PAPA
LEONE XIII DIVINUM ILLUD MUNUS Enciclica sullo SPIRITO SANTO La divina missione, che Gesù Cristo ricevette
dal Padre per la salvezza del genere umano, e che egli ha perfettamente
compiuto, come fu rivolta quasi ad ultimo fine, a dare agli uomini la vita di
gloria nella beata eternità, così nel corso del tempo fu intesa a partecipare
e coltivare in essi la vita della divina grazia, perché poi fiorisse nella
vita celeste. Perciò il Redentore medesimo pieno di benignità non cessa mai
di invitare tutti gli uomini di ogni nazione e di ogni lingua al seno
dell’unica sua chiesa: "Venite a me tutti; Io sono la vita; Io sono il
buon pastore". Tuttavia secondo i suoi altissimi progetti non volle
compiere da sé solo nel mondo questa missione, ma come egli l’aveva ricevuta
dal Padre, così lasciò che lo Spirito Santo la conducesse a termine, Ed è
sempre dolce ricordare quelle parole, che Cristo poco prima di lasciare la
terra disse ai suoi discepoli: "È bene per voi che io vada, perché se
non andrò, non verrà sopra di voi il Paraclito; ma se andrò, ve lo manderò"
(Gv 16,7). In queste parole egli diede come principale ragione della sua
partenza e del suo ritorno al Padre, soprattutto l’utilità per i suoi cari
che deriverà dalla venuta dello Spirito Santo, ed essendo egli che lo manda,
dimostra in tal modo anche da sé procede come dal Padre e che lo stesso
Spirito, come avvocato, come consolatore e come maestro, avrebbe compiuto nel
mondo l’opera da sé cominciata. Vale a dire il compimento della redenzione
era giustamente riservato alla virtù molteplice e ammirabile di questo
Spirito, che nella creazione aveva "ornato i cieli" (Gb 26,13) e
"riempita la terra" (Sap 1,7), Orbene, sulle tracce del Salvatore, principe dei
pastori e vescovo delle anime nostre, Ci siamo studiati di camminare sempre
anche Noi, aiutati dalla divina grazia, continuando la sua missione, affidata
dapprima agli apostoli e in particolare a Pietro, "la cui dignità non
vien meno neppure in un erede indegno". Da tal fine mossi in tutti gli
atti del Nostro ormai lungo pontificato a due cose abbiamo mirato e miriamo
principalmente: alla restaurazione cioè della vita cristiana nella famiglia e
nella società, nei prìncipi e nei popoli, perché solo Cristo è la vera vita
di tutti, e al ritorno dei dissidenti alla chiesa cattolica, perché è questa
la volontà di Cristo, che si abbia un solo ovile sotto un solo pastore. Ora
pertanto che Ci sentiamo vicini al termine della Nostra vita mortale, Ci
piace affidare in particolar modo l’opera Nostra, qualunque sia stata, allo
Spirito Santo, che è vita e amore, perché egli la maturi e la fecondi. E per
un più felice risultato nel desiderato fine, avvicinandosi la solennità della
Pentecoste, vogliamo parlarvi dello Spirito Santo, dell’azione cioè che egli
esercita nella chiesa e nelle anime col dono dei suoi superni carismi. In tal
maniera sarà ravvivata e rinvigorita, come Noi ardentemente desideriamo, la
tede nel mistero augustissimo della Trinità e m particolare accresciuta e
alimentata la pietà verso questo divino Spirito, al quale vanno tanto
debitori tutti coloro che seguono la via della verità e della giustizia,
mentre, come notò san Basilio, "tutta l’economia ordita dalla divina
bontà intorno all’uomo, se fu eseguita dal nostro Salvatore e Dio Gesù
Cristo, fu però portata a compimento per grazia dello Spirito Santo". E prima di entrare nel tema proposto, Ci piace
ed è utile soffermarci un po’ sul mistero della Triade sacrosanta. Questo
mistero è chiamato dai sacri dottori "sostanza del nuovo
testamento", cioè il mistero dei misteri, principio e fine di tutti gli
altri, per conoscere e contemplare il quale furono creati in cielo gli
angeli, in terra gli uomini, mistero adombrato già nell’antico testamento e
