BEATO GIOVANNI XXIII PAPA AD
PETRI CATHEDRAM 29 giugno 1959 (1) Sin da quando
siamo stati elevati non per Nostro merito alla cattedra di san Pietro, sempre
Ci torna di ammaestramento e di conforto il ricordo
del cordoglio generale che si è manifestato nel mondo, in occasione della
scomparsa del Nostro immediato predecessore. Altrettanto Ci accade, se
ripensiamo allo spettacolo che Ci si è offerto dopo la Nostra ascesa al
supremo pontificato, quando, con l’animo pieno di fiduciosa attesa, le
moltitudini si sono rivolte verso la Nostra persona, non distolte da altri
avvenimenti, né dalle loro gravi difficoltà e angustie. La chiesa cattolica
non muore: è il vessillo innalzato sulle nazioni (cf. Is 11,12). Essa è
sorgente di viva luce e di soave amore per tutti i popoli. A ciò si
aggiungono altri motivi di consolazione. Intendiamo riferirci sia ai vasti
consensi con cui è stato accolto l’annuncio del concilio ecumenico, del sinodo
diocesano di Roma, dell’aggiornamento del Codice di diritto canonico e della
prossima promulgazione del Codice per la chiesa di rito orientale; sia ancora
alla speranza ovunque diffusa che questi avvenimenti possano felicemente
condurre a una maggiore e più profonda conoscenza
della verità, a un salutare incremento del costume cristiano e alla
restaurazione dell’unità, della concordia, della pace. Questi tre beni -
la verità, l’unità e la pace - da conseguire e
promuovere secondo lo spirito della carità cristiana, formeranno l’argomento
di questa Nostra prima enciclica, sembrandoCi che,
nel momento presente, questo sia particolarmente richiesto dal Nostro
apostolico mandato. Lo Spirito Santo assista dall’alto Noi mentre scriviamo e
voi quando leggerete. Docili agli impulsi della divina grazia, possano tutti
conseguire il fine desiderato, nonostante i pregiudizi e le non poche
difficoltà e ostacoli che vi si oppongono. I Di tutti i mali che, per così dire, avvelenano gli individui, i
popoli, le nazioni, e così spesso turbano l’animo di molti,
causa e radice è l’ignoranza della verità. E non
l’ignoranza soltanto, ma talvolta anche il disprezzo e uno sconsiderato
disconoscimento del vero. Di qui errori d’ogni genere, che penetrano negli
animi e si infiltrano nelle strutture sociali, tutto
sconvolgendo con grave rovina dei singoli e dell’umana convivenza. Eppure Dio ci ha dato una ragione capace di conoscere le
verità naturali. Seguendo la ragione seguiamo Dio stesso, che ne è l’autore e insieme legislatore e guida della nostra
vita; se invece o per insipienza o per infingardaggine o, peggio, per
cattivo animo, deviamo dal retto uso della ragione, con ciò stesso ci
allontaniamo dal sommo bene e dalla legge morale. Possiamo, certamente,
attingere con la ragione le verità naturali, come si è detto; questa
conoscenza però - soprattutto per quanto concerne la religione e la morale -
non tutti possono facilmente conseguirla, e se la conseguono, ciò spesso
avviene non senza mescolanza di errori. Le verità
poi che trascendono la capacità naturale della ragione
non possiamo in alcun modo raggiungerle senza l’aiuto di una luce
soprannaturale. Per questo il Verbo di Dio, che "abita una luce
inaccessibile" (1Tm 6,16), per amore e
compassione del genere umano, "si è fatto carne e abitò fra noi"
(Gv 1,14), per illuminare "ogni uomo che viene al mondo" (Gv 1,9) e
condurre tutti non solo alla pienezza della verità, ma ancora alla virtù e
all’eterna beatitudine. Tutti perciò sono tenuti ad abbracciare la
dottrina dell’evangelo. Se la si rigetta, vengono
messi in pericolo i fondamenti stessi della verità, dell’onestà e della
civiltà. Come è evidente, si tratta di
una questione gravissima, inseparabilmente connessa con la nostra eterna
salvezza.
Coloro i quali, come dice l’apostolo delle genti, "stanno sempre a imparare senza mai giungere alla conoscenza della
verità" (2Tm 3,7), e negano all’umana ragione la possibilità di arrivare
a qualsivoglia verità certa e sicura e ripudiano anche le verità da Dio
rivelate, necessarie per l’eterna salvezza: questi infelici sono ben lontani
dall’insegnamento di Gesù Cristo e dal pensiero dello stesso apostolo delle
genti, il quale esorta ad "arrivare tutti insieme all’unità della fede e
alla piena conoscenza del Figlio di Dio... Allora non saremo più
fanciulli sbalzati e portati qua e là da ogni vento di dottrina, tra i
raggiri degli uomini e la loro scaltrezza a inoculare l’errore. Ma, vivendo secondo la verità nella carità,
cerchiamo di crescere in ogni cosa verso di lui, che è il capo, Cristo. È in
virtù sua che il corpo tutto intero, grazie ai vari legami che gli danno
coesione e unità, cresce mediante l’attività propria di ciascuno dei suoi
organi e si costruisce nella carità" (Ef 4,13-16). Coloro poi che, con ardire temerario, impugnano di proposito la
verità conosciuta, e parlando, scrivendo, operando, usano le armi della
menzogna per attirarsi il favore del popolo semplice e per plasmare a loro
modo l’animo dei giovani, ignaro e molle come cera, quale abuso
non commettono, quale opera riprovevole non compiono essi mai! Non possiamo qui fare a meno di esortare a presentare la verità con
diligenza, cautela e prudenza, tutti quelli specialmente
che attraverso libri, riviste e giornali, di cui oggi c’è tanta
abbondanza, esercitano così grande influsso sull’animo dei lettori, dei
giovani soprattutto, e sulla formazione delle loro opinioni e dei loro
costumi. Essi hanno il dovere gravissimo non già di propagare la menzogna,
l’errore, l’oscenità, non ciò che è di incentivo ai
vizi, bensì soltanto il vero, e tutto quello che è di sprone al bene e alla
virtù. Con grande tristezza vediamo verificarsi
anche oggi quello che già deplorava il Nostro predecessore di f.m. Leone
XIII, "serpeggiare, cioè, audacemente la menzogna... in grossi volumi e
piccoli libri, nelle pagine svolazzanti dei giornali e con la pubblicità
teatrale"; (2) e vediamo altresì con grande tristezza "libri e
giornali che si stampano per irridere la virtù e coonestare il vizio".
