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Espressioni eretiche ed altre in odore di eresia di Joseph Ratzinger

I brani in questione sono presi dai libri:

“Gesù di Nazaret” edizione 2007, “Dio e il mondo” edizione 2001 e “La Comunione nella Chiesa” edizione 2004

 

 

Joseph Ratzinger

 

Magistero Pontificio

 

   “Dio e il mondo”

Pag. 267. [...] (Maria) la madre di quell’uomo intimamente unito a Dio, fino ad essere tutt’uno con lui.

Pag. 319. [...] concepimento dell’uomo Gesù, per opera dello Spirito Santo.

Pag. 190. Allora tutto ciò che era e doveva essere il Tempio è presente in lui (Gesù) in quanto Tempio vivente.

Pag. 297. [...] la volontà di Gesù diventa tutt’uno con la volontà del Figlio e con quella del Padre.

Pag. 240. (nella figura di Cristo) si situa un uomo in cui però Dio stesso si fa presente.

Pag. 257. [...] Gesù non è uno degli inviati, ma colui in cui Dio esprime se stesso.

Pag. 25. Ragionevolmente si dovrebbe infatti dire che Dio è troppo grande per comprimere se stesso nella limitatezza di un essere umano (Gesù).

Pag. 26. [...] questo è un Dio che ha la forza di realizzare l’amore in modo tale da essere se stesso in un uomo [...].

Pag. 114. […] il purgatorio, appunto, in cui la vista di Cristo ci faccia ardere fino a renderci liberi, ci purifichi rendendoci pronti a incontrare Dio [...].

Pag. 267. […] stabilire quanto profondamente fossero unite in quest’uomo Gesù Cristo natura umana e natura divina [...].

 

“Gesù di Nazaret”

Pag. 105. È (Cristo) il re della pace – lo è grazie alla potenza di Dio, non in virtù di un potere proprio.

Pag. 211. Nelle guarigioni miracolose del Signore e dei Dodici, Dio si rivela nel suo potere benigno sul mondo. Sono, secondo la loro essenza, «segni» che rimandano a Dio stesso e tendono a mettere in movimento l’uomo verso Dio.

Pag. 84. [...] il «regno» non è semplicemente presente nella presenza fisica di Gesù, ma mediante il suo operare nello Spirito Santo. In questo senso il regno di Dio, in Lui e attraverso di Lui, qui ed ora, diventa presenza, «si avvicina».

Pag. 112.

In un mondo pieno di crudeltà e cinismo o di  connivenza dettata dalla paura ci troviamo di nuovo di fronte – come nella visione di Ezechiele – alla piccola schiera di persone (sotto la croce di Gesù) che restano fedeli; non possono ribaltare la sventura, ma nel loro con-patire si schierano dalla parte del condannato, e con il loro con-amare si trovano dalla parte di Dio, che è Amore.

Pag. 357. La trasfigurazione è un avvenimento di preghiera; diventa visibile ciò che accade nel dialogo di Gesù con il Padre: l’intima compenetrazione del suo essere con Dio, che diventa pura luce.

Pag. 7. Al tempo della mia giovinezza – negli anni Trenta e Quaranta – esisteva una serie di opere entusiasmanti su Gesù. [...] In tutte queste opere l’immagine di Gesù Cristo veniva delineata a partire dai Vangeli: come Egli visse sulla terra e come, pur essendo interamente uomo, portò nello stesso tempo agli uomini Dio, con il quale, in quanto Figlio, era una cosa sola.

 

“La Comunione nella Chiesa”

Pag. 83-84.

In altre parole, le due volontà sono unite nel sì della volontà umana di Cristo alla volontà divina del Logos. Così concretamente – “esistenzialmente” – entrambe le volontà diventano un’unica volontà e tuttavia rimangono ontologicamente due realtà autonome. Riguardo a questo, il concilio afferma: come la carne del Signore può essere detta carne del Logos, così anche la sua volontà umana può essere definita volontà propria del Logos. In pratica il concilio applica qui (nella dovuta differenza analogica) il modello trinitario alla cristologia: la suprema unità esistente – l’unità di Dio – non è un’unità senza articolazione e distinzione, ma unità al modo della comunione-unità che è creata dall’amore ed è amore. Così il Logos assume in sé l’essere dell’uomo Gesù e ne parla come del proprio io: “Sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato” (Gv 6,38). Nell’obbedienza del Figlio, nell’unificazione delle due volontà in un unico sì alla volontà del Padre, si compie la comunione tra essere umano e divino. Lo “scambio meraviglioso”, l’“alchimia dell’essere”, si realizza qui come comunione liberatrice e conciliatrice, che diviene comunione tra Creatore e creatura.

Pag. 98-99.

A partire di qui Paolo poteva designare Cristo come “hilasterion”, termine che indicava nel linguaggio cultuale dell’Antico Testamento il punto centrale del tempio, il coperchio, che stava sopra l’arca dell’alleanza. Esso era chiamato “kapporeth”, che in greco fu tradotto con “hilasterion” ed era considerato come il luogo, sopra il quale Dio si manifestava in una nuvola. Questo “coperchio” era asperso con il sangue dell’espiazione, che in questo modo doveva avvicinarsi il più possibile a Dio stesso.

 

SECONDO CONCILIO DI COSTANTINOPOLI

IV. Se qualcuno dice che l'unione del Verbo di Dio con l'uomo è avvenuta solo nell'ordine della grazia, o in quello dell'operazione, o in quello dell'uguaglianza di onore, o nell'ordine dell'autorità, o della relazione, o dell'affetto, o della virtù; o anche secondo il beneplacito, quasi che il Verbo di Dio si sia compiaciuto dell'uomo, perché lo aveva ben giudicato, come asserisce il pazzo Teodoro; ovvero secondo l'omonimia per cui i Nestoriani, chiamando il Dio Verbo col nome di Gesù e di Cristo, e poi, separatamente, l'uomo, "Cristo e Figlio", parlano evidentemente di due persone, anche se fingono di ammettere una sola persona e un solo Cristo, solo di nome, e secondo l'onore, e la dignità e l'adorazione; egli non ammette, invece, che l'unione del Verbo di Dio con la carne animata da anima razionale e intelligente, sia avvenuta per composizione, cioè secondo l'ipostasi, come hanno insegnato i santi padri; e quindi nega una sola persona in lui, e cioè il Signore Gesù Cristo, uno della santa Trinità, costui sia scomunicato. Poiché, infatti, l'unità si può concepire in diversi modi, gli uni, seguendo l'empietà di Apollinare e di Eutiche, e ammettendo l'annullamento degli elementi che formano l'unità, parlano di un'unione per confusione; gli altri, seguendo le idee di Teodoro e di Nestorio, si compiacciono della separazione, e parlano di una unione di relazione. La santa chiesa di Dio, rigettando l'empietà dell'una e dell'altra eresia, confessa l'unione di Dio Verbo con la carne secondo la composizione, ossia secondo l'ipostasi. Questa unione secondo la composizione nel mistero di Cristo, salvaguarda dalla confusione degli elementi che concorrono all'unità, ma non ammette la loro divisione.

V. Se qualcuno intende l'unica persona del signore nostro Gesù Cristo come implicante più sussistenze, e con ciò tenta introdurre nel mistero di Cristo due ipostasi o persone, e se di queste due persone, da lui introdotte, parla di una secondo la dignità l'onore e l'adorazione, come hanno scritto nella loro pazzia Teodoro e Nestorio, e accusa il santo concilio di Calcedonia, quasi che abbia usato l'espressione "una sola sussistenza", secondo questa empia concezione; e non ammette, piuttosto, che il Verbo di Dio si è unito alla carne secondo ipostasi e che, quindi, egli ha una sola ipostasi, cioè una sola persona; e che così anche che il santo sinodo di Calcedonia ha confessato una sola ipostasi del Signore nostro Gesù Cristo, costui sia anatema. La santa Trinità, infatti, non ha ricevuto l'aggiunta di una persona in seguito all'incarnazione di Dio Verbo, uno della santa Trinità.

VI. Se qualcuno afferma che la santa gloriosa e sempre vergine Maria solo impropriamente e non secondo verità è madre di Dio, o che ella lo è secondo la relazione, nel senso che sarebbe nato da lei un semplice uomo, e non, invece il Dio Verbo, che si è incarnato dovendosi riferire, secondo loro, la nascita dell'uomo al Verbo Dio, in quanto presente all'uomo che nasceva; e chi accusa il santo sinodo di Calcedonia, di chiamare la vergine madre di Dio nel senso empio escogitato da Teodoro; o anche se qualcuno la chiama madre dell'uomo o madre di Cristo, intendendo con ciò che Cristo non sia Dio, e non la ritiene davvero, e secondo verità madre di Dio, per essersi incarnato da essa, in questi ultimi tempi, il Verbo Dio, generato dal Padre prima dei secoli, e che, quindi, piamente il santo sinodo di Calcedonia l'ha ritenuta madre di Dio, costui sia anatema.

IX. Se qualcuno dice che Cristo deve essere adorato in due nature, con ciò introduce due adorazioni, una al Verbo Dio, una all'uomo; o se qualcuno, mirando alla soppressione della carne, o alla confusione della divinità e dell'umanità, va cianciando di una sola natura o sostanza degli elementi uniti, e così adora il Cristo, ma senza venerare con una sola adorazione il Dio Verbo incarnato insieme con la sua carne, come la chiesa di Dio ha ricevuto dall'inizio, costui sia anatema.

XI. Chi non scomunica Ario, Eunomio, Macedonio, Apollinare, Nestorio, Eutiche, e Origene, insieme ai loro empi scritti, e tutti gli altri eretici, condannati e scomunicati dalla santa chiesa cattolica e apostolica e dai quattro predetti santi concili; inoltre, chi ha ritenuto o ritiene dottrine simili a quelle degli eretici che abbiamo nominato, e persiste nella propria empietà fino alla morte, sia anatema.

XIV. Se qualcuno difende la lettera che si dice essere stata scritta da Iba al persiano Mari, che nega che il Dio Verbo, incarnatosi nella santa madre di Dio e sempre vergine Maria, si sia fatto uomo, e afferma che da essa sia nato un semplice uomo, che chiama tempio, in modo che altro sia il Dio Verbo, altro l'uomo; e accusa s. Cirillo, il quale ha predicato la vera fede dei cristiani, di essere eretico e di avere scritto come l'empio Apollinare; e rimprovera il primo santo concilio di Efeso, quasi che abbia senza sufficiente giudizio e discussione condannato Nestorio e definisce i dodici punti di s. Cirillo empi e contrari alla retta fede, questa lettera, empia essa stessa, prende le difese di Teodoro e di Nestorio e dei loro empi scritti e dottrine. Se, quindi, qualcuno difende questa lettera, e non anatematizza essa e quanti la difendono, e quanti dicono che essa, o anche una sua parte, è retta; e quelli che hanno scritto e scrivono in suo favore o a favore delle empietà che essa contiene, o tentano di giustificarla con tutte le sue empietà in nome dei santi padri e del santo concilio di Calcedonia, e sono rimasti fermi in queste idee fino alla morte, costui sia anatema.

Notificazione della Congregazione per la Dottrina della Fede

sul libro "Jesus Symbol of God" scritto da padre Roger Haight, S. J.

III. La divinità di Gesù
La posizione erronea dell’Autore sulla preesistenza del Figlio/Logos di Dio ha come conseguenza una comprensione altrettanto erronea della dottrina circa la divinità di Gesù. Egli in verità usa espressioni quali: Gesù "deve essere considerato divino" (p. 283) e "Gesù Cristo [...] deve essere vero Dio" (p. 284). Si tratta, tuttavia di affermazioni che vanno intese alla luce della sua posizione su Gesù quale "mediazione" simbolica ("medium"): Gesù sarebbe "una persona finita" (p. 205), "una persona umana" (p. 296) e "un essere umano come noi" (p. 205; 428).

Il "vero Dio e vero uomo" andrebbe perciò reinterpretato, secondo l'Autore, nel senso che "vero uomo" significherebbe che Gesù sarebbe "un essere umano come tutti gli altri" (p. 259), "un essere umano e una creatura finita" (p. 262); mentre "vero Dio" significherebbe che l'uomo Gesù, in qualità di simbolo concreto, sarebbe o medierebbe la presenza salvifica di Dio nella storia (cfr pp. 262; 295): solo in questo senso egli potrebbe essere considerato come "veramente divino o consustanziale con Dio" (p. 295). La "situazione postmoderna in cristologia", aggiunge l'Autore, "comporta un cambiamento di interpretazione che va al di là della problematica di Calcedonia" (p. 290), precisamente nel senso che l'unione ipostatica, o "enipostatica", sarebbe da intendere come "l'unione di niente di meno che Dio come Verbo con la persona umana Gesù" (p. 442).

Questa interpretazione della divinità di Gesù è contraria alla fede della Chiesa, che crede in Gesù Cristo, Figlio eterno di Dio, fattosi uomo, così come è ripetutamente confessato in vari concili ecumenici e nella costante predicazione della Chiesa.

BEATO PIO IX PAPA – “INEFFABILIS DEUS”

Era certo sommamente opportuno che una Madre degna di tanto onore rilucesse perennemente adorna degli splendori della più perfetta santità e, completamente immune anche dalla stessa macchia del peccato originale, riportasse il pieno trionfo sull'antico serpente. Dio Padre dispose di dare a Lei il suo unico Figlio, generato dal suo seno uguale a sé, e che ama come se stesso, in modo tale che fosse, per natura, Figlio unico e comune di Dio Padre e della Vergine; lo stesso Figlio scelse di farne la sua vera Madre, e lo Spirito Santo volle e operò perché da Lei fosse concepito e generato Colui dal quale egli stesso procede.

PAPA PAOLO VI – “MYSTERIUM FILII DEI

Recenti errori sulla fede nel Figlio di Dio fatto uomo.

   Sono chiaramente opposte a questa fede le opinioni secondo cui non sarebbe rivelato e noto che il Figlio di Dio sussiste ab aeterno, nel mistero di Dio, distinto dal Padre e dallo Spirito Santo; inoltre le opinioni secondo cui sarebbe da abbandonare la nozione di unica persona di Gesù Cristo, nata prima dei secoli dal Padre secondo la natura divina e nel tempo da Maria Vergine secondo la natura umana; e infine l’affermazione secondo cui l’umanità di Gesù Cristo esisterebbe, non come assunta nella persona eterna del Figlio di Dio, ma piuttosto in se stessa come persona umana, e di conseguenza che il mistero di Gesù Cristo consisterebbe nel fatto che Dio che si rivela sarebbe sommamente presente nella persona umana di Gesù.

   Coloro che pensano in tal modo, rimangono lontani dalla vera fede in Gesù Cristo, anche quando asseriscono che la presenza unica di Dio in Gesù faccia sì che Egli sia la espressione suprema e definitiva della rivelazione divina, né ritrovano la vera fede nella divinità di Cristo, quando aggiungono che Gesù può essere chiamato Dio per il fatto che, in quella che dicono la sua persona umana, Dio è pienamente presente.

Cardinale Umberto Betti – “IMMUTABILE PROFESSIONE DI FEDE”

Commento sulla Dichiarazione “MYSTERIUM FILII DEI”

   Il rapporto, poi, di Cristo col Padre, per quanto unica sia l’intensità personale che lo contraddistingue, rimane un rapporto che ha avuto inizio con l’esistenza di Gesù. Perciò quello che l’attività di Cristo comporta di divino non è da ascriversi al suo essere Dio, a causa della persona eterna del Verbo nella quale la sua umanità esiste; ma deriva dall’essere e dall’agire di Dio in lui e per mezzo di lui. E allora non si può più dire che le azioni sante di Gesù e la passione da lui liberamente accettata siano proprie di Dio; perché sono tali solo se sono azioni e passione del Figlio eternamente generato dal Padre e, per questo motivo, hanno davanti a lui un valore salvifico infinito.

   Il mistero cristologico così capovolto viene ad essere irrimediabilmente distrutto. Ogni tentativo di ricostruirlo si risolve, in fondo, in una denaturazione nuova. [...]

Cristo, dunque, può e deve dirsi Dio soltanto se lo si considera come vero Figlio di Dio, con tutto il peso dommatico che, non di rado, a questa espressione è attribuito dal Nuovo Testamento e che la fede della Chiesa, con tremore eppur con sicurezza, propone in questi termini: la umanità di Gesù non deriva la sua esistenza da una corrispondente persona umana che non ha, ma esiste solo in quanto e perché assunta nella persona divina dell’eterno Figlio di Dio.

TERZO CONCILIO DI COSTANTINOPOLI

Come, infatti, la sua carne si dice ed è carne del Verbo di Dio, così la naturale volontà della carne si dice ed è volontà propria del Verbo di Dio [...].

XI SINODO DI TOLEDO – PROFESSIONE DI FEDE

(41) Onde l'unico Cristo è nell'unità della persona perfetto Dio e perfetto uomo; tuttavia non per questo, per aver detto che nel Figlio sono due nature, affermeremo che in lui ci sono due persone, affinché non sembri accedere alla Trinità - sia ben lontano! - una quarta persona.

(42) Dio il Verbo non ha assunto la persona di un uomo, bensì la natura e nell'eterna persona della divinità ha accolto la sostanza temporale della carne.

(43) Parimenti diciamo che se anche crediamo che il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo sono di una sola sostanza, tuttavia la Vergine Maria non ha generato l'unità di questa Trinità, ma solo il Figlio, che solo ha assunto la nostra natura nell'unità della sua persona.

(58) E tuttavia, senza che la sua divinità sia stata toccata, sostenne la stessa passione per i nostri delitti, fu condannato a morte e accolse in croce la vera morte della carne; e il terzo giorno, risvegliatesi di sua propria virtù, risuscitò dal sepolcro.

PAPA PAOLO VI – Professione di Fede

Egli è stato sepolto e, per suo proprio potere, è risorto nel terzo giorno, elevandoci con la sua Resurrezione alla partecipazione della vita divina, che è la vita della grazia.

CONCILIO DI EFESO

[...] non affermiamo neppure che il Verbo di Dio ha abitato, come in un uomo qualsiasi, in colui che è nato dalla Vergine santa, perché non si creda che Cristo sia un semplice uomo portatore di Dio. Se, infatti il Verbo di Dio abitò fra noi ed è detto che in Cristo abitò corporalmente la pienezza della divinità, crediamo però che egli si fece carne non allo stesso modo che si dice che abita nei santi, e distinguiamo nello stesso modo l'abitazione che si è fatta in lui: unito secondo natura, e non mutato affatto in carne, ebbe in essa una tale abitazione, quale si potrebbe poi dire che abbia l'anima dell'uomo nei riguardi del suo corpo. [...]

Evitiamo assolutamente di dire: "Venero ciò che è stato assunto, per la dignità di colui che l'assume; adoro il visibile a causa dell'invisibile". E’ addirittura orrendo, inoltre, dire: "Colui che è stato assunto è chiamato Dio, insieme con colui che l'ha assunto". Chi usa questo linguaggio, divide di nuovo il Cristo in due Cristi e colloca da una parte l'uomo, e dall'altra Dio; nega, infatti, evidentemente l'unità: quell'unità per cui uno non può essere coadorato o connominato Dio con un altro: uno, invece, è creduto Gesù Cristo, unigenito figlio di Dio, da onorarsi con un unica adorazione con la sua carne. [...]

Quando poi afferma (Gesù) dello Spirito: Egli mi glorificherà, rettamente noi non diciamo che l'unico Cristo e Figlio, quasi avesse bisogno di essere glorificato da un altro, ha avuto la sua gloria dallo Spirito Santo: perché lo Spirito non è migliore di lui o superiore a lui. Ma poiché a dimostrazione della sua divinità, si serviva del proprio spirito per compiere le sue meraviglie [...].

8. Se qualcuno osa dire che l'uomo assunto dev'essere con-adorato col Verbo di Dio, con-glorificato e con-chiamato Dio come si fa di uno con un altro (infatti la particella con che accompagna sempre queste espressioni, fa pensare ciò), e non onora, piuttosto, con un'unica adorazione l'Emmanuele, e non gli attribuisce una unica lode, in quanto il Verbo si è fatto carne, sia anatema.

9. Se qualcuno dice che l'unico Signore Gesù Cristo è stato glorificato dallo Spirito, nel senso che egli si sarebbe servito della sua potenza come di una forza estranea, e che avrebbe ricevuto da lui di potere agire contro gli spiriti immondi, e di potere compiere le sue divine meraviglie in mezzo agli uomini, sia anatema.

10. La divina Scrittura dice che il Cristo è divenuto pontefice e apostolo della nostra confessione, e che si è offerto per noi in odore di soavità a Dio Padre. Perciò se qualcuno dice che è divenuto pontefice e apostolo nostro non lo stesso Verbo di Dio, quando si fece carne e uomo come noi, ma, quasi altro da lui, l'uomo nato dalla donna preso a sé; o anche se qualcuno dice che ha offerto il sacrificio anche per sé, e non, invece, solamente per noi (e, infatti, non poteva aver bisogno di sacrificio chi non conobbe peccato), sia anatema.

11. Se qualcuno non confessa che la carne del Signore è vivificante e (che essa è la carne) propria dello stesso Verbo del Padre, (e sostiene, invece, che sia) di un altro, diverso da lui, e unito a lui solo per la sua dignità; o anche di uno che abbia ricevuto solo la divina abitazione; se, dunque, non confessa che sia vivificante, come abbiamo detto inquantoché divenne propria del Verbo, che può vivificare ogni cosa, sia anatema.

12. Se qualcuno non confessa che il Verbo di Dio ha sofferto nella carne, è stato crocifisso nella carne, ha assaporato la morte nella carne, ed è divenuto il primogenito dei morti, inquantoché, essendo Dio, è vita e dà la vita, sia anatema.

CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA

464 L'evento unico e del tutto singolare dell'Incarnazione del Figlio di Dio non significa che Gesù Cristo sia in parte Dio e in parte uomo, né che sia il risultato di una confusa mescolanza di divino e di umano. Egli si è fatto veramente uomo rimanendo veramente Dio. Gesù Cristo è vero Dio e vero uomo. La Chiesa nel corso dei primi secoli ha dovuto difendere e chiarire questa verità di fede contro eresie che la falsificavano. [...]

466 L'eresia nestoriana vedeva in Cristo una persona umana congiunta alla Persona divina del Figlio di Dio. [...] L'umanità di Cristo non ha altro soggetto che la Persona divina del Figlio di Dio, che l'ha assunta e fatta sua al momento del suo concepimento. [...]

Un solo e medesimo Cristo, Signore, Figlio unigenito, che noi dobbiamo riconoscere in due nature, senza confusione, senza mutamento, senza divisione, senza separazione.

468 [...] vi è « una sola ipostasi [o Persona]..., cioè il Signore (nostro) Gesù Cristo, Uno della Trinità ". Tutto, quindi, nell'umanità di Cristo deve essere attribuito alla sua Persona divina come al suo soggetto proprio, non soltanto i miracoli ma anche le sofferenze e così pure la morte: " Il Signore nostro Gesù Cristo, crocifisso nella sua carne, è vero Dio, Signore della gloria e Uno della Santa Trinità ".

VANGELO SECONDO MATTEO

10 – [32]Chi dunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; [33]chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli.

CONCILIO DI CALCEDONIA

Chiunque confessa che Gesù Cristo è apparso nella carne, è da Dio. E chiunque divide Gesù, non è da Dio; anzi è l'anticristo.

 

“Dio e il mondo”

Pag. 186. Le prime parole del Vangelo di Giovanni gettano un ponte tra la storia della creazione, fondamento originario di tutte le cose, e gli eventi in Palestina. Ci mostrano come quel Logos, quel senso creativo che è all’origine del mondo, si è incarnato in quest’uomo, Gesù. Quella forza che ha operato la creazione del mondo ha fatto ingresso nel mondo e ci parla. E’ un grande paradosso quello in cui ci imbattiamo: Dio è tanto grande da potersi far piccolo. Ed è così piccolo che ci si può fare incontro come persona umana.

Dio non casca dal cielo per presentarsi a noi, ma si inserisce concretamente in un contesto storico [...].

Pag. 100-101. Nel Giudaismo più antico, cioè all’epoca in cui visse anche Gesù, si era formata la convinzione che la creazione del mondo materiale era stata preceduta dalla Thorà. La terra era stata creata per così dire per assicurare una dimora alla Thorà. [...] Questa prima frase della Thorà – “In principio Dio creò il cielo e la terra” – viene consapevolmente ripresa da Giovanni, che in qualche modo sintetizza in un’unica frase l’intero resoconto della creazione: “In principio era il Verbo”.

[...] Logos, che significa insieme “senso” e “parola”. Logos, che vuol dire “forza portatrice di senso”, [...] è importante sottolineare come significasse insieme sia idea che parola.

Pag. 102. La parola è dunque davvero strumento di creazione, e la creazione è quindi, in un certo senso, la concretizzazione e il dispiegarsi di un documento.

Pag. 377. Le Sacre Scritture non sono parola di Dio caduta dall’alto, ma parola di Dio incarnata nella storia e che cresce in essa.

 

“Gesù di Nazaret”

Pag. 137-138-139.

Gesù intende se stesso come la Torah – la parola di Dio in persona. Il grandioso Prologo del Vangelo di Giovanni - «In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio» - non dice niente di diverso da quanto afferma il Gesù del Discorso della montagna e il Gesù dei Vangeli sinottici. Il Gesù del quarto Vangelo e il Gesù dei sinottici è la stessa identica persona: il vero Gesù «storico». [...] Alla questione della pretesa di Gesù di essere Lui stesso la Torah e il tempio in persona si collega altresì il tema di Israele, la questione della comunità vivente del popolo in cui si realizza la parola di Dio.

Pag. 166-167.

«L’amore sino alla fine» (cfr. Gv 13,1), che il Signore ha portato a compimento sulla croce pregando per i suoi nemici, ci mostra la natura del Padre: Egli è questo Amore. Poiché Gesù lo pratica, Egli è totalmente «Figlio» e ci invita a diventare a nostra volta «figli» – a partire da questo criterio.

Pag. 203.

Gesù che è, Egli stesso, la Torah vivente di Dio.

Pag. 207.

Ma l’annuncio del regno di Dio non è mai solo parola, mai solo insegnamento. È avvenimento, così come Gesù stesso è avvenimento, parola di Dio in persona.

Pag. 310-311-312.

   L’altro dono di Mosè [...] è la Torah – la parola di Dio che indica la via e conduce alla vita. [...] conoscere la volontà di Dio e dunque la giusta via della vita. [...] Sì, la Torah è «pane» venuto da Dio; ma ci mostra, per così dire, soltanto le spalle di Dio, è un’«ombra». «Il pane di Dio è Colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo» (Gv 6,33).

La Legge è diventata Persona. Nell’incontro con Gesù ci nutriamo, per così dire, dello stesso Dio vivente, mangiamo il «pane dal cielo». [...] nella fede in Gesù, che è dialogo e relazione viva con il Padre e che in noi vuole diventare nuovamente parola e amore.

Pag. 383.

Gesù ha vissuto in base all’insieme della Legge e dei Profeti, come ha sempre ripetuto ai suoi discepoli. Ha considerato la sua natura e la sua attività come l’unione e l’interpretazione di questo insieme. Giovanni esprimerà questa idea nel suo Prologo, scrivendo che Gesù stesso è «il Verbo» [...].

 

“La Comunione nella Chiesa”

Pag. 115.

Nelle parole di Gesù confluiscono, come abbiamo già visto, tutte le correnti dell’Antico Testamento – Legge e Profeti – in una nuova e non prevedibile unità. Le parole, che attendevano solo chi le impersonasse, come il canto del Servo di Dio, divengono realtà.

Pag. 169.

La sua (di Gesù) parola richiede decisione, crea realtà. In questo senso è parola “incarnata”; la reciprocità di parola e segno mostra una struttura “sacramentale”.

Pag. 172.

Il servizio della parola richiede dal sacerdote partecipazione alla chèniosi di Cristo, il risorgere e il discendere in Cristo. [...] un perdersi in Cristo che prende la via del suo mistero pasquale e diviene così vero ritrovamento di sé e comunione con colui che è la parola di Dio in persona.

Pag. 175.

Egli (sant’Agostino) richiama l’attenzione sul fatto che nel Nuovo Testamento con un termine desunto da Isaia, Giovanni (Battista) viene definito la “voce”, mentre nel Vangelo di Giovanni Cristo appare come la “parola”. Il rapporto di voce (vox) e parola (verbum) aiuta a spiegare il rapporto di reciprocità di Cristo e del sacerdote. La parola è presente nel cuore prima che diventi percepibile ai sensi attraverso la voce. Con la mediazione della voce diviene percepibile anche all’altro ed è quindi presente persino nel suo cuore, senza che chi parla venga così privato della parola. Passa di conseguenza il suono, la voce, che porta la parola da uno all’altro (o agli altri). Molto semplicemente, il compito del sacerdote in definitiva è quello di essere voce per la parola: “Io devo diminuire, egli crescere”. La voce non ha altro scopo che trasmettere la parola; essa poi ritorna in sé. A partire di qui diventano manifeste la grandezza e l’umiltà del ministero sacerdotale. Come Giovanni Battista, il sacerdote è un mero precursore, servitore della parola. Al centro non vi è lui, ma l’altro. Egli, tuttavia, è la voce con tutta la sua esistenza; la sua missione consiste nel diventare voce della parola, e così proprio con il suo radicale riferimento alla grandezza della missione del Precursore prende parte alla missione stessa del Logos.

Pag. 170-171.

  A partire dalla visione pasquale quale ci viene presentata dal Vangelo di Giovanni dobbiamo compiere ancora un passo. Pietro aveva detto che Gesù è il Cristo. Giovanni aggiunge: Gesù è il logos. Egli stesso è la parola eterna del Padre che è presso Dio ed è Dio (Gv 1,1). In Lui questa parola è divenuta carne e ha preso dimora tra di noi (Gv 1,14). La predicazione cristiana non annuncia parole, ma la parola. “Quando dunque si parla di servizio alla parola di Dio, è inclusa nello stesso tempo la relazione intratrinitaria”. Nello stesso tempo vale che “questo servizio partecipa alla funzione dell’incarnazione”. Giustamente è stata richiamata l’attenzione sul fatto che la predicazione di Gesù è fondamentalmente diversa dalla conferenza magisteriale dei rabbini per il fatto che l’io di Gesù è esso stesso al centro del suo annuncio. Contemporaneamente bisogna ricordarsi che Gesù stesso ha considerato caratteristico del suo discorso il fatto che egli non parla “in nome proprio” (Gv 5,43; cfr. 7,16). Il suo io è interamente aperto al tu del Padre, non sta in se stesso, ma introduce nella dinamica della relazione trinitaria. Per il predicatore cristiano questo significa che egli non parla da se stesso, ma si fa voce di Cristo per fare così spazio al Logos e attraverso la comunione con l’uomo Gesù condurre alla comunione con il Dio vivente.

Pag. 176-177.        

L’incarnazione della parola significa che Dio non vuole giungere esclusivamente allo spirito dell’uomo attraverso lo spirito, ma che egli li cerca attraverso il mondo materiale, che lo vuole toccare proprio in quanto essere sociale e storico. Dio vuole giungere agli uomini attraverso gli uomini. Dio è andato agli uomini in modo tale che essi si ritrovano tra di loro per lui e da lui. In questo modo l’incarnazione include la comunitarietà e la storicità della fede.

Pag. 78-79.

[...] il Figlio incarnato è la “comunione” tra Dio e gli uomini. In verità l’essere cristiano non è altro che partecipazione al mistero dell’incarnazione, o usando una formula di san Paolo: la Chiesa, in quanto e per quanto è Chiesa, è “corpo di Cristo” (ossia partecipazione dell’uomo alla comunione tra l’uomo e Dio, che è l’incarnazione della parola).

Pag. 68-70.

Infatti non si può avere il Figlio senza il Padre, Gesù senza la sua Bibbia, che noi chiamiamo Antico Testamento. […] noi abbiamo l’Antico Testamento in Gesù, nel quale la legge è giunta a compimento. […] un’unica e identica comunione: la comunione con la parola di Dio incarnata, la quale mediante la sua morte ci rende partecipi della sua vita e ci vuole così condurre anche al servizio reciproco, alla comunione visibile e vissuta.

Pag. 18.

Se il cuore entra in contatto con il Logos di Dio, con la parola fattasi uomo, questo intimo punto della sua esistenza ne è toccato. Allora non solo egli sente, ma sa, dal di dentro di se stesso: è proprio questo; è proprio Lui che io aspetto. È una sorta di riconoscimento. Poiché è per Dio, è per il Logos che noi siamo stati fatti.

 

Nei brani a fianco si identifica il Verbo o Logos (Figlio eterno, seconda Persona della Trinità) con la parola di Dio (la pienezza della verità che Dio, uno nell'essenza, trino nelle persone, ci ha voluto far conoscere su di sé e su ciò che vuole) in questo modo scompare la reale figura del Figlio eterno di Dio, unico salvatore; ciò che rimane non può salvare nessuno poiché non esiste, ovvero un uomo che incarnerebbe la parola di Dio (in questo caso solo l’Antico Testamento) vivendola; questa assurdità viene identificata con l’incarnazione del Verbo.

È invece la seconda Persona della Trinità, il Verbo, che assume da Maria vergine la carne, la natura umana, pur rimanendo in Lui la pienezza della natura divina.

Si tenta anche di estendere questo falso concetto di incarnazione a tutti, in tal modo anche i fedeli diverrebbero in sostanza Dio, in questo modo si cade in un’altra eresia, il  panteismo.

PAPA GIOVANNI PAOLO II

UDIENZA GENERALE – Mercoledì, 26 Novembre 1997

"In principio era il Verbo" (Gv 1, 1). Con queste parole Giovanni comincia il suo Vangelo facendoci risalire al di là dell'inizio del nostro tempo, fino all'eternità divina. A differenza di Matteo e di Luca che si soffermano soprattutto sulle circostanze della nascita umana del Figlio di Dio, Giovanni punta lo sguardo sul mistero della sua preesistenza divina.

In questa frase, "in principio" significa l'inizio assoluto, inizio senza inizio, l'eternità appunto. L'espressione fa eco a quella presente nel racconto della creazione: "In principio Dio creò il cielo e la terra" (Gn 1, 1). Ma nella creazione si trattava dell'inizio del tempo, mentre qui, ove si parla del Verbo, si tratta dell'eternità.

Tra i due principi, la distanza è infinita. E' la distanza tra il tempo e l'eternità, tra le creature e Dio.

2. Possedendo, come Verbo, un'esistenza eterna, Cristo ha un'origine che risale ben al di là della sua nascita nel tempo.

Questa affermazione di Giovanni si fonda su di una precisa parola di Gesù stesso. Ai giudei che gli rimproverano la pretesa di aver visto Abramo pur non avendo ancora cinquanta anni, Gesù replica: "In verità, in verità vi dico: prima che Abramo venisse all'esistenza, Io Sono" (Gv 8, 58). L'affermazione sottolinea il contrasto fra il divenire di Abramo e l'essere di Gesù. Il verbo "genésthai" usato nel testo greco per Abramo significa infatti "divenire" o "venire all'esistenza": è il verbo adatto a designare il modo di esistere proprio delle creature. Al contrario solo Gesù può dire: "Io Sono", indicando con tale espressione la pienezza dell'essere che rimane al di sopra di ogni divenire. Egli esprime così la coscienza di possedere un essere personale eterno.

PAPA GIOVANNI PAOLO II – XV GIORNATA MONDIALE DELLA GIOVENTÙ

“Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv 1,14)

2. Ho scelto come tema per la vostra XVa Giornata Mondiale la frase lapidaria con cui l’apostolo Giovanni esprime il mistero altissimo del Dio fatto uomo: “Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv 1,14). Ciò che contrassegna la fede cristiana, rispetto a tutte le altre religioni, è la certezza che l’uomo Gesù di Nazaret è il Figlio di Dio, il Verbo fatto carne, la seconda persona della Trinità venuta nel mondo.

PAPA GIOVANNI PAOLO II – “NOVO MILLENNIO INEUNTE”

21. Il Verbo e la carne, la gloria divina e la sua tenda tra gli uomini! È nell'unione intima e indissociabile di queste due polarità che sta l'identità di Cristo, secondo la formulazione classica del Concilio di Calcedonia (a. 451): « una persona in due nature ». La persona è quella, e solo quella, del Verbo eterno, figlio del Padre.

PAPA GIOVANNI PAOLO II – “FIDES ET RATIO”

Gli autori ispirati, infatti, hanno inteso formulare affermazioni vere, tali cioè da esprimere la realtà oggettiva. Non si può dire che la tradizione cattolica abbia commesso un errore quando ha compreso alcuni testi di san Giovanni e di san Paolo come affermazioni sull'essere stesso di Cristo.

SAN GIOVANNI APOSTOLO

1

[1]In principio era il Verbo,
il Verbo era presso Dio
e il Verbo era Dio.
[2]Egli era in principio presso Dio:
[3]tutto è stato fatto per mezzo di lui,
e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste. [...]

[10]Egli era nel mondo,
e il mondo fu fatto per mezzo di lui,
eppure il mondo non lo riconobbe.
[11]Venne fra la sua gente,
ma i suoi non l’hanno accolto. [...]
[14]E il Verbo si fece carne
e venne ad abitare in mezzo a noi;
e noi vedemmo la sua gloria,
gloria come di unigenito dal Padre,
pieno di grazia e di verità.
[15]Giovanni gli rende testimonianza
e grida: «Ecco l’uomo di cui io dissi:
Colui che viene dopo di me
mi è passato avanti,
perché era prima di me».

APOCALISSE

19 – [11]Poi vidi il cielo aperto, ed ecco un cavallo bianco; colui che lo cavalcava si chiamava «Fedele» e «Verace»: egli giudica e combatte con giustizia.

[12]I suoi occhi sono come una fiamma di fuoco, ha sul suo capo molti diademi; porta scritto un nome che nessuno conosce all’infuori di lui. [13]È avvolto in un mantello intriso di sangue e il suo nome è Verbo di Dio.

PAPA GIOVANNI PAOLO II – “DOMINUM ET VIVIFICANTEM”

8. Caratteristica del testo giovanneo è che il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo vengono nominati chiaramente come Persone, la prima distinta dalla seconda e dalla terza, e anche queste tra di loro.

PAPA GIOVANNI PAOLO II

UDIENZA GENERALE - Mercoledì, 10 dicembre 1997

La nascita di Gesù rende visibile il mistero dell'Incarnazione, realizzatosi già nel grembo della Vergine al momento dell'Annunciazione.

PAPA GIOVANNI PAOLO II – “MULIERIS DIGNITATEM”

Il Figlio, Verbo consostanziale al Padre, nasce come uomo da una donna, quando viene "la pienezza del tempo". [...]

Qui non si tratta solo di parole di Dio rivelate per mezzo dei profeti, ma, con questa risposta, realmente "il Verbo si fa carne" (cf. Gv 1,14). [...] Solamente in forza dello Spirito Santo, che "stese la sua ombra" su di lei, Maria poteva accettare ciò che è "impossibile presso gli uomini, ma possibile presso Dio" (cf. Mc 10,27). [...]

L’essenza della nuova alleanza consiste nel fatto che il Figlio di Dio, consostanziale all’eterno Padre, diventa uomo: accoglie l’umanità nell’unità della persona divina del Verbo. Colui che opera la redenzione è al tempo stesso un vero uomo.

CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA

291 “In principio era il Verbo. . . e il Verbo era Dio. . . Tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui niente è stato fatto” (Gv 1,1-3). Il Nuovo Testamento rivela che Dio ha creato tutto per mezzo del Verbo eterno, il Figlio suo diletto. “Per mezzo di lui sono state create tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra. . . Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui. Egli è prima di tutte le cose e tutte in lui sussistono” (Col 1,16-17). [...]

463 La fede nella reale Incarnazione del Figlio di Dio è il segno distintivo della fede cristiana: “Da questo potete riconoscere lo spirito di Dio: ogni spirito che riconosce che Gesù Cristo è venuto nella carne, è da Dio” (1Gv 4,2). [...]

464 L'evento unico e del tutto singolare dell'Incarnazione del Figlio di Dio non significa che Gesù Cristo sia in parte Dio e in parte uomo, né che sia il risultato di una confusa mescolanza di divino e di umano. Egli si è fatto veramente uomo rimanendo veramente Dio. [...] vi è " una sola ipostasi (o persona) [...], cioè il Signore nostro Gesù Cristo, Uno della Trinità ". Tutto, quindi, nell'umanità di Cristo deve essere attribuito alla sua Persona divina come al suo soggetto proprio, non soltanto i miracoli ma anche le sofferenze e così pure la morte: " Il Signore nostro Gesù Cristo, crocifisso nella sua carne, è vero Dio, Signore della gloria e Uno della Santa Trinità ".

PAPA PIO XII – “SEMPITERNUS REX CHRISTUS”  

[...] le due nature di Cristo sussistono nell'unica persona del Verbo, del Verbo cioè generato dal Padre prima di tutti i secoli, secondo la divinità, è nato da Maria nel tempo, secondo l'umanità. [...] non in due persone scisso o diviso, ma un solo e medesimo Figlio e Unigenito Dio Verbo, Signore Gesù Cristo [...].

Costoro spingono tanto innanzi lo stato e la condizione della natura umana di Cristo da sembrare che essa sia ritenuta un soggetto autonomo, come se non sussistesse nella persona dello stesso Verbo. Ma il concilio Calcedonese, in tutto concorde con quello Efesino, afferma chiaramente che le due nature del nostro Redentore convergono «in una sola persona e sussistenza» e proibisce di ammettere in Cristo due individui, di maniera che accanto al Verbo sia posto un certo «uomo assunto», dotato di piena autonomia. [...]

Solo dunque se con santa e pura fede si crede che in Cristo non c'è altra persona che quella del Verbo, in cui confluiscono le due nature, l'umana e la divina, del tutto distinte fra di loro, diverse per proprietà e operazioni, appaiono la magnificenza e la pietà della nostra redenzione, mai abbastanza esaltata. [...]

Il Verbo ha veramente patito nella sua carne, ha sparso il suo sangue sulla croce e all'eterno Padre ha pagato un sovrabbondante prezzo di soddisfazione per le nostre colpe [...].

Nessuno, allettato dalle aberrazioni dell'umana filosofia e ingannato dalle tortuosità del linguaggio umano, osi scuotere col dubbio o pervertire con nocive innovazioni il dogma definito a Calcedonia, che cioè in Cristo ci sono due vere e perfette nature, una divina e l'altra umana, congiunte insieme ma non confuse, e sussistenti nell'unica persona del Verbo.

Notificazione della Congregazione per la Dottrina della Fede

sul libro "Jesus Symbol of God" scritto da padre Roger Haight, S. J.

II. La preesistenza del Verbo
L’impostazione ermeneutica di partenza conduce l’Autore anzitutto a non riconoscere nel Nuovo Testamento la base per la dottrina della preesistenza del Verbo, neppure nel prologo di Giovanni (cfr pp. 155-178), ove, a suo dire, il Logos dovrebbe essere inteso in senso puramente metaforico (cfr p. 177). Inoltre, egli legge nel pronunciamento del Concilio di Nicea solo l’intenzione di affermare "che niente di meno che Dio era ed è presente e all’opera in Gesù" (p. 284; cfr p. 438), ritenendo che il ricorso al simbolo "Logos" sarebbe da considerarsi semplicemente come presupposto, e perciò non oggetto di definizione, e infine non plausibile nella cultura postmodema (cfr p. 281; 485). Il Concilio di Nicea, afferma l’Autore, "utilizza la Scrittura in un modo che oggi non è accettabile, e cioè come una fonte di informazioni direttamente rappresentativa di fatti o di dati oggettivi, circa la realtà trascendente" (p. 279). Il dogma di Nicea non insegnerebbe, pertanto, che il Figlio o il Logos eternamente preesistente sarebbe consustanziale al Padre e da Lui generato. L’Autore propone "una cristologia dell’incarnazione, nella quale l’essere umano creato o la persona di Gesù di Nazaret è il simbolo concreto che esprime la presenza nella storia di Dio come Logos" (p. 439).

