PAPA
VIRGILIO
(537-555)
SECONDO CONCILIO DI COSTANTINOPOLI
Condanna
dei "Tre capitoli" dei nestoriani.
SENTENZA CONTRO I "TRE CAPITOLI"
Il grande Dio e
Salvatore nostro Gesù Cristo, secondo la parabola riferita dai Vangeli (1), distribuisce
i talenti secondo le capacità di ciascuno, ed esige
a suo tempo da essi il frutto proporzionato. Se, quindi, chi ha ricevuto un
talento e l'ha conservato senza alcuna perdita, per non averlo trafficato e
per non aver aumentato quanto aveva ricevuto viene
condannato, come non sarà soggetto a
più grave e terribile giudizio chi non solo l'avrà trascurato, ma sarà stato
causa di scandalo anche per gli altri? E’ chiaro, infatti, a tutti i fedeli
che quando si tratta della fede, non solo l'empio è condannato, ma anche
colui, che, potendo impedire l'empietà, trascura la correzione degli altri.
E’ per questo che noi, a cui è stato
affidato il compito di governare la chiesa di Dio (2) temendo la maledizione
minacciata a coloro che fanno con negligenza le cose
di Dio (3), facciamo di tutto per conservare puro il buon seme della fede
dalla zizzania dell'empietà, che viene seminata dal nemico (4). Vedendo,
dunque, che i seguaci di Nestorio hanno tentato di gettare sulla chiesa di
Dio la loro empietà per mezzo dell'empio Teodoro, che fu vescovo di Mopsuestia, ed i suoi empi scritti, ed inoltre per mezzo
di ciò che empiamente scrisse Teodoreto,
e della infame lettera, che si dice essere stata scritta da Iba al persiano Mari, siamo sorti prontamente per
correggere quanto è accaduto, e per volontà di Dio e per comando del nostro
piissimo imperatore, ci siamo riuniti in questa città imperiale.
E poiché il piissimo Vigilio è presente in questa imperiale città, si sta occupando di tutto ciò che
è stato scritto su questi tre capitoli, e li ha spesso condannati sia a voce
che per iscritto; e poiché in seguito ha anche acconsentito a partecipare al
concilio e a discutere su di essi insieme con noi, il piissimo imperatore -
come si era convenuto - ha esortato sia lui che noi a radunarci insieme,
dicendo che era conveniente che i sacerdoti portassero insieme a conclusione
le questioni comuni. Fummo quindi costretti a chiedere che la sua riverenza
volesse adempiere le sue promesse scritte, non sembrando giusto che dovesse lo
scandalo dei tre capitoli crescere sempre più, con turbamento della chiesa. A
favore di ciò gli ricordammo i grandi esempi degli apostoli, e le tradizioni
dei padri. Quantunque, infatti, la grazia dello Spirito santo abbondasse in
ognuno degli apostoli, e non avessero bisogno del consiglio degli altri per
sapere ciò che dovessero fare, tuttavia sulla questione che allora si
agitava, cioè se i pagani dovessero essere
circoncisi, non vollero pronunciarsi prima di essersi riuniti in comune e
aver confermato con le testimonianze delle divine Scritture ciascuno la
propria opinione. Pertanto emisero su ciò una sentenza comune, scrivendo alle
genti: E’ sembrato bene allo Spirito Santo e a noi non imporvi altro Peso
che quello che è necessario, e cioè: che vi asteniate
dalle carni immolate dinanzi ai simulacri (degli dèi), dal sangue, dagli
animali soffocati, e dalla fornicazione (5).
Anche i santi padri, lungo i secoli, si
radunarono nei quattro santi concili, e, seguendo gli esempi degli antichi,
presero insieme le decisioni relative alle eresie
che erano sorte e ad altre questioni, avendo per certo, che nelle discussioni
comuni, quando cioè si affrontano problemi che interessano l'una e l'altra
parte, la luce della verità fuga le tenebre della menzogna.