(3) Oggi poi c’è da
aggiungere a tutto questo, come voi ben sapete, venerabili fratelli e diletti
figli, la radio, il cinema e la televisione, i cui spettacoli possono essere
seguiti fra le pareti stesse domestiche. Da tali mezzi può bensì derivare un
invito e un incitamento al bene e all’onestà e anche alla pratica cristiana
delle virtù. Purtroppo, invece, e specialmente in mezzo ai giovani, essi
servono non di rado di incentivo al malcostume, alla
corruzione, all’inganno dell’errore e ad una vita viziosa. Per neutralizzare
quindi, con ogni cura e diligenza, il cattivo influsso di questi mezzi
pericolosi che si va sempre più diffondendo, bisogna fare ricorso alle armi
della verità e dell’onestà. Alla stampa cattiva e menzognera bisogna
contrapporre quella buona e verace. Alle trasmissioni della radio e agli
spettacoli cinematografici e televisivi, fatti strumento
di errori e di corruzione, bisogna contrapporne altri a difesa della verità e
del buon costume. In tal modo queste recenti invenzioni, che purtroppo tanto
possono come allettamento al male, potranno
diventare per l’uomo strumenti di bene e insieme mezzo di onesto svago, e
verrà il rimedio dalla stessa fonte donde spesso promana il veleno. Non mancano poi quelli che, pur non impugnando di proposito la
verità, si mostrano tuttavia a suo riguardo oltremodo
incuranti e indifferenti, come se Dio non ci avesse dato la ragione
per cercarla e raggiungerla. Tale riprovevole modo di agire conduce, quasi
per un processo spontaneo, a questa assurda
affermazione che tutte le religioni si equivalgono, senza alcuna differenza
tra il vero e il falso. "Questo principio - per usare le parole del
medesimo Nostro predecessore - porta necessariamente alla rovina di tutte le
religioni, specialmente di quella cattolica, la quale, essendo la sola vera
fra tutte, non può senza somma offesa venire messa sullo stesso piano delle
altre". (4) Il negare qualsiasi differenza tra cose
tanto contraddittorie, può condurre poi a questa rovinosa conclusione, che
non si ammette più alcuna religione né in teoria né in pratica. Come
potrebbe Dio, che è verità per essenza, approvare o tollerare la
trascuratezza, la negligenza, l’insipienza di coloro che, allorquando si
tratta di questioni da cui dipende l’eterna salute di tutti, non ne tengono conto alcuno, né si curano affatto di cercare e
trovare le verità necessarie e di tributare a lui stesso il culto dovuto? Oggi tanto ci si
affatica e tanta diligenza si pone nello studio e nel progresso dell’umano
sapere, e la nostra epoca può ben gloriarsi delle mirabili conquiste
raggiunte nella ricerca scientifica. Perché dunque
non dovrebbe usarsi uguale impegno, anzi maggiore, per il sicuro acquisto di
quel sapere che riguarda non già questa vita terrena e caduca, ma la celeste
che mai verrà meno? Allora soltanto, quando avremo raggiunto la verità che
scaturisce dall’evangelo e che deve tradursi nella pratica della vita, allora
soltanto il nostro animo potrà godere il tranquillo possesso della pace e
della gioia; gioia immensamente al di sopra di
quella che può provenire dalle scoperte della scienza e da quelle meravigliose
odierne invenzioni che giustamente vengono ogni giorno esaltate e portate,
per così dire, alle stelle. II Dal conseguimento della verità, piena, integra, sincera, deve
necessariamente scaturire l’unione delle menti, degli animi e delle azioni. Infatti ogni contrasto e disaccordo trova la sua prima
causa nel fatto che la verità o non è conosciuta o, peggio ancora, quantunque
conosciuta, viene impugnata per i vantaggi che spesso si spera di ricavare da
false opinioni, ovvero per quella biasimevole cecità che spinge gli uomini a
giustificare i loro vizi e le cattive azioni. È dunque necessario
che tutti, sia i privati cittadini, sia coloro che hanno
in mano le sorti dei popoli, amino sinceramente la verità se vogliono
godere quella concordia e quella pace, dalle quali soltanto può derivare la
vera prosperità pubblica e privata. In modo
particolare esortiamo a siffatta concordia e pace i supremi reggitori delle
nazioni. Posti al di sopra delle contese fra gli
stati, Noi che abbracciamo tutti i popoli con pari carità e non siamo mossi
da nessun intento di dominazione politica e da nessun desiderio di beni
terrestri, nel parlare di un argomento così estremamente importante,
crediamo di poter essere serenamente giudicati e ascoltati dagli uomini di
ogni nazione. Dio ha creato gli
uomini non nemici, ma fratelli. Ha dato loro la terra da coltivare con il
lavoro e la fatica, perché tutti ne godano i frutti e ne traggano
il necessario per il sostentamento e i bisogni della vita. Le diverse nazioni
altro non sono che comunità di uomini, cioè di
fratelli, che devono tendere in unione fraterna, non solo al fine proprio di
ciascuna, ma altresì al bene comune dell’intero consorzio umano. Del resto il
corso di questa vita mortale non deve essere considerato soltanto in se
stesso o come avente finalità puramente edonistiche. Esso, se conduce al
dissolvimento del corpo dell’uomo, prepara e avvia altresì alla vita
immortale, alla patria dove vivremo in eterno. Tolta dall’animo
dell’uomo questa dottrina, questa consolante speranza, crollano tutte le
ragioni della vita. Insorgono negli animi, fatalmente, le passioni, le lotte
e le discordie, che nessun freno potrà efficacemente contenere. Non splende
più l’olivo della pace, ma divampa la fiamma della discordia. La sorte dell’uomo
diviene quasi simile a quella degli esseri privi di intelletto;
anzi - e ciò è ancora peggio - abusando della ragione egli può precipitare
negli abissi del male, cosa che purtroppo spesso avviene, e giungere, come
già Caino, a macchiare la terra di sangue fraterno e di delitti. Se si vuole quindi - e chi
non dovrebbe volerlo? - ricondurre le umane azioni nel sentiero della
giustizia è necessario anzitutto richiamare la ragione e l’animo a questi
retti principi. Se ci diciamo e
siamo fratelli, se siamo chiamati ad una medesima sorte nella vita presente e
nella futura, come è mai possibile che alcuno tratti
gli altri da avversari e da nemici? Perché invidiare
gli altri, suscitare odio e rivolgere armi micidiali contro i fratelli?
Abbastanza si è combattuto fra gli uomini. Troppi giovani nel fiore dell’età
hanno versato il loro sangue. Già troppi cimiteri di caduti in guerra
esistono, e ci ammoniscono, con voce severa, a raggiungere una buona volta la
concordia, l’unità, una giusta pace. Pensi quindi ognuno,
non a ciò che divide gli animi, ma a ciò che li può unire nella mutua
comprensione e nella reciproca stima. Soltanto se si
cerca veramente la pace e non la guerra, come è
doveroso, se si tende con comune e sincero sforzo alla fraterna concordia tra
i popoli, soltanto allora, diciamo, sarà possibile armonizzare gli interessi
e comporre felicemente tutte le divergenze. E si potrà così addivenire di comune intesa e con mezzi opportuni a quella
sospirata e concorde unione per cui i diritti di ogni singolo stato alla
libertà, lungi dal venire conculcati da altri, sono invece del tutto posti al
sicuro. Coloro infatti che opprimono gli altri e li
spogliano della loro libertà, non possono certamente apportare il loro
contributo a questa unità. E qui si presenta quanto
mai opportuna l’affermazione del Nostro predecessore di f.m. Leone XIII:
"Per frenare l’ambizione, la cupidigia dei beni altrui, la rivalità, che
sono i più validi incentivi alla guerra, nulla val
meglio delle virtù cristiane, della giustizia in primo luogo". (5) Del resto, se le
nazioni non arriveranno a questa unione fraterna,
fondata necessariamente sulla giustizia e alimentata dalla carità, la
situazione mondiale rimarrà assai grave. Gli uomini sensati deplorano perciò
giustamente una situazione così incerta, che lascia in dubbio se ci si avvii
verso una pace solida e vera, oppure si corra con
estrema cecità verso una nuova spaventosa guerra. Con estrema cecità, abbiamo
detto; se infatti - Dio non voglia! - dovesse scoppiare una nuova guerra, tale è la potenza
delle armi mostruose dei nostri giorni che non rimarrebbe altro per tutti i
popoli - vincitori e vinti - fuorché immensa strage e universale rovina. Perciò
supplichiamo tutti, ma specialmente i reggitori degli stati, di meditare su
ciò attentamente davanti a Dio giudice, e di adoperare coraggiosamente ogni
mezzo che possa condurre alla necessaria unione.