più tardi più chiaramente insegnato da Dio stesso, venuto a bella posta dagli
angeli fra noi: "Nessuno ha mai veduto Dio, l’unigenito Figlio che è nel
seno del Padre l’ha rivelato" (Gv 1,18). Chiunque pertanto si metta a
scrivere o parlare di sì grande mistero abbia sempre davanti agli occhi
l’ammonimento dell’Angelico; "Quando si parla della Trinità, conviene farlo
con prudenza e umiltà insieme, perché, come dice Agostino, in nessun’altra
ricerca intellettuale è maggiore o la fatica o il pericolo di sbagliare, o il
frutto se si coglie nel vero". E il pericolo sta in ciò che nella fede e
nella pietà non si confondano le divine Persone, e non si moltiplichi l’unica
natura mentre "la fede cattolica ci insegna a venerare un solo Dio nella
Trinità e la Trinità in un solo Dio" [Simbolo "Quicumque";
Denz 75]. Perciò il Nostro predecessore Innocenzo XII respinse le istanze di
coloro, che domandavano una festa propria in onore del Padre, e se vi sono
dei giorni consacrati ai vari misteri compiuti dal Verbo incarnato, non c’è
però una festa speciale per il Verbo, solo in quanto Persona divina; e la
Stessa antichissima solennità di Pentecoste non riguarda lo Spirito Santo,
come spirato dal Padre e dal Figlio, ma piuttosto ricorda il suo avvento, o
esterna missione. E tutto ciò fu sapientemente ordinato per non
dare occasione a moltiplicare la divina essenza col distinguere le Persone.
Anzi la chiesa, per mantenere nei suoi figli la purezza della fede, volle
istituita la festa della Trinità, resa poi universale dal pontefice Giovanni
XXII; alla santissima Trinità ha lasciato innalzare altari e templi e, dopo
una celeste visione, ha anche approvato per la redenzione degli schiavi un
ordine religioso ad onore e col titolo della santissima Trinità. S’aggiunga a
ciò come il culto tributato ai santi, agli angeli, alla vergine Madre di Dio,
a Cristo, ridonda tutto e s’incentra nella Trinità; non v’è preghiera rivolta
a una delle tre divine Persone, dove non si faccia menzione anche delle
altre; nelle litanie, invocate distintamente le tre Persone, si conclude con
un’invocazione comune; i salmi, gli inni hanno tutti la stessa dossologia al
Padre e al Figlio e allo Spirito Santo; le benedizioni, i riti, i sacramenti
s’accompagnano e s’amministrano implorando la Trinità. Ma a tutto questo
alludeva già l’apostolo in quella sentenza: "Poiché da Dio, per Dio, in
Dio sono tutte le cose, a Dio sia gloria per tutti i secoli" (Rm 11,36),
esprimendo così la trinità delle Persone e l’unità dell’essenza, la quale
essendo in tutte la medesima fa sì che si debba a ciascuna, come al solo e
medesimo Dio, la stessa gloria eterna. S, Agostino commentando le citate
parole scrive: "Non si deve prendere indistintamente ciò che l’apostolo
distingue dicendo: da Dio, per Dio, in Dio; con la prima frase significa il
Padre, con l’altra il Figlio, con l’ultima lo Spirito Santo". Di qui l’uso nella chiesa di attribuire
al Padre le opere della potenza, al Figlio quelle della sapienza, allo
Spirito Santo quelle dell’amore. Non già perché non siano comuni alle divine
Persone tutte le perfezioni e tutte le opere esterne; infatti "sono indivise
le opere della Trinità come ne è indivisa l’essenza", poiché, come le tre
divine Persone "sono inseparabili, così anche operano insieme",7 ma per una certa relazione e quasi
affinità che passa fra le opere esterne e il carattere proprio di ciascuna
Persona, più all’una che alle altre si attribuiscono o, come dicono, si
appropriano: "Come noi - sono parole dell’Angelico - ci serviamo delle
creature quasi di segni e di immagini per manifestare le divine Persone, così
facciamo degli attributi divini, e tale manifestazione tolta dai divini
attributi si dice appropriazione" (Summa theol.