Nelle comuni dispute sulla fede, infatti,
non è possibile che la verità si manifesti in modo diverso; perché ciascuno
ha bisogno del suo prossimo, come afferma Salomone nei suoi Proverbi: Il
fratello che aiuta il fratello, sarà esaltato come una città fortificata, ed
è saldo come un regno dalle solide fondamenta (6). Dice ancora nell'Ecclesiaste: Due sono assai meglio che uno,- ed avranno abbondante compenso per il loro lavoro
(7).
Del resto, il Signore stesso dice: In
verità, in verità, vi dico: se due di voi si raccoglieranno, sulla terra,
qualsiasi cosa chiederanno, verrà loro concessa dal
Padre mio che sta nei cieli. Dovunque, infatti, due o tre saranno radunati in
mio nome, sarò con loro, in mezzo ad essi (8).
Da noi tutti spesso invitato, mandati a lui
dal nostro piissimo imperatore dei messi nobilissimi,
Vigilio promise di esprimere personalmente il suo parere sulla questione dei
tre capitoli. A questa risposta noi, memori, in cuor nostro, dell'ammonimento
dell'Apostolo che ciascuno renderà ragione a Dio di se stesso (9),
e temendo, nello stesso tempo, anche
il giudizio che sovrasta coloro che scandalizzano
anche uno solo dei più piccoli (10) - e quanto più, dunque, un imperatore
così profondamente cristiano e popoli e chiese intere - memori anche di quanto
fu detto da Dio a Paolo: Non temere;
parla e non tacere, perché io sono con te, e nessuno potrà nuocerti (11),
noi, radunati insieme, prima di tutto ci siamo proposti di attenerci a quella
fede che il signore nostro Gesù Cristo, vero Dio, ha trasmesso ai suoi santi
apostoli, e, per mezzo di loro, alle sante chiese, e che i santi padri e
dottori della chiesa, che vennero dopo di essi, trasmisero a loro volta ai
popoli loro affidati.
Abbiamo dichiarato di conservare intatta e
di predicare alle sante chiese questa fede che hanno
esposto più abbondantemente i 318 santi padri raccolti a Nicea, i quali ci
hanno trasmesso il santo simbolo. Anche 150 radunati
a Costantinopoli lo professarono e seguirono anch'essi la stessa fede e la
chiarirono. Professiamo quella fede in cui convennero perfettamente i 200
santi padri raccolti la prima volta ad Efeso; e ciò che fu definito dai 630 a
Calcedonia, intorno all'unica e medesima fede, che essi seguirono e
predicarono. Abbiamo dichiarato, inoltre, di considerare condannati e
anatematizzati quelli che, secondo le circostanze, sono stati condannati e
anatematizzati dalla chiesa cattolica e dai quattro concilii
ricordati.
Fatta questa generale professione di fede,
abbiamo iniziato l'esame dei tre capitoli [ ... ].
Richiamate,
dunque, le cose da noi fatte, dichiariamo ancora che accettiamo i quattro
santi concili: Niceno, Costantinopolitano,
Efesino primo, Calcedonese e che quello che essi definirono della stessa e
medesima fede, noi abbiamo predicato e predichiamo. Giudichiamo estranei alla
chiesa cattolica quelli che non accettano queste cose. Condanniamo e
scomunichiamo, con tutti gli altri eretici che sono stati condannati e
scomunicati dai predetti quattro concili e dalla santa e apostolica chiesa,
Teodoro, che fu vescovo di Mopsuestia e i suoi empi
scritti; condanniamo e scomunichiamo quello che Teodoreto
ha scritto ampiamente contro la retta fede, contro i dodici capitoli di s.
Cirillo contro il primo concilio di Efeso, e quanto
ha scritto a difesa di Teodoro e di Nestorio. Anatematizziamo, inoltre,
l'empia lettera che si dice Iba abbia scritto a Mari, persiano: essa nega che Dio Verbo, incarnatosi
dalla S. Madre di Dio e sempre vergine Maria, si sia fatto uomo; essa accusa
di eresia Cirillo, di santa memoria, che invece insegna rettamente, anche
quando scrive ad Apollinare. Questa lettera mentre accusa il primo concilio
Efesino di aver deposto Nestorio senza sufficiente esame e discussione
e chiama empi e contrari alla sacra fede i dodici capitoli di Cirillo,
difende poi Teodoro e Nestorio e i loro dogmi scellerati e i loro scritti.
