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PAPA INNOCENZO III

QUARTO CONCILIO LATERANENSE

 

COSTITUZIONI

I

La fede cattolica

Crediamo fermamente e confessiamo semplicemente che uno solo è il vero Dio, eterno e immenso, onnipotente, immutabile, incomprensibile e ineffabile, Padre, Figlio e Spirito Santo, tre persone, ma una sola essenza, sostanza o natura semplicissima. Il Padre (non deriva) da alcuno, il Figlio dal solo Padre, lo Spirito Santo dall'uno e dall'altro, ugualmente, sempre senza inizio e senza fine. Il Padre genera, il Figlio nasce, lo Spirito Santo procede. Sono consostanziali e coeguali, coonnipotenti e coeterni, principio unico di tutto, creatore di tutte le cose visibili e invisibili, spirituali e materiali. Con la sua onnipotente potenza fin dal principio del tempo creò dal nulla l'uno e l'altro ordine di creature: quello spirituale e quello materiale, cioè gli angeli e il mondo, e poi l'uomo, quasi partecipe dell'uno e dell'altro, composto di anima e di corpo. Il diavolo infatti, e gli altri demoni, da Dio sono stati creati buoni per natura, ma sono diventati malvagi da sé stessi. E l'uomo ha peccato per suggestione del demonio. Questa santa Trinità, una, secondo la comune essenza, distinta secondo le proprietà delle persone, ha rivelato al genere umano, per mezzo di Mosè, dei santi profeti e degli altri suoi servi la dottrina di salvezza, secondo una sapientissima disposizione dei tempi. E finalmente il Figlio unigenito di Dio, Gesù Cristo, incarnatosi per opera comune della Trinità, concepito da Maria sempre vergine con la cooperazione dello Spirito Santo, divenuto vero uomo, composto di anima razionale e di carne umana, una sola persona in due nature, manifestò più chiaramente la via della vita. Immortale e impassibile secondo la divinità, Egli si fece passibile e mortale secondo l'umanità; anzi, dopo aver sofferto sul legno della croce ed esser morto per la salvezza del genere umano, discese negli inferi, risorse dai morti e salì al cielo; ma discese con l'anima, risorse con la carne, salì con l'uno e l'altro; e verrà alla fine dei tempi per giudicare i vivi e i morti e per compensare ciascuno secondo le sue opere, i cattivi come i buoni. Tutti risorgeranno coi propri corpi di cui ora sono rivestiti, per ricevere un compenso secondo i meriti, buoni o cattivi che siano stati: quelli con il diavolo riceveranno la pena eterna, questi col Cristo la gloria eterna.

Una, inoltre, è la chiesa universale dei fedeli, fuori della quale nessuno assolutamente si salva. In essa lo stesso Gesù Cristo è sacerdote e vittima, il suo corpo e il suo sangue sono contenuti realmente nel sacramento dell'altare, sotto le specie del pane e del vino, transustanziati il pane nel corpo, il vino nel sangue per divino potere; cosicché per adempiere il mistero dell'unità, noi riceviamo da lui ciò che egli ha ricevuto da noi.

Questo sacramento non può compierlo nessuno, se non il sacerdote, che sia stato regolarmente ordinato, secondo i poteri della chiesa che lo stesso Gesù Cristo concesse agli apostoli e ai loro successori.

Il sacramento del battesimo, poi, che si compie nell'acqua, invocando la indivisa Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo, da chiunque conferito secondo le norme e la forma usata dalla chiesa, giova alla salvezza sia dei bambini che degli adulti. Se uno, dopo aver ricevuto il battesimo, è nuovamente caduto nel peccato, può sempre riparare attraverso una vera penitenza. Non solo le vergini e i continenti, ma anche i coniugi, che cercano di piacere a Dio con la retta fede e la vita onesta, meritano di giungere all'eterna beatitudine.