I, q. 39, a. 7). In tal modo il Padre, che è
"il principio della Trinità", (S. Agostino, De Trinitate,
I. IV, c. 20; PL 42, 906) è anche causa efficiente di tutte le cose,
dell’incarnazione del Verbo, della santificazione delle anime, "da Dio
sono tutte le cose"; da lui, a causa del Padre. Il Figlio poi, Verbo e
Immagine di Dio, è causa esemplare per cui tutte le cose hanno forma e
bellezza, ordine e armonia, egli, come via, verità e vita, ha riconciliato
l’uomo con Dio, "per lui sono tutte le cose"; per lui, a causa del
Figlio. E lo Spirito Santo è di tutto la causa finale, perché come nel suo
fine la volontà e ogni cosa trova quiete, così egli che è la bontà e l’amore
del Padre e del Piglio, da impulso forte e soave e quasi l’ultima mano
all’altissimo lavoro dell’eterna nostra predestinazione, "in lui sono
tutte le cose"; in lui, a causa dello Spirito Santo. Osservati dunque rigorosamente gli atti di fede
e di culto dovuti all’augustissima Trinità, cosa non mai abbastanza inculcata
al popolo cristiano, volgiamo il Nostro discorso all’efficacia propria dello
Spirito Santo. E dapprima giova dare uno sguardo a Cristo
fondatore della chiesa e redentore del genere umano, L’incarnazione del Verbo
è l’opera più grande che Dio abbia mai compiuto fuori di sé, alla quale
concorsero tutti i divini attributi, in modo tale che non è possibile anche
solo immaginarne una maggiore, ed è in pari tempo l’opera per noi più
salutare. Ora un sì grande prodigio, benché compiuto da tutta la Trinità,
tuttavia si ascrive come proprio dello Spirito Santo, onde dice il Vangelo
che la concezione di Cristo nel grembo della Vergine fu opera dello Spirito
Santo: "Si trovò incinta per opera dello Spirito Santo", e
"Quel che è generato in lei viene dallo Spirito Santo" (Mt
1,18.20): e a buon diritto, perché lo Spirito Santo è la carità del Padre e
del Figlio, e il "grande mistero della divina bontà" (1Tm 3,16),
che è l’incarnazione, fu causato dal suo immenso amore per l’uomo, come
accenna san Giovanni: "Dio ci ha amati a tal segno da darci l’unigenito
suo Figlio" (Gv 3,16). Si aggiunga che per tal fatto la natura umana fu
sollevata alla dignità d’essere unita personalmente al Verbo, non per meriti
che avesse, ma per pura grazia, che è dono proprio dello Spirito Santo:
"Questa maniera - dice sant’Agostino - con cui Cristo fu concepito per
opera dello Spirito Santo ci fa vedere la bontà di Dio, giacché la natura
umana senza meriti precedenti nel primissimo istante fu unita alla persona
del Verbo così intimamente che il medesimo fosse e figlio di Dio e figlio
dell’uomo". Né solo il concepimento di Cristo, ma anche la
santificazione dell’anima sua, o "unzione", com’è detta nei libri
santi (At 10,38), fu compiuta dallo Spirito Santo, come pure ogni sua azione
"era come sotto l’influsso dello stesso Spirito" che in particolar
maniera cooperò al suo sacrificio: "Cristo per mezzo dello Spirito Santo
si offrì vittima innocente a Dio" (Eb 9,14). Dopo ciò qual meraviglia che tutti i
carismi dello Spirito Santo inondassero l’anima di Cristo? In lui una
pienezza di grazia propria di lui solo, cioè nella massima misura ed
efficacia a tutti gli effetti, in lui tutti i tesori della sapienza e della
scienza, le grazie date gratuitamente, le virtù, i doni tutti, preannunciati
da Isaia (Is 4,1; 11,2-3) e simboleggiati in quella colomba miracolosa,
apparsa sul Giordano, quando Cristo col suo battesimo ne consacrava le acque
per il nuovo sacramento. E qui ben nota sant’Agostino che "Cristo non
ricevette lo Spirito Santo all’età di trent’anni, ma quando fu battezzato,
era senza peccato e aveva già lo Spirito Santo; solo nell’atto del battesimo
prefigurò il suo corpo mistico, che è la chiesa, in cui i battezzati ricevono
in special modo lo Spirito Santo". Dunque l’apparizione sensibile dello
Spirito Santo su Cristo e la sua azione invisibile nell’anima di lui figurano
la duplice missione dello Spirito Santo, visibile nella chiesa e invisibile
nell’anima dei giusti. La chiesa concepita e uscita già dal cuore del
secondo Adamo come addormentato sulla croce, apparve al mondo la prima volta