Noi, dunque, anatematizziamo i tre predetti
capitoli, cioè: l'empio Teodoro di Mopsuestia con i suoi scritti malvagi, quello che scrisse
empiamente Teodoreto, l'iniqua lettera attribuita
ad Iba, i loro difensori e quelli che scrissero o
scrivono a loro difesa, o si peritano di definire rette le loro dottrine, o
hanno preso o prendono addirittura le difese della loro empietà, adducendo
l'autorità dei padri o del santo concilio di Calcedonia [ ... ].
ANATEMATISMI CONTRO I "TRE
CAPITOLI"
I.
Chi non confessa che il Padre, il Figlio e lo Spirito santo
hanno una sola natura o sostanza, una sola virtù e potenza, poiché essi sono
Trinità consostanziale, una sola divinità da adorarsi in tre ipostasi, o
persone, sia anatema.
Uno, infatti, è Dio Padre, dal quale sono tutte le cose; uno
il signore Gesù Cristo, mediante il quale sono tutte le cose; uno è lo
Spirito Santo, nel quale sono tutte le cose (12).
II. Se qualcuno non confessa che due
sono le nascite del Verbo di Dio, una prima dei secoli dal Padre, fuori dal tempo e incorporale, l'altra in questi nostri
ultimi tempi (13), quando egli è disceso dai cieli, s'è incarnato nella santa
e gloriosa madre di Dio e sempre vergine Maria, ed è nato da essa, sia
anatema.
III. Se qualcuno
afferma che il Verbo di Dio che opera miracoli non è lo stesso Cristo che ha
sofferto, o anche che il Dio Verbo si è unito col Cristo nato dalla donna, o
che egli è in lui come uno in un altro; e non confessa invece, un solo e medesimo
signore nostro Gesù Cristo, Verbo di Dio, che si è incarnato e fatto uomo, al
quale appartengono sia le meraviglie che le sofferenze che volontariamente ha
sopportato nella sua carne, costui sia anatema.
IV. Se qualcuno
dice che l'unione del Verbo di Dio con l'uomo è avvenuta solo nell'ordine
della grazia, o in quello dell'operazione, o in quello dell'uguaglianza di onore, o nell'ordine dell'autorità, o della relazione,
o dell'affetto, o della virtù; o anche secondo il beneplacito, quasi che il
Verbo di Dio si sia compiaciuto dell'uomo, perché lo aveva ben giudicato,
come asserisce il pazzo Teodoro; ovvero secondo l'omonimia per cui i Nestoriani, chiamando il Dio Verbo col nome di Gesù e di Cristo, e
poi, separatamente, l'uomo, "Cristo e Figlio", parlano
evidentemente di due persone, anche se fingono di ammettere una sola persona
e un solo Cristo, solo di nome, e secondo l'onore, e la dignità e
l'adorazione; egli non ammette, invece, che l'unione del Verbo di Dio con la
carne animata da anima razionale e intelligente, sia avvenuta per
composizione, cioè secondo l'ipostasi, come hanno insegnato i santi padri; e quindi nega
una sola persona in lui, e cioè il Signore Gesù Cristo, uno della santa
Trinità, costui sia scomunicato. Poiché, infatti, l'unità si può
concepire in diversi modi, gli uni, seguendo l'empietà di Apollinare
e di Eutiche, e ammettendo l'annullamento degli elementi che formano l'unità,
parlano di
un'unione per confusione; gli altri, seguendo le idee di Teodoro e
di Nestorio, si compiacciono della separazione, e parlano di una unione di relazione.