Questa unità di intenti che, come abbiamo detto,
conferirà senza dubbio ad accrescere anche la prosperità di tutti i popoli,
potrà essere restaurata allora soltanto quando, pacificati gli animi e
salvaguardati i diritti di ognuno, risplenderà dovunque la libertà dovuta ai
cittadini, alle nazioni, agli stati, alla chiesa. È inoltre
assolutamente necessario restaurare anche fra le varie classi sociali la
stessa concordia che si desidera fra i popoli e le nazioni. Se ciò non avverrà, si avranno, come già si vedono,
vicendevoli odi e discordie, donde potranno nascere tumulti, dannosi
rivolgimenti e talvolta anche eccidi, cui si aggiungerebbe il progressivo
estenuarsi della ricchezza e la crisi della pubblica e privata economia. Già
il Nostro predecessore sopra menzionato giustamente osservava: "Dio
volle che nella comunità dell’umano consorzio vi fosse disparità di classi,
ma insieme amichevoli rapporti di equità tra le
medesime". (6) Infatti "come nel corpo le varie membra si accordano
insieme e formano quell’armonico temperamento che si chiama simmetria, allo
stesso modo la natura esige che nella civile convivenza... le classi si integrino vicendevolmente e portino, collaborando fra
di loro, a un giusto equilibrio. Ognuna ha bisogno dell’altra: non può stare
il capitale senza il lavoro, né il lavoro senza il capitale. La concordia
produce la bellezza e l’ordine delle cose". (7) Chi osa quindi negare la
disparità delle classi sociali, contraddice all’ordine stesso di natura. Chi poi avversa questa amichevole e inderogabile cooperazione tra
le classi stesse, tende senza dubbio a sconvolgere e a dividere l’umana società,
con grave turbamento e danno del bene pubblico e privato. Del resto,
osservava sapientemente il Nostro predecessore Pio XII di f.m.: "In un
popolo degno di questo nome tutte le disuguaglianze che non derivano
dall’arbitrio, ma dalla natura stessa delle cose, disuguaglianze di cultura, di averi, di posizione sociale, senza pregiudizio, ben
inteso, della giustizia e carità reciproche, non sono affatto un ostacolo
all’esistenza e al predominio di un autentico spirito di comunità e di
fraternità". (8) Possono bensì le singole classi e le varie categorie di
cittadini tutelare i propri diritti, purché ciò si
faccia legittimamente e non con la violenza, senza invadere gli altrui
diritti, anch’essi inderogabili. Tutti sono fratelli; pertanto tutte le
questioni devono comporsi amichevolmente con mutua fraterna carità. È doveroso
riconoscere, e ciò è di buon auspicio, che, da qualche tempo, si assiste in
molte parti ad una situazione meno tesa fra le varie categorie sociali, come
già osservava il Nostro immediato predecessore parlando ai cattolici di
Germania: "La tremenda catastrofe che si è abbattuta su di voi, ha
arrecato il beneficio che in cospicui ceti, fattisi liberi da pregiudizi e
dall’egoismo dei gruppi, i contrasti delle classi sono in
gran parte appianati, e gli uomini si sono maggiormente avvicinati gli
uni agli altri. La miseria comune fu ed è un’amara,
ma salutare, maestra di disciplina". (9) In realtà oggi
sono alquanto attenuate le distanze fra le classi, le quali non possono più
ridursi a un dualismo di blocchi contrapposti
fondato esclusivamente sul rapporto capitale e lavoro. Si delinea
invece una sempre maggiore molteplicità di gruppi e, in seno ai gruppi
stessi, una crescente apertura, per cui i più preparati e i più idonei hanno
la possibilità di accedere anche alle posizioni più elevate. Per quanto poi
riguarda più direttamente il mondo del lavoro, è consolante pensare a quei
movimenti sorti recentemente, che intendono ricomporre le relazioni umane
nell’ambito dell’impresa su un piano più elevato di quello economico. Molto cammino
però resta da percorrere. Giacché esistono ancora troppe sperequazioni,
troppi motivi di attrito tra settore e settore, a
causa talora anche di una concezione imperfetta o non giusta del diritto di
proprietà, dovuta alle tenaci resistenze dell’egoismo e dell’individualismo.
A ciò si aggiunge il doloroso fenomeno della disoccupazione, per cui molti sono oppressi da gravi angustie, fenomeno
che, almeno momentaneamente, i rapidi progressi della tecnica moderna nel
campo della produzione, potrebbero ancor più aggravare. Argomento questo, che
faceva dire con rammarico al Nostro predecessore Pio XI di f.m.:
"Vediamo forzati all’inerzia e poi ridotti all’indigenza anche estrema
con le loro famiglie tanti e tanti onesti e volonterosi lavoratori, di
null’altro più desiderosi che di guadagnarsi onestamente, con il sudore della
fronte, secondo il mandato divino, il pane quotidiano che invocano
ogni giorno dal Padre celeste. I loro gemiti commuovono il Nostro cuore
paterno e Ci fanno ripetere, con la medesima tenerezza di commiserazione, la
parola uscita già dal cuore amorevolissimo del divino Maestro sopra la folla
languente di fame: "Ho compassione di questo popolo" (Mc
8,2)". (10) Se dunque si
vuole e si cerca - e tutti debbono volerla e
cercarla - la desiderata armonia tra le classi, unendo insieme gli sforzi
pubblici e privati e aiutando le coraggiose iniziative, bisogna adoperarsi
nel miglior modo possibile affinché tutti, anche quelli della più umile
condizione, possano con il lavoro e il sudore della loro fronte procurarsi il
necessario per vivere e provvedere sicuramente e onestamente all’avvenire per
sé e per i propri cari. Tanto più che ai giorni nostri si vanno ormai
diffondendo parecchie confortevoli condizioni di vita, dalle quali non è
lecito escludere le categorie meno abbienti. Vivamente
esortiamo poi tutti coloro sui quali gravano le maggiori responsabilità in
seno all’impresa, e da cui qualche volta dipende anche la vita degli operai,
a non valutare il lavoratore soltanto dal punto di vista economico, a non
limitarsi al riconoscimento dei suoi diritti, in ordine
alla giusta mercede, ma a rispettare altresì la dignità della sua
persona e a considerarlo anzi come fratello. Si adoperino inoltre affinché
gli operai, partecipando sempre più in congrua misura ai frutti dell’impresa,
si sentano non estranei ad essa, ma cointeressati
alla sua vita e ai suoi sviluppi. Questo diciamo,
spinti dal desiderio che si attui una sempre maggiore armonia fra i
vicendevoli diritti e doveri delle categorie che compongono il mondo del
lavoro, e affinché le relative organizzazioni professionali "non siano
intese come un’arma esclusivamente rivolta ad una guerra difensiva e
offensiva, che provoca reazioni e rappresaglie, non come una fiumana che
dilaga e divide, ma come un ponte che unisce". (11) Soprattutto però si
deve provvedere perché ai felici sviluppi raggiunti sul piano economico
corrisponda un non minore progresso nel campo dei valori spirituali, come è richiesto dalla dignità stessa dei cristiani, anzi
dalla stessa dignità di uomini. Che gioverebbe infatti
al lavoratore conseguire miglioramenti economici in misura sempre più larga e
raggiungere un tenore di vita più elevato, se malauguratamente avesse a
perdere o a trascurare i superiori beni dello spirito? Le prospettive a cui
si mira potranno realizzarsi soltanto con la piena attuazione della dottrina
sociale della chiesa, e se tutti "procureranno di alimentare in sé e
accendere negli altri, nei grandi e nei piccoli, la carità, signora e regina
di tutte le virtù. Poiché la desiderata salvezza deve essere principalmente
frutto di una grande effusione di carità; quella
carità cristiana che compendia in sé tutto l’evangelo, e che, pronta sempre a
sacrificarsi per il prossimo, è il più sicuro antidoto contro l’orgoglio e
l’egoismo del secolo, e di cui san Paolo tratteggiò i divini lineamenti con
quelle parole: "La carità è longanime, è benigna, non ricerca il proprio
tornaconto, tutto soffre, tutto sopporta"" (1Cor 13,4-7). (12) Infine alla
stessa concordia alla quale abbiamo invitato i popoli, i loro capi, le classi
sociali, invitiamo pure, con animo paterno, tutte le famiglie, perché la
cerchino e la consolidino. Se
infatti non c’è pace, unità e concordia nelle famiglie, come potrà
aversi nella società civile? Questa ordinata e armonica unione che deve
sempre regnare tra le pareti domestiche nasce dal
vincolo indissolubile e dalla santità propria del matrimonio cristiano, e
coopera per tanta parte all’ordine, al progresso e al benessere dell’intera
società civile. Il padre, capo della famiglia, abbia tra i suoi quasi la
rappresentanza di Dio e preceda gli altri non solo con l’autorità, ma anche
con l’esempio di una vita integra. La madre, con la gentilezza dell’animo e
con le virtù domestiche, sia buona e affettuosa con
il marito, e insieme con lui guidi con fortezza e soavità i figli,
preziosissimo dono di Dio, e li educhi a una vita onesta e religiosa. I figli
siano sempre obbedienti, come è doveroso, ai
genitori, li amino, siano loro non solo di conforto ma, se necessario, anche
di aiuto. Spiri tra le pareti domestiche quella carità di cui ardeva la sacra famiglia di Nazaret. Vi fioriscano tutte
le virtù cristiane, domini l’unione dei cuori, e rifulga l’esempio di una
vita onesta. Non sia mai - ne preghiamo ardentemente Dio - che venga turbata una così bella, soave e necessaria
concordia; quando l’istituto cristiano della famiglia vacilla, quando vengono
respinti o negletti i comandi del divino Redentore su questo punto, allora
possono crollare i fondamenti stessi della civile convivenza, che vien posta
in serio pericolo, con danni incalcolabili per tutti i cittadini. III E ora veniamo a
trattare di quell’unità che Ci sta a cuore in modo
particolarissimo, e che ha intima relazione con l’ufficio pastorale a Noi
affidato da Dio, cioè dell’unità della chiesa. Tutti sanno che
il divino Redentore ha fondato una società che dovrà conservare la sua unità
fino alla fine dei secoli: "Ecco, io sono con voi fino alla consumazione
dei secoli" (Mt 28,20). Per questo egli ha
rivolto al Padre celeste una fervida preghiera, che, senza dubbio, è stata
accettata ed esaudita per la sua deferenza alla volontà del Padre (cf. Eb
5,7) e che è questa: "Che tutti siano una sola cosa, come tu, Padre, sei
in me e io in te, così essi siano una sola cosa in noi" (Gv 17,21).
