutti i peccati, non intendono lasciar nulla alla divina misericordia,
perché lo perdoni; o, finalmente, che non è lecito confessare i peccati
veniali, sia anatema.
8. Se qualcuno dirà che la confessione di
tutti i peccati, come prescrive la chiesa cattolica, è impossibile, e che si
tratta di una tradizione umana, che i buoni devono abolire, o che ad essa non
sono tenuti, una volta all’anno, tutti e singoli i fedeli dell’uno e
dell’altro sesso, secondo la costituzione del grande concilio Lateranense e
che, perciò, bisogna persuadere i fedeli che non si confessino in tempo di
quaresima, sia anatema.
9.
Se qualcuno dirà che l’assoluzione sacramentale del sacerdote non è un atto
giudiziario, ma un semplice ministero di pronunciare e di dichiarare che i
peccati sono stati rimessi al penitente, purché solo creda di essere stato
assolto, anche nel caso che il sacerdote non lo assolva seriamente, ma per
ischerzo; o dirà che non si richiede la confessione del penitente, perché il
sacerdote lo possa assolvere, sia anatema.
10. Se qualcuno dirà che i sacerdoti che
sono in peccato mortale non hanno il potere di legare e di sciogliere, o che
non i soli sacerdoti sono ministri dell’assoluzione, ma che a tutti i singoli
i fedeli cristiani è stato detto: Qualsiasi cosa avrete legato sulla
terra, sarà legata anche in cielo; e qualsiasi cosa avrete sciolto sulla
terra, sarà sciolta anche nel cielo e: A quelli ai quali avrete
rimesso i peccati, saranno perdonati, e a quelli, cui li avrete ritenuti,
saranno ritenuti e che in virtù di queste parole ciascuno possa perdonare
peccati; e cioè: i peccati pubblici con la sola riprensione, se colui che
viene ripreso accetterà di buon animo; i segreti, con una confessione
spontanea, sia anatema.
12. Se qualcuno dirà che tutta la pena
viene sempre rimessa da Dio insieme alla colpa, e che l’unica soddisfazione
dei penitenti è la fede, con cui apprendono che Cristo ha soddisfatto per
essi, sia anatema.
13. Se qualcuno dirà che per quanto
riguarda la pena temporale, non si soddisfa affatto, per i peccati, a Dio per
mezzo dei meriti di Cristo con le penitenze da lui inflitte e pazientemente
tollerate, o imposte dal sacerdote; e neppure con quelle che uno sceglie
spontaneamente, come i digiuni, le preghiere, le elemosine, o anche altre
opere di pietà; e che, perciò, la miglior penitenza è una vita nuova, sia
anatema.
[...]
SESSIONE XXII
[...]
Capitolo IX
Ma poiché in questo tempo sono stati
disseminati molti errori, e molte cose si insegnano e vengano disputate da
molti contro questa antica fede, fondata nel sacrosanto vangelo, sulle
tradizioni degli apostoli e sulla dottrina dei santi padri, il sacrosanto
sinodo, dopo molte e gravi discussioni su queste questioni, fatte con matura
riflessione, per consenso unanime di tutti i padri ha stabilito di condannare
ciò che è contrario a questa purissima fede e sacra dottrina e di eliminarlo
dalla chiesa, con i canoni che seguono.
CANONI
SUL SANTISSIMO SACRIFICIO DELLA MESSA
1.
Se qualcuno dirà che nella messa non si offre a Dio un vero e proprio
sacrificio, o che essere offerto non significa altro se non che Cristo ci
viene dato a mangiare, sia anatema.
2. Se qualcuno dirà che con quelle
parole: Fate questo in memoria di me,
Cristo non ha costituito i suoi apostoli sacerdoti o che non li ha ordinati
perché essi e gli altri sacerdoti offrissero il suo corpo e il suo sangue,
sia anatema.
3.
Se qualcuno dirà che il sacrificio della messa è solo un sacrificio di lode e
di ringraziamento, o la semplice commemorazione del sacrificio offerto sulla
croce, e non propiziatorio; o che giova solo a chi lo riceve; e che non si
deve offrire per i vivi e per i morti, per i peccati, per le pene, per le
soddisfazioni, e per altre necessità, sia anatema.
[...]
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