in modo solenne il giorno della pentecoste con quell’ammirabile effusione che
era stata vaticinata dal profeta Gioele (cf. 2,28-29), e in quel dì medesimo
si iniziava l’azione del divino Paraclito nel mistico corpo di Cristo,
"posandosi sugli apostoli, quasi nuove corone spirituali, formate con
lingue di fuoco, sulle loro teste". E
allora gli apostoli "discesero dal monte - come scrive il Crisostomo -
non già portando a somiglianza di Mosè le tavole di pietra nelle mani, ma lo
Spirito Santo nell’anima spargendo tesori e rivi di verità e di
carismi". Così si avverava l’ultima promessa fatta da
Cristo poco prima di salire al cielo, di mandare cioè di lassù lo Spinto
Santo, che negli apostoli avrebbe compiuto e quasi suggellato il deposito
della rivelazione: "Io ho ancora molte cose da dirvi, ma adesso non le
intendereste; lo Spirito di verità, che vi manderò io, vi insegnerà
tutto" (Gv 16,12-13). Lo Spirito Santo infatti, che è spirito di verità,
in quanto procede dal Padre, eterno Vero, e dal Figlio, che è verità
sostanziale, riceve dall’uno e dall’altro insieme con l’essenza tutta la
verità, che poi a vantaggio nostro comunica alla chiesa, assistendola perché
non erri mai, e fecondando i germi rivelati, finché, secondo l’opportunità
dei tempi, giungano a maturazione. E poiché la chiesa, che è mezzo di salvezza,
deve durare sino al tramonto dei secoli, è appunto questo divino Spirito che
ne alimenta e accresce la vita; "Io pregherò il Padre ed egli vi manderà
lo Spirito di verità, che resterà per sempre con voi" (Gv 14,16-17). Da
lui infatti sono costituiti i vescovi, che generano non solo i figli, ma
anche i padri, cioè i sacerdoti, a guidarla e nutrirla con quel sangue con
cui Cristo la acquistò: "Lo Spirito Santo pose i vescovi al governo
della chiesa di Dio, redenta col sangue di lui" (At 20,28); gli uni e
gli altri poi, vescovi e sacerdoti, per singolare dono dello Spirito Santo
hanno la potestà di rimettere i peccati, come disse Cristo agli apostoli:
"Ricevete lo Spirito Santo: saranno perdonati i peccati a quelli, ai
quali voi li avrete perdonati e ritenuti a quelli, ai quali voi li avrete
ritenuti" (Gv 20,22-23). E poi l’origine divina della chiesa appare in
tutto il suo splendore nella gloria dei carismi, dei quali si circonda; ma
questo serto ella riceve dallo Spirito santo. Per ultimo basti sapere che se
Cristo è il capo della chiesa, lo Spirito Santo ne è come l’anima: "Ciò
che è l’anima nel nostro corpo, lo Spirito Santo lo è nella chiesa, corpo di
Cristo". E stando così le cose, non si può immaginare e
attendere un’altra più larga e abbondante "effusione e manifestazione
dello Spirito Santo", giacché ora nella chiesa se ne ha la massima e
durerà sino a quel giorno in cui la stessa chiesa dallo stadio della milizia
verrà assunta al glorioso consorzio nella letizia dei trionfanti. Ma non meno ammirabile, sebbene più difficile a
intendersi, anche perché del tutto invisibile, è l’azione dello Spirito Santo
nelle anime. Anche questa effusione è copiosissima, tanto che Cristo
medesimo, che ne è il donatore, l’assomigliò a un fiume abbondantissimo, come
è registrato in san Giovanni: "Dal seno di colui che crede in me, come
dice la Scrittura, sgorgheranno le sorgenti d’acqua viva"; e poi lo
stesso evangelista, commentando queste parole, soggiunge: "Ciò disse
dello Spirito Santo, che avrebbero ricevuto i credenti in lui" (Gv
7,38-39). È verissimo che anche nei giusti vissuti prima di Cristo vi fu lo
Spirito Santo con la grazia, come leggiamo dei profeti, di Zaccaria, del
Battista, di Simeone e di Anna, giacché non fu nella pentecoste che lo
Spirito Santo "incominciò ad abitare nei santi la prima volta, in quel
dì accrebbe i suoi doni, mostrandosi più ricco, più effuso". Erano sì figli di Dio
anch’essi, ma rimanevano ancora nella condizione di servi, perché anche il
figlio "non differisce dal servo", finché "è sotto
tutela" (Gai 4,1-2); e poi mentre quelli furono giustificati in
previsione dei meriti di Cristo, dopo la sua venuta molto più abbondante è
stata la diffusione dello Spirito Santo nelle anime, come avviene che la
mercé vince in prezzo la caparra e la verità supera immensamente la figura.