La santa chiesa di Dio, rigettando l'empietà dell'una e dell'altra eresia,
confessa l'unione di Dio Verbo con la carne secondo la composizione, ossia
secondo l'ipostasi. Questa unione secondo la composizione nel mistero di
Cristo, salvaguarda dalla confusione degli elementi che concorrono all'unità,
ma non ammette la loro divisione.
V. Se qualcuno
intende l'unica persona del signore nostro Gesù Cristo come implicante più
sussistenze, e con ciò tenta
introdurre nel mistero di Cristo due ipostasi o persone, e se di queste due
persone, da lui introdotte, parla di una secondo la dignità
l'onore e l'adorazione, come hanno scritto nella
loro pazzia Teodoro e Nestorio, e accusa il santo concilio di Calcedonia,
quasi che abbia usato l'espressione "una sola sussistenza", secondo
questa empia concezione; e non ammette, piuttosto, che il Verbo di Dio si è unito alla carne
secondo ipostasi e che, quindi, egli ha una sola ipostasi, cioè una sola
persona; e che così anche che il santo sinodo di Calcedonia ha confessato
una sola ipostasi del Signore nostro Gesù Cristo, costui sia anatema. La santa Trinità, infatti, non ha
ricevuto l'aggiunta di una persona in seguito all'incarnazione di Dio Verbo,
uno della santa Trinità.
VI. Se qualcuno
afferma che la santa gloriosa e sempre vergine Maria solo impropriamente e
non secondo verità è madre di Dio, o che ella lo è
secondo la relazione, nel senso che sarebbe nato da lei un semplice uomo, e
non, invece il Dio Verbo, che si è incarnato dovendosi riferire,
secondo loro, la nascita dell'uomo al Verbo Dio, in quanto presente all'uomo
che nasceva; e chi accusa il santo sinodo di Calcedonia, di chiamare la
vergine madre di Dio nel senso empio escogitato da Teodoro; o anche se qualcuno la chiama madre dell'uomo o madre di Cristo, intendendo con
ciò che Cristo non sia Dio, e non la ritiene davvero, e secondo verità madre
di Dio, per essersi incarnato da essa, in questi ultimi tempi, il Verbo Dio,
generato dal
Padre prima dei secoli, e che, quindi, piamente il santo sinodo di
Calcedonia l'ha ritenuta madre di Dio, costui sia anatema.
VII. Se
qualcuno, dicendo "in due nature", non confessa che nella divinità
e nella umanità si deve riconoscere il solo signore
nostro Gesù Cristo, così che con questa espressione voglia significare la
diversità delle nature, da cui senza confusione e in modo ineffabile è
scaturita l'unità, senza che il Verbo passasse nella natura della carne, e
senza che la carne si trasformasse nella natura del Verbo (l'uno e l'altra,
infatti, rimangono ciò che sono per natura, pur operandosi
l'unione secondo ipostasi); se costui, dunque, intende tale espressione come
una divisione in parti nel mistero di Cristo; ovvero, pur ammettendo, nello
stesso ed unico signore nostro Gesù Cristo, Verbo di Dio incarnato, la
pluralità delle nature, non accetta solo in astratto la differenza dei
principi da cui è costituito, non tolta certo in seguito all'unione (uno,
infatti, è da due, e due in uno), ma in ciò si serve della pluralità delle
nature per sostenere che esse sono separate e con una propria sussistenza,
costui sia anatema.
VIII. Se uno
confessa che dalle due nature, divina e umana, è sorta l'unione, o ammette
una sola natura incarnata del Verbo di Dio ma non intende queste espressioni secondo
il senso dei santi padri, cioè che,
avvenuta l'unione secondo Impostasi della natura divina e della natura umana,
un solo Cristo ne è stato l'effetto; ma con questa espressione tenta introdurre una sola natura o
sostanza della divinità e della carne di Cristo, costui sia anatema.