Questa preghiera infonde in Noi e conferma la dolce speranza che finalmente
tutte quelle pecorelle che non sono di questo ovile
sentano il desiderio di farvi ritorno; di modo che, secondo la parola del
divin Redentore, "si farà un solo ovile e un solo pastore" (Gv
10,16). Vivamente
animati da questa soave fiducia, abbiamo annunziato pubblicamente il
proposito di convocare un concilio ecumenico, al quale parteciperanno sacri
pastori da tutto l’orbe cattolico, per trattare gravi problemi riguardanti la
religione.
Scopo principale del concilio stesso sarà di promuovere l’incremento della
fede cattolica, e un salutare rinnovamento dei costumi del popolo cristiano e
di aggiornare la disciplina ecclesiastica secondo le necessità dei nostri
tempi. Ciò senza dubbio costituirà un meraviglioso spettacolo di verità, di unità e di carità che, visto anche da coloro i quali
sono separati da questa sede apostolica, sarà per essi un soave invito - lo
speriamo - a cercare e a raggiungere quell’unità per la quale Gesù Cristo
rivolse al Padre celeste così ardente preghiera. Sappiamo bene che
in questi ultimi tempi si è delineato presso non
poche comunità, divise dalla sede apostolica, un qualche movimento di
simpatia verso la fede e gli ordinamenti della chiesa cattolica e una
crescente stima verso questa apostolica sede. L’amore della verità va
finalmente dissipando talune opinioni e diffidenze. Sappiamo altresì che
quasi tutti coloro, i quali, pur da Noi e tra di
essi separati, si chiamano cristiani, hanno tenuto più volte congressi allo
scopo di stringere relazioni tra loro, e a tal fine hanno anche creato
appositi organismi. Ciò mostra che essi pure sono mossi dal desiderio di
giungere a qualche forma di unione. È fuori dubbio
che il divin Redentore ha costituito la sua chiesa
dotandola e corroborandola di solidissima unità; che se, per assurdo, non
l’avesse fatto, avrebbe istituito qualcosa di caduco e mutevole nel tempo, a
quella guisa che i vari sistemi filosofici abbandonati all’arbitrio delle
varie opinioni degli uomini, con l’andar del tempo uno dopo l’altro sorgono,
si trasformano e scompaiono. Non vi può quindi essere alcuno che non veda come tutto questo sia contrario al divino
insegnamento di Gesù Cristo, che è "via, verità e vita" (Gv 14,6). Siffatta unità,
venerabili fratelli e diletti figli, che, come abbiamo
detto, non deve essere qualcosa di evanescente, incerto e labile, ma di
solido, stabile e sicuro, (13) se manca alle altre comunità di cristiani, non
manca certo alla chiesa cattolica, come può facilmente vedere chi
attentamente la osservi. Infatti questa unità si
fregia di tre note distintive: l’unità di dottrina, di regime e di culto.
Essa è tale da risultare visibile a tutti, sicché
tutti la possono riconoscere e seguire. È tale inoltre che, secondo la
volontà stessa del suo divin Fondatore, tutte le pecorelle ivi realmente
possono riunirsi in un solo ovile sotto la guida di un solo pastore. E così
all’unica casa paterna, stabilita sul fondamento di Pietro, sono chiamati
tutti i figli, e in essa bisogna cercare di radunare
fraternamente tutti i popoli come nell’unico regno di Dio, i cui cittadini,
congiunti tra loro in terra nella concordia di mente e di animo, abbiano un
giorno a godere l’eterna beatitudine in cielo. La chiesa cattolica comanda di credere fedelmente e fermamente tutto
ciò che è stato rivelato da Dio; quanto cioè si
contiene nella sacra Scrittura e nella tradizione orale e scritta, e, nel
decorso dei secoli, a cominciare dall’età apostolica, è stato sancito e
definito dai sommi pontefici e dai legittimi concili ecumenici. Ogni volta
che qualcuno si è allontanato da questo sentiero, la chiesa con la sua
materna autorità non ha mai cessato di richiamarlo sulla retta via. Sa bene,
infatti, e sostiene che vi è una sola verità e che non possono ammettersi
"verità" in contrasto tra di loro. Fa sua
quindi l’affermazione dell’apostolo delle genti: "Non abbiamo alcun
potere contro la verità, ma solo a favore di essa"
(2Cor 13,8). Vi sono tuttavia
non pochi punti sui quali la chiesa cattolica lascia libertà di disputa ai
teologi, in quanto si tratta di cose non del tutto
certe e in quanto anche, come notava il celebre scrittore inglese cardinale John Henry Newman,
tali dispute non rompono l’unità della chiesa. Esse servono anzi a una più profonda e migliore intelligenza dei dogmi,
poiché preparano e rendono più sicura la via a questa conoscenza. Infatti dal contrasto delle varie sentenze scaturisce
sempre nuova luce. (14) Ad ogni modo è sempre da tener presente quella bella
e ben nota sentenza attribuita in diverse forme a diversi autori: nelle cose
necessarie ci vuole l’unità, in quelle dubbie la libertà, in
tutte la carità. Che ci sia poi nella chiesa cattolica l’unità di
regime, ognuno lo vede. Come infatti i fedeli sono
soggetti ai sacerdoti, e i sacerdoti ai vescovi "posti dallo Spirito
Santo a reggere la chiesa di Dio" (At 20,28); così tutti e singoli i
sacri pastori sono sottomessi al romano pontefice. Questi, infatti, deve essere ritenuto legittimo successore di quel Pietro,
che Cristo Signore ha posto come pietra e fondamento della sua chiesa (cf. Mt
16,18) e al quale singolarmente diede la potestà di sciogliere e di legare in
terra (cf. Mt 16,19), di confermare i suoi fratelli (cf. Lc 22,32) e di pascere
l’intero gregge (cf. Gv 21,15-17). Nessuno ignora
poi che la chiesa cattolica, fin dal tempo degli apostoli, ha
anche conservato una mirabile unità di culto, amministrando in tutto
l’orbe cattolico, a nutrimento della vita spirituale dei fedeli, i sette
sacramenti ricevuti in sacra eredità da Gesù Cristo. E neppure ignora che in essa si celebra un solo sacrificio, quello eucaristico, in
cui Cristo stesso, nostro salvatore e redentore, in modo incruento ma reale,
si immola ogni giorno per noi tutti ed effonde misericordiosamente su di noi
gli infiniti tesori della sua grazia. Perciò ben a
ragione san Cipriano affermava: "Non è lecito stabilire un altro altare
e un nuovo sacerdozio all’infuori dell’unico altare e dell’unico
sacerdozio". (15) Ciò non toglie, come ognuno sa, che nella chiesa
cattolica esistano e siano approvati diversi riti,
per i quali essa splende più bella, a guisa di figlia del sommo Re nella
varietà dei suoi ornamenti (cf. Sal 44,15). Ed è proprio durante la celebrazione del sacrificio eucaristico che
il sacerdote cattolico prega fervidamente perché tutti arrivino a questa unità vera e concorde e offre l’ostia immacolata a
Dio clementissimo supplicando anzitutto per la
santa chiesa cattolica, e chiedendogli di "pacificarla, custodirla,
adunarla e reggerla su tutta la terra: insieme con il nostro papa tuo
servo e tutti coloro che, fedeli alla vera dottrina, sono i custodi della
purezza della fede cattolica e apostolica". (16) Questo
meraviglioso spettacolo di unità che
contraddistingue la chiesa cattolica e che è di esempio luminoso per tutti,
le sue suppliche e preghiere onde ottenere da Dio per tutti la medesima
unità, possano commuovere e scuotere salutarmente
anche l’animo vostro, di voi, diciamo, che siete separati da questa sede apostolica. Permettete che
con ardente desiderio vi chiamiamo fratelli e figli. Lasciateci
nutrire la speranza del vostro ritorno che coltiviamo con paterno affetto.