Questa interpretazione non è conforme al dogma di Nicea, che afferma intenzionalmente, anche contro l’orizzonte culturale del tempo, la reale preesistenza del Figlio Logos del Padre, incarnatosi nella storia per la nostra salvezza.

PAPA PAOLO VI – “MYSTERIUM FILII DEI

1.  È necessario che il Mistero del Figlio di Dio fatto uomo e il mistero della Santissima Trinità, che fanno parte delle verità principali della Rivelazione, illuminino con la purezza della loro verità la vita dei cristiani. Poiché recenti errori sovvertono questi misteri, la Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede ha deciso di ricordare e di salvaguardare la fede in essi trasmessa.

2.  La fede cattolica nel Figlio di Dio fatto uomo.

   Gesù Cristo, durante la sua vita terrena, in diversi modi, con le parole e con le opere, manifestò l’adorabile mistero della sua persona. Dopo che “ divenne obbediente fino alla morte ”, fu esaltato dalla potenza di Dio nella gloriosa resurrezione, come conveniva al Figlio “ mediante il quale tutto ” è stato creato dal Padre. Di Lui S. Giovanni affermò solennemente: “ In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio ... E il Verbo si è fatto carne ”.

CONCILIO VATICANO II – “DEI VERBUM”

Cristo completa la Rivelazione

4. Dopo aver a più riprese e in più modi, parlato per mezzo dei profeti, Dio «alla fine, nei giorni nostri, ha parlato a noi per mezzo del Figlio» (Eb 1,1-2). Mandò infatti suo Figlio, cioè il Verbo eterno, che illumina tutti gli uomini, affinché dimorasse tra gli uomini e spiegasse loro i segreti di Dio (cfr. Gv 1,1-18). [...]

Relazioni tra la Scrittura e la Tradizione

9. La sacra Tradizione dunque e la sacra Scrittura sono strettamente congiunte e comunicanti tra loro. Poiché ambedue scaturiscono dalla stessa divina sorgente, esse formano in certo qual modo un tutto e tendono allo stesso fine. Infatti la sacra Scrittura è la parola di Dio in quanto consegnata per iscritto per ispirazione dello Spirito divino; quanto alla sacra Tradizione, essa trasmette integralmente la parola di Dio affidata da Cristo Signore e dallo Spirito Santo agli apostoli e ai loro successori, affinché, illuminati dallo Spirito di verità, con la loro predicazione fedelmente la conservino, la espongano e la diffondano; ne risulta così che la Chiesa attinge la certezza su tutte le cose rivelate non dalla sola Scrittura e che di conseguenza l'una e l'altra devono essere accettate e venerate con pari sentimento di pietà e riverenza.

PAPA GIOVANNI PAOLO II – “MULIERIS DIGNITATEM”

Si può dire paradossalmente che il peccato presentato in Genesi (Gen 3) è la conferma della verità circa l’immagine e somiglianza di Dio nell’uomo, se questa verità significa la libertà, cioè la libera volontà, di cui l’uomo può usare scegliendo il bene, ma può anche abusare scegliendo, contro la volontà di Dio, il male. Nel suo significato essenziale, tuttavia, il peccato è negazione di ciò che Dio è - come creatore - in relazione all’uomo e di ciò che Dio vuole, sin dall’inizio e per sempre, per l’uomo.

PAPA GIOVANNI PAOLO II – “DOMINUS IESUS”

L'obbedienza della fede comporta l'accoglienza della verità della rivelazione di Cristo, garantita da Dio, che è la Verità stessa: "La fede è innanzi tutto una adesione personale dell'uomo a Dio; al tempo stesso ed inseparabilmente, è l'assenso libero a tutta la verità che Dio ha rivelato". La fede, quindi, "dono di Dio" e "virtù soprannaturale da lui infusa", comporta una duplice adesione: a Dio, che rivela, e alla verità da lui rivelata, per la fiducia che si accorda alla persona che l'afferma. Per questo "non dobbiamo credere in nessun altro se non in Dio, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo". [...]

Fedele alla Sacra Scrittura e rifiutando interpretazioni erronee e riduttive, il primo Concilio di Nicea definì solennemente la propria fede in "Gesù Cristo, il Figlio di Dio, generato unigenito dal Padre, cioè dalla sostanza del Padre, Dio da Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero, generato, non creato, consustanziale al Padre, per mezzo del quale sono state create tutte le cose in cielo e in terra. Egli per noi uomini e per la nostra salvezza è disceso e si è incarnato, si è fatto uomo, ha patito ed è risorto il terzo giorno, è risalito al cielo e verrà a giudicare i vivi e i morti". Seguendo gli insegnamenti dei Padri, anche il Concilio di Calcedonia professò "che l'unico e identico Figlio, il Signore nostro Gesù Cristo, è egli stesso perfetto in divinità e perfetto in umanità, Dio veramente e uomo veramente [...], consustanziale al Padre secondo la divinità e consustanziale a noi secondo l'umanità [...], generato dal Padre prima dei secoli secondo la divinità e, negli ultimi giorni, egli stesso per noi e per la nostra salvezza, da Maria, la vergine Madre di Dio, secondo l'umanità".

[...] Giovanni Paolo II ha esplicitamente dichiarato: "È contrario alla fede cristiana introdurre una qualsiasi separazione tra il Verbo e Gesù Cristo [...]: Gesù è il Verbo incarnato, persona una e indivisibile [...]. Cristo non è altro che Gesù di Nazaret, e questi è il Verbo di Dio fatto uomo per la salvezza di tutti [...]. Mentre andiamo scoprendo e valorizzando i doni di ogni genere, soprattutto le ricchezze spirituali, che Dio ha elargito a ogni popolo, non possiamo disgiungerli da Gesù Cristo, il quale sta al centro del piano divino di salvezza".

È pure contrario alla fede cattolica introdurre una separazione tra l'azione salvifica del Logos in quanto tale e quella del Verbo fatto carne. Con l'incarnazione, tutte le azioni salvifiche del Verbo di Dio si fanno sempre in unità con la natura umana che egli ha assunto per la salvezza di tutti gli uomini. L'unico soggetto che opera nelle due nature, umana e divina, è l'unica persona del Verbo.

Pertanto non è compatibile con la dottrina della Chiesa la teoria che attribuisce un'attività salvifica al Logos come tale nella sua divinità, che si eserciterebbe "oltre" e "al di là" dell'umanità di Cristo, anche dopo l'incarnazione.

11. Similmente, deve essere fermamente creduta la dottrina di fede circa l'unicità dell'economia salvifica voluta da Dio Uno e Trino, alla cui fonte e al cui centro c'è il mistero dell'incarnazione del Verbo [...].

PAPA GIOVANNI PAOLO II – “ECCLESIA IN EUROPA”

Da quella Prima Assemblea Speciale era emersa l'urgenza e la necessità della « nuova evangelizzazione », nella consapevolezza che « l'Europa non deve oggi semplicemente fare appello alla sua precedente eredità cristiana: occorre infatti che sia messa in grado di decidere nuovamente del suo futuro nell'incontro con la persona e il messaggio di Gesù Cristo ».

PAPA GIOVANNI PAOLO II – “DOMINUS IESUS”

[...] come il capo e le membra di un corpo vivo pur non identificandosi sono inseparabili, Cristo e la Chiesa non possono essere confusi ma neanche separati [...].

CONCILIO DI EFESO

Ma non affermiamo neppure che il Verbo di Dio ha abitato, come in un uomo qualsiasi, in colui che è nato dalla Vergine santa, perché non si creda che Cristo sia un semplice uomo portatore di Dio. Se, infatti il Verbo di Dio abitò fra noi ed è detto che in Cristo abitò corporalmente la pienezza della divinità, crediamo però che egli si fece carne non allo stesso modo che si dice che abita nei santi, e distinguiamo nello stesso modo l'abitazione che si è fatta in lui: unito secondo natura, e non mutato affatto in carne, ebbe in essa una tale abitazione, quale si potrebbe poi dire che abbia l'anima dell'uomo nei riguardi del suo corpo.

SAN PIO X PAPA – “PASCENDI DOMINICI GREGIS”

Ma non è qui tutto il filosofare, o, a meglio dire, il delirare di costoro. Imperocché in siffatto sentimento essi non riscontrano solamente la fede: ma colla fede e nella fede stessa quale da loro è intesa, sostengono che vi si trovi altresì la Rivelazione. E che infatti può pretendersi di vantaggio per una rivelazione? O non è forse rivelazione, o almeno principio di rivelazione, quel sentimento religioso che si manifesta d'un tratto nella coscienza? Non è rivelazione l'apparire, benché in confuso, che Dio fa agli animi in quello stesso sentimento religioso? Aggiungono anzi di più che, essendo Iddio in pari tempo e l'oggetto e la causa della fede, la detta rivelazione è al tempo stesso di Dio e da Dio: ha cioè insieme Iddio e come rivelante e come rivelato. Di qui, Venerabili Fratelli, quell'assurdissimo effato dei modernisti che ogni religione, secondo il vario aspetto sotto cui si riguardi, debba dirsi egualmente naturale e soprannaturale. Di qui lo scambiar che fanno, come di pari significato, coscienza e rivelazione. Di qui la legge, per cui la coscienza religiosa si dà come regola universale, da porsi in tutto a pari della rivelazione, ed alla quale tutti hanno obbligo di sottostare, non esclusa la stessa autorità suprema della Chiesa, sia che ella insegni, sia che legiferi in materia di culto o di disciplina.

 

Pag. 352-353. “Gesù di Nazaret”

In tutti e tre i sinottici la confessione di Pietro e il racconto della trasfigurazione di Gesù sono collegati tra loro da un’indicazione temporale […] hanno a che fare l’uno con l’altro. In un primo momento potremmo dire: entrambe le volte si tratta della divinità di Gesù, il Figlio; ma entrambe le volte l’apparizione della sua gloria è legata anche al tema della passione. La divinità di Gesù va insieme alla croce; solo in questo legame riconosciamo Gesù in modo giusto.

Pag. 38-39. “Gesù di Nazaret”

[…] la voce dal cielo «Questi è il Figlio mio prediletto» (Mc 3,17) è il rimando anticipato alla risurrezione. Così si comprende il motivo per cui nei discorsi propri di Gesù la parola «battesimo» designa la sua morte (cfr. Mc 10,38; Lc 12,50).

Solo a partire da qui si può capire il battesimo cristiano. L’anticipazione della morte sulla croce, che era avvenuta nel battesimo di Gesù, e l’anticipazione della risurrezione, annunciata dalla voce dal cielo, ora sono diventate realtà. Così il battesimo con acqua di Giovanni riceve pienezza di significato dal battesimo di vita e di morte di Gesù.

Pag. 61-62. “Gesù di Nazaret”

Il Signore risorto raduna i suoi «sul monte» (cfr. Mt 28,16). E in quel momento dice effettivamente: «Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra» (28,18). […] Gesù ha questo potere in quanto risorto, che significa: questo potere presuppone la croce, presuppone la sua morte.

Pag. 366. “Gesù di Nazaret”

Questa «potenza» (namis) del regno futuro appare loro nel Gesù trasfigurato che parla con i testimoni dell’Antica Alleanza della «necessità» della sua passione come via verso la gloria (cfr. Lc 24,26s). Vedono così la Parusìa anticipata; vengono così iniziati pian piano all’intera profondità del mistero di Cristo.

Pag. 334. “Gesù di Nazaret”

[…] si può comprendere correttamente la confessione di Pietro solo nel rapporto in cui essa sta con l’annuncio della passione e con le parole di sequela […].

Pag. 96-97. “Gesù di Nazaret”

Nei paradossi dell’esperienza di vita di san Paolo, che corrispondono ai paradossi delle Beatitudini, si manifesta la stessa realtà che Giovanni aveva espresso in modo ancora diverso, qualificando la croce del Signore come «elevazione», intronizzazione nelle altezze di Dio. Giovanni riunisce in una sola parola croce e risurrezione, croce ed elevazione, perché per lui in realtà l’una è inseparabile dall’altra. La croce è l’atto dell’«esodo», l’atto di quell’amore che si prende sul serio fino all’estremo e va sino «alla fine» (Gv 13,1), e per questo essa è il luogo della gloria, il luogo del vero contatto e della vera unione con Dio, che è Amore.

Pag. 345. “Gesù di Nazaret”

Tutte e tre le forme della confessione di Pietro tramandateci dai sinottici sono «sostantivali»: tu sei il Cristo; il Cristo di Dio; il Cristo, il Figlio del Dio vivente; a queste affermazioni sostantivali il Signore affianca sempre la confessione «verbale»: il preannuncio del mistero pasquale di croce e risurrezione. I due tipi di confessione vanno insieme, e ciascuno rimane incompleto e, in sostanza, incomprensibile senza l’altro.

Pag. 326. “Gesù di Nazaret”

Gli appartengono (gli uomini) mediante l’unità della «conoscenza», nella comunione della Verità che è Egli (Dio) stesso. Come il Logos e l’incarnazione, il Logos e la passione, vanno insieme, così anche la conoscenza e il dono di sé sono, in sostanza, una cosa sola.

GIOVANNI PAOLO II

UDIENZA GENERALE –  Mercoledì, 10 dicembre 1997

La nascita di Gesù rende visibile il mistero dell'Incarnazione, realizzatosi già nel grembo della Vergine al momento dell'Annunciazione.

PAPA GIOVANNI PAOLO II – “MULIERIS DIGNITATEM”

Il Figlio, Verbo consostanziale al Padre, nasce come uomo da una donna, quando viene "la pienezza del tempo". [...]

Qui non si tratta solo di parole di Dio rivelate per mezzo dei profeti, ma, con questa risposta, realmente "il Verbo si fa carne" (cf. Gv 1,14). [...] Solamente in forza dello Spirito Santo, che "stese la sua ombra" su di lei, Maria poteva accettare ciò che è "impossibile presso gli uomini, ma possibile presso Dio" (cf. Mc 10,27). [...]

L’essenza della nuova alleanza consiste nel fatto che il Figlio di Dio, consostanziale all’eterno Padre, diventa uomo: accoglie l’umanità nell’unità della persona divina del Verbo. Colui che opera la redenzione è al tempo stesso un vero uomo.

PAPA GIOVANNI PAOLO II

UDIENZA GENERALE – Mercoledì, 17 febbraio 1988

Dio-Figlio ha assunto la natura umana, l’umanità, è diventato vero uomo, rimanendo Dio! [...] “Spogliò se stesso” non significa in alcun modo che cessò di essere Dio: sarebbe un assurdo!

CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA

464 L'evento unico e del tutto singolare dell'Incarnazione del Figlio di Dio non significa che Gesù Cristo sia in parte Dio e in parte uomo, né che sia il risultato di una confusa mescolanza di divino e di umano. Egli si è fatto veramente uomo rimanendo veramente Dio. Gesù Cristo è vero Dio e vero uomo. La Chiesa nel corso dei primi secoli ha dovuto difendere e chiarire questa verità di fede contro eresie che la falsificavano. [...]

467 I monofisiti affermavano che la natura umana come tale aveva cessato di esistere in Cristo, essendo stata assunta dalla Persona divina del Figlio di Dio. Opponendosi a questa eresia, il quarto Concilio Ecumenico, a Calcedonia, nel 451, ha confessato: “Seguendo i santi Padri, all'unanimità noi insegniamo a confessare un solo e medesimo Figlio, il Signore nostro Gesù Cristo, perfetto nella sua divinità e perfetto nella sua umanità, vero Dio e vero uomo, [composto] di anima razionale e di corpo, consostanziale al Padre per la divinità, e consostanziale a noi per l'umanità, “simile in tutto a noi, fuorché nel peccato” (Eb 4,15), generato dal Padre prima dei secoli secondo la divinità, e in questi ultimi tempi, per noi e per la nostra salvezza, nato da Maria Vergine e Madre di Dio, secondo l'umanità.”

Un solo e medesimo Cristo, Signore, Figlio unigenito, che noi dobbiamo riconoscere in due nature, senza confusione, senza mutamento, senza divisione, senza separazione. La differenza delle nature non è affatto negata dalla loro unione, ma piuttosto le proprietà di ciascuna sono salvaguardate e riunite in una sola persona e una sola ipostasi.

PAPA PAOLO VI – Professione di Fede

Noi crediamo in Nostro Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio. Egli è il Verbo eterno, nato dal Padre prima di tutti i secoli, e al Padre consustanziale, homoousios to Patri; e per mezzo di Lui tutto è stato fatto. Egli si è incarnato per opera dello Spirito nel seno della Vergine Maria, e si è fatto uomo: eguale pertanto al Padre secondo la divinità, e inferiore al Padre secondo l’umanità, ed Egli stesso uno, non per una qualche impossibile confusione delle nature ma per l’unità della persona.

CONCILIO DI BASILEA – FERRARA – FIRENZE – ROMA

(La Chiesa) Crede fermamente, professa e predica che una delle persone della Trinità, vero figlio di Dio, generato dal Padre, consostanziale al Padre e coeterno con lui, nella pienezza dei tempi, stabilita dalla inscrutabile profondità del divino consiglio, ha assunto la vera e completa natura umana nel seno immacolato della vergine Maria per la salvezza del genere umano; e che ha unito a sé questa natura in una unità personale così stretta, che tutto quello che è di Dio non è separato dall'uomo, e quello che è proprio dell'uomo non è diviso dalla divinità; ed è un essere solo ed indiviso, pur rimanendo l'una e l’altra natura con le sue proprietà; Dio e uomo; Figlio di Dio e figlio dell'uomo; uguale al Padre secondo la divinità, minore del Padre secondo l'umanità; immortale ed eterno per la natura divina, soggetto alla sofferenza e al tempo per la condizione umana che ha assunto. [...]

Ritiene, inoltre, professa e insegna "un solo e medesimo Figlio: i1 signore nostro Gesù Cristo, perfetto nella sua divinità e perfetto nella sua umanità, vero Dio e vero uomo, [composto] di anima razionale e del corpo, consostanziale al Padre per la divinità e consostanziale a noi per l'umanità, simile in tutto a noi, fuorché nel peccato, generato dal Padre prima dei secoli secondo la divinità, e in questi ultimi tempi per noi e per la nostra salvezza da Maria vergine e madre di Dio, secondo l'umanità, uno e medesimo Cristo signore unigenito; da riconoscersi in due nature, senza confusione, immutabili, indivise, inseparabili, non essendo venuti meno la differenza delle nature a causa delle loro unione, ma essendo stata, anzi, salvaguardata la proprietà di ciascuna natura, e concorrendo a formare una sola persona e ipostasi; Egli non è diviso o separato in due persone, ma è un unico e medesimo Figlio, unigenito, Dio, verbo e signore Gesù Cristo".

CONCILIO DI EFESO

Seguendo in tutto le confessioni che i santi Padri hanno formulato sotto l'ispirazione dello Spirito Santo, e le orme dei loro pensieri, battendo la via regia, noi diciamo che il Verbo unigenito di Dio, nato dalla stessa sostanza del Padre, Dio vero da Dio vero, luce da luce, mediante il quale sono state fatte tutte le cose in cielo e in terra, è lo stesso che è disceso (dal cielo) per la nostra salvezza, si è umiliato sino all'annientamento, si è incarnato e si è fatto uomo, ossia, prendendo la carne dalla santa Vergine e facendola propria, è nato come noi dal seno materno, ed è diventato uomo dalla donna, senza rinunziare a quello che era; ma, pur assumendo la carne e il sangue, rimase anche così ciò che era: Dio, per natura e secondo verità. Né diciamo con ciò che la carne sia passata nella natura della divinità, né che la ineffabile natura del Verbo di Dio si sia trasformata nella natura della carne: infatti, è assolutamente immutabile, sempre identico a sé stesso, secondo le Scritture.

CONCILIO DI CALCEDONIA

Dopo la resurrezione del Signore, poi, che avvenne certamente nel vero corpo, poiché non altri risuscitò se non quegli che era stato crocifisso ed era morto, che altro Egli fece, nello spazio di quaranta giorni, se non rendere pura ed integra la nostra fede da ogni errore? [...] perché si potesse costatare che le proprietà della natura divina e di quella umana rimanevano in lui; e così sapessimo che il Verbo non è la stessa cosa che la carne, e confessassimo che il Verbo e la carne costituiscono un solo Figlio di Dio.

Pag. 386-387-388.

“Gesù di Nazaret”

[…] Paolo dice ai giudei radunati nella sinagoga di Antioca di Pisidia: «La promessa fatta ai padri si è compiuta, poiché Dio l’ha attuata per noi, loro figli, risuscitando Gesù, come anche sta scritto nel Salmo secondo: Mio figlio sei tu, oggi ti ho generato». […] ora è la risurrezione di Gesù che viene creduta come l’«oggi» atteso del Salmo. Ora Dio ha costituito il suo re, cui dà di fatto in eredità le genti. […] Egli regna dalla croce, […] questo re regna attraverso la fede e l’amore, non diversamente. Così la parola di Dio: «Tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato» può essere intesa ora in maniera del tutto nuova e definitiva. Il termine «Figlio di Dio» si stacca dalla sfera del potere politico e diventa espressione di un’unione particolare con Dio che si manifesta sulla croce e nella risurrezione. […]

Si incontrano quindi in questo momento della storia la rivendicazione della regalità divina da parte dell’imperatore romano e la convinzione cristiana che il Cristo risorto è il vero Figlio di Dio, cui appartengono i popoli della terra e a cui solo, nell’unità di Padre, Figlio e Spirito Santo, spetta l’adorazione dovuta a Dio.