Dicendo, infatti, che il Verbo Unigenito si è unito alla carne secondo
l'ipostasi, noi non affermiamo che si
sia operata una confusione scambievole delle nature, ma che, rimanendo l'una
e l'altra ciò che è, il Verbo si è unito alla carne. Di
conseguenza, uno è anche il Cristo, Dio e uomo, consostanziale al Padre
secondo la divinità, della nostra stessa natura, secondo l'umanità. Per
questo, la
chiesa di Dio rigetta e condanna sia coloro che dividono
o separano secondo le parti il mistero della divina incarnazione di Cristo,
sia coloro che le confondono.
IX. Se qualcuno dice che Cristo deve essere adorato in due
nature, con ciò introduce due adorazioni, una al Verbo Dio, una all'uomo; o
se qualcuno, mirando alla soppressione della carne, o alla confusione
della divinità e dell'umanità, va cianciando di una sola natura o sostanza
degli elementi uniti, e così adora il Cristo, ma senza venerare
con una sola adorazione il Dio Verbo incarnato insieme con la sua carne, come
la chiesa di Dio ha ricevuto dall'inizio, costui sia anatema.
X. Se qualcuno
non confessa che il signore nostro Gesù Cristo, crocifisso
nella sua carne, è vero Dio, Signore della gloria ed uno della santa Trinità,
costui sia anatema.
XI. Chi non
scomunica Ario, Eunomio, Macedonio, Apollinare,
Nestorio, Eutiche, e Origene, insieme ai loro empi scritti, e tutti gli altri
eretici, condannati e scomunicati
dalla santa chiesa cattolica e apostolica e dai quattro predetti santi
concili; inoltre, chi ha ritenuto o ritiene dottrine simili a quelle degli
eretici che abbiamo nominato, e persiste nella propria empietà fino alla morte, sia
anatema.
XII. Se qualcuno
difende l'empio Teodoro di Mopsuestia, il quale
dice altro essere il Verbo di Dio ed
altro il Cristo, sottoposto alle passioni della anima
e ai desideri della carne, che si è liberato a poco a poco dai sentimenti
inferiori, è migliorato col progresso delle opere, ed è divenuto perfetto
nella vita; che è stato battezzato come semplice uomo, nel nome del Padre, del
Figlio e dello Spirito santo, e attraverso il battesimo, ha ricevuto la
grazia dello Spirito santo ed è stato stimato degno dell'adozione di figlio,
e che, a somiglianza di una immagine dell'imperatore, viene adorato nella
persona del Dio Verbo, e dopo la risurrezione è divenuto immutabile nei suoi
pensieri e del tutto impeccabile. L'empio Teodoro ha anche detto che l'unione
del Verbo di Dio con il Cristo è tale, quale l'apostolo afferma per l'uomo e
per la donna: Saranno i due in una sola carne (14). Con altre
innumerevoli bestemmie, egli ha osato dire che dopo la resurrezione
il Signore quando soffiò sui suoi discepoli dicendo: Ricevete lo
Spirito santo (15), non diede ad essi lo Spirito santo, ma soffiò solo
simbolicamente. Egli ha detto anche che la confessione di Tommaso, quella che
fece quando, palpate le mani e il costato del
Signore, dopo la resurrezione, esclamò: Mio Signore e mio Dio (16),
non è stata fatta da Tommaso nei riguardi di Cristo, ma che Tommaso,
meravigliato per il miracolo della risurrezione, ha glorificato Dio che aveva
risuscitato Cristo. E, ciò che è peggio, anche nel
commento da lui fatto agli Atti degli apostoli, lo stesso Teodoro,
paragonando il Cristo a Platone, a Mani, ad Epicuro,
a Marcione, afferma che, come ciascuno di questi,
trovata una propria dottrina, fece sì che i suoi discepoli si chiamassero
Platonici, Manichei, Epicurci, Marcioniti,
allo stesso modo avendo trovato il Cristo una dottrina, da lui hanno preso il
nome i cristiani. Se quindi, qualcuno difende l'empio Teodoro, che sopra
abbiamo nominato, e i suoi empi scritti, nei quali egli ha riversato le
bestemmie cui abbiamo accennato ed altre
innumerevoli contro il grande Dio e
signore nostro Gesù Cristo; e non condanna lui e i suoi malvagi scritti,
e quelli che lo accettano e lo scagionano, o affermano che ha esposto
rettamente la dottrina, quelli che hanno scritto a suo favore e dei suoi empi
scritti, quelli che la pensano o la pensarono un tempo come lui, e
perseverarono in tale eresia fino alla morte, sia anatema.