A voi Ci rivolgiamo con la stessa sollecitudine pastorale e con le stesse
parole con cui il vescovo di Alessandria Teofilo,
mentre un doloroso scisma lacerava la veste inconsutile
della chiesa, si rivolgeva ai suoi fratelli e figli: "Imitiamo,
carissimi, partecipi tutti di una medesima vocazione celeste, ognuno secondo
le proprie possibilità, imitiamo Gesù, guida e autore della nostra salvezza!
Abbracciamo quell’unità che eleva l’animo e quella carità che ci congiunge a
Dio, e crediamo fermamente nei divini misteri! Fuggite ogni divisione,
evitate la discordia... sostenetevi con vicendevole
carità... ascoltate la parola di Cristo: da ciò conosceranno che siete miei
discepoli, se vi amerete l’un l’altro". (17) Considerate che
il Nostro amoroso invito all’unità della chiesa non vi chiama in casa
forestiera, ma nella propria e comune casa paterna. Permetteteci perciò questa esortazione, fatta a voi tutti "con la
tenerezza di Gesù Cristo" (Fil 1,8). Ricordatevi dei vostri padri,
"che vi hanno detta la parola di Dio; e
considerando quale fu il termine della loro vita, imitatene la fede" (Eb
13,7). La gloriosa schiera dei santi che ognuna delle vostre genti ha inviato
al cielo, quelli specialmente che con i loro scritti hanno luminosamente trasmessa e spiegata la dottrina di Gesù Cristo, sembrano
anch’essi invitarvi, con l’esempio della loro vita, all’unione con questa
sede apostolica, con la quale la vostra comunità cristiana è stata per tanti
secoli salutarmente congiunta. Ci rivolgiamo
quindi a tutti coloro che sono da Noi separati, come
a fratelli, usando le parole di sant’Agostino che dice: "Volere o no,
sono nostri fratelli. Allora soltanto non saranno più nostri
fratelli, quando avranno smesso di dire: "Padre
nostro"". (18) "Amiamo il Signore Dio
nostro, amiamo la sua chiesa; l’uno come padre, l’altra come madre; l’uno
come signore, l’altra come sua ancella; poiché siamo figli della sua ancella.
Questo matrimonio però trova la sua coesione in una grande
carità; nessuno può offendere uno e acquistare la benevolenza dell’altro...
Che ti giova che non venga offeso il padre, se questi vendica le offese fatte
alla madre?... Perciò, carissimi, teniamoci stretti unanimemente a Dio padre
e alla madre chiesa". (19) Noi perciò a
tutela dell’unità della chiesa e ad incremento dell’ovile di Cristo e del suo
regno, eleviamo supplici preghiere a Dio benigno, largitore
dei celesti lumi e di ogni bene, ed esortiamo a
pregare con perseveranza anche tutti i Nostri fratelli e figli in Cristo. Il
buon esito del futuro concilio ecumenico, infatti,
più che dall’umana attività e diligenza, dipende dalle ardenti preghiere
innalzate a gara da tutti. Ad elevare queste suppliche a Dio, Noi invitiamo
con affetto anche coloro che, pur non essendo di questo ovile,
rendono a Dio il dovuto onore e sinceramente cercano di obbedire ai suoi
precetti. Accresca e coroni questa speranza, questi Nostri voti, la preghiera
sacerdotale di Cristo: "Padre santo, custodisci nel nome tuo coloro che
mi hai dato, affinché siano una cosa sola, come noi... Santificali
nella verità: la tua parola è verità... Non prego per essi soltanto, ma
anche per coloro che per la loro parola crederanno in me... affinché siano
perfetti nell’unità..." (Gv 17,11.17.20.21.23). Questa preghiera
la rinnoviamo insieme con il mondo cattolico a Noi congiunto; e lo facciamo
non solo animati da viva fiamma di amore verso tutti
i popoli, ma ancora con spirito di sincera umiltà evangelica. Conosciamo infatti la pochezza della Nostra persona, che Dio, non
per i Nostri meriti ma nell’arcano suo consiglio, si è degnato elevare alla
dignità di sommo pontefice. Perciò a tutti i Nostri fratelli e figli separati da
questa cattedra di Pietro, ripetiamo le parole: "Io sono Giuseppe,
vostro fratello" (Gn 45,4). Venite; "comprendeteci" (2Cor
7,2); nient’altro vogliamo, nient’altro desideriamo,
nient’altro domandiamo a Dio se non la vostra salute, la vostra eterna
felicità. Venite; da questa sospirata unità e concordia, che deve
essere alimentata dalla carità fraterna, sgorgherà una grande
pace: quella pace "che sorpassa ogni intelligenza" (Fil 4,7),
poiché scende dal cielo; quella pace che Cristo, per mezzo del concerto
angelico al di sopra della sua culla, ha annunziato agli uomini di buona
volontà (cf. Lc 2,14), e che, dopo l’istituzione dell’eucaristia come
sacramento e come sacrificio ha donato con queste parole: "Vi lascio la
pace, vi do la mia pace; ve la do, non come la dà il mondo" (Gv 14,27).
Pace e gioia; sì, anche la gioia, perché coloro che
appartengono realmente ed efficacemente al corpo mistico di Cristo,
che è la chiesa cattolica, sono fatti partecipi di quella vita che dal
capo divino si trasfonde nelle singole membra. E perciò coloro
che osservano fedelmente i precetti e i mandati del nostro Redentore,
anche in questa vita terrena possono godere di quella gioia che è auspicio e
preannunzio dell’eterna felicità. Ma questa pace,
questa felicità, mentre compiamo il faticoso cammino
in questa terra di esilio, è ancora imperfetta. Non è pace
del tutto tranquilla, del tutto serena. È pace operosa, non oziosa,
non inerte. Soprattutto è pace militante
contro ogni errore, benché simulato sotto falsa apparenza di vero, contro gli
allettamenti del vizio, contro ogni sorta di nemici dell’anima, che cercano
di affievolire, macchiare, rovinare l’innocenza e la fede cattolica. È
pace militante contro gli odi, le contese, le
divisioni che possono infrangere o lacerare la fede stessa. Perciò il divin Redentore ci ha dato e raccomandato la sua
pace. La pace dunque, che dobbiamo cercare e sforzarci di raggiungere, è
tale pace che non cede all’errore, che non scende a compromessi in
nessun modo coi fautori dell’errore stesso, che
non si abbandona ai vizi e che evita ogni discordia. È tale pace da esigere,
da parte di coloro che vogliono esserne seguaci, la
pronta rinunzia al proprio utile e al proprio vantaggio per la causa della
verità e della giustizia, secondo il detto evangelico: "Cercate prima il
regno di Dio e la sua giustizia..." (Mt 6,33). La beata vergine
Maria, regina della pace, al cui cuore immacolato il Nostro predecessore Pio
XII di f.m. ha consacrato il genere umano, ci impetri
da Dio - La preghiamo caldamente - unità concorde, pace vera, operosa e
militante. Questa concordia e questa pace arridano sia ai Nostri figli in
Cristo, sia a tutti quelli che pur da Noi separati, sentono
il bisogno di amare la verità e l’unione fraterna! IV Vogliamo ora rivolgerCi con animo paterno singolarmente ai vari ceti
della chiesa cattolica. In primo luogo "la Nostra parola è rivolta a
voi" (2Cor 6,11), venerabili fratelli nell’episcopato, patriarchi,
arcivescovi e vescovi, sia dell’oriente sia dell’occidente; a voi che siete
guida del popolo cristiano e che portate insieme con
Noi il peso e la fatica della giornata (cf. Mt 20,12). Conosciamo la
diligenza e lo zelo apostolico, con cui vi adoperate ciascuno nel vostro
particolare campo di apostolato per incrementare il
regno di Dio, consolidarlo ed estenderlo a tutti. Conosciamo altresì le
vostre angustie, le vostre pene per tanti figli che si allontanano
ingannati dalle false parvenze degli errori, per le strettezze che
impediscono talvolta un maggiore sviluppo degli interessi cattolici, e
soprattutto per lo scarso numero dei sacerdoti, in molti luoghi inadeguato ai
crescenti bisogni. Riponendo però la vostra fiducia in Colui, da cui proviene
"ogni grazia eccellente e ogni dono perfetto" (Gc
1,17) , rivolgendovi al Signore Gesù, con preghiera
insistente, perché senza lui "non potete far nulla" (Gv 15,5),
sicuri invece che con la sua grazia ognuno di voi può ripetere con l’apostolo
delle genti: "Tutto posso in colui che mi dà forza" (Fil 4,13) .
