Espressioni
eretiche ed altre in odore di eresia di Joseph Ratzinger
I brani in questione sono presi dai libri:
“Gesù di Nazaret” edizione 2007, “Dio e il mondo” edizione
2001 e “La Comunione nella Chiesa” edizione 2004
| Joseph Ratzinger |  | Magistero
  Pontificio | 
|    “Dio e il mondo” Pag. 267. [...] (Maria) la madre di quell’uomo intimamente unito a Dio, fino ad essere tutt’uno con lui. Pag. 319. [...] concepimento dell’uomo Gesù, per
  opera dello Spirito Santo. Pag. 190. Allora tutto ciò che era e doveva essere il Tempio è presente in lui (Gesù) in quanto Tempio vivente. Pag. 297. [...] la volontà di Gesù diventa
  tutt’uno con la volontà del Figlio e con quella del Padre. Pag. 240. Lì (nella figura di Cristo) si situa un uomo in cui però Dio
  stesso si fa presente. Pag. 257. [...] Gesù non è uno degli inviati, ma
  colui in cui Dio esprime se stesso. Pag. 25. Ragionevolmente si dovrebbe infatti dire che Dio è troppo grande per comprimere se stesso nella limitatezza di un essere umano (Gesù). Pag. 26. [...] questo è un Dio che ha la
  forza di realizzare l’amore in modo tale da essere se stesso in un uomo [...]. Pag. 114. […] il purgatorio, appunto, in cui la vista di Cristo ci
  