La qual cosa è espressa da san Giovanni là dove dice: "Non era ancora
stato dato lo Spirito Santo, perché Gesù non era stato ancora
glorificato" (Gv 7,39); ma non appena Cristo, "ascendendo al cielo",
ebbe preso possesso del suo regno, conquistato con tanti patimenti, subito ne
dischiuse con divina munificenza i tesori, "spargendo sugli uomini i
doni" dello Spirito Santo (Ef 4,8); "non già che prima non fosse
stato mandato lo Spirito Santo, ma certo non era stato donato come fu dopo la
glorificazione di Cristo". La natura umana è essenzialmente serva di
Dio: "La creatura è serva, noi per natura siamo servi di Dio";anzi,
infetta dall’antico peccato, la nostra natura cadde tanto in basso che noi
divenimmo odiosi a Dio: "Eravamo per natura figli d’ira" (Ef 2,3),
E non vi era forza che bastasse a rialzarci da tanta caduta, a riscattarci
dall’eterna rovina. Ma quel Dio, che ci aveva creati, si mosse a pietà, e per
mezzo del suo Unigenito sollevava l’uomo ad un grado di nobiltà maggiore di
quella donde era precipitato. Non c’è lingua che valga a narrare questo
lavoro della grazia divina nelle anime degli uomini; essi perciò nelle sacre
Scritture e dai santi dottori sono detti rigenerati, creature novelle,
consorti della divina natura, figli di Dio, deificati, e così via. Ora così ampi benefici dobbiamo
riconoscerli propriamente dallo Spirito Santo. Egli è lo "Spirito di
adozione di figli, per cui a Dio diciamo: Abbà, Padre"; egli ci fa
sentire tutta la dolcezza di tale invocazione, "testimoniando all’anima
che noi siamo figli di Dio" (Rm 8,15-16). E per spiegare ciò viene
opportuna l’osservazione dell’Angelico che vi è una somiglianza tra la
duplice opera dello Spirito Santo, poiché è per virtù dello stesso Spirito
che "Cristo fu concepito nella santità perché fosse figlio naturale di
Dio, e gli uomini sono santificati perché siano figli di Dio adottivi".
E così in maniera più nobile, che non sia nell’ordine naturale, la
rigenerazione spirituale è frutto dell’Amore increato. La quale rigenerazione o rinnovazione, per
ciascuno, S’inizia nel battesimo, nel qual sacramento, cacciato dall’anima lo
spirito immondo, vi discende per la prima volta lo Spirito Santo, rendendola
somigliante a sé, perché "è spirito ciò che nasce dallo Spirito"
(Gv 3,7). Con più abbondanza nella cresima ci viene donato lo stesso Spirito,
infondendoci costanza e fortezza per vivere da cristiani, quello Spirito cioè
che vinse nei martiri, trionfò nei vergini sulle illecite passioni. E abbiamo
detto che lo Spirito Santo dona se stesso, "diffondendo Dio nei nostri
cuori la carità per lo Spirito Santo che ci è dato" (Rm 5,5); infatti
non solo da a noi doni divini, essendo egli degli stessi doni l’autore, ma
per giunta egli stesso è il primo dono, procedendo dal mutuo amore del Padre
e del Figlio, "il dono di Dio altissimo". E per capire meglio la natura e gli effetti di
questo dono, conviene richiamare ciò che insegnano sulla scorta delle divine
Scritture i sacri dottori, e cioè che Dio si trova in tutte le cose "per
la sua potenza, con la sua presenza e con la sua essenza, in quanto egli
tiene tutto a sé soggetto, tutto vede, di tutto è la causa prima". Ma nella creatura
ragionevole Dio si trova in un’altra maniera; cioè in quanto è conosciuto e
amato, giacché è anche secondo natura amare il bene, desiderarlo, cercarlo.