"Dio esaudisca ogni vostro desiderio, secondo la sua ricchezza, con la
gloria in Cristo Gesù" (Fil 4,19), sicché possiate dal campo coltivato
con fatica e sudore mietere abbondantemente e raccogliere i frutti
desiderati. Un altro paterno
appello rivolgiamo ai sacerdoti del clero secolare e
regolare: a quelli che vi coadiuvano da vicino, venerabili fratelli, nel
lavoro della curia; a coloro che hanno l’importante missione di istruire e di
educare nei seminari scelti giovani chiamati a servizio del Signore; a quelli
infine che nelle città, nei minori centri o nei remoti villaggi esercitano il
ministero parrocchiale, oggi così difficile e tanto importante. Vogliano essi
- Ci permettiamo di rammentarlo pur confidando che non sia necessario -
dimostrarsi sempre rispettosi e obbedienti verso il loro vescovo, secondo il
monito di sant’Ignazio di Antiochia:
"Siate sottomessi al vescovo come a Gesù Cristo... Bisogna che, come già
praticate, non facciate nulla senza il vescovo". (20) "Coloro che
sono di Dio e di Gesù Cristo sono con il loro vescovo". (21) E si
ricordino di essere non pubblici impiegati, ma soprattutto ministri delle
cose sacre. Perciò non credano mai di aver dato abbastanza, anche quando dovranno affrontare fatiche, spendere tempo e sostenere
disagi per illuminare le menti con la divina verità, e piegare, mercè
l’aiuto divino e con fraterna carità, le volontà ostinate, procurando così il
trionfo del regno pacifico di Gesù Cristo. Più che sulla propria opera,
confidino però nella potenza della grazia, che imploreranno
ogni giorno con costante preghiera. Anche ai religiosi, che avendo
abbracciato uno dei vari stati di perfezione cristiana sono perciò tenuti a
vivere secondo le norme della loro regola sotto l’obbedienza ai superiori,
giunga il Nostro paterno saluto e il Nostro incitamento. Vogliano essi
generosamente dedicarsi al pieno conseguimento dei nobili scopi dei loro
istituti, fra cui principalmente l’intensa vita di preghiera e di penitenza,
l’attività educatrice, l’assistenza alla gioventù, le sollecitudini verso
particolari categorie di bisognosi, e quanto altro è stato
prescritto dai loro venerati fondatori. Sappiamo bene che
molti di questi Nostri diletti figli si trovano
spesso, per le presenti circostanze, chiamati anche alla cura pastorale dei
fedeli con tanto vantaggio della religione e della vita cristiana. Li
esortiamo pertanto con tutta l’anima pur fiduciosi che non avranno
bisogno del Nostro stimolo - a voler aggiungere alle benemerenze passate dei
loro ordini e istituti anche questa, di prestarsi volentieri per andare
incontro agli impellenti bisogni dei fedeli, in fraterna collaborazione con
gli altri sacerdoti, secondo le proprie possibilità. Il Nostro animo
vola ora a coloro che, abbandonata la casa paterna e la patria, sopportando
gravi fatiche e difficoltà, sono partiti per le missioni estere, ove spargono
i loro sudori, per istruire e formare gli infedeli nella verità evangelica,
affinché dovunque "la parola di Dio si diffonda e sia tenuta in
onore" (2Ts 3,1). Grande è invero il compito
loro affidato; ma perché possa più facilmente essere realizzato, tutti i veri
cristiani devono, secondo le loro possibilità, contribuirvi con le preghiere,
con le offerte e con ogni altra sorta di aiuti.
Forse nessun’altra opera è grata a Dio più di questa, che è strettamente
congiunta col comune dovere di propagare il regno di Dio. Questi araldi
dell’evangelo, infatti, consacrano tutta la loro vita a far sì che la luce di
Gesù Cristo illumini ogni uomo che viene al mondo (cf. Gv 1,9), affinché la
sua divina grazia conquisti e riscaldi tutti gli animi, e tutti siano
incoraggiati a un vita virtuosa e cristiana. Essi
non cercano i propri interessi, ma quelli di Gesù Cristo (cf. Fil 2,21).
Corrispondendo con animo generoso alla voce del divin Redentore, possono applicare
a se stessi il detto dell’apostolo delle genti: "Siamo ambasciatori di
Cristo" (2Cor 5,20) e pur "camminando in
questa carne mortale... non viviamo secondo la carne" (2Cor 10,3).
Considerano come loro seconda patria i paesi a cui sono giunti per portarvi
la luce dell’evangelo, e li amano con amore operoso. E pur conservando
vivissimo affetto alla loro dolce terra natìa, alla
propria diocesi, al proprio istituto religioso, sono tuttavia ben convinti
che si deve porre al di sopra di tutto il bene
universale della chiesa e che bisogna mettersi senza riserva al suo servizio. Sappiano questi
diletti figli - e quanti li coadiuvano generosamente con la loro preziosa
attività in qualità di ausiliari e di catechisti -
di esser presenti in special modo al Nostro animo, specialmente nella
preghiera che ogni giorno eleviamo al Signore per loro e per le loro opere.
Intendiamo poi confermare con l’autorità Nostra e con pari carità tutto ciò
che in materia missionaria hanno stabilito, con
apposite encicliche, i Nostri predecessori, in special modo Pio XI (22) e Pio
XII (23). Non vogliamo
inoltre passar sotto silenzio quelle anime privilegiate che, consacrate a Dio
con i santi voti, servono a lui solo e si congiungono intimamente, con
mistiche nozze, allo Sposo divino. Esse in tal modo - sia che la loro vita
dedita alla preghiera e alla penitenza trascorra nel
silenzio della clausura, sia che venga impiegata nelle opere dell’apostolato
esteriore non solo provvedono meglio e più facilmente alla propria salvezza,
ma sono altresì di grande aiuto per la chiesa, tanto nei paesi cristiani,
quanto nelle terre dove ancora non brilla la luce dell’evangelo. Quale opera
di bene non compiono queste sacre vergini! Bene che
nessun altro potrebbe adempiere con tanta disinteressata dedizione, non in
uno solo, ma in molti campi di lavoro; e specialmente nella cristiana
educazione e istruzione della gioventù; negli ospedali, dove, avendo cura
amorevole degli infermi, li sollevano anche al pensiero delle cose celesti;
negli ospizi dei vecchi, che assistono con caritatevole pazienza, serenità e
misericordia, volgendoli soavemente ai desideri della vita eterna; nei
brefotrofi, dove circondano di affetto e materna
delicatezza bambini che, orfani o abbandonati dai genitori, non sentirebbero
altrimenti l’afflato di una vera tenerezza. Esse senza dubbio sono altamente benemerite non soltanto della chiesa cattolica,
dell’educazione cristiana e delle opere cosiddette di misericordia, ma anche
della società civile, e si preparano inoltre una corona incorruttibile in
cielo. Oggi tuttavia,
come ben sapete, venerabili fratelli,e diletti
figli, nel campo cattolico i bisogni sono tanto grandi e molteplici, che il
clero, i religiosi, le suore sembrano ìmpari ormai a soddisfarli in pieno. Si aggiunga inoltre che i sacerdoti e i religiosi non possono
aver adito ad ogni categoria di persone; non tutte le vie sono loro aperte;
molti non se ne curano o li fuggono, e purtroppo non mancano di quelli che li
guardano di malanimo e li disprezzano. Anche per questo grave e
doloroso motivo già i Nostri predecessori hanno chiamato i laici nel pacifico
esercito dell’Azione cattolica, con l’intento di averli collaboratori
nell’apostolato della gerarchia ecclesiastica. Così tante attività, che
questa difficilmente potrebbe esercitare nelle presenti circostanze, possono
essere invece generosamente compiute da uomini e donne cattolici, sempre
coordinatamente all’opera dei sacri pastori e sempre nella dovuta obbedienza
ad essi. Ci è di gran
conforto il considerare quanto si è fatto nel passato, anche in terre di
missione, da questi preziosi collaboratori dei vescovi e dei sacerdoti.