 

Pag. 173-174. “Gesù di Nazaret”

Ma il Dio che chiama Mosè è veramente Dio. […] Così la risposta di Dio è insieme rifiuto e assenso. Egli dice di sé semplicemente: «Io sono colui che sono» […]. Ciò che giunge a compimento nell’incarnazione ha avuto inizio con la consegna del nome. Di fatto vedremo nella riflessione sulla preghiera sacerdotale di Gesù che Egli lì si presenta come il nuovo Mosè: «Ho fatto conoscere il tuo nome agli uomini…» (Gv 17,6). Ciò che ebbe inizio presso il roveto ardente nel deserto del Sinai si compie presso il roveto ardente della croce. Dio ora è davvero divenuto accessibile nel suo Figlio fatto uomo.

Pag. 399. “Gesù di Nazaret”

Dopo la domanda dei giudei – che è anche la nostra domanda –: «Tu chi sei?», Gesù rinvia innanzitutto a Colui che l’ha mandato e a nome del quale Egli parla al mondo. Ripete ancora una volta la formula di rivelazione, l’«Io Sono», che però ora estende alla storia futura. «Quando avrete innalzato il Figlio dell’uomo, allora saprete che Io Sono» (Gv 8,28). Sulla croce il suo essere il Figlio, il suo essere una cosa sola con il Padre, diventa riconoscibile. La croce è la vera «altezza». È l’altezza dell’amore «sino alla fine» (Gv 13,1); sulla croce Gesù è all’«altezza» di Dio, che è Amore. Lì si può «conoscerlo», si può capire l’«Io Sono».

   Il roveto ardente è la croce. La suprema pretesa di rivelazione, l’«Io Sono» e la croce di Gesù sono inseparabili. Qui non troviamo una speculazione metafisica, ma la realtà di Dio si manifesta qui nel bel mezzo della storia, per noi.

Pag. 312-313-314. “Gesù di Nazaret”

Ma oltre l’incarnazione del Verbo è necessario ancora un altro passo, che Gesù menziona nelle parole conclusive del suo discorso: la sua carne è vita «per» il mondo (Gv 6,51). Con ciò si allude, al di là dell’atto dell’incarnazione, allo scopo intrinseco e alla realizzazione ultima di essa: il dono che Gesù fa di sé fino alla morte e il mistero della croce. […] teologia dell’incarnazione e teologia della croce si intrecciano; sono inseparabili l’una dall’altra. Non si può opporre la teologia pasquale dei sinottici e di san Paolo a una presunta pura teologia dell’incarnazione di san Giovanni. L’incarnazione del Verbo di cui parla il Prologo mira, appunto, all’offerta del corpo sulla croce, che diventa a noi accessibile nel sacramento. […]

Il discorso del pane pronunciato da Gesù, da una parte, orienta il grande movimento dell’incarnazione e della via pasquale verso il sacramento in cui incarnazione e Pasqua sempre coesistono, […] l’Eucaristia appare come il permanente grande incontro dell’uomo con Dio, in cui il Signore dà se stesso come «carne» affinché noi – in Lui e nella partecipazione al suo cammino – possiamo diventare «spirito»: come Egli, attraverso la croce, si è trasformato in un nuovo genere di corporeità e di umanità, che si compenetra con la natura di Dio, così questo mangiare deve essere anche per noi un’apertura dell’esistenza, un passaggio attraverso la croce e un’anticipazione della nuova esistenza della vita in Dio e con Dio. […] soltanto attraverso la croce e attraverso la trasformazione da essa operata, questa carne diviene a noi accessibile e trascina anche noi nel processo della trasformazione.

MESSAGGIO URBI ET ORBI
DI SUA SANTITÀ GIOVANNI PAOLO II

NATALE 1987

Ascoltiamo, insieme all’Apostolo, le parole dall’Alto: “Mio figlio sei tu, 
oggi ti ho generato” (At 13, 33; Eb 1, 5).
Questo “oggi” è il “giorno” dell’Eternità divina.
E la Chiesa intera grida con esultanza:
“Dio da Dio, Luce da Luce.
Generato, non creato, della stessa sostanza del Padre”. 
“Oggi ti ho generato,
mio figlio sei tu”. 
E dal Generante e dal Generato procede lo Spirito:
il Soffio del Padre e del Figlio

L’Amore, il Dono increato.
L’insondabile vincolo della Trinità. [...]

Ed è in te, Figlio-Verbo:  “generato prima di ogni creatura” (Col 1, 15). 
Il Padre ti introduce oggi
(Natale) nel mondo. [...]
E così “noi vedemmo la sua gloria”. 
Vedemmo la sua gloria “come di unigenito del Padre” (Gv 1, 14)
 
durante tutti i giorni della sua vita in terra [...]
L’“oggi” dell’eternità divina si fa presente 
nell’“oggi” quotidiano del Figlio di Dio in terra
. [...]

O incontenibile, consustanziale al Padre, 
che - per opera dell’Eterno Spirito - ti sei lasciato contenere 
dal grembo materno della Vergine
nel momento dell’annunciazione.
 

Che ti lasci, oggi, stringere 
dalle sue mani, dalle sue braccia 
e succhi al materno seno, come ogni bambino umano! [...]

colui al quale il Padre dice eternamente: 
“Mio figlio sei tu, oggi ti ho generato”.
 
Colui che per noi e per la nostra salvezza
“discese” dal Padre, si è incarnato nel seno della Vergine Maria
e si è fatto Uomo

PAPA GIOVANNI PAOLO II

UDIENZA GENERALE – Mercoledì, 26 Novembre 1997

"In principio era il Verbo" (Gv 1, 1). Con queste parole Giovanni comincia il suo Vangelo facendoci risalire al di là dell'inizio del nostro tempo, fino all'eternità divina. A differenza di Matteo e di Luca che si soffermano soprattutto sulle circostanze della nascita umana del Figlio di Dio, Giovanni punta lo sguardo sul mistero della sua preesistenza divina.

In questa frase, "in principio" significa l'inizio assoluto, inizio senza inizio, l'eternità appunto. L'espressione fa eco a quella presente nel racconto della creazione: "In principio Dio creò il cielo e la terra" (Gn 1, 1). Ma nella creazione si trattava dell'inizio del tempo, mentre qui, ove si parla del Verbo, si tratta dell'eternità.

Tra i due principi, la distanza è infinita. E' la distanza tra il tempo e l'eternità, tra le creature e Dio.

2. Possedendo, come Verbo, un'esistenza eterna, Cristo ha un'origine che risale ben al di là della sua nascita nel tempo.

Questa affermazione di Giovanni si fonda su di una precisa parola di Gesù stesso. Ai giudei che gli rimproverano la pretesa di aver visto Abramo pur non avendo ancora cinquanta anni, Gesù replica: "In verità, in verità vi dico: prima che Abramo venisse all'esistenza, Io Sono" (Gv 8, 58). L'affermazione sottolinea il contrasto fra il divenire di Abramo e l'essere di Gesù. Il verbo "genésthai" usato nel testo greco per Abramo significa infatti "divenire" o "venire all'esistenza": è il verbo adatto a designare il modo di esistere proprio delle creature. Al contrario solo Gesù può dire: "Io Sono", indicando con tale espressione la pienezza dell'essere che rimane al di sopra di ogni divenire. Egli esprime così la coscienza di possedere un essere personale eterno.

3. Applicando a sé l'espressione "Io Sono", Gesù fa suo il nome di Dio, rivelato a Mosè nell'Esodo. Dopo avergli dato la missione di liberare il suo popolo dalla schiavitù in Egitto, Jahvè, il Signore gli assicura assistenza e vicinanza, e quasi come pegno della sua fedeltà gli svela il mistero del suo nome: "Io sono colui che sono" (Es 3, 14). Mosè potrà dunque dire agli Israeliti: "Io-Sono mi ha mandato a voi" (Ibid.). Questo nome esprime la presenza salvifica di Dio a favore del suo popolo, ma anche il suo mistero inaccessibile.

Gesù fa suo questo nome divino. Nel Vangelo di Giovanni questa espressione appare più volte sulle sue labbra (cfr Gv 8, 24.28.58; 13, 19). Con essa Gesù mostra efficacemente che l'eternità, nella sua persona, non solo precede il tempo, ma entra nel tempo.

Pur condividendo la condizione umana, Gesù ha coscienza del suo essere eterno che conferisce un valore superiore a tutta la sua attività. [...]

La liberazione dal male era stata prefigurata nell'Antica Alleanza, ma solo Cristo la può pienamente realizzare. Solo Lui, come Figlio, dispone di un potere eterno sulla storia umana: "Se il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero" (Gv 8, 36). La Lettera agli Ebrei sottolinea fortemente questa verità, mostrando come l'unico sacrificio del Figlio ci abbia ottenuto una "redenzione eterna" (Eb 9, 12), superando di gran lunga il valore dei sacrifici dell'Antica Alleanza.

La nuova creazione può essere realizzata soltanto da Colui che è onnipotente, poiché implica la comunicazione della vita divina all'esistenza umana.

5. La prospettiva dell'origine eterna del Verbo, particolarmente sottolineata dal Vangelo di Giovanni, ci stimola a penetrare nella profondità del mistero di Cristo.

Andiamo, dunque, verso il Giubileo professando sempre più fortemente la nostra fede in Cristo, "Dio da Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero". Queste espressioni del Credo ci aprono la via al mistero, sono un invito ad accostarlo. Gesù continua a testimoniare alla nostra generazione, come duemila anni fa ai suoi discepoli ed ascoltatori, la consapevolezza della sua identità divina: il mistero dell'Io Sono.

PAPA GIOVANNI PAOLO II – “FIDES ET RATIO”

Gli autori ispirati, infatti, hanno inteso formulare affermazioni vere, tali cioè da esprimere la realtà oggettiva. Non si può dire che la tradizione cattolica abbia commesso un errore quando ha compreso alcuni testi di san Giovanni e di san Paolo come affermazioni sull'essere stesso di Cristo.

SAN PIO X PAPA – “PASCENDI DOMINICI GREGIS”

(Dicono i modernisti) un doppio Cristo; l'uno reale, l'altro che veramente non mai esisté ma appartiene alla fede; l'uno che visse in determinato luogo e tempo, l'altro che solo s'incontra nelle pie meditazioni della fede; tale, per mo' d'esempio, è il Cristo descrittoci nell'Evangelio giovanneo, il qual Vangelo, affermano, non è che una meditazione.

PAPA GIOVANNI PAOLO II – XV GIORNATA MONDIALE DELLA GIOVENTÙ

“Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv 1,14)

2. Ho scelto come tema per la vostra XVa Giornata Mondiale la frase lapidaria con cui l’apostolo Giovanni esprime il mistero altissimo del Dio fatto uomo: “Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv 1,14). Ciò che contrassegna la fede cristiana, rispetto a tutte le altre religioni, è la certezza che l’uomo Gesù di Nazaret è il Figlio di Dio, il Verbo fatto carne, la seconda persona della Trinità venuta nel mondo.

Notificazione della Congregazione per la Dottrina della Fede

sul libro "Jesus Symbol of God" scritto da padre Roger Haight, S. J.

II. La preesistenza del Verbo
L’impostazione ermeneutica di partenza conduce l’Autore anzitutto a non riconoscere nel Nuovo Testamento la base per la dottrina della preesistenza del Verbo, neppure nel prologo di Giovanni (cfr pp. 155-178), ove, a suo dire, il Logos dovrebbe essere inteso in senso puramente metaforico (cfr p. 177). Inoltre, egli legge nel pronunciamento del Concilio di Nicea solo l’intenzione di affermare "che niente di meno che Dio era ed è presente e all’opera in Gesù" (p. 284; cfr p. 438), ritenendo che il ricorso al simbolo "Logos" sarebbe da considerarsi semplicemente come presupposto, e perciò non oggetto di definizione, e infine non plausibile nella cultura postmodema (cfr p. 281; 485). Il Concilio di Nicea, afferma l’Autore, "utilizza la Scrittura in un modo che oggi non è accettabile, e cioè come una fonte di informazioni direttamente rappresentativa di fatti o di dati oggettivi, circa la realtà trascendente" (p. 279). Il dogma di Nicea non insegnerebbe, pertanto, che il Figlio o il Logos eternamente preesistente sarebbe consustanziale al Padre e da Lui generato. L’Autore propone "una cristologia dell’incarnazione, nella quale l’essere umano creato o la persona di Gesù di Nazaret è il simbolo concreto che esprime la presenza nella storia di Dio come Logos" (p. 439).

Questa interpretazione non è conforme al dogma di Nicea, che afferma intenzionalmente, anche contro l’orizzonte culturale del tempo, la reale preesistenza del Figlio Logos del Padre, incarnatosi nella storia per la nostra salvezza.

 

Vedere anche le condanne del Magistero alle eresie dell’“adozionismo”.

 

Pag. 197. “Dio e il mondo”                                                     

Se dunque quest’uomo-Dio, come dicono le Scritture, vuole riunirci tutti nel suo corpo, vuole accoglierci in una comunione corporea vivente, così come uomo e donna sono diventati, secondo la Bibbia, una sola carne, vediamo allora che non si tratta di un evento singolo che scompare così come è venuto. No, è una frattura, un inizio in cui Cristo ci accoglie grazie all’Eucaristia, ai Sacramenti, al Battesimo. In questo senso avviene davvero qualcosa che va al di là di ogni processo evolutivo, la fusione di uomo e Dio, di creatura e Creatore.

Pag. 364. “Dio e il mondo”

La natura dei sacramenti è ben diversa. La fede non è qualcosa che aleggia nell’etere: essa irrompe nel mondo materiale. Grazie ai segni del mondo materiale noi veniamo posti in contatto con Dio. I segni sono dunque l’espressione della corporeità della nostra fede. La compenetrazione di sensi e spirito è la continuazione dell’incarnazione divina e della sua volontà di comunicare con noi a partire dalle cose di questa terra.

Pag. 82. “La Comunione nella Chiesa”

Il concilio di Calcedonia aveva descritto il contenuto teologico dell’incarnazione con la nota formula delle due nature in una persona. Il terzo concilio di Costantinopoli però si trovò – dopo tutta la disputa che questa ontologia aveva provocato – di fronte alla domanda: qual è il contenuto spirituale di tale ontologia? O più concretamente: che cosa significa praticamente ed esistenzialmente l’espressione: “una persona in due nature”? Come può una persona vivere con due volontà e con un intelletto duplice? Non si trattava, peraltro, di mere questioni legate a pura curiosità intellettuale; qui siamo in gioco proprio noi stessi, è in gioco la domanda: come possiamo vivere da battezzati, e dunque da persone per le quali, come afferma Paolo, deve valere: “Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me” (Gal 2,20)?

Pag. 84. “La Comunione nella Chiesa”

Noi abbiamo sinora stabilito: l’incarnazione del Figlio crea la comunione tra Dio e l’uomo e spalanca in tal modo anche la possibilità d’una nuova comunione degli uomini tra di loro. Questa comunione tra Dio e l’uomo, la quale è realizzata nella persona di Gesù Cristo, ora diviene, a sua volta, comunicabile nel mistero della Pasqua, ossia nella morte e nella risurrezione del Signore.

Pag. 155. “La Comunione nella Chiesa”

L’istituzione (Chiesa) non è una inevitabile, ma teologicamente irrilevante o addirittura dannosa esteriorità, ma appartiene nel suo nucleo essenziale alla concretezza dell’incarnazione.

Pag. 313-314. “Gesù di Nazaret”

Il discorso del pane pronunciato da Gesù, da una parte, orienta il grande movimento dell’incarnazione e della via pasquale verso il sacramento in cui incarnazione e Pasqua sempre coesistono, […] l’Eucaristia appare come il permanente grande incontro dell’uomo con Dio, in cui il Signore dà se stesso come «carne» affinché noi – in Lui e nella partecipazione al suo camminopossiamo diventare «spirito»: come Egli, attraverso la croce, si è trasformato in un nuovo genere di corporeità e di umanità, che si compenetra con la natura di Dio, così questo mangiare deve essere anche per noi un’apertura dell’esistenza, un passaggio attraverso la croce e un’anticipazione della nuova esistenza della vita in Dio e con Dio. […] soltanto attraverso la croce e attraverso la trasformazione da essa operata, questa carne diviene a noi accessibile e trascina anche noi nel processo della trasformazione.

CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA

464 L'evento unico e del tutto singolare dell'Incarnazione del Figlio di Dio non significa che Gesù Cristo sia in parte Dio e in parte uomo, né che sia il risultato di una confusa mescolanza di divino e di umano. Egli si è fatto veramente uomo rimanendo veramente Dio. Gesù Cristo è vero Dio e vero uomo. La Chiesa nel corso dei primi secoli ha dovuto difendere e chiarire questa verità di fede contro eresie che la falsificavano.

PAPA GIOVANNI PAOLO II

UDIENZA GENERALE

Mercoledì, 17 febbraio 1988

Siamo di nuovo di fronte all’unico Uomo-Dio, vero Uomo e vero Dio. La catechesi ci riporta continuamente a lui, perché crediamo e, credendo, preghiamo e adoriamo.

CONCILIO DI EFESO

Ma non affermiamo neppure che il Verbo di Dio ha abitato, come in un uomo qualsiasi, in colui che è nato dalla Vergine santa, perché non si creda che Cristo sia un semplice uomo portatore di Dio. Se, infatti il Verbo di Dio abitò fra noi ed è detto che in Cristo abitò corporalmente la pienezza della divinità, crediamo però che egli si fece carne non allo stesso modo che si dice che abita nei santi, e distinguiamo nello stesso modo l'abitazione che si è fatta in lui: unito secondo natura, e non mutato affatto in carne, ebbe in essa una tale abitazione, quale si potrebbe poi dire che abbia l'anima dell'uomo nei riguardi del suo corpo.

PAPA GIOVANNI XXII

“IN AGRO DOMINICO”

Condanna delle seguenti eresie.

(11) Tutto ciò che Dio Padre ha dato al suo unigenito Figlio nella natura umana, tutto questo ha dato a me. In questo non escludo nulla, né l’unione, né la santità, ma tutto egli ha dato a me come a lui.

(12) Tutto ciò che la sacra Scrittura dice di Cristo, tutto questo si dimostra vero anche di ogni uomo buono e divino. [...]

 

Pag. 172. “Gesù di Nazaret”

[...] la paternità terrena separa, quella celeste unisce: cielo significa dunque quell’altra altezza di Dio, dalla quale tutti noi veniamo e verso la quale tutti noi dobbiamo essere in cammino.

Pag. 175. “Gesù di Nazaret”

Mi preoccupo che la santa coabitazione di Dio con noi non trascini Lui nel sudiciume, ma elevi noi alla sua purezza e santità?

Pag. 185-186. “Gesù di Nazaret”

(tema: “dacci oggi il nostro pane quotidiano”)

Alcune traduzioni antiche vanno in questa direzione [...] interpretandola nel senso della «sostanza» nuova, superiore, che il Signore ci dona nel santo Sacramento quale vero pane della nostra vita.

Pag. 241. “Gesù di Nazaret”

La parola greca usata nella parabola (del figliol prodigo) per indicare il patrimonio sperperato ha nel linguaggio dei filosofi greci il significato di «sostanza», di natura. Il figlio prodigo sperpera la sua natura, se stesso.

Pag. 389. “Gesù di Nazaret”

[...] nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare.”» (Mt 11,25ss; cfr. Lc 10,21s).

   Cominciamo da quest’ultima frase, a partire dalla quale si chiude il tutto.

Solo il Figlio «conosce» davvero il Padre: la conoscenza richiede sempre in qualche modo l’uguaglianza. «L’occhio non potrebbe vedere il sole se non avesse in sé la natura del sole» ha scritto Goethe commentando una parola di Plotino.

Pag. 6. “La Comunione nella Chiesa”

[...] l’unità alla quale Dio ci chiama ha il suo più intimo fondamento e il suo punto di arrivo nel mistero della sua unità di tre persone.

Pag. 80. “La Comunione nella Chiesa”

Perciò l’uomo, che assume questo pane (l’eucaristia), viene da esso assimilato, viene da esso assunto, viene unito a questo pane e diviene pane come Cristo stesso [...] la comunione con Cristo si rivela una comunicazione anche con tutti coloro che gli appartengono: in essa io vengo a far parte di questo nuovo pane che egli crea nella transustansazione dell’intera realtà terrena.

Pag. 105. “La Comunione nella Chiesa”

Ricevere l’eucaristia [...] significa: fusione delle esistenze, profonda analogia spirituale con ciò che avviene nell’unione di un uomo e di una donna sul piano fisico-psicologico-spirituale. Qui si adempie il sogno della fusione di divinità e di umanità, dell’abbattimento dei limiti creaturali [...].

Pag. 91. “Dio e il mondo”

[...] laddove si è fatto ricorso a metafore materne del divino queste hanno trasformato la concezione della creazione fino a che, all’idea di creazione, si è sostituita quella di emanazione, di parto, e poi ne sono scaturiti modelli quasi necessariamente panteistici. Al contrario, il Dio rappresentato nell’immagine paterna crea tramite la Parola e proprio da qui deriva la specifica differenza tra creazione e creatura.

PAPA GIOVANNI PAOLO II

UDIENZA GENERALEMercoledì, 29 gennaio 1986

1. La verità che Dio ha creato, che cioè ha tratto dal nulla tutto ciò che esiste al di fuori di lui, sia il mondo che l’uomo, trova una sua espressione già nella prima pagina della Sacra Scrittura, anche se la sua piena esplicitazione si ha soltanto nello sviluppo successivo della rivelazione. [...]