 

II

Gli errori dell'abate Gioacchino

Condanniamo, quindi, e riproviamo l'opuscolo o trattato (1), che l'abate Gioacchino ha pubblicato contro il maestro Pietro Lombardo sulla unità o essenza della Trinità, dove lo chiama eretico e stolto, per aver detto nelle sue Sentenze: "Poiché il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo sono una realtà suprema, che né genera, né è generata, né procede" (2). Da ciò egli conclude che il Lombardo ammette in Dio non una Trinità, ma una Quaternità: ossia tre persone più la comune essenza, come un quarto elemento, affermando chiaramente che non vi è cosa alcuna che sia Padre, Figlio e Spirito Santo, né essenza, né sostanza, né natura, quantunque conceda che il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo sono una sola essenza, una sola sostanza, una sola natura. Ma egli ritiene che questa unità non è vera e propria, bensì quasi collettiva e analogica come quando si dice che molti uomini sono un popolo, e che molti fedeli sono una chiesa, come nell'espressione: La moltitudine dei credenti aveva un cuor solo e un'anima sola (3); e Chi aderisce a Dio forma un solo spirito (4)con lui. Similmente: Chi pianta e chi irriga sono tutt'uno (5); e tutti siano un solo cuore in Cristo (6). Ancora nel libro dei Re: Il mio Popolo e il tuo sono una cosa sola (7).

A provare questa sua opinione, egli adduce soprattutto quella espressione che Cristo dice dei suoi seguaci nel Vangelo: Voglio, Padre, che essi siano una cosa sola in noi, come noi siamo uno, Perché essi siano perfettamente uniti (8). In realtà, dice, i fedeli del Cristo non sono una cosa sola, cioè una realtà comune a tutti; essi sono un'unità, perché formano una sola chiesa a causa dell'unità della fede e, finalmente, un solo regno per l'unità indissolubile dell'amore, proprio come si legge nella lettera canonica di S. Giovanni: Perché tre rendono testimonianza in cielo, il Padre, il Verbo e lo Spirito Santo. E questi tre sono una cosa sola (9), e aggiunge subito: e tre sono quelli che rendono testimonianza in terra: lo spirito, l'acqua, e il sangue e questi tre sono una cosa sola, come si legge in alcuni codici.

Noi, con l'approvazione del sacro concilio universale, crediamo e confessiamo, con Pietro Lombardo, che esiste una somma sostanza, incomprensibile e ineffabile, la quale è veramente Padre, Figlio e Spirito Santo, le tre persone insieme, e ciascuna di esse singolarmente. In Dio, quindi, vi è solo una Trinità, non una quaternità, poiché ognuna delle tre persone è quella sostanza, essenza o natura divina, la quale è, essa sola, principio di tutte le cose, e fuori della quale non se ne può trovare altra. Essa non genera, non è generata, non procede, ma è il Padre che genera, il Figlio che è generato, lo Spirito Santo che procede; in tale modo vi è distinzione nelle persone e unità nella natura.

Quindi, se altro è il Padre, altro il Figlio, altro lo Spirito Santo, non sono tuttavia altra cosa, ma ciò che è il Padre è il Figlio e lo Spirito Santo; la stessa identica cosa, così da doversi credere, conforme alla retta fede cattolica, che essi sono consostanziali.

Il Padre, infatti, generando il Figlio eternamente, gli diede la sua sostanza, secondo quanto lui stesso attesta: Ciò che il Padre mi ha dato è la più grande di tutte le cose (10); e non si può certo dire che gli abbia dato una parte della sua sostanza, e che una parte l'abbia ritenuta per sé: perché la sostanza del Padre è indivisibile, in quanto del tutto semplice. E neppure si può dire che il Padre, generando, abbia trasfuso nel Figlio la sua sostanza, quasi che comunicandola al Figlio non l'abbia conservata per sé; in questo caso avrebbe cessato di essere sostanza. E’ chiaro, quindi, che il Figlio, nascendo, ha ricevuto la sostanza del Padre senza alcuna diminuzione, e quindi il Padre e il Figlio hanno la medesima sostanza; in tal modo il Padre e il Figlio sono la stessa cosa; e così lo Spirito Santo che procede dall'uno e dall'altro.

Quando, allora, la Verità prega il Padre per i suoi fedeli, dicendo: "Voglio, Padre, che essi siano una cosa sola in noi, come noi siamo una cosa sola" (11), il termine una cosa sola quando si tratta dei fedeli si deve prendere nel senso di unione della carità nella grazia; per le persone divine, invece, deve intendersi come unità di identità nella natura, come altrove dice la Verità: Siate Perfetti com'è perfetto il vostro Padre celeste (12). E’ come se dicesse, più chiaramente: "Siate perfetti della perfezione della grazia, come il vostro Padre celeste è perfetto della perfezione che gli è naturale", cioè ciascuno a suo modo, perché tra il creatore e la creatura per quanto la somiglianza sia grande, maggiore è la differenza.