Appartenenti ad ogni età e ad ogni condizione sociale, essi si sono adoperati
con zelo e buona volontà, perché tutti conoscessero la verità e sentissero
l’invito e l’incitamento all’esercizio delle cristiane virtù. Vasti campi di attività si aprono tuttora dinanzi ad essi, poiché
troppi sono ancora quelli che hanno bisogno del loro luminoso esempio, del
loro lavoro apostolico. Avremo tempo e modo di ritornare con maggior ampiezza
sopra questo argomento dell’Azione cattolica.
Intanto Ci auguriamo che tutti coloro che militano
tra le sue file o nelle molteplici e fiorenti pie associazioni proseguano con
ogni diligenza in un’opera così necessaria; quanto più grandi sono i bisogni
dei nostri tempi, tanto maggiori siano i loro sforzi, la loro sollecitudine,
la loro operosità. Siano tutti concordi, perché, ben lo
sanno, l’unione fa la forza. Rinuncino a far valere le opinioni
personali quando si tratta della causa della chiesa cattolica, che va posta al di sopra di ogni altra cosa; e ciò non solo per quanto
si riferisce alla dottrina ma anche alle norme disciplinari emanate dalla
chiesa, alle quali tutti debbono sempre uniformarsi. In compatta schiera
e sempre uniti e obbedienti alla gerarchia procedano verso sempre nuove
conquiste. Non risparmino alcuna fatica, non ricusino alcun disagio, purché
la causa della chiesa trionfi. Ma perché ciò avvenga come si conviene, curino anzitutto - e di ciò sono
certamente ben persuasi - di attendere alla loro formazione cristiana,
intellettuale e morale. In questo modo soltanto potranno trasfondere negli
altri ciò che essi già, con l’aiuto della divina grazia, posseggono.
Rivolgiamo in primo luogo questa raccomandazione ai giovani, la cui
generosità facilmente si infiamma per ogni nobile
ideale, ma ai quali in modo speciale necessitano la prudenza, la moderazione
e l’obbedienza ai superiori. A questi giovani tanto a Noi cari, che
formano la speranza della chiesa e nei quali Noi riponiamo tanta fiducia,
giunga l’espressione più viva della Nostra gratitudine e del Nostro affetto
paterno. E ora Ci par come
di sentire elevarsi verso di Noi i gemiti di coloro che
soffrono nel corpo e nell’anima, o che si trovano in tali strettezze
economiche da non avere né una casa degna di uomini, né il lavoro per
procacciarsi i mezzi di sostentamento per sé e per i propri figli. Questi
lamenti toccano vivamente e commuovono il Nostro animo. Ai malati, agli
inabili, ai vecchi desideriamo comunicare quel conforto che viene dall’alto.
Si ricordino che non abbiamo qui dimora definitiva, ma siamo
in cerca di quella futura (cf. Eb 13,14); si ricordino che i dolori di questa
vita mortale, validi già come espiazione, elevano e nobilitano l’animo e
facilitano l’acquisto dell’eterna gloria. Non dimentichino poi che lo stesso
divin Redentore, per lavare le macchie dei nostri peccati e purificarci, si è
sottoposto al patibolo della croce, soffrendo volontariamente contumelie,
dolori e angosce crudeli. Come lui, anche noi siamo chiamati dalla croce alla
luce, secondo la sua parola: "Chi vuol venire dietro a me rinneghi se
stesso, prenda ogni giorno la sua croce e mi segua" (Lc 9,23); e avrà un
tesoro indefettibile in cielo (cf. Lc 12,33). Ci auguriamo che questa
Nostra esortazione sia volentieri accolta e che i sacrifici spirituali e
corporali siano non solo quasi altrettanti gradini
per salire in cielo, ma contribuiscano anche all’espiazione dei peccati
altrui, al ritorno in seno alla chiesa degli infelici erranti e al trionfo
della fede cristiana. Coloro poi che
appartengono alle categorie dei meno abbienti, e si lamentano per le
condizioni troppo misere in cui vivono, sappiano
anzitutto che Noi proviamo viva sofferenza per la loro sorte. E ciò non solo perché desideriamo con animo paterno che
anche nella questione sociale la giustizia, che è virtù cristiana, governi,
regga e moderi le relazioni tra le varie categorie sociali, ma anche perché Ci
rincresce moltissimo che i nemici della chiesa approfittino delle non giuste
condizioni degli indigenti per trarli dalla loro parte con ingannevoli
promesse e false asserzioni. Tengano presente
questi cari figli Nostri, che la chiesa ben lungi dal disconoscere i loro
diritti, anzi come madre amorosa li protegge, e proclama e inculca nel campo
sociale dottrine e norme tali, che se fossero integralmente messe in pratica,
eliminerebbero qualsiasi ingiustizia in modo da addivenire
ad una più equa distribuzione dei beni. (24) Si fomenterebbe parimenti
un’amichevole collaborazione tra le diverse categorie sociali e ognuno si
potrebbe considerare ed essere realmente concittadino di una medesima
comunità e fratello di una medesima famiglia. Del resto, se
si considerano con equanimità i miglioramenti che hanno ottenuto in questi
ultimi tempi coloro che vivono del quotidiano lavoro, bisogna riconoscere che
ciò deriva specialmente dall’efficace azione che i cristiani hanno saputo
svolgere nel campo sociale, seguendo i sapienti insegnamenti e obbedendo alle
incessanti esortazioni dei Nostri predecessori. Coloro, dunque, che si
assumono il compito di difendere i diritti dei meno abbienti, possiedono già
nella dottrina sociale della chiesa norme sicure e ben definite, che, se verranno messe in pratica in maniera debita e legittima,
offriranno il mezzo per raggiungere una giusta soluzione di tutti i problemi.