Il magistero della Chiesa ha confermato con particolare solennità e vigore la verità che la creazione del mondo è opera di Dio nel Concilio Vaticano I, in risposta alle tendenze del pensiero panteistico e materialistico del tempo. Quei medesimi orientamenti sono presenti anche nel nostro secolo in alcuni sviluppi delle scienze esatte e delle ideologie atee. [...]

È contro la fede sostenere che le creature, anche quelle spirituali, sono una emanazione della sostanza divina, o affermare che l’Essere divino col suo manifestarsi o evolversi diventi ogni cosa.

BEATO PIO IX PAPA – “DEI FILIUS”

Questo solo vero Dio, per la Sua bontà e per la Sua onnipotente virtù, non già per accrescere od acquistare la Sua beatitudine, ma per manifestare la Sua perfezione attraverso i beni che dona alle Sue creature, con liberissima decisione fin dal principio del tempo produsse dal nulla l'una e l'altra creatura contemporaneamente, la spirituale e la corporale, cioè l'angelica e la terrena, e quindi l'umana, costituita in comune di spirito e di corpo. [...]

Se qualcuno non dichiara che il mondo e tutte le cose che in esso sono contenute, sia spirituali, sia materiali, secondo tutta la loro sostanza, sono stati da Dio prodotti dal nulla [...] sia anatema.

QUARTO CONCILIO LATERANENSE

Il Padre genera, il Figlio nasce, lo Spirito Santo procede. Sono consostanziali e coeguali, coonnipotenti e coeterni, principio unico di tutto, creatore di tutte le cose visibili e invisibili, spirituali e materiali. Con la sua onnipotente potenza fin dal principio del tempo creò dal nulla l'uno e l'altro ordine di creature: quello spirituale e quello materiale, cioè gli angeli e il mondo, e poi l'uomo, quasi partecipe dell'uno e dell'altro, composto di anima e di corpo. [...]

In Dio, quindi, vi è solo una Trinità, non una quaternità, poiché ognuna delle tre persone è quella sostanza, essenza o natura divina, la quale è, essa sola, principio di tutte le cose, e fuori della quale non se ne può trovare altra. Essa non genera, non è generata, non procede, ma è il Padre che genera, il Figlio che è generato, lo Spirito Santo che procede; in tale modo vi è distinzione nelle persone e unità nella natura. [...]

Quando, allora, la Verità prega il Padre per i suoi fedeli, dicendo: "Voglio, Padre, che essi siano una cosa sola in noi, come noi siamo una cosa sola", il termine una cosa sola quando si tratta dei fedeli si deve prendere nel senso di unione della carità nella grazia; per le persone divine, invece, deve intendersi come unità di identità nella natura, come altrove dice la Verità: Siate Perfetti com'è perfetto il vostro Padre celeste. E’ come se dicesse, più chiaramente: "Siate perfetti della perfezione della grazia, come il vostro Padre celeste è perfetto della perfezione che gli è naturale", cioè ciascuno a suo modo, perché tra il creatore e la creatura per quanto la somiglianza sia grande, maggiore è la differenza. [...]

Scomunichiamo e anatematizziamo ogni eresia che si erge contro la santa, ortodossa e cattolica fede, come l'abbiamo esposta sopra.

PAPA PAOLO VI – Professione di Fede

Egli è stato sepolto e, per suo proprio potere, è risorto nel terzo giorno, elevandoci con la sua Resurrezione alla partecipazione della vita divina, che è la vita della grazia.

CONCILIO DI BASILEA – FERRARA – FIRENZE – ROMA

la sacrosanta chiesa romana, fondata dalla voce del nostro Signore e Salvatore [...] Crede fermissimamente, ritiene e predica che un solo, vero Dio, Padre, Figlio e Spirito santo, è il creatore di tutte le cose visibili e invisibili, il quale, quando volle, creò per sua bontà tutte le creature, spirituali e materiali: buone, naturalmente, perché hanno origine dal sommo bene, ma mutevoli, perché fatte dal nulla; ed afferma che non vi è natura cattiva in sé stessa, perché ogni natura, in quanto tale, è buona.

BEATO PIO IX PAPA – “DEI FILIUS”

Imperversando poi dovunque questa empietà, accadde miserabilmente che molti, pure figli della Chiesa cattolica, si smarrirono dalla via della vera pietà, ed oscurandosi in loro a poco a poco le verità, si attenuò anche il sentire cattolico. Trasportati da queste instabili e speciose dottrine, confondendo malamente la natura con la grazia, la scienza umana con la fede divina, arrivano a corrompere il senso genuino dei dogmi professati dalla Santa Madre Chiesa e mettono in pericolo l'integrità e la sincerità della fede. [...]

2. Se qualcuno non arrossirà affermando che nulla esiste all'infuori della materia: sia anatema.

3. Se qualcuno dirà che unica e identica è la sostanza, o l'essenza, di Dio e di tutte le cose: sia anatema.

4. Se qualcuno dirà che le cose finite, sia materiali, sia spirituali, o almeno le spirituali, sono emanate dalla sostanza divina;

ovvero che la divina essenza per la sua manifestazione ed evoluzione diventa ogni cosa;

ovvero infine che Dio è ente universale od indefinito, il quale determinando se stesso costituisce l'universo delle cose, distinto in generi, specie ed individui: sia anatema.

PAPA GIOVANNI XXII – “IN AGRO DOMINICO”

Condanna delle seguenti eresie.

(10) Noi siamo totalmente trasformati in Dio e siamo in lui commutati; in modo simile, come nel sacramento il pane è commutato nel corpo di Cristo, così io sono commutato in lui, poiché lui stesso mi fa essere uno con se stesso, non simile. Da parte del Dio vivente, è vero che lì non c’è alcuna distinzione.

(11) Tutto ciò che Dio Padre ha dato al suo unigenito Figlio nella natura umana, tutto questo ha dato a me. In questo non escludo nulla, né l’unione, né la santità, ma tutto egli ha dato a me come a lui.

(12) Tutto ciò che la sacra Scrittura dice di Cristo, tutto questo si dimostra vero anche di ogni uomo buono e divino.

PAPA GIOVANNI PAOLO II – “MULIERIS DIGNITATEM”

8. La presentazione dell’uomo come "immagine e somiglianza di Dio" subito all’inizio della Sacra Scrittura riveste anche un altro significato. Questo fatto costituisce la chiave per comprendere la rivelazione biblica come un discorso di Dio su se stesso. Parlando di sé sia "per mezzo dei profeti, sia per mezzo del Figlio" (cf. Eb 1,1.2) fattosi uomo, Dio parla con linguaggio umano, usa concetti e immagini umane. Se questo modo di esprimersi è caratterizzato da un certo antropomorfismo, la ragione sta nel fatto che l’uomo è "simile" a Dio: creato a sua immagine e somiglianza. E allora anche Dio è in qualche misura "simile" all’uomo, e, proprio in base a questa somiglianza, egli può essere conosciuto dagli uomini. Allo stesso tempo il linguaggio della Bibbia è sufficientemente preciso per segnare i limiti della "somiglianza" i limiti dell’"analogia". Infatti, la rivelazione biblica afferma che, se è vera la "somiglianza" dell’uomo con Dio, è ancor più essenzialmente vera la "non-somiglianza" (cf. Nm 23,19; Os 11,9; Is 40,18; 46,5; cf. "insuper Conc. Oec. Later. IV": Denz-Schönm, 806), che separa dal Creatore tutta la creazione. In definitiva, per l’uomo creato a somiglianza di Dio, Dio non cessa di essere colui "che abita una luce inaccessibile" (1Tm 6,16): è il "diverso" per essenza, il "totalmente altro".

XI SINODO DI TOLEDO – PROFESSIONE DI FEDE

Onde l'unico Cristo è nell'unità della persona perfetto Dio e perfetto uomo; tuttavia non per questo, per aver detto che nel Figlio sono due nature, affermeremo che in lui ci sono due persone, affinché non sembri accedere alla Trinità - sia ben lontano! - una quarta persona.

BEATO PIO IX PAPA –  “SYLLABUS”

Condanna del seguente errore.

I. Non esiste niun Essere divino, supremo, sapientissimo, provvidentissimo, che sia distinto da quest’universo, e Iddio non è altro che la natura delle cose, e perciò va soggetto a mutazioni, e Iddio realmente vien fatto nell’uomo e nel mondo, e tutte le cose sono Dio ed hanno la sostanza stessissima di Dio; e Dio è una sola e stessa cosa con il mondo, e quindi si identificano parimenti tra loro, spirito e materia, necessità e libertà, vero e falso, bene e male, giusto ed ingiusto.

 

“Gesù di Nazaret”

Pag. 10. Faccio osserva­re al riguardo: non avevano bisogno di «rivestirlo» (il Figlio di Dio) di car­ne, Egli si era davvero fatto carne.

Pag. 314. [...] Egli (Gesù), attraverso la croce, si è trasformato in un nuovo genere di corporeità e di umanità, che si compenetra con la natura di Dio [...].

 

 “Dio e il mondo”

Pag. 324. [...] fusione nella persona di Gesù Cristo tra natura umana e natura divina.

Pag. 296. Ma qualcos’altro ancora viene prefigurato nell’ultima cena: la risurrezione. Carne morta, un corpo morto non possono essere consumati come cibo. Solo perché risorgerà il suo corpo e il suo sangue sono nuovi. Allora non è più cannibalismo ma comunione con il Risorto che continua a vivere.

Pag. 297. [...] “l’alchimia dell’essere”. Qui la volontà di Gesù diventa tutt’uno con la volontà del Figlio e con quella del Padre. [...] fondersi della volontà umana con quella divina [...].

 

“La Comunione nella Chiesa”

Pag. 81.

Gesù Cristo – come abbiamo riconosciuto nelle precedenti riflessioni – apre la strada all’impossibile, alla comunione tra Dio e l’uomo, poiché egli, la Parola incarnata, è questa comunione. In Lui troviamo realizzata quell’“alchimia” che introduce la natura umana nella natura divina fondendola con essa.

PAPA GIOVANNI PAOLO II

UDIENZA GENERALE – Mercoledì, 17 febbraio 1988

Dio-Figlio ha assunto la natura umana, l’umanità, è diventato vero uomo, rimanendo Dio! [...] “Spogliò se stesso” non significa in alcun modo che cessò di essere Dio: sarebbe un assurdo!

CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA

464 L'evento unico e del tutto singolare dell'Incarnazione del Figlio di Dio non significa che Gesù Cristo sia in parte Dio e in parte uomo, né che sia il risultato di una confusa mescolanza di divino e di umano. Egli si è fatto veramente uomo rimanendo veramente Dio. Gesù Cristo è vero Dio e vero uomo. La Chiesa nel corso dei primi secoli ha dovuto difendere e chiarire questa verità di fede contro eresie che la falsificavano. [...]

467 I monofisiti affermavano che la natura umana come tale aveva cessato di esistere in Cristo, essendo stata assunta dalla Persona divina del Figlio di Dio. Opponendosi a questa eresia, il quarto Concilio Ecumenico, a Calcedonia, nel 451, ha confessato: “Seguendo i santi Padri, all'unanimità noi insegniamo a confessare un solo e medesimo Figlio, il Signore nostro Gesù Cristo, perfetto nella sua divinità e perfetto nella sua umanità, vero Dio e vero uomo, [composto] di anima razionale e di corpo, consostanziale al Padre per la divinità, e consostanziale a noi per l'umanità, “simile in tutto a noi, fuorché nel peccato” (Eb 4,15), generato dal Padre prima dei secoli secondo la divinità, e in questi ultimi tempi, per noi e per la nostra salvezza, nato da Maria Vergine e Madre di Dio, secondo l'umanità.”

Un solo e medesimo Cristo, Signore, Figlio unigenito, che noi dobbiamo riconoscere in due nature, senza confusione, senza mutamento, senza divisione, senza separazione. La differenza delle nature non è affatto negata dalla loro unione, ma piuttosto le proprietà di ciascuna sono salvaguardate e riunite in una sola persona e una sola ipostasi.

CONCILIO DI EFESO

Non diciamo, infatti, che la natura dal Verbo si sia incarnata mutandosi, né che fu trasformata in un uomo, composto di anima e di corpo. [...]

Così si può affermare che, pur sussistendo prima dei secoli, ed essendo stato generato dal Padre, Egli è stato generato anche secondo la carne da una donna; ma ciò non significa che la sua divina natura abbia avuto inizio nella santa Vergine, né che essa avesse bisogno di una seconda nascita dopo quella del padre (sarebbe infatti senza motivo, Oltre che sciocco, dire che colui che esisteva prima di tutti i secoli, e che è coeterno al Padre, abbia bisogno di una seconda generazione per esistere) [...].

Seguendo in tutto le confessioni che i santi Padri hanno formulato sotto l'ispirazione dello Spirito Santo, e le orme dei loro pensieri, battendo la via regia, noi diciamo che il Verbo unigenito di Dio, nato dalla stessa sostanza del Padre, Dio vero da Dio vero, luce da luce, mediante il quale sono state fatte tutte le cose in cielo e in terra, è lo stesso che è disceso (dal cielo) per la nostra salvezza, si è umiliato sino all'annientamento, si è incarnato e si è fatto uomo, ossia, prendendo la carne dalla santa Vergine e facendola propria, è nato come noi dal seno materno, ed è diventato uomo dalla donna, senza rinunziare a quello che era; ma, pur assumendo la carne e il sangue, rimase anche così ciò che era: Dio, per natura e secondo verità. Né diciamo con ciò che la carne sia passata nella natura della divinità, né che la ineffabile natura del Verbo di Dio si sia trasformata nella natura della carne: infatti, è assolutamente immutabile, sempre identico a sé stesso, secondo le Scritture.

[...] non affermiamo neppure che il Verbo di Dio ha abitato, come in un uomo qualsiasi, in colui che è nato dalla Vergine santa, perché non si creda che Cristo sia un semplice uomo portatore di Dio. Se, infatti il Verbo di Dio abitò fra noi ed è detto che in Cristo abitò corporalmente la pienezza della divinità, crediamo però che egli si fece carne non allo stesso modo che si dice che abita nei santi, e distinguiamo nello stesso modo l'abitazione che si è fatta in lui: unito secondo natura, e non mutato affatto in carne, ebbe in essa una tale abitazione, quale si potrebbe poi dire che abbia l'anima dell'uomo nei riguardi del suo corpo.

CONCILIO DI BASILEA – FERRARA – FIRENZE – ROMA

Condanna delle seguenti asserzioni.

L'umana natura nel Cristo è veramente Cristo. 

L'umana natura nel Cristo è la persona di Cristo. 

L'intima causa che determina la natura umana nel Cristo, non si distingue realmente dalla stessa natura determinata.

La natura umana nel Cristo è senza dubbio la persona del Verbo: e il Verbo, nel Cristo, assunta la natura, è realmente la persona che assume.

La natura umana assunta dal verbo con unione personale è veramente Dio naturale e proprio.

Il santo sinodo condanna queste proposizioni ed altre che derivano dalla stessa radice e contenute nello stesso libro come erronee nella fede. Perché, quindi, non avvenga che qualcuno dei fedeli a causa di questa dottrina cada in errore, comanda severamente che nessuno osi insegnare, predicare, difendere o approvare la dottrina di questo libro e in particolare le proposizioni sopra riferite, già dannate e riprovate, come abbiamo riferito, ed anche quei trattati che lo difendessero.

Quelli poi che si comportassero diversamente vengano puniti come eretici ed anche con altre pene canoniche. [...]

Anatematizza pure, detesta e condanna Eutiche, archimandrita. Questi comprese che secondo la bestemmia di Nestorio veniva annullata la verità dell'incarnazione e che, quindi, era necessario che l'umanità fosse unita al Verbo di Dio in modo che vi fosse una sola persona per la divinità e per l'umanità. Non potendo però capire l'unità della persona, stante la pluralità delle nature, e quindi, che in Gesù Cristo una sola fosse la persona per la divinità e per l'umanità, ammise una sola natura: ammise, cioè, che prima dell'unione vi fossero due nature, ma che esse nell'assunzione si fossero trasformate in una sola natura, ammettendo, con orrenda bestemmia e somma empietà, che o l'umanità si era trasformata nella divinità, o la divinità nella umanità. Anatematizza ancora, detesta e condanna Macario di Antiochia e tutti quelli che seguono dottrine simili. Questi, non ostante che avesse una giusta opinione delle due nature e dell’unità della persona, errò tremendamente, però, circa le operazioni di Cristo: disse, infatti, che delle due nature, in Cristo, una sola era l'operazione e la volontà.

CONCILIO DI CALCEDONIA

Dopo la resurrezione del Signore, poi, che avvenne certamente nel vero corpo, poiché non altri risuscitò se non quegli che era stato crocifisso ed era morto, che altro Egli fece, nello spazio di quaranta giorni, se non rendere pura ed integra la nostra fede da ogni errore? [...] perché si potesse costatare che le proprietà della natura divina e di quella umana rimanevano in lui; e così sapessimo che il Verbo non è la stessa cosa che la carne, e confessassimo che il Verbo e la carne costituiscono un solo Figlio di Dio.

SECONDO CONCILIO DI COSTANTINOPOLI

IV. [...] Poiché, infatti, l'unità si può concepire in diversi modi, gli uni, seguendo l'empietà di Apollinare e di Eutiche, e ammettendo l'annullamento degli elementi che formano l'unità, parlano di un'unione per confusione; gli altri, seguendo le idee di Teodoro e di Nestorio, si compiacciono della separazione, e parlano di una unione di relazione. La santa chiesa di Dio, rigettando l'empietà dell'una e dell'altra eresia, confessa l'unione di Dio Verbo con la carne secondo la composizione, ossia secondo l'ipostasi. Questa unione secondo la composizione nel mistero di Cristo, salvaguarda dalla confusione degli elementi che concorrono all'unità, ma non ammette la loro divisione.

VII. Se qualcuno, dicendo "in due nature", non confessa che nella divinità e nella umanità si deve riconoscere il solo signore nostro Gesù Cristo, così che con questa espressione voglia significare la diversità delle nature, da cui senza confusione e in modo ineffabile è scaturita l'unità, senza che il Verbo passasse nella natura della carne, e senza che la carne si trasformasse nella natura del Verbo (l'uno e l'altra, infatti, rimangono ciò che sono per natura, pur operandosi l'unione secondo ipostasi); se costui, dunque, intende tale espressione come una divisione in parti nel mistero di Cristo; ovvero, pur ammettendo, nello stesso ed unico signore nostro Gesù Cristo, Verbo di Dio incarnato, la pluralità delle nature, non accetta solo in astratto la differenza dei principi da cui è costituito, non tolta certo in seguito all'unione (uno, infatti, è da due, e due in uno), ma in ciò si serve della pluralità delle nature per sostenere che esse sono separate e con una propria sussistenza, costui sia anatema.

VIII. Se uno confessa che dalle due nature, divina e umana, è sorta l'unione, o ammette una sola natura incarnata del Verbo di Dio ma non intende queste espressioni secondo il senso dei santi padri, cioè che, avvenuta l'unione secondo Impostasi della natura divina e della natura umana, un solo Cristo ne è stato l'effetto; ma con questa espressione tenta introdurre una sola natura o sostanza della divinità e della carne di Cristo, costui sia anatema. Dicendo, infatti, che il Verbo Unigenito si è unito alla carne secondo l'ipostasi, noi non affermiamo che si sia operata una confusione scambievole delle nature, ma che, rimanendo l'una e l'altra ciò che è, il Verbo si è unito alla carne. Di conseguenza, uno è anche il Cristo, Dio e uomo, consostanziale al Padre secondo la divinità, della nostra stessa natura, secondo l'umanità. Per questo, la chiesa di Dio rigetta e condanna sia coloro che dividono o separano secondo le parti il mistero della divina incarnazione di Cristo, sia coloro che le confondono.

IX. Se qualcuno dice che Cristo deve essere adorato in due nature, con ciò introduce due adorazioni, una al Verbo Dio, una all'uomo; o se qualcuno, mirando alla soppressione della carne, o alla confusione della divinità e dell'umanità, va cianciando di una sola natura o sostanza degli elementi uniti, e così adora il Cristo, ma senza venerare con una sola adorazione il Dio Verbo incarnato insieme con la sua carne, come la chiesa di Dio ha ricevuto dall'inizio, costui sia anatema.

PAPA GIOVANNI PAOLO II – “DOMINUS IESUS”

È pure contrario alla fede cattolica introdurre una separazione tra l'azione salvifica del Logos in quanto tale e quella del Verbo fatto carne. Con l'incarnazione, tutte le azioni salvifiche del Verbo di Dio si fanno sempre in unità con la natura umana che egli ha assunto per la salvezza di tutti gli uomini. L'unico soggetto che opera nelle due nature, umana e divina, è l'unica persona del Verbo.

TERZO CONCILIO DI COSTANTINOPOLI

Predichiamo anche, in lui (Gesù), due volontà naturali e due operazioni naturali, indivisibilmente, immutabilmente, inseparabilmente, inconfusamente, secondo l'insegnamento dei santi padri. Due volontà naturali che non sono in contrasto fra loro (non sia mai detto!), come dicono gli empi eretici, ma tali che la volontà umana segua, senza opposizione o riluttanza, o meglio, sia sottoposta alla sua volontà divina e onnipotente.

SECONDO CONCILIO DI NICEA

Predichiamo, inoltre, in Cristo due volontà e due operazioni, secondo la proprietà delle nature, come solennemente dichiarò il sesto sinodo di Costantinopoli [...].

PAPA PAOLO VI – Professione di Fede

Noi crediamo in Nostro Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio. Egli è il Verbo eterno, nato dal Padre prima di tutti i secoli, e al Padre consustanziale, homoousios to Patri; e per mezzo di Lui tutto è stato fatto. Egli si è incarnato per opera dello Spirito nel seno della Vergine Maria, e si è fatto uomo: eguale pertanto al Padre secondo la divinità, e inferiore al Padre secondo l’umanità, ed Egli stesso uno, non per una qualche impossibile confusione delle nature ma per l’unità della persona.