Da ultimo Dio per mezzo della sua grazia sta nell’anima del giusto, in un
modo più intimo e ineffabile, come in un suo tempio, donde deriva quell’amore
vicendevole, per cui l’anima è intimamente a Dio presente, è in lui più che
non soglia farsi fra dilettissimi amici e gode di lui con una piena soavità. Ora questa unione, che propriamente si chiama
"inabitazione", la quale non nell’essenza, ma solo nel grado
differisce da quella che fa i beati in cielo, sebbene si compia per opera di
tutta la Trinità, "con la venuta e dimora delle tre Persone nell’anima
amante di Dio" (Gv 14,23), tuttavia allo Spirito Santo si attribuisce.
Giacché anche negli empi il Padre e il Figlio dimostrano la loro potenza e
sapienza, ma lo Spirito Santo, il cui carattere personale è la carità, non
può dimorare che nel giusto. Si aggiunga che a questo Spirito si dà
l’appellativo di Santo, anche perché, essendo il primo ed eterno Amore, ci
muove e spinge alla santità, che in fine consiste nell’amore di Dio. Perciò i
buoni, che pure dall’apostolo sono detti templi di Dio, non sono mai chiamati
espressamente templi o del Padre, o del Figlio, ma dello Spirito Santo:
"Non sapete voi che le vostre membra sono tempio dello Spirito Santo,
che abita in voi, avendolo ricevuto da Dio?" (1Cor 6,19). Inoltre lo Spirito Santo, abitando nelle anime
pie, reca con sé molti altri doni celesti. Infatti "lo Spirito Santo - è
dottrina dell’Aquinate - procedendo con Amore, è anche il primo dono; perciò
dice Agostino, che per mezzo di questo che è lo Spirito Santo, molti altri
doni sono distribuiti alle membra di Cristo". Sono fra questi doni
quelle arcane ispirazioni e inviti che si fanno sentire nella mente e nel
cuore per impulso dello Spirito Santo, dai quali dipende l’inizio della buona
strada, l’avanzamento in essa, la salvezza eterna. E poiché queste voci e
ispirazioni ci arrivano per vie occulte, nelle sacre pagine sono alcune volte
assimilate alle vie del vento; e l’angelico maestro le paragona bellamente ai
movimenti del cuore la cui virtù è tutta nascosta: "II cuore ha una tal
quale influenza occulta, onde al cuore è assomigliato lo Spirito Santo, che
in maniera invisibile vivifica la chiesa". Inoltre il giusto che già vive la vita di
grazia e opera con l’aiuto delle virtù, come l’anima con le sue potenze, ha
bisogno di quei sette doni che si dicono propri dello Spirito Santo. Per
mezzo di questi l’uomo si rende più pieghevole e forte insieme a seguire con
maggiore facilità e prontezza il divino impulso; sono di tanta efficacia da
spingerlo alle più alte cime della santità, sono di tanta eccellenza, da
rimanere intatti, benché più perfetti nel modo, anche nel regno celeste. Con
questi doni poi lo Spirito Santo ci eccita e ci solleva all’acquisto delle
beatitudini evangeliche, che sono quasi fiori sbocciati in primavera,
preannuncianti la beatitudine eterna. Infine sono soavissimi quei frutti
elencati dall’apostolo (cf. Gal 5,22), che lo Spirito Santo produce e dona ai
giusti anche in questa vita mortale, frutti pieni di dolcezza e di gusto,
quali s’addicono allo Spirito Santo "che nella Trinità è la soavità del
Padre e del Figlio e riempie d’infinita dolcezza tutte le creature". E così questo divinissimo Spirito, procedente
dal Padre e dal Figlio nell’eterno lume della santità come amore e come dono,
dopo essere apparso in figura nell’antica alleanza, effondeva la pienezza dei
suoi doni in Cristo e nel suo mistico corpo, la chiesa, e con la presenza e
con la sua grazia richiamava gli uomini dalla via dell’iniquità, tramutandoli
da carnali e peccatori in nuove creature spirituali e quasi celesti. Ed ora, essendo così grandi i benefici ricevuti
dall’infinita bontà dello Spirito Santo, dobbiamo per gratitudine rivolgerci
a lui, pieni d’ossequio e di devozione: e ciò si otterrà se gli uomini
cercheranno di conoscerlo, amarlo, pregarlo ogni giorno più, al che Noi li
esortiamo paternamente. Forse non mancano ai nostri giorni di quelli,
che se fossero interrogati, come una volta certuni dall’apostolo Paolo, se
avessero ricevuto lo Spirito Santo, risponderebbero anch’essi: "Noi non
sappiamo neppure se lo Spirito Santo esiste" (At 19,2); oppure, se
l’ignoranza non giunge tant’oltre, certo in una gran parte è scarsa la
cognizione che se ne ha; ne hanno sì sempre sulle labbra il nome, ma la loro
fede è molto caliginosa. Noi dobbiamo amare lo Spirito Santo, ed è questa
l’altra cosa che vi raccomandiamo, perché lo Spirito Santo è Dio, e noi
dobbiamo "amare il Signore Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima,
con tutte le forze nostre" (Dt 6,5), E poi egli è il sostanziale, eterno
e primo Amore, e non vi è cosa più amabile dell’amore; tanto più poi dobbiamo
amarlo, per gli immensi benefici ricevuti, i quali se sono da una parte
testimonianza dell’affetto di chi li fa, sono dall’altra richieste di
gratitudine da chi li riceve. E questo amore reca due non piccoli vantaggi.