Perciò essi non debbono mai rivolgersi ai fautori
di dottrine condannate dalla chiesa. È ben vero che costoro li
attirano con false promesse. In realtà però dovunque hanno in mano il potere
tentano con ogni mezzo di distruggere nell’animo dei cittadini il bene
supremo delle coscienze - cioè la fede e la speranza
cristiane e gli insegnamenti dell’evangelo - e inoltre cercano di
affievolire e anche annullare ciò che gli uomini moderni esaltano come una
grande conquista, vale a dire la giusta libertà e la vera dignità della
persona umana, e sovvertono così i fondamenti e le basi della civiltà
cristiana. Coloro dunque che intendono restare fedeli a Cristo
hanno l’obbligo di coscienza di tenersi totalmente lontani da questi errori,
già condannati dai Nostri predecessori, in particolare da Pio XI e da Pio XII
di f.m., e che Noi egualmente condanniamo. Non pochi Nostri figli, trovandosi in più o meno gravi ristrettezze
economiche, si lamentano spesso che i principi della dottrina sociale
cristiana non sono stati ancora messi in pratica. Si ponga quindi ogni cura e
ogni sforzo - non solo da parte dei privati cittadini, ma soprattutto dei
governanti - affinché la dottrina sociale cristiana, che è stata
ripetutamente, chiaramente e ampiamente esposta dagli stessi romani pontefici
e che Noi pure confermiamo, sia messa in pratica quanto prima. E anche se
tale attuazione si verificherà in maniera graduale,
dovrà nondimeno risultare reale e completa. (25) Non minore è la
Nostra sollecitudine per tutti coloro che, spinti
dalla mancanza di mezzi di sostentamento o dalle avverse condizioni politiche
o religiose dei loro paesi, hanno dovuto abbandonare la patria. Quanti
disagi, quanti sacrifici devono essi sostenere, tolti dal suolo natìo e dalla
casa paterna e costretti molte volte a vivere nel frastuono delle grandi
città o dei grandi centri industriali, con un tenore di vita diverso e non di
rado corruttore! Questa dura condizione di cose diviene purtroppo per molti occasione di crisi pericolose e di progressivo
smarrimento delle sane tradizioni religiose e morali della loro patria. A ciò
si aggiunge la separazione forzata dei membri della famiglia, che può portare
a un affievolimento dei sentimenti e dei rapporti
familiari, riuscendo così pregiudizievole per l’unità stessa del focolare
domestico. Noi perciò di
tutto cuore incoraggiamo l’opera benemerita di quei sacerdoti i quali,
mettendo in atto a prezzo di grandi sacrifici le provvide direttive di questa
sede apostolica, fattisi essi stessi emigrati per Cristo, si dedicano
all’assistenza spirituale e sociale di questi Nostri figli,
e fanno dovunque loro sentire il materno palpito della chiesa, tanto più
vicina a loro, quanto più essi hanno bisogno del suo sostegno e delle sue
premure. E salutiamo
ancora con vivo compiacimento gli sforzi generosi compiuti a questo scopo da
varie nazioni, come pure le iniziative prese anche
recentemente in campo internazionale, per avviare verso una più rapida
soluzione questo gravissimo problema. Ciò dovrebbe condurre non solo ad
aprire nuove possibilità per l’emigrazione, ma a facilitare altresì in ogni
maniera la ricostruzione dei nuclei familiari, che sola potrà
efficacemente tutelare il bene religioso, morale ed economico degli emigrati
medesimi, non senza beneficio degli stessi paesi che li accolgono. E ora, mentre
riteniamo doveroso esortare tutti i Nostri figli in Cristo a
evitare con ogni cura i funesti errori che possono sovvertire non solo la
religione, ma anche l’ordine sociale, si affaccia alla Nostra mente
l’immagine di tanti venerabili fratelli nell’episcopato e di tanti cari
sacerdoti e fedeli che si trovano in esilio, in campi di concentramento o in
prigione per non aver voluto tradire il proprio ministero e apostatare dalla
fede. Non vogliamo
offendere nessuno, ché, anzi, desideriamo concedere
a tutti il Nostro perdono implorando quello di Dio. Ma la coscienza del
Nostro sacro dovere esige che noi tuteliamo, per quel che possiamo,
i diritti di questi fratelli e di questi figli, chiedendo insistentemente che
sia concessa loro e alla chiesa di Dio la dovuta libertà. Coloro che seguono
realmente i principi della verità e della giustizia e che hanno a cuore gli
interessi dei singoli e delle nazioni non negano la libertà, non la
soffocano, non la opprimono: non hanno alcun bisogno di ricorrere a questi
mezzi. D’altra parte è pur vero che non si potrà mai raggiungere un giusto
benessere dei cittadini con la violenza e con l’oppressione delle coscienze. Deve aversi anzi
per certo, che allorquando vengono negletti o
conculcati i sacrosanti diritti di Dio e della religione, presto o tardi
vacillano e crollano i fondamenti stessi dell’umana convivenza. Lo notava già
saggiamente il Nostro predecessore di f.m. Leone XIII: "Vien di
conseguenza... che si estenua il vigore della legge e si indebolisce
ogni autorità, se si ripudia quella eterna e sovrana ragione che è l’autorità
di Dio che comanda il bene e vieta il male". (26) Vi si accorda la
sentenza di Cicerone: "Voi, o pontefici... con la religione cingete di
difese la città più efficacemente che non con le mura". (27) Queste
considerazioni Ci fanno riandare con grande
tristezza a tutti e singoli coloro che sono vessati e impediti nell’esercizio
della religione, che spesso "patiscono anche persecuzioni per la
giustizia" (Mt 5,10) e per il regno di Dio. Noi prendiamo parte ai loro
dolori, alle loro angosce, alla loro afflizione e supplichiamo Dio perché
spunti finalmente l’aurora di tempi migliori. Si uniscano a Noi in questa preghiera tutti i Nostri fratelli e figli; e
salga a Dio misericordioso, da ogni angolo della terra, un coro immenso di
suppliche, che faccia scendere abbondante pioggia di grazia su queste membra
doloranti del corpo mistico di Cristo! Ma non solo
preghiere chiediamo ai nostri figli, bensì anche
quel rinnovamento della vita cristiana, che può, più delle stesse preci,
rendere Dio propizio a Noi e ai Nostri fratelli. Ci piace ripetervi le belle
e nobili parole di san Paolo: "Tutto ciò che è vero, onesto, giusto,
puro, amabile, tutto ciò che dà buona fama, tutto ciò che è virtuoso e degno di lode, sia oggetto dei vostri pensieri" (Fil 4,8).
"Rivestitevi del Signore Gesù Cristo" (Rm
13,14). Ossia: "Rivestitevi dunque, come si conviene a
eletti di Dio santi e amati, di sentimenti di misericordia, di bontà, di
umiltà, di dolcezza, di pazienza... Ma soprattutto rivestitevi della carità,
che è il vincolo di perfezione. E la pace di Cristo regni nei vostri cuori;
poiché ad essa siete stati chiamati, in un solo
corpo" (Col 3,12-15). Oh! ve ne supplichiamo: se qualcuno si è infelicemente
allontanato dal divino Redentore con il peccato, ritorni a lui, che è
"via e verità e vita" (Gv 14,6). Se
qualcuno è tiepido, languido, trascurato nell’adempimento dei doveri
religiosi, ecciti la sua fede e con l’aiuto della grazia divina alimenti e
consolidi la sua virtù. Se qualcuno infine "è
giusto, diventi ancor più giusto; se è santo, diventi ancor più santo"
(Ap 22,11). E poiché oggi ci
sono tanti che hanno bisogno di consigli, di esempi,
e anche di aiuto per le misere condizioni in cui si trovano, esercitatevi
tutti, ciascuno secondo le proprie forze e i propri mezzi, in quelle che si
chiamano opere di misericordia, così gradite a Dio. Se ognuno cercherà di
mettere in pratica tutto questo, risplenderà di nuova luce nella chiesa ciò
che è scritto magnificamente dei cristiani nella lettera a Diogneto: "Sono nella carne, ma non vivono secondo
la carne. Dimorano sulla terra, ma hanno la loro patria nel cielo.
Obbediscono alle leggi stabilite, ma con il loro genere di vita trascendono
le leggi stesse... Sono ignorati, e vengono
condannati; messi a morte, sono vivificati. Sono poveri, e arricchiscono
molti; mancano di tutto, e tutto hanno in
abbondanza. Sono disonorati, e nel disonore ricevono gloria; viene compromessa la loro buona fama e si dà testimonianza
della loro giustizia. Sono biasimati, e benedicono; sono maltrattati e
tributano onore. Pur operando il bene, sono puniti come
malvagi; puniti, ne godono e si sentono vivificati. In una parola, ciò
che è nel corpo l’anima, sono i cristiani nel mondo". (28) Molto di ciò
che qui si dice si può ripetere per i cristiani della chiesa detta "del
silenzio", per i quali dobbiamo tutti in modo
specialissimo pregare Dio, come abbiamo, anche di recente, raccomandato con
forza a tutti i fedeli, nell’allocuzione tenuta nella Basilica di san Pietro
il giorno di pentecoste e nella solenne adorazione della festa del ss. Cuore
di Gesù. (29) Questo
rinnovamento della vita cristiana, questa vita virtuosa e santa invochiamo per voi tutti e imploriamo da Dio con continua
preghiera: non solo per quelli che fermamente perseverano nell’unità della
chiesa, ma anche per quelli che a essa si sforzano di giungere con l’amore
della verità e volontà sincera. Sia conciliatrice
e auspice delle celesti grazie l’apostolica
benedizione, che a tutti e a ciascuno di voi, venerabili fratelli e diletti
figli, impartiamo con paterno vivo affetto. Roma,
presso San Pietro, 29 giugno 1959, festa dei santi apostoli Pietro e Paolo,
nell’anno I del Nostro pontificato. _______________________ (1): IOANNES PP. XXIII, Litt. enc. Ad Petri cathedram
de veritate, unitate et pace caritatis afflatu provehendis, [Ad venerabiles
fratres Patriarchas, Primates, Archiepiscopos, Episcopos aliosque locorum
Ordinarios, pacem et communionem cum Apostolica Sede habentes, itemque ad
universum Clerum et christifideles catholici orbis], 29 iunii 1959: AAS
51(1959), pp. 497-531. - Versione italiana: L’Osservatore Romano, 3 luglio
1959; La Civiltà cattolica, 110(1959), III, pp. 113-139. |