 

 “Dio e il mondo”

Pag. 88. Il triangolo è un tentativo di rappresentare il mistero dell’unità trinitaria. Si vuole esprimere il confluire della tripartizione trinitaria in un’unica realtà e la fusione della triplice relazione d’amore in un’unità superiore.

Pag. 241. Ci rendiamo conto che questo mistero dell’unicità di Dio e tuttavia della sua articolazione in tre persone, della sua essenza imperniata su una triplice relazione amorosa non può essere risolto non solo dalle persone normali ma nemmeno dalle più acute. E’ importante che la fede cristiana preveda due punti fermi: l’unicità e insieme la suprema unità di Dio. Ma l’unità suprema non è più l’unità dell’indivisibile ma l’unità che scaturisce dal dialogo amoroso. Il Dio unico è di per sé relazionalità [...].

 

“Gesù di Nazaret”

Pag. 398-399.

[...] dobbiamo ricordare soprattutto ciò che abbiamo osservato a proposito del titolo «il Figlio», il suo radicamento nel dialogo tra Padre e Figlio. Lì abbiamo visto che Gesù è interamente «relazionale», in tutto il suo essere non è altro che rapporto con il Padre. A partire da questa relazionalità va inteso l’uso della formula del roveto ardente e di Isaia; l’«Io Sono» si colloca totalmente nella relazionalità tra Padre e Figlio.

 

XI SINODO DI TOLEDO – PROFESSIONE DI FEDE

(4) Professiamo anche che il Figlio, nato dalla sostanza del Padre senza inizio prima dei secoli, non fu tuttavia creato: poiché né il Padre esistette mai senza il Figlio, né il Figlio senza il Padre.

(7) Eterno (è) dunque il Padre, eterno anche il Figlio. Se sempre però fu Padre, ebbe sempre il Figlio a cui era Padre: e perciò professiamo il Figlio nato dal Padre senza inizio.

(8) Infatti non chiamiamo il medesimo Figlio di Dio per il motivo che fu generato dal Padre come "parte di una natura disezionata" (Cf. Vigilio di Tapso, Contra Arianos, Sabellanios et Photinianos dialogus, II,13), bensì affermiamo che il Padre perfetto ha generato senza diminuzione e senza disezionamento un Figlio perfetto, poiché solo alla divinità spetta di non avere un Figlio diseguale.

(14) Questa è la presentazione della santa Trinità: essa non deve essere detta e creduta triplice, ma Trinità. Non può essere giusto dire che nell'unico Dio è la Trinità, ma che l'unico Dio è la Trinità.

(18) Parimenti quando diciamo "Dio", ciò vien detto non in relazione a qual cosa, come il Padre al Figlio o il Figlio al Padre o lo Spirito Santo al Padre e al Figlio, ma "Dio" vien detto in modo particolare in relazione a se stesso.

(21) Dunque secondo la nostra professione di fede sia ogni persona è singolarmente perfetto Dio, sia tutte e tre le persone un solo Dio: esse hanno l'unica, indivisa e eguale divinità, maestà o potestà, che non è ne diminuita nelle singole, ne aumentata nelle tre (insieme); poiché non ha di meno quando ogni persona viene chiamata singolarmente Dio, e non di più quando tutte e tre le persone vengono annunciate come un solo Dio.

(28) Tuttavia queste tre persone non si devono stimare come separabili, giacché, crediamo, nessuna è mai esistita o ha operato qualcosa prima delle altre, nessuna dopo le altre, nessuna senza le altre.

(29) Infatti sono trovate inseparabili sia in ciò che sono che in ciò che fanno: giacché tra il Padre che genera, e il Figlio che fu generato, e lo Spirito Santo che procede (da loro), non c'è stato, crediamo, nessun intervallo di tempo, per cui il genitore ha preceduto il generato oppure il generato mancava al genitore oppure lo Spirito Santo procedente dal Padre e dal Figlio apparve più tardi.

(68) Questa è l'esposizione della nostra professione di fede, mediante la quale viene annientata la dottrina di tutti gli eretici, mediante la quale i cuori dei fedeli vengono mondati, mediante la quale si giunge anche gloriosamente a Dio.

QUARTO CONCILIO LATERANENSE

Gli errori dell'abate Gioacchino

Condanniamo, quindi, e riproviamo l'opuscolo o trattato, che l'abate Gioacchino ha pubblicato contro il maestro Pietro Lombardo sulla unità o essenza della Trinità, dove lo chiama eretico e stolto, per aver detto nelle sue Sentenze: "Poiché il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo sono una realtà suprema, che né genera, né è generata, né procede". Da ciò egli conclude che il Lombardo ammette in Dio non una Trinità, ma una Quaternità: ossia tre persone più la comune essenza, come un quarto elemento, affermando chiaramente che non vi è cosa alcuna che sia Padre, Figlio e Spirito Santo, né essenza, né sostanza, né natura, quantunque conceda che il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo sono una sola essenza, una sola sostanza, una sola natura. Ma egli ritiene che questa unità non è vera e propria, bensì quasi collettiva e analogica come quando si dice che molti uomini sono un popolo, e che molti fedeli sono una chiesa, come nell'espressione: La moltitudine dei credenti aveva un cuor solo e un'anima sola; e Chi aderisce a Dio forma un solo spirito con lui. Similmente: Chi pianta e chi irriga sono tutt'uno; e tutti siano un solo cuore in Cristo. Ancora nel libro dei Re: Il mio Popolo e il tuo sono una cosa sola. [...]

Noi, con l'approvazione del sacro concilio universale, crediamo e confessiamo, con Pietro Lombardo, che esiste una somma sostanza, incomprensibile e ineffabile, la quale è veramente Padre, Figlio e Spirito Santo, le tre persone insieme, e ciascuna di esse singolarmente. In Dio, quindi, vi è solo una Trinità, non una quaternità, poiché ognuna delle tre persone è quella sostanza, essenza o natura divina, la quale è, essa sola, principio di tutte le cose, e fuori della quale non se ne può trovare altra. Essa non genera, non è generata, non procede, ma è il Padre che genera, il Figlio che è generato, lo Spirito Santo che procede; in tale modo vi è distinzione nelle persone e unità nella natura.

Quindi, se altro è il Padre, altro il Figlio, altro lo Spirito Santo, non sono tuttavia altra cosa, ma ciò che è il Padre è il Figlio e lo Spirito Santo; la stessa identica cosa, così da doversi credere, conforme alla retta fede cattolica, che essi sono consostanziali.

Il Padre, infatti, generando il Figlio eternamente, gli diede la sua sostanza, secondo quanto lui stesso attesta: Ciò che il Padre mi ha dato è la più grande di tutte le cose; e non si può certo dire che gli abbia dato una parte della sua sostanza, e che una parte l'abbia ritenuta per sé: perché la sostanza del Padre è indivisibile, in quanto del tutto semplice. E neppure si può dire che il Padre, generando, abbia trasfuso nel Figlio la sua sostanza, quasi che comunicandola al Figlio non l'abbia conservata per sé; in questo caso avrebbe cessato di essere sostanza. E’ chiaro, quindi, che il Figlio, nascendo, ha ricevuto la sostanza del Padre senza alcuna diminuzione, e quindi il Padre e il Figlio hanno la medesima sostanza; in tal modo il Padre e il Figlio sono la stessa cosa; e così lo Spirito Santo che procede dall'uno e dall'altro.

Quando, allora, la Verità prega il Padre per i suoi fedeli, dicendo: "Voglio, Padre, che essi siano una cosa sola in noi, come noi siamo una cosa sola", il termine una cosa sola quando si tratta dei fedeli si deve prendere nel senso di unione della carità nella grazia; per le persone divine, invece, deve intendersi come unità di identità nella natura, come altrove dice la Verità: Siate Perfetti com'è perfetto il vostro Padre celeste. E’ come se dicesse, più chiaramente: "Siate perfetti della perfezione della grazia, come il vostro Padre celeste è perfetto della perfezione che gli è naturale", cioè ciascuno a suo modo, perché tra il creatore e la creatura per quanto la somiglianza sia grande, maggiore è la differenza.

Se qualcuno, quindi, intendesse su questo argomento difendere o approvare l'opinione, cioè la dottrina del suddetto Gioacchino, sia ritenuto da tutti eretico.

CONCILIO DI BASILEA – FERRARA – FIRENZE – ROMA

Solo il Padre ha generato il Figlio dalla sua sostanza; solo il Figlio è stato generato dal solo Padre; solo lo Spirito santo procede nello stesso tempo dal Padre e dal Figlio. Queste tre persone sono un solo Dio, non tre Dei poiché una sola è la sostanza una l'essenza, una la natura, una la divinità, una l'immensità, una l'eternità di tutti e tre, tutti sono uno, dove non si opponga la relazione.

 

“Dio e il mondo”

Pag. 32. Ciò che è comunque dato alla Chiesa è la certezza di ciò che non è compatibile con il Vangelo. Nei suoi dogmi e nella sua confessione di fede ha formulato le cognizioni essenziali. Sono tutte formulate in negativo. Dicono dov’è il limite oltre al quale ci si perde. Lo spazio all’interno di questi confini rimane, per così dire, vasto e aperto. E perciò la Chiesa può indicare le direttrici fondamentali dell’esistenza umana e dire in che direzione non devo sicuramente andare se non voglio precipitare nell’abisso.

 

PAPA PAOLO VI - “MYSTERIUM ECCLESIAE”

Secondo la dottrina cattolica, l’infallibilità del Magistero della Chiesa si estende non solo al deposito della fede, ma anche a tutto ciò che è necessario perché esso possa esser custodito od esposto come si deve. L’estensione, poi, di tale infallibilità al deposito stesso della fede è una verità che la Chiesa, fin dalle origini, ha ricevuto come certamente rivelata nelle promesse di Cristo. Fondandosi appunto su questa verità, il Concilio Vaticano I definì qual è l’oggetto della fede cattolica: « Si devono credere con fede divina e cattolica tutte quelle cose che sono contenute nella parola di Dio scritta o trasmessa, e che dalla Chiesa, con solenne giudizio o nel magistero ordinario e universale, sono proposte a credere come divinamente rivelate ». Di conseguenza, l’oggetto della fede cattolica – che specificamente va sotto il nome di dogmi – come necessariamente è ed è sempre stato la norma immutabile per la fede, altrettanto lo è per la scienza teologica.

Quanto poi al significato stesso delle formule dogmatiche, esso nella Chiesa rimane sempre vero e coerente, anche quando è maggiormente chiarito e meglio compreso. Devono, quindi, i fedeli rifuggire dall’opinione la quale ritiene che le formule dogmatiche (o qualche categoria di esse) non possono manifestare la verità determinatamente, ma solo delle sue approssimazioni cangianti, che sono, in certa maniera, deformazioni e alterazioni della medesima; e che le stesse formule, inoltre, manifestano soltanto in modo indefinito la verità, la quale dev’esser continuamente cercata attraverso quelle approssimazioni. Chi la pensasse così, non sfuggirebbe al relativismo dogmatico e falsificherebbe il concetto di infallibilità della Chiesa, relativo alla verità da insegnare e ritenere in modo determinato.

PAPA GIOVANNI PAOLO II – “DOMINUS IESUS”

"La fede è innanzi tutto una adesione personale dell'uomo a Dio; al tempo stesso ed inseparabilmente, è l'assenso libero a tutta la verità che Dio ha rivelato". La fede, quindi, "dono di Dio" e "virtù soprannaturale da lui infusa", comporta una duplice adesione: a Dio, che rivela, e alla verità da lui rivelata, per la fiducia che si accorda alla persona che l'afferma. Per questo "non dobbiamo credere in nessun altro se non in Dio, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo".

Deve essere, quindi, fermamente ritenuta la distinzione tra la fede teologale e la credenza nelle altre religioni. Se la fede è l'accoglienza nella grazia della verità rivelata, "che permette di entrare all'interno del mistero, favorendone la coerente intelligenza", la credenza nelle altre religioni è quell'insieme di esperienza e di pensiero, che costituiscono i tesori umani di saggezza e di religiosità, che l'uomo nella sua ricerca della verità ha ideato e messo in atto nel suo riferimento al Divino e all'Assoluto. [...]

La missione ad gentes anche nel dialogo interreligioso "conserva in pieno, oggi come sempre, la sua validità e necessità". In effetti, "Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità" (1 Tm 2,4): vuole la salvezza di tutti attraverso la conoscenza della verità. La salvezza si trova nella verità. Coloro che obbediscono alla mozione dello Spirito di verità sono già sul cammino della salvezza; ma la Chiesa, alla quale questa verità è stata affidata, deve andare incontro al loro desiderio offrendola loro.

CODICE DI DIRITTO CANONICO

Can. 751 - Vien detta eresia, l'ostinata negazione, dopo aver ricevuto il battesimo, di una qualche verità che si deve credere per fede divina e cattolica, o il dubbio ostinato su di essa; apostasia, il ripudio totale della fede cristiana; scisma, il rifiuto della sottomissione al Sommo Pontefice o della comunione con i membri della Chiesa a lui soggetti.

Can. 754 - Tutti i fedeli sono tenuti all'obbligo di osservare le costituzioni e i decreti, che la legittima autorità della Chiesa propone per esporre una dottrina e per proscrivere opinioni erronee; per ragione speciale, quando poi le emanano il Romano Pontefice o il Collegio dei Vescovi.

 

Qui di seguito solo alcuni esempi per far notare che è falso dire che i dogmi esistono solo al negativo.

BEATO PIO IX PAPA - INEFFABILIS DEUS

[...] con l'autorità di Nostro Signore Gesù Cristo, dei Santi Apostoli Pietro e Paolo e Nostra, dichiariamo, affermiamo e definiamo rivelata da Dio la dottrina che sostiene che la beatissima Vergine Maria fu preservata, per particolare grazia e privilegio di Dio onnipotente, in previsione dei meriti di Gesù Cristo Salvatore del genere umano, immune da ogni macchia di peccato originale fin dal primo istante del suo concepimento, e ciò deve pertanto essere oggetto di fede certo ed immutabile per tutti i fedeli.

CONCILIO DI EFESO

1. Se qualcuno non confessa che l'Emmanuele è Dio nel vero senso della parola, e che perciò la santa Vergine è madre di Dio perché ha generato secondo la carne, il Verbo fatto carne, sia anatema.

 

2. Se qualcuno non confessa che il Verbo del Padre assunto in unità di sostanza l'umana carne, che egli è un solo Cristo con la propria carne, cioè lo stesso che è Dio e uomo insieme, sia anatema.

 

5. Se qualcuno osa dire che il Cristo è un uomo portatore di Dio, e non piuttosto Dio secondo verità, come Figlio unico per natura, inquantoché il Verbo si fece carne e partecipò a nostra somiglianza della carne e del sangue, sia anatema.

 

6. Se qualcuno dirà che il Verbo, nato da Dio Padre è Dio e Signore del Cristo, e non confessa, piuttosto, che esso è Dio e uomo insieme, inquantoché il Verbo si è fatto carne secondo le Scritture, sia anatema.

 

11. Se qualcuno non confessa che la carne del Signore è vivificante e (che essa è la carne) propria dello stesso Verbo del Padre, (e sostiene, invece, che sia) di un altro, diverso da lui, e unito a lui solo per la sua dignità; o anche di uno che abbia ricevuto solo la divina abitazione; se, dunque, non confessa che sia vivificante, come abbiamo detto inquantoché divenne propria del Verbo, che può vivificare ogni cosa, sia anatema.

 

12. Se qualcuno non confessa che il Verbo di Dio ha sofferto nella carne, è stato crocifisso nella carne, ha assaporato la morte nella carne, ed è divenuto il primogenito dei morti, inquantoché, essendo Dio, è vita e dà la vita, sia anatema.

SAN PIO X PAPA LAMENTABILI SANE EXITU

Condanna delle seguenti asserzioni.

22. I dogmi, che la Chiesa presenta come rivelati, non sono verità cadute dal cielo, ma l'interpretazione di fatti religiosi, che la mente umana si è data con travaglio.

59. Cristo non insegnò un determinato corpo dottrinale applicabile a tutti i tempi e a tutti gli uomini, ma piuttosto ha iniziato un movimento religioso che si è adattato e si deve adattare ai diversi tempi e luoghi.

SECONDO CONCILIO DI COSTANTINOPOLI

I. Chi non confessa che il Padre, il Figlio e lo Spirito santo hanno una sola natura o sostanza, una sola virtù e potenza, poiché essi sono Trinità consostanziale, una sola divinità da adorarsi in tre ipostasi, o persone, sia anatema.

Uno, infatti, è Dio Padre, dal quale sono tutte le cose; uno il signore Gesù Cristo, mediante il quale sono tutte le cose; uno è lo Spirito Santo, nel quale sono tutte le cose.

II. Se qualcuno non confessa che due sono le nascite del Verbo di Dio, una prima dei secoli dal Padre, fuori dal tempo e incorporale, l'altra in questi nostri ultimi tempi, quando egli è disceso dai cieli, s'è incarnato nella santa e gloriosa madre di Dio e sempre vergine Maria, ed è nato da essa, sia anatema.

III. Se qualcuno afferma che il Verbo di Dio che opera miracoli non è lo stesso Cristo che ha sofferto, o anche che il Dio Verbo si è unito col Cristo nato dalla donna, o che egli è in lui come uno in un altro; e non confessa invece, un solo e medesimo signore nostro Gesù Cristo, Verbo di Dio, che si è incarnato e fatto uomo, al quale appartengono sia le meraviglie che le sofferenze che volontariamente ha sopportato nella sua carne, costui sia anatema.

CONCILIO DI BASILEA – FERRARA – FIRENZE – ROMA

Essa (la Chiesa) condanna, perciò, riprova e anatematizza tutti quelli che credono diversamente e contrariamente e li dichiara solennemente estranei al corpo di Cristo, che è la chiesa. [...] Essa anatematizza, quindi, detesta e condanna ogni eresia che professi dottrine contrarie a queste.

QUARTO CONCILIO LATERANENSE

Scomunichiamo e anatematizziamo ogni eresia che si erge contro la santa, ortodossa e cattolica fede, come l'abbiamo esposta sopra.

 

“Dio e il mondo”

Pag. 28-29. [...] se con troppa rapidità e superficialità si difendono come verità le istanze di cui siamo portatori e ci si accomoda con troppa tranquillità e rilassatezza su questa pretesa verità, non c’è solo il rischio di diventare autoritari, ma anche quello di etichettare troppo facilmente come verità qualcosa che è solo provvisorio e secondario.

[...] dobbiamo considerare la cautela con cui rivendicare la verità come un obbligo [...].

Pag. 31-32. La Chiesa cattolica sa, tramite la fede, cosa Dio ci ha detto nel corso della storia della Rivelazione. Naturalmente la comprensione che gli uomini ne hanno – anche quella che la Chiesa ne ha – è inadeguata rispetto a ciò che Dio ha effettivamente detto. Perciò la fede si evolve. [...] Dio e l’esistenza umana sono imperscrutabili, ci sono sempre nuove dimensioni da sondare.

Pag. 26. [...] questo è un Dio che ha la forza di realizzare l’amore in modo tale da essere se stesso in un uomo, da essere presente e da offrirsi a noi perché lo conosciamo, da stabilire con noi un’esistenza comunitaria, proprio ciò di cui abbiamo bisogno per non dover convivere fino alla fine con frammenti e mezze verità.

   Questo non significa che non possiamo imparare di più dalle altre religioni. O che il canone della fede cristiana sia così cementato che non possiamo andare oltre. L’avventura della fede cristiana è sempre nuova, e la sua incommensurabilità si dischiude proprio nel momento in cui riconosciamo a Dio queste possibilità.

Pag. 38-39. L’atto di fede  non è, per così dire, convincersi di una certa idea o attribuire alla fede il potere di compiere determinate azioni. L’atto di fede consiste nel riporre la propria fiducia nell’esistenza di Dio, nel fatto che posso mettermi nelle sue mani. [...] In questo quadro il Signore utilizza l’immagine del chicco di senape. [...] Il granello di senape racchiude insomma un’immagine profonda della fede. La fede non è conseguentemente la mera accettazione di determinate formule, ma è un seme di vita riposto in me. Sono un autentico credente solo se la fede è presente in me sotto la forma di un seme vivo [...].

Pag. 48-49. La fede deve essere vissuta e riscoperta ex novo da ogni generazione.

Pag. 67-68. Ogni uomo è un pensiero di Dio. Tutto ciò che inizialmente si erge nella sua fattualità è governato da un piano e da un’idea – ed è questo che rende significativa anche la ricerca di una mia idea personale e la coesistenza con il tutto e con il cammino della storia.

Pag. 321. [...] molto di quello che noi oggi definiamo come pensiero cattolico non ha carattere sovratemporale e immutabile. Con l’avvento di nuovi popoli e di nuove epoche storiche può subire modificazioni, approfondirsi e rinnovarsi.

Pag. 244. Perciò vale per il Padre nostro quello che possiamo anche dire della parola di Dio o del Credo: da una parte ha una struttura fissa – sempre la stessa -, d’altra parte però è inesauribile e anche sempre nuovo. Ci conduce sempre oltre ciò che è già acquisito. Non siamo incatenati ad un passato in cui non c’è più nulla di nuovo da scoprire, ma è un territorio capace di offrirci sempre nuove scoperte, in cui ognuno può anche ritrovare da capo se stesso.

Pag. 377. Le Sacre Scritture non sono parola di Dio caduta dall’alto, ma parola di Dio incarnata nella storia e che cresce in essa.

 

BEATO PIO IX PAPA - PASTOR AETERNUM

La salvezza consiste anzitutto nel custodire le norme della retta fede. [...]

Lo Spirito Santo infatti, non è stato promesso ai successori di Pietro per rivelare, con la sua ispirazione, una nuova dottrina, ma per custodire con scrupolo e per far conoscere con fedeltà, con la sua assistenza, la rivelazione trasmessa dagli Apostoli, cioè il deposito della fede.