Anzitutto ci spinge ad acquistare una conoscenza sempre più chiara dello
Spirito Santo, perché "chi ama - come dice l’Angelico - non è contento
di una qualunque notizia dell’amato, ma si sforza di penetrare nelle cose sue
più intime, come è scritto dello Spirito Santo che, essendo l’Amore di Dio,
scruta le cose divine anche più profonde". L’altro vantaggio è di
aprire sempre più largamente l’abbondanza dei suoi doni, perché come la
freddezza chiude la mano del donatore, così al contrario la riconoscenza
l’allarga. Perciò soprattutto è necessario che tale amore non consista solo
in aride speculazioni e in ossequi esteriori, ma dev’essere operoso, fuggendo
il peccato, con cui si fa allo Spirito Santo un torto speciale, Giacché
quanto noi siamo e abbiamo, tutto è dono della divina bontà, che viene
attribuita soprattutto allo Spirito Santo; orbene il peccatore l’offende
mentre è beneficato, abusa per offenderlo dei doni ricevuti, e perché egli è
buono, prende ardire a moltiplicare le colpe. Di più, essendo lo Spirito Santo Spirito
di verità, se qualcuno manca o per debolezza o per ignoranza, troverà forse
scusa davanti al tribunale di Dio, ma chi per malizia impugna la verità, fa
un affronto gravissimo allo Spirito Santo. E tal peccato è adesso sì
frequente, che sembrano giunti quei tempi infelicissimi, descritti da Paolo,
nei quali gli uomini per giustissimo giudizio di Dio accecati, avrebbero
tenuta la falsità per verità e avrebbero creduto al "principe di questo
mondo", al demonio bugiardo e padre di menzogna, come a maestro di
verità: "Insinuerà Dio fra essi lo spirito dell’errore perché credano
alla menzogna" (2Ts 2,10), e "molti negli ultimi tempi
abbandoneranno la fede per credere agli spiriti dell’errore e alle dottrine
dei demoni" (1Tm 4,1), Ma poiché lo Spirito Santo abita in noi, quasi
in suo tempio, come sopra abbiamo detto, ripetiamo con l’apostolo: "Non
vogliate contristare lo Spirito Santo di Dio, che vi ha consacrati" (Ef
4,30). E per questo non basta fuggire tutto ciò che è immondo, ma di più il
cristiano deve risplendere per ogni virtù, soprattutto della purezza e della
santità, per non disgustare un Ospite sì grande, giacché la mondezza e la
santità si convengono al tempio. Quindi lo stesso apostolo grida; "Non
sapete che voi siete tempio di Dio e lo Spirito di Dio abita in voi? Se
alcuno oserà profanare il tempio di Dio, sarà maledetto da Dio; infatti santo
dev’essere il tempio e voi siete questo tempio" (1Cor 3,16-17): minaccia
tremenda, ma giustissima. Infine dobbiamo pregare lo Spirito Santo, del
quale abbiamo tutti grandissimo bisogno. Siamo poveri, fiacchi, tribolati,
inclinati al male, ricorriamo dunque a lui, che è fonte inesausta di luce, di
fortezza, di consolazione, di grazia. E soprattutto dobbiamo chiedergli la
remissione dei peccati, che ci è tanto necessaria, giacché "lo Spirito
Santo è dono del Padre e del Figlio e i peccati vengono rimessi per mezzo
dello Spirito Santo come per dono di Dio", e la liturgia più chiaramente
chiama lo Spirito Santo "remissione di tutti i peccati". Sulla maniera poi d’invocarlo, impariamo dalla
chiesa, che supplice si volge allo Spirito Santo e lo chiama coi titoli più
cari: "Vieni, padre dei poveri, datore dei doni, luce dei cuori,
consolatore perfetto, ospite dolce dell’anima, dolcissimo sollievo":
e lo scongiura che lavi, che sani, che irrori le nostre menti e i nostri
cuori e conceda a quanti in lui confidano il "virtù e premio",
"morte santa", "gioia eterna". Né si può
dubitare che tali orazioni non siano ascoltate, mentre ci assicura che
"egli stesso prega per noi con gemiti inenarrabili" (Rm 8,26).