XIII. Se alcuno
difende gli empi scritti che Teodoreto scrisse
contro la vera fede, contro il primo, santo concilio
di Efeso, contro s. Cirillo e i suoi dodici anatemi, e tutto ciò che egli
compose in difesa di Teodoro e di Nestorio, empi, e degli altri che
professano le loro idee, e li accettano, e accettano la loro empietà, e a
causa di essi chiama empi i dottori della chiesa, quelli, cioè, che
professano l'unione secondo l'ipostasi del Verbo di Dio; se, dunque, costui
non anatematizza gli empi scritti suddetti, e coloro che hanno principi
simili a questi, o li hanno avuti, e quanti hanno scritto contro la retta
fede, e contro Cirillo, uomo santo, e i suoi dodici capitoli, e chi muore in
tale empietà, costui sia anatema.
XIV. Se qualcuno
difende la lettera che si dice essere stata scritta da Iba
al persiano Mari, che nega che il Dio Verbo,
incarnatosi nella santa madre di Dio e sempre vergine Maria, si sia fatto
uomo, e afferma
che da essa sia nato un semplice uomo, che chiama tempio, in modo che altro
sia il Dio Verbo, altro l'uomo; e accusa s. Cirillo, il quale ha
predicato la vera fede dei cristiani, di essere eretico e di avere scritto
come l'empio Apollinare; e rimprovera il primo santo concilio di Efeso, quasi
che abbia senza sufficiente giudizio e discussione condannato Nestorio e
definisce i dodici punti di s. Cirillo empi e contrari alla retta fede,
questa lettera, empia essa stessa, prende le difese di Teodoro e di Nestorio
e dei loro empi scritti e dottrine. Se, quindi, qualcuno difende questa lettera,
e non anatematizza essa e quanti la difendono, e quanti dicono che essa, o
anche una sua parte, è retta; e quelli che hanno scritto e scrivono in suo
favore o a favore delle empietà che essa contiene, o tentano di giustificarla
con tutte le sue empietà in nome dei santi padri e del santo
concilio di Calcedonia, e sono rimasti fermi in queste idee fino alla morte, costui sia
anatema.
Fatta, dunque, a questo modo la professione delle verità, che abbiamo
ricevuto sia dalla divina Scrittura, sia dall'insegnamento dei santi padri, e
da quanto è stato stabilito intorno all'unica e vera fede dai predetti
quattro sinodi; e pronunciata anche la condanna contro gli eretici e la loro
empietà, e inoltre contro quelli che o hanno scusato o tentano di scusare i
tre capitoli di cui abbiamo parlato, e che hanno perseverato e continuano a
perseverare nel proprio errore; se qualcuno tentasse di trasmettere,
insegnare, o scrivere alcunché in opposizione con quanto noi abbiamo
disposto, se questi è vescovo o chierico, poiché agisce in modo alieno da
quello proprio dei sacerdoti e dello stato ecclesiastico, sarà spogliato della sua dignità
vescovile o di chierico; se poi fosse monaco o semplice laico, sarà anatema.
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Note
1 Cfr. Mt 25, 14-30
2 Cfr. At 20, 28
3 Cfr. Ger 48, 10
4 Cfr. Mt 13, 36-43
5 At 15, 28-29
6 Pro 18, 19
7 Eccle 4, 9
8 Mt 18, 19-20
9 Rm 14, 12
10 Cfr. Mt 18, 6
11 At 18, 9-10
12 Cfr. I Cor 8, 6
13 Cfr. Eb 1, 2
14 Ef 5, 31
15 Gv 20, 22
16 Gv 20, 28
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