BEATO PIO IX PAPA - INEFFABILIS DEUS

Infatti la Chiesa di Cristo, fedele custode e garante dei dogmi a lei affidati, non ha mai apportato modifiche ad essi, non vi ha tolto o aggiunto alcunché, ma trattando con ogni cura, in modo accorto e sapiente, le dottrine del passato per scoprire quelle che si sono formate nei primi tempi e che la fede dei Padri ha seminato, si preoccupa di limare e di affinare quegli antichi dogmi della Divina Rivelazione, perché ne ricevano chiarezza, evidenza e precisione, ma conservino la loro pienezza, la loro integrità e la loro specificità e si sviluppino soltanto nella loro propria natura, cioè nell'ambito del dogma, mantenendo inalterati il concetto e il significato.

PAPA GIOVANNI PAOLO II – “UT UNUM SINT”

Importanza fondamentale della dottrina

18. Riprendendo un'idea che lo stesso Papa Giovanni XXIII aveva espresso in apertura del Concilio, il Decreto sull'ecumenismo menziona il modo di esporre la dottrina tra gli elementi della continua riforma. Non si tratta in questo contesto di modificare il deposito della fede, di cambiare il significato dei dogmi, di eliminare da essi delle parole essenziali, di adattare la verità ai gusti di un'epoca, di cancellare certi articoli del Credo con il falso pretesto che essi non sono più compresi oggi. L'unità voluta da Dio può realizzarsi soltanto nella comune adesione all'integrità del contenuto della fede rivelata. In materia di fede, il compromesso è in contraddizione con Dio che è Verità. Nel Corpo di Cristo, il quale è "via, verità e vita" (Gv 14,6), chi potrebbe ritenere legittima una riconciliazione attuata a prezzo della verità? La Dichiarazione conciliare sulla libertà religiosa Dignitatis humanæ attribuisce alla dignità umana la ricerca della verità, "specialmente in ciò che riguarda Dio e la sua Chiesa" e l'adesione alle sue esigenze. Uno "stare insieme" che tradisse la verità sarebbe dunque in opposizione con la natura di Dio che offre la sua comunione e con l'esigenza di verità che alberga nel più profondo di ogni cuore umano.

PAPA GIOVANNI PAOLO II – “FIDES ET RATIO”

Parecchi autori, nella loro critica demolitrice di ogni certezza, ignorando le necessarie distinzioni, contestano anche le certezze della fede.

PAPA GIOVANNI PAOLO II – “DOMINUS IESUS”

Il perenne annuncio missionario della Chiesa viene oggi messo in pericolo da teorie di tipo relativistico, che intendono giustificare il pluralismo religioso, non solo de facto ma anche de iure (o di principio). Di conseguenza, si ritengono superate verità come, ad esempio, il carattere definitivo e completo della rivelazione di Gesù Cristo, la natura della fede cristiana rispetto alla credenza nelle altre religioni, il carattere ispirato dei libri della Sacra Scrittura, l'unità personale tra il Verbo eterno e Gesù di Nazareth, l'unità dell'economia del Verbo incarnato e dello Spirito Santo, l'unicità e l'universalità salvifica del mistero di Gesù Cristo, la mediazione salvifica universale della Chiesa, l'inseparabilità, pur nella distinzione, tra il Regno di Dio, Regno di Cristo e la Chiesa, la sussistenza nella Chiesa cattolica dell'unica Chiesa di Cristo.

Le radici di queste affermazioni sono da ricercarsi in alcuni presupposti, di natura sia filosofica, sia teologica, che ostacolano l'intelligenza e l'accoglienza della verità rivelata. Se ne possono segnalare alcuni: la convinzione della inafferrabilità e inesprimibilità della verità divina, nemmeno da parte della rivelazione cristiana; l'atteggiamento relativistico nei confronti della verità, per cui ciò che è vero per alcuni non lo sarebbe per altri; la contrapposizione radicale che si pone tra mentalità logica occidentale e mentalità simbolica orientale; il soggettivismo di chi, considerando la ragione come unica fonte di conoscenza, diventa " incapace di sollevare lo sguardo verso l'alto per osare di raggiungere la verità dell'essere"; la difficoltà a comprendere e ad accogliere la presenza di eventi definitivi ed escatologici nella storia; lo svuotamento metafisico dell'evento dell'incarnazione storica del Logos eterno, ridotto a mero apparire di Dio nella storia; l'eclettismo di chi, nella ricerca teologica, assume idee derivate da differenti contesti filosofici e religiosi, senza badare né alla loro coerenza e connessione sistematica, né alla loro compatibilità con la verità cristiana; la tendenza, infine, a leggere e interpretare la Sacra Scrittura fuori dalla Tradizione e dal Magistero della Chiesa.

In base a tali presupposti, che si presentano con sfumature diverse, talvolta come affermazioni e talvolta come ipotesi, vengono elaborate alcune proposte teologiche, in cui la rivelazione cristiana e il mistero di Gesù Cristo e della Chiesa perdono il loro carattere di verità assoluta e di universalità salvifica, o almeno si getta su di essi un'ombra di dubbio e di insicurezza. [...]

"La fede è innanzi tutto una adesione personale dell'uomo a Dio; al tempo stesso ed inseparabilmente, è l'assenso libero a tutta la verità che Dio ha rivelato". La fede, quindi, "dono di Dio" e "virtù soprannaturale da lui infusa", comporta una duplice adesione: a Dio, che rivela, e alla verità da lui rivelata, per la fiducia che si accorda alla persona che l'afferma. Per questo "non dobbiamo credere in nessun altro se non in Dio, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo".

Deve essere, quindi, fermamente ritenuta la distinzione tra la fede teologale e la credenza nelle altre religioni. Se la fede è l'accoglienza nella grazia della verità rivelata, "che permette di entrare all'interno del mistero, favorendone la coerente intelligenza", la credenza nelle altre religioni è quell'insieme di esperienza e di pensiero, che costituiscono i tesori umani di saggezza e di religiosità, che l'uomo nella sua ricerca della verità ha ideato e messo in atto nel suo riferimento al Divino e all'Assoluto.

Non sempre tale distinzione viene tenuta presente nella riflessione attuale, per cui spesso si identifica la fede teologale, che è accoglienza della verità rivelata da Dio Uno e Trino, e la credenza nelle altre religioni, che è esperienza religiosa ancora alla ricerca della verità assoluta e priva ancora dell'assenso a Dio che si rivela. Questo è uno dei motivi per cui si tende a ridurre, fino talvolta ad annullarle, le differenze tra il cristianesimo e le altre religioni. [...]

La missione ad gentes anche nel dialogo interreligioso "conserva in pieno, oggi come sempre, la sua validità e necessità". In effetti, "Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità" (1 Tm 2,4): vuole la salvezza di tutti attraverso la conoscenza della verità. La salvezza si trova nella verità. Coloro che obbediscono alla mozione dello Spirito di verità sono già sul cammino della salvezza; ma la Chiesa, alla quale questa verità è stata affidata, deve andare incontro al loro desiderio offrendola loro. Proprio perché crede al disegno universale di salvezza, la Chiesa deve essere missionaria". Il dialogo perciò, pur facendo parte della missione evangelizzatrice, è solo una delle azioni della Chiesa nella sua missione ad gentes. La parità, che è presupposto del dialogo, si riferisce alla pari dignità personale delle parti, non ai contenuti dottrinali né tanto meno a Gesù Cristo, che è Dio stesso fatto Uomo, in confronto con i fondatori delle altre religioni. La Chiesa infatti, guidata dalla carità e dal rispetto della libertà, dev'essere impegnata primariamente ad annunciare a tutti gli uomini la verità, definitivamente rivelata dal Signore, ed a proclamare la necessità della conversione a Gesù Cristo e dell'adesione alla Chiesa attraverso il Battesimo e gli altri sacramenti, per partecipare in modo pieno alla comunione con Dio Padre, Figlio e Spirito Santo. D'altronde la certezza della volontà salvifica universale di Dio non allenta, ma aumenta il dovere e l'urgenza dell'annuncio della salvezza e della conversione al Signore Gesù Cristo.

PAPA GIOVANNI PAOLO II – “DONUM VERITATIS”

Quando infatti il dissenso riesce ad estendere la sua influenza fino ad ispirare una opinione comune, tende a diventare regola di azione, e ciò non può non turbare gravemente il Popolo di Dio e condurre ad una disistima della vera autorità. [...] cedere [...] alla tentazione del dissenso, è lasciare che si sviluppino «fermenti di infedeltà allo Spirito Santo».

PAPA PAOLO VI – “MYSTERIUM ECCLESIAE”

[...] i cattolici sono tenuti a professare di appartenere, per misericordioso dono di Dio, alla Chiesa fondata da Cristo e guidata dai successori di Pietro e degli altri Apostoli, presso i quali permane, intatta e viva, l’originaria tradizione apostolica, che è patrimonio perenne di verità e di santità della medesima Chiesa. Non possono, quindi, i fedeli immaginarsi la Chiesa di Cristo come la somma – differenziata ed in qualche modo unitaria insieme – delle Chiese e comunità ecclesiali; né hanno facoltà di pensare che la Chiesa di Cristo oggi non esista più in alcun luogo e che, perciò, debba esser soltanto oggetto di ricerca da parte di tutte le Chiese e comunità. [...]

Quanto poi al significato stesso delle formule dogmatiche, esso nella Chiesa rimane sempre vero e coerente, anche quando è maggiormente chiarito e meglio compreso. Devono, quindi, i fedeli rifuggire dall’opinione la quale ritiene che le formule dogmatiche (o qualche categoria di esse) non possono manifestare la verità determinatamente, ma solo delle sue approssimazioni cangianti, che sono, in certa maniera, deformazioni e alterazioni della medesima; e che le stesse formule, inoltre, manifestano soltanto in modo indefinito la verità, la quale dev’esser continuamente cercata attraverso quelle approssimazioni. Chi la pensasse così, non sfuggirebbe al relativismo dogmatico e falsificherebbe il concetto di infallibilità della Chiesa, relativo alla verità da insegnare e ritenere in modo determinato.

    Un’opinione del genere è in aperto contrasto con le dichiarazioni del Concilio Vaticano I, il quale, pur consapevole del progresso della Chiesa nella conoscenza della verità rivelata, ha tuttavia insegnato: « Ai sacri (…) dogmi dev’esser sempre mantenuto il senso dichiarato una volta per tutte dalla santa madre Chiesa, e mai è permesso allontanarsi da quel senso col pretesto ed in nome di un’intelligenza più progredita ». Esso ha, inoltre, condannato la sentenza secondo la quale potrebbe accadere « che ai dogmi proposti dalla Chiesa si debba talvolta dare, in base al progresso della scienza, un senso diverso da quello che la Chiesa ha inteso ed intende ». Non c’è dubbio, secondo tali testi del Concilio, che il senso dei dogmi dichiarato dalla Chiesa sia ben determinato ed irreformabile.

PAPA GIOVANNI PAOLO II – “AD TUENDAM FIDEM”

PER DIFENDERE LA FEDE della Chiesa Cattolica contro gli errori che insorgono da parte di alcuni fedeli, soprattutto di quelli che si dedicano di proposito alle discipline della sacra teologia, è sembrato assolutamente necessario a Noi, il cui compito precipuo è confermare i fratelli nella fede (cf Lc 22, 32), che nei testi vigenti del Codice di Diritto Canonico e del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali vengano aggiunte norme con le quali espressamente sia imposto il dovere di osservare le verità proposte in modo definitivo dal Magistero della Chiesa, facendo anche menzione delle sanzioni canoniche riguardanti la stessa materia. [...]

Can. 750 - § 1. Per fede divina e cattolica sono da credere tutte quelle cose che sono contenute nella parola di Dio scritta o tramandata, vale a dire nell'unico deposito della fede affidato alla Chiesa, e che insieme sono proposte come divinamente rivelate, sia dal magistero solenne della Chiesa, sia dal suo magistero ordinario e universale, ossia quello che è manifestato dalla comune adesione dei fedeli sotto la guida del sacro magistero; di conseguenza tutti sono tenuti a evitare qualsiasi dottrina ad esse contraria.

§2. Si devono pure fermamente accogliere e ritenere anche tutte e singole le cose che vengono proposte definitivamente dal magistero della Chiesa circa la fede e i costumi, quelle cioè che sono richieste per custodire santamente ed esporre fedelmente lo stesso deposito della fede; si oppone dunque alla dottrina della Chiesa cattolica chi rifiuta le medesime proposizioni da tenersi definitivamente.

CODICE DI DIRITTO CANONICO

Can. 751 - Vien detta eresia, l'ostinata negazione, dopo aver ricevuto il battesimo, di una qualche verità che si deve credere per fede divina e cattolica, o il dubbio ostinato su di essa; apostasia, il ripudio totale della fede cristiana; scisma, il rifiuto della sottomissione al Sommo Pontefice o della comunione con i membri della Chiesa a lui soggetti.

Can. 754 - Tutti i fedeli sono tenuti all'obbligo di osservare le costituzioni e i decreti, che la legittima autorità della Chiesa propone per esporre una dottrina e per proscrivere opinioni erronee; per ragione speciale, quando poi le emanano il Romano Pontefice o il Collegio dei Vescovi.

BEATO PIO IX PAPA – “DEI FILIUS”

La dottrina della fede che Dio rivelò non è proposta alle menti umane come una invenzione filosofica da perfezionare, ma è stata consegnata alla Sposa di Cristo come divino deposito perché la custodisca fedelmente e la insegni con magistero infallibile. Quindi deve essere approvato in perpetuo quel significato dei sacri dogmi che la Santa Madre Chiesa ha dichiarato, né mai si deve recedere da quel significato con il pretesto o con le apparenze di una più completa intelligenza. [...]

1. Se qualcuno dirà che nella rivelazione divina non è contenuto alcun mistero vero e propriamente detto, ma che tutti i dogmi della fede possono essere compresi e dimostrati dalla ragione debitamente coltivata per mezzo dei principi naturali: sia anatema.

2. Se qualcuno dirà che le discipline umane devono essere trattate con tale libertà che le loro asserzioni, anche se contrarie alla dottrina rivelata, possono essere ritenute vere e non possono essere condannate dalla Chiesa: sia anatema.

3. Se qualcuno dirà che può accadere che ai dogmi della Chiesa si possa un giorno – nel continuo progresso della scienza – attribuire un senso diverso da quello che ha inteso e intende dare la Chiesa: sia anatema.

SAN PIO X PAPA LAMENTABILI SANE EXITU

[...] le seguenti proposizioni sono da riprovarsi e da condannarsi, come si riprovano e si condannano con questo generale Decreto:

20. La Rivelazione non poté essere altro che la coscienza acquisita dall'uomo circa la sua relazione con Dio.

22. I dogmi, che la Chiesa presenta come rivelati, non sono verità cadute dal cielo, ma l'interpretazione di fatti religiosi, che la mente umana si è data con travaglio.

59. Cristo non insegnò un determinato insieme di dottrine applicabile a tutti i tempi e a tutti gli uomini, ma piuttosto iniziò un certo qual moto religioso adattato e da adattare a diversi tempi e circostanze.

BEATO PIO IX PAPA – “QUI PLURIBUS

Ma quanti meravigliosi e splendidi argomenti esistono per convincere l’umana ragione che la Religione di Cristo sia divina e che "ogni principio dei nostri dogmi venga dal Signore dei Cieli" [...].

BEATO PIO IX PAPA – “QUANTA CURA” – “SYLLABUS”

E mentre affermano ciò temerariamente, non pensano e non considerano che essi predicano "la libertà della perdizione", e che "se in nome delle umane convinzioni sia sempre libero il diritto di disputare, non potranno mai mancare coloro che osano resistere alla verità e confidano nella loquacità della sapienza umana, mentre la fede e la sapienza cristiane debbono evitare questa nociva vanità, in linea con la stessa istituzione del Signor Nostro Gesù Cristo".

 

Pag. 30. “Dio e il mondo”

La natura della fede non è tale per cui a partire da un certo momento si possa dire: io la possiedo, altri no. È qualcosa di vivo che coinvolge l’intera persona – ragione, volontà, sentimenti – in tutte le sue dimensioni esistenziali. Può radicarsi sempre più profondamente nell’esistenza tanto che vita e fede si identificano sempre più strettamente, ma ciò nonostante non è semplicemente qualcosa che si possieda.

Pag. 39. “Dio e il mondo”

La verità della parola di Gesù non può essere desunta teoricamente. È come un teorema tecnico: la sua correttezza può dimostrarsi solo nella sperimentazione. [...] l’esperimento della vita.

Pag. 41. “Dio e il mondo”

Proprio della fede è un percorso esistenziale in cui l’oggetto di fede trova gradualmente conferme nel vissuto e si dimostra nella sua totalità gravido di senso.

Pag. 229-230. “Gesù di Nazaret”

Gesù , infatti, non vuole comunicare a noi nozioni astratte che, nel profondo, non ci riguarderebbero. [...] Egli mostra la trasparenza della luce divina nelle cose di questo mondo e nelle realtà della nostra vita quotidiana. Per mezzo delle realtà comuni vuole indicarci il vero fondamento di tutte le cose e così la vera direzione che dobbiamo imboccare nella vita di tutti i giorni, per seguire la retta via. Egli ci mostra Dio, non un Dio astratto, ma il Dio che agisce, che entra nella nostra vita e ci vuole prendere per mano. Attraverso la vita di tutti i giorni ci mostra chi siamo e che cosa dobbiamo fare di conseguenza. [...]

Dio chiama sempre in causa l’uomo nella sua totalità – è una conoscenza che è tutt’uno con la vita stessa [...].

 Pag. 326. “Gesù di Nazaret”

[...] la conoscenza e il dono di sé sono, in sostanza, una cosa sola.

 

 

SAN PIO X PAPA – “PASCENDI DOMINICI GREGIS”

Il vivere è pei modernisti prova di verità; giacché verità e vita sono per essi una medesima cosa. Dal che è dato inferir di nuovo, che tutte le religioni, quante mai ne esistono, sono egualmente vere, poiché se nol fossero non vivrebbero. E tutto questo si spaccia per dare un concetto più elevato e più ampio della religione! [...]

Del resto, aggiungono (modernisti), i Libri sacri, perché di lor natura religiosi, sono essenzialmente viventi: or la vita ha pur essa la sua verità e la sua logica; diversa certamente dalla verità e logica razionale, anzi di tutt'altro ordine, verità cioè di comparazione e proporzione sia coll'ambiente in cui si vive, sia col fine per cui si vive. Finalmente a tanto estremo essi giungono ad affermare, senza attenuazione di sorta, che tutto ciò che si spiega con la vita è vero e legittimo. Noi, Venerabili Fratelli, pei quali la verità è una ed unica, e che riteniamo i sacri Libri come quelli che "scritti sotto l'ispirazione dello Spirito Santo, hanno per autore Iddio" (Conc. Vat., De Rev. c. 2), affermiamo ciò essere il medesimo che attribuire a Dio la menzogna di utilità o officiosa; e colle parole di Sant'Agostino protestiamo che: "Ammessa una volta in così altissima autorità qualche bugia officiosa, nessuna particella di quei libri resterà che, sembrando ad alcuno ardua per costume o incredibile per la fede, con la stessa perniciosissima regola, non si riferisca a consiglio o vantaggio dell'autore menzognero" (Epist. 28). Dal che seguirà quel che lo stesso santo Dottore aggiunge: "In esse - cioè nelle Scritture - ciascuno crederà quel che vuole, quel che non vuole non crederà".

PAPA GIOVANNI PAOLO II – “FIDES ET RATIO”

Il Dio che si fa conoscere, nell'autorità della sua assoluta trascendenza, porta anche con sé la credibilità dei contenuti che rivela. Con la fede, l'uomo dona il suo assenso a tale testimonianza divina. Ciò significa che riconosce pienamente e integralmente la verità di quanto rivelato, perché è Dio stesso che se ne fa garante. [...]

Nei Libri Sacri, e in particolare nel Nuovo Testamento, si trovano testi e affermazioni di portata propriamente ontologica. Gli autori ispirati, infatti, hanno inteso formulare affermazioni vere, tali cioè da esprimere la realtà oggettiva. Non si può dire che la tradizione cattolica abbia commesso un errore quando ha compreso alcuni testi di san Giovanni e di san Paolo come affermazioni sull'essere stesso di Cristo. [...]

L'interpretazione di questa Parola non può rimandarci soltanto da interpretazione a interpretazione, senza mai portarci ad attingere un'affermazione semplicemente vera; altrimenti non vi sarebbe rivelazione di Dio, ma soltanto l'espressione di concezioni umane su di Lui e su ciò che presumibilmente Egli pensa di noi. [...]

Il pragmatismo dogmatico degli inizi di questo secolo, secondo cui le verità di fede non sarebbero altro che regole di comportamento, è già stato rifiutato e rigettato; ciò nonostante, rimane sempre la tentazione di comprendere queste verità in maniera puramente funzionale.

BEATO PIO IX PAPA – “DEI FILIUS”

Quindi si devono credere con fede divina e cattolica tutte quelle cose che sono contenute nella parola di Dio, scritta o trasmessa per tradizione, e che vengono proposte dalla Chiesa, o con solenne definizione, o con il magistero ordinario e universale, come divinamente ispirate, e pertanto da credersi.

Poiché senza la fede è impossibile piacere a Dio e giungere all'unione con i suoi figli, così senza di essa nessuno potrà mai essere assoluto (assolto), come pure nessuno conseguirà la vita eterna senza aver perseverato in essa sino alla fine. [...]

Se qualcuno dirà che l'uomo non può essere divinamente elevato ad una conoscenza e ad una perfezione che superino quelle naturali, ma che può e deve da se stesso arrivare al possesso di ogni verità e di ogni bene in un continuo progresso: sia anatema.