Se qualcuno, quindi, intendesse su questo argomento difendere o approvare l'opinione, cioè la dottrina del suddetto Gioacchino, sia ritenuto da tutti eretico. Con ciò, però, non vogliamo gettare un'ombra sul monastero di Fiore, in cui lo stesso Gioacchino è stato maestro, poiché ivi l'insegnamento è regolare e la disciplina salutare. Tanto più che lo stesso Gioacchino ci ha inviato tutti i suoi scritti perché fossero approvati o corretti secondo il giudizio della Sede apostolica. Ciò egli fece con una lettera, da lui dettata e sottoscritta di proprio pugno, nella quale egli confessa senza tentennamenti di tenere quella fede che ritiene la chiesa di Roma, madre e maestra, per volontà di Dio, di tutti i fedeli.

Riproviamo e condanniamo anche la stravagante opinione dell'empio Amalrico (13); la cui mente è stata così accecata dal padre della menzogna, che la sua dottrina non tanto deve giudicarsi eretica, quanto insensata.

 

III

Degli eretici

Scomunichiamo e anatematizziamo ogni eresia che si erge contro la santa, ortodossa e cattolica fede, come l'abbiamo esposta sopra. Condanniamo tutti gli eretici, sotto qualunque nome; essi hanno facce diverse, ma le loro code sono strettamente unite l'una all'altra (14), perché convergono tutti in un punto: sulla vanità. Gli eretici condannati siano abbandonati alle potestà secolari o ai loro balivi per essere puniti con pene adeguate. I chierici siano prima degradati della loro dignità; i beni di questi condannati, se si tratta di laici, siano confiscati; se fossero chierici, siano attribuiti alla chiesa, dalla quale ricevono lo stipendio.

Quelli che fossero solo sospetti, a meno che non abbiano dimostrato la propria innocenza con prove che valgono a giustificarli, siano colpiti con la scomunica, e siano evitati da tutti fino a che non abbiano degnamente soddisfatto. Se perseverano per un anno nella scomunica, dopo quel tempo siano condannati come eretici. Siano poi ammonite e, se necessario, costrette con censura le autorità civili, di qualsiasi grado, perché, se desiderano essere stimati e creduti fedeli, prestino giuramento di difendere pubblicamente la fede: che essi, cioè, cercheranno coscienziosamente, nei limiti delle loro possibilità, di sterminare dalle loro terre tutti quegli eretici che siano stati dichiarati tali dalla chiesa. D'ora innanzi, chi sia assunto ad un ufficio spirituale o temporale, sia tenuto a confermare con giuramento, il contenuto di questo capitolo.

Se poi un principe temporale, richiesto e ammonito dalla. chiesa, trascurasse di liberare la sua terra da questa eretica infezione, sia colpito dal metropolita e dagli altri vescovi della stessa provincia con la scomunica; se poi entro un anno trascurasse di fare il suo dovere, sia informato di ciò il sommo pontefice, perché sciolga i suoi vassalli dall'obbligo di fedeltà e lasci che la sua terra sia occupata dai cattolici, i quali, sterminati gli eretici, possano averne il possesso senza alcuna opposizione e conservarla nella purezza della fede, salvo, naturalmente il diritto del signore principale, purché questi, non ponga ostacoli in ciò, né impedimenti.

Lo stesso procedimento si dovrà osservare con quelli che non abbiano dei signori sopra di sé.

I cattolici che, presa la croce, si armeranno per sterminare gli eretici, godano delle indulgenze e dei santi privilegi, che sono concessi a quelli che vanno in aiuto della Terra Santa. Decretiamo, inoltre, che quelli che prestano fede agli eretici, li ricevono, li difendono, li aiutano, siano soggetti alla scomunica; e stabiliamo con ogni fermezza che chi fosse stato colpito dalla scomunica, e avesse trascurato di dare soddisfazione entro un anno, da allora in poi sia ipso facto colpito da infamia, e non sia ammesso né ai pubblici uffici o consigli, né ad eleggere altri a queste stesse cariche, né a far da testimone. Sia anche "intestabile", cioè privato della facoltà di fare testamento e della capacità di succedere nell'eredità. Nessuno, inoltre, sia obbligato a rispondergli su qualsiasi argomento; egli, invece, sia obbligato a rispondere agli altri. Se egli fosse un giudice, la sua sentenza non abbia alcun valore, e nessuna causa gli venga sottoposta. Se fosse un avvocato, non gli venga affidata la difesa; se fosse un notaio, i documenti da lui compilati, siano senza valore, anzi siano condannati col loro condannato autore. Lo stesso comandiamo che venga osservato in casi simili a questi.