Inoltre dobbiamo supplicarlo con fiducia e con costanza perché ogni giorno
più ci illumini con la sua luce e ci infiammi della sua carità, disponendoci
così per via di fede e di amore all’acquisto del premio eterno, perché egli è
"il pegno dell’eredità che ci è preparata" (Ef 1,14). Ecco, venerabili fratelli, gli ammonimenti e le
esortazioni Nostre intorno alla devozione verso lo Spirito Santo, e non
dubitiamo affatto che apporteranno al popolo cristiano buoni frutti in
considerazione principalmente della vostra sollecitudine e diligenza. Certo
non verrà mai meno l’opera Nostra in cosa di sì grave importanza, anzi
intendiamo incoraggiare questo slancio di pietà nei modi che giudicheremo più
adatti al bisogno. Intanto, avendo Noi, due anni or sono, col breve Provida matris raccomandato ai cattolici
per la solennità di pentecoste alcune particolari preghiere per implorare il
compimento della cristiana unità, Ci piace sulla stessa cosa adesso aggiungere
qualche cosa di più. Decretiamo dunque e comandiamo che in tutto il mondo
cattolico quest’anno e sempre in avvenire si premetta alla pentecoste la
novena in tutte le chiese parrocchiali e anche in altri templi e oratori, a
giudizio degli ordinari. Concediamo l’indulgenza di sette anni e sette
quarantene per ogni giorno a quelli che assisteranno alla novena e
pregheranno secondo la Nostra intenzione, l’indulgenza plenaria poi o in un
giorno della novena, o nella festa di pentecoste o anche fra l’ottava, purché
confessati e comunicati preghino secondo la Nostra intenzione. Vogliamo
parimenti che di tali benefìci godano anche quelli che, legittimamente
impediti, non possono assistere alle dette pubbliche preghiere, anche in quei
luoghi nei quali queste a giudizio dell’ordinario non possano farsi
comodamente nel tempio, purché in privato facciano la novena e adempiano alle
altre opere e condizioni prescritte. E Ci piace aggiungere dal tesoro della
chiesa che possano lucrare di nuovo l’una e l’altra indulgenza tutti coloro
che in pubblico o in privato rinnovano secondo la propria devozione alcune
preghiere allo Spirito Santo ogni giorno durante l’ottava di pentecoste sino
alla festa della santissima Trinità inclusa, purché soddisfino alle altre
condizioni sopra ingiunte. Tutte queste indulgenze sono applicabili anche
alle anime sante del purgatorio. E ora il Nostro pensiero ritorna a ciò
che dicemmo in principio per affrettarne dal divino Spirito con incessanti
preghiere l’adempimento. Unite, dunque, venerabili fratelli, alle Nostre
preghiere anche le vostre, anche quelle di tutti i fedeli, interponendo la
mediazione potente e accettissima della beatissima Vergine. Voi ben sapete
quali relazioni intime e ineffabili corrano tra lei e lo Spirito Santo,
essendone la sposa immacolata. Intanto come auspicio dei doni celesti e pegno
del Nostro affetto, impartiamo di gran cuore a voi, venerabili fratelli, al
clero e al vostro popolo, nel Signore l’apostolica benedizione. Roma, presso San Pietro, 9 maggio 1897, anno
XX del Nostro pontificato. |