Se qualcuno dirà che la Rivelazione divina non può rendersi credibile per segni esterni, e che perciò gli uomini devono procedere verso la fede solo attraverso l'interiore esperienza o l'ispirazione privata di ciascuno: sia anatema.

Se qualcuno dirà che l'assenso alla fede cristiana non è libero, ma che si produce necessariamente dagli argomenti della ragione umana; ovvero che la grazia di Dio è necessaria alla sola fede viva che opera per la carità: sia anatema.

Se qualcuno dirà che la condizione dei fedeli e quella di coloro che ancora non sono arrivati all'unica vera fede sono pari, così che i cattolici possono avere giusto motivo per mettere in dubbio la fede che già ricevettero sotto il magistero della Chiesa, sospendendone l'assenso finché non abbiano compiuto la dimostrazione scientifica della credibilità e della verità della loro fede: sia anatema.

SAN PIO X PAPA LAMENTABILI SANE EXITU

Condanna delle seguenti asserzioni.

26. I dogmi della Fede debbono essere accettati soltanto secondo il loro senso pratico, cioè come norma precettiva riguardante il comportamento, ma non come norma di Fede.

59. Cristo non insegnò un determinato insieme di dottrine applicabile a tutti i tempi e a tutti gli uomini, ma piuttosto iniziò un certo qual moto religioso adattato e da adattare a diversi tempi e circostanze.

Pag. 189. “Dio e il mondo”

Ci resta da puntualizzare che l’Antico Testamento non è una profezia ma un percorso.

Pag. 24-25. “Gesù di Nazaret”

 [...] il profeta [...] non ha lo scopo di comunicare gli avvenimenti di domani o dopodomani [...]. Egli ci mostra il volto di Dio e in questo modo ci indica la strada che dobbiamo prendere. [...] Indica la via verso il vero «esodo», che consiste nel dovere di cercare e trovare – quale vera direzione, in tutte le vie della storia – la strada che porta a Dio. Intesa in questo senso, la profezia è in stretta corrispondenza con la fede di Israele in un unico Dio, è la sua trasposizione nella vita concreta di una comunità davanti a Dio e in cammino verso di Lui.

SAN PIO X PAPA – “PASCENDI DOMINICI GREGIS”

Ma i modernisti apologeti non si dàn pensiero di tanto. Concedono di più trovarsi talora nei Libri santi dei ragionamenti, per sostenere una qualche dottrina, che non si appoggiano a verun ragionevole fondamento, come son quelli che si basano sulle profezie. Vero è che anche questi menan per buoni come artifizî di predicazione legittimati dalla vita.

VANGELO SECONDO GIOVANNI

5 – [37]E anche il Padre, che mi ha mandato, ha reso testimonianza di me. Ma voi non avete mai udito la sua voce, né avete visto il suo volto, [38]e non avete la sua parola che dimora in voi, perché non credete a colui che egli ha mandato. [39]Voi scrutate le Scritture credendo di avere in esse la vita eterna; ebbene, sono proprio esse che mi rendono testimonianza. [40]Ma voi non volete venire a me per avere la vita.

PRIMA LETTERA DI PIETRO

1 [10]Su questa salvezza indagarono e scrutarono i profeti che profetizzarono sulla grazia a voi destinata [11]cercando di indagare a quale momento o a quali circostanze accennasse lo Spirito di Cristo che era in loro, quando prediceva le sofferenze destinate a Cristo e le glorie che dovevano seguirle. [12]E fu loro rivelato che non per se stessi, ma per voi, erano ministri di quelle cose che ora vi sono state annunziate da coloro che vi hanno predicato il vangelo nello Spirito Santo mandato dal cielo; cose nelle quali gli angeli desiderano fissare lo sguardo.

 

Pag. 375. “Gesù di Nazaret”

Il veggente (Libro di Daniele) scorge come da lontano il vero Signore del mondo nell’immagine di un vegliardo che pone fine all’apparizione. Ed ecco arrivare «sulle nubi del cielo, uno, simile ad un figlio dell’uomo»; a lui furono dati «potere, gloria e regno; tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano; il suo potere è un potere eterno [...] e il suo regno è tale che non sarà mai distrutto » [...] un regno di «umanità», di quel vero potere che viene da Dio stesso. [...] Il «figlio di uomo» [...] non è una figura individuale, bensì la rappresentazione del «regno» in cui il mondo raggiungerà la sua meta finale.

   Nell’esegesi è diffusa la supposizione che dietro questo testo possa nascondersi una versione in cui il «figlio di uomo» indicava anche una figura individuale; noi, comunque, non conosciamo questa variante; essa rimane una congettura.

PAPA GIOVANNI PAOLO II

UDIENZA GENERALE – Mercoledì, 17 febbraio 1988

9. Non possiamo concludere senza un ultimo accenno al fatto che Gesù per lo più ha parlato di se stesso come del “Figlio dell’uomo” (Mc 2, 10. 28; 14, 62; Mt 8, 20; 16, 27; 24, 27; Lc 9, 22; 11, 30; Gv 1, 51; 8, 28; 13, 31). Questa espressione secondo la sensibilità del linguaggio comune d’allora poteva anche indicare che egli è vero uomo così come tutti gli altri esseri umani, e senza dubbio contiene il riferimento alla sua reale umanità.

Tuttavia il significato strettamente biblico, anche in questo caso, va stabilito tenendo conto del contesto storico risultante dalla tradizione di Israele, espressa e influenzata dalla profezia di Daniele che dà origine a quella formulazione di un concetto messianico (cf. Dn 7, 13-14). “Figlio dell’uomo” in tale contesto non significa soltanto un comune uomo appartenente al genere umano, ma si riferisce a un personaggio che riceverà da Dio una dominazione universale e trascendente i singoli tempi storici, nell’era escatologica.

Sulla bocca di Gesù e nei testi degli evangelisti la formula è pertanto carica di un senso pieno che abbraccia divino e umano, cielo e terra, storia ed escatologia, come lo stesso Gesù ci fa intendere quando, testimoniando davanti a Caifa di essere il Figlio di Dio, predice con forza: “D’ora innanzi vedrete il Figlio dell’uomo seduto alla destra di Dio, venire sulle nubi del cielo” (Mt 26, 64). Nel Figlio dell’uomo è dunque immanente la potenza e la gloria di Dio. Siamo di nuovo di fronte all’unico Uomo-Dio, vero Uomo e vero Dio. La catechesi ci riporta continuamente a lui, perché crediamo e, credendo, preghiamo e adoriamo.

 

  

“Dio e il mondo”

Pag. 390

(In materia di morale sessuale)

[...] l’inadeguatezza umana rispetto a quanto la Chiesa pretende dall’uomo alla luce della sua interpretazione della parola di Dio.

 

CONCILIO DI TRENTO

Capitolo XI - Dell’osservanza dei comandamenti e della sua necessità e possibilità.

Nessuno, poi, per quanto giustificato, deve ritenersi libero dall’osservanza dei comandamenti, nessuno deve far propria quell’espressione temeraria e proibita dai padri sotto pena di scomunica, esser cioè impossibile per l’uomo giustificato osservare i comandamenti di Dio. Dio, infatti, non comanda l’impossibile; ma quando comanda ti ammonisce di fare quello che puoi e di chiedere quello che non puoi, ed aiuta perché tu possa: i suoi comandamenti non sono gravosi, il suo giogo è soave e il peso leggero. [...]

18. Se qualcuno dice che anche per l’uomo giustificato e costituito in grazia i comandamenti di Dio sono impossibili ad osservarsi, sia anatema.

21. Se qualcuno afferma che Gesù Cristo è stato dato agli uomini da Dio come redentore, in cui confidare e non anche come legislatore, cui obbedire: sia anatema.

22. Se qualcuno afferma che l’uomo giustificato può perseverare nella giustizia ricevuta senza uno speciale aiuto di Dio, o non lo può nemmeno con esso: sia anatema.

25. Se qualcuno afferma che in ogni opera buona il giusto pecca almeno venialmente, o (cosa ancor più intollerabile) mortalmente, e quindi merita le pene eterne, e che non viene condannato solo perché Dio non gli imputa a dannazione quelle opere: sia anatema.

27. Se qualcuno afferma che non vi è peccato mortale, se non quello della mancanza di fede, o che la grazia, una volta ricevuta, non può esser perduta con nessun altro peccato, per quanto grave ed enorme, salvo quello della mancanza di fede: sia anatema.

33. Se qualcuno afferma che con questa dottrina cattolica della giustificazione, espressa dal santo sinodo col presente decreto, si riduce in qualche modo la gloria di Dio o i meriti di Gesù Cristo nostro signore, e non piuttosto si manifesta la verità della nostra fede e infine la gloria di Dio e di Gesù Cristo: sia anatema.

PAPA GIOVANNI PAOLO II – “VERITATIS SPLENDOR”

"A Dio tutto è possibile" (Mt 19,26)

22. Amara è la conclusione del colloquio di Gesù con il giovane ricco: "Udito questo, il giovane se ne andò triste, poiché aveva molte ricchezze" (Mt 19,22). Non solo l'uomo ricco, ma anche gli stessi discepoli sono spaventati dall'appello di Gesù alla sequela, le cui esigenze superano le aspirazioni e le forze umane: "A queste parole i discepoli rimasero costernati e chiesero: "Chi si potrà dunque salvare?"" (Mt 19,25). Ma il Maestro rimanda alla potenza di Dio: "Questo è impossibile agli uomini ma a Dio tutto è possibile" (Mt 19,26). Nel medesimo capitolo del Vangelo di Matteo (19,3-10), Gesù, interpretando la Legge mosaica sul matrimonio, rifiuta il diritto al ripudio, richiamando ad un "principio" più originario e più autorevole rispetto alla Legge di Mosè: il disegno nativo di Dio sull'uomo, un disegno al quale l'uomo dopo il peccato è diventato inadeguato: "Per la durezza del vostro cuore Mosè vi ha permesso di ripudiare le vostre mogli, ma da principio non fu così" (Mt 19,8). Il richiamo al "principio" sgomenta i discepoli, che commentano con queste parole: "Se questa è la condizione dell'uomo rispetto alla donna non conviene sposarsi" (Mt 19,10). E Gesù, riferendosi in modo specifico al carisma del celibato "per il Regno dei cieli" (Mt 19,12), ma enunciando una regola generale, rimanda alla nuova e sorprendente possibilità aperta all'uomo dalla grazia di Dio: "Egli rispose loro: "Non tutti possono capirlo, ma solo coloro ai quali è stato concesso"" (Mt 19,11). Imitare e rivivere l'amore di Cristo non è possibile all'uomo con le sole sue forze. Egli diventa capace di questo amore soltanto in virtù di un dono ricevuto. Come il Signore Gesù riceve l'amore del Padre suo, così Egli a sua volta lo comunica gratuitamente ai discepoli: "Come il Padre ha amato me, così anch'io ho amato voi. Rimanete nel mio amore" (Gv 15,9). Il dono di Cristo è il suo Spirito, il cui primo "frutto" (cfr. Gal 5,22) è la carità: "L'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo, che ci è stato dato" (Rm 5,5). Sant'Agostino si chiede: "E l'amore che ci fa osservare i comandamenti, oppure è l'osservanza dei comandamenti che fa nascere l'amore?". E risponde: "Ma chi può mettere in dubbio che l'amore precede l'osservanza?

Chi infatti non ama è privo di motivazioni per osservare i comandamenti".

23. "La legge dello Spirito che dà vita in Cristo Gesù ti ha liberato dalla legge del peccato e della morte" (Rm 8,2). Con queste parole l'apostolo Paolo ci introduce a considerare nella prospettiva della storia della Salvezza che si compie in Cristo il rapporto tra la Legge (antica) e la grazia (Legge nuova). Egli riconosce il ruolo pedagogico della Legge, la quale, permettendo all'uomo peccatore di misurare la sua impotenza e togliendogli la presunzione dell'autosufficienza, lo apre all'invocazione e all'accoglienza della "vita nello Spirito". Solo in questa vita nuova è possibile la pratica dei comandamenti di Dio. Infatti, è per la fede in Cristo che noi siamo resi giusti (cfr. Rm 3,28): la "giustizia" che la Legge esige, ma non può dare a nessuno, ogni credente la trova manifestata e concessa dal Signore Gesù. Così mirabilmente ancora sant'Agostino sintetizza la dialettica paolina di legge e grazia: "La legge, perciò, è stata data perché si invocasse la grazia; la grazia è stata data perché si osservasse la legge". L'amore e la vita secondo il Vangelo non possono essere pensati prima di tutto nella forma del precetto, perché ciò che essi domandano va al di là delle forze dell'uomo: essi sono possibili solo come frutto di un dono di Dio, che risana e guarisce e trasforma il cuore dell'uomo per mezzo della sua grazia: "Perché la legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo" (Gv 1,17). Per questo la promessa della vita eterna è legata al dono della grazia, e il dono dello Spirito che abbiamo ricevuto è già "caparra della nostra eredità" (Ef 1,14).

24. Si rivela così il volto autentico e originale del comandamento dell'amore e della perfezione alla quale esso è ordinato: si tratta di una possibilità aperta all'uomo esclusivamente dalla grazia, dal dono di Dio, dal suo amore. D'altra parte, proprio la coscienza di aver ricevuto il dono, di possedere in Gesù Cristo l'amore di Dio, genera e sostiene la risposta responsabile di un amore pieno verso Dio e tra i fratelli, come con insistenza ricorda l'apostolo Giovanni nella sua prima Lettera: "Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l'amore è da Dio: chiunque ama è generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore... Carissimi, se Dio ci ha amato, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri... Noi amiamo, perché egli ci ha amati per primo" (1Gv 4,7-8.11.19). Questa connessione inscindibile tra la grazia del Signore e la libertà dell'uomo, tra il dono e il compito, è stata espressa in termini semplici e profondi da sant'Agostino, che così prega: "Da quod iubes et iube quod vis" (dona ciò che comandi e comanda ciò che vuoi). Il dono non diminuisce, ma rafforza l'esigenza morale dell'amore: "Questo è il suo comandamento: che crediamo nel nome del Figlio suo Gesù Cristo e ci amiamo gli uni gli altri, secondo il precetto che ci ha dato" ( 1 Gv 3,23). Si può "rimanere" nell'amore solo a condizione di osservare i comandamenti, come afferma Gesù: "Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore" (Gv 15,10). Raccogliendo quanto è al cuore del messaggio morale di Gesù e della predicazione degli Apostoli, e riproponendo in una sintesi mirabile la grande tradizione dei Padri d'Oriente e d'Occidente - in particolare di sant'Agostino - san Tommaso ha potuto scrivere che la Legge Nuova è la grazia dello Spirito Santo donata mediante la fede in Cristo. I precetti esterni, di cui pure il Vangelo parla, dispongono a questa grazia o ne dispiegano gli effetti nella vita. Infatti, la Legge Nuova non si contenta di dire ciò che si deve fare, ma dona anche la forza di "fare la verità" (cfr. Gv 3,21). Nello stesso tempo san Giovanni Crisostomo ha osservato che la Legge Nuova fu promulgata proprio quando lo Spirito Santo discese dal cielo nel giorno di Pentecoste e che gli Apostoli "non discesero dal monte portando, come Mosè, delle tavole di pietra nelle loro mani; ma se ne venivano portando lo Spirito Santo nei loro cuori..., divenuti mediante la sua grazia una legge viva, un libro animato". [...]

Questa verità della legge morale - come quella del "deposito della fede" - si dispiega attraverso i secoli: le norme che la esprimono restano valide nella loro sostanza [...].

L'uomo ha in realtà una legge scritta da Dio dentro il suo cuore: obbedire ad essa è la dignità stessa dell'uomo, e secondo questa egli sarà giudicato (cfr. Rm 2,14-16)". Per questo il modo secondo cui si concepisce il rapporto tra la libertà e la legge si collega intimamente con l'interpretazione che viene riservata alla coscienza morale. In tal senso le tendenze culturali sopra ricordate, che contrappongono e separano tra loro la libertà e la legge ed esaltano in modo idolatrico la libertà, conducono ad un'interpretazione "creativa" della coscienza morale, che si allontana dalla posizione della tradizione della Chiesa e del suo Magistero. [...]

Né manca chi ritiene che questo processo di maturazione sarebbe ostacolato dalla posizione troppo categorica che, in molte questioni morali, assume il Magistero della Chiesa, i cui interventi sarebbero causa, presso i fedeli, dell'insorgere di inutili conflitti di coscienza.

56. Per giustificare simili posizioni, alcuni hanno proposto una sorta di duplice statuto della verità morale. Oltre al livello dottrinale e astratto, occorrerebbe riconoscere l'originalità di una certa considerazione esistenziale più concreta. Questa, tenendo conto delle circostanze e della situazione, potrebbe legittimamente fondare delle eccezioni alla regola generale e permettere così di compiere praticamente, con buona coscienza, ciò che è qualificato come intrinsecamente cattivo dalla legge morale. In tal modo si instaura in alcuni casi una separazione, o anche un'opposizione, tra la dottrina del precetto valido in generale e la norma della singola coscienza, che deciderebbe di fatto, in ultima istanza, del bene e del male. Su questa base si pretende di fondare la legittimità di soluzioni cosiddette "pastorali" contrarie agli insegnamenti del Magistero e di giustificare un'ermeneutica "creatrice", secondo la quale la coscienza morale non sarebbe affatto obbligata, in tutti i casi, da un precetto negativo particolare. Non vi è chi non colga che con queste impostazioni si trova messa in questione l'identità stessa della coscienza morale di fronte alla libertà dell'uomo e alla legge di Dio. Solo la chiarificazione precedentemente fatta sul rapporto tra libertà e legge fondato sulla verità rende possibile il discernimento circa questa interpretazione "creativa" della coscienza.

PAPA GIOVANNI PAOLO II – “MULIERIS DIGNITATEM”

Si può dire paradossalmente che il peccato presentato in Genesi (Gen 3) è la conferma della verità circa l’immagine e somiglianza di Dio nell’uomo, se questa verità significa la libertà, cioè la libera volontà, di cui l’uomo può usare scegliendo il bene, ma può anche abusare scegliendo, contro la volontà di Dio, il male. Nel suo significato essenziale, tuttavia, il peccato è negazione di ciò che Dio è - come creatore - in relazione all’uomo e di ciò che Dio vuole, sin dall’inizio e per sempre, per l’uomo. Creando l’uomo e la donna a propria immagine e somiglianza, Dio vuole per loro la pienezza del bene, ossia la felicità soprannaturale, che scaturisce dalla partecipazione alla sua stessa vita. Commettendo il peccato l’uomo respinge questo dono e contemporaneamente vuol diventare egli stesso "come Dio, conoscendo il bene e il male" (Gen 3,5), cioè decidendo del bene e del male indipendentemente da Dio, suo creatore. Il peccato delle origini ha la sua "misura" umana, il suo metro interiore nella libera volontà dell’uomo ed insieme porta in sé una certa caratteristica "diabolica" ("Diabolicus" e lingua Graeca = "divido, separo, calumnior"), come è messo chiaramente in rilievo nel libro della Genesi (Gen 3,1-5). Il peccato opera la rottura dell’unità originaria, di cui l’uomo godeva nello stato di giustizia originale: l’unione con Dio come fonte dell’unità all’interno del proprio "io", nel reciproco rapporto dell’uomo e della donna ("communio personarum") e, infine, nei confronti del mondo esterno, della natura.

 

 

Pag. 88.

Naturalmente in quest’immagine è insito un pericolo. Nell’illuminismo ha contribuito in maniera significativa alla presa di distanza da Dio. Perché da un Dio che mi osserva inesorabilmente ovunque io sia, che non mi concede mai uno spazio mio – la mia privacy si direbbe oggi – da un simile Dio ci si separa volentieri. Considerare il vedere come una minaccia, come un pericoloso osservare che mi sottrae la libertà è un’interpretazione sbagliata che capovolge l’immagine autentica di Dio.

PAPA GIOVANNI PAOLO II - dal libro: “TRITTICO ROMANO”

II

Meditazioni sulla “Genesi”.

Dalla soglia della Cappella Sistina.

[...]

Epilogo

E proprio qui, ai piedi di questa stupenda policromia sistina,
si riuniscono
i cardinali -
la comunità responsabile per il lascito delle chiavi del Regno
.
Proprio qui essi vengono.
E Michelangelo li avvolge, di nuovo, con la visione.
"In Lui viviamo, ci muoviamo ed esistiamo..."

Chi è Lui?
Ecco, la mano creatrice dell'Onnipotente Vegliardo, diretta verso Adamo...
In principio Dio ha creato...
Colui che vede tutto...

La policromia sistina allora proclama la Parola del Signore:
Tu es Petrus - udì Simone, il figlio di Giona.
"A te consegnerò le chiavi del Regno".
Gli uomini, a cui è stata affidata la tutela del lascito delle chiavi,
si riuniscono qui, lasciandosi avvolgere dalla policromia sistina,
da questa visione che Michelangelo ci ha trasmesso -
Era così nell'agosto e poi nell'ottobre, del memorabile anno dei due conclavi,
e così sarà ancora, quando se ne presenterà l'esigenza dopo la mia morte.
Bisogna che a loro parli la visione di Michelangelo.
"Con-clave": una compartecipata premura del lascito delle chiavi, delle chiavi del Regno.
Ecco, si vedono tra l’Inizio e la Fine,
tra il Giorno della Creazione e il Giorno del Giudizio.
E' stabilito per gli uomini di morire una volta sola, e poi il Giudizio!

Definitiva trasparenza e luce.
Trasparenza degli eventi -
Trasparenza delle coscienze -
Bisogna che, durante il conclave, Michelangelo renda di questo consapevoli gli uomini -
Non dimenticate: Omnia nuda et aperta sunt ante oculos Eius.
Tu che penetri tutto - indica!
Lui indicherà...

 

In futuro altri brani in cui si trovano altre eresie, errori e ambiguità riguardanti altri temi.