Se poi si tratta di un chierico, sia deposto dall’ufficio e dal beneficio: infatti chi ha una colpa maggiore, sia punito con una pena più grave. Chi trascurasse di evitarli, dopo la dichiarazione di scomunica da parte della chiesa, sia colpito dalla scomunica fino a che non abbia dato la debita soddisfazione.

I chierici non amministrino a questi uomini pestilenziali i sacramenti della chiesa; né osino dare ad essi sepoltura cristiana; non accettino le loro elemosine o le loro offerte. Diversamente, siano privati del loro ufficio, e non tornino mai più in suo possesso, senza un indulto speciale della sede apostolica. La stessa disposizione va applicata a qualsiasi religioso, senza tener conto dei loro privilegi in quella diocesi, in cui avessero avuto l'ardire di provocare tali eccessi.

Ma poiché alcuni, sotto l'apparenza della pietà, negano però (come dice l'Apostolo) la sua essenza (15), e si attribuiscono la facoltà di predicare, mentre lo stesso Apostolo dice: Come potranno predicare, se non sono mandati? (16), tutti quelli cui sia stato proibito, o che senza essere stati mandati dalla sede apostolica o dal vescovo cattolico del luogo, presumessero di usurpare in pubblico o in privato l'ufficio di predicare, siano scomunicati, e, qualora non si ravvedessero al più presto, siano puniti con altra pena proporzionata.

Inoltre ciascun arcivescovo o vescovo deve personalmente o per mezzo dell'arcidiacono o di persone capaci e oneste, visitare due o almeno una volta all'anno, la sua diocesi se vi è notizia della presenza di eretici, ed ivi costringa tre o anche più uomini di buona fama, o addirittura, se sembrerà opportuno, tutti gli abitanti dei dintorni, a giurare se vi sono degli eretici, o gente che tiene riunioni segrete, o che si allontana nella vita e nei costumi dal comune modo di comportarsi dei fedeli. Il vescovo convochi gli accusati alla sua presenza; e se questi non si saranno giustificati dalla colpa loro imputata, o, se dopo l'espiazione ricadranno nella loro primitiva perfidia, siano puniti secondo i canoni. Chi rifiutasse il carattere sacro del giuramento e con riprovevole ostinazione non volesse giurare, per questo stesso motivo sia considerato eretico.

Vogliamo, dunque, e ordiniamo, e comandiamo rigorosamente in virtù di santa obbedienza, che i vescovi vigilino diligentemente nelle loro diocesi all'efficace esecuzione di queste norme, se vogliono evitare le pene canoniche. Se qualche vescovo, infatti, si mostrerà negligente o troppo lento nel liberare la sua diocesi dai fermenti ereticali quando la loro presenza fosse certa, sia deposto dall'ufficio episcopale e sia sostituito da un uomo adatto, il quale voglia e sappia confondere la malvagità degli eretici.

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Note

(1) Opera persa, cfr. F. RUSSO, bibliografia gioachimita, Firenze 1954, p. 23
(2) PETRI LOMBARDI, Libri IV sententiarum, I dist, 5, I, Ad claras Aquas, 1916, pp. 42-51
(3) At 4, 32
(4) I Cor 6, 17
(5) I Cor 3, 8
(6) Rm 12, 5
(7) IV Re 22, 5; Cfr. Rt 1, 16
(8) Gv 17, 22-23
(9) I Gv 5, 7-8
(10) Gv 10, 29
(11) Gv 17, 22
(12) Mt 5, 48
(13) Amalrico da Bena (+1204), Cfr. H: GRUNDMANN, movimenti religiosi nel Medioevo, Bologna, 1974, 310-312 e 346-348
(14) Cfr. Gdc 15, 4
(15) II Tm 3, 5
(16) Rm 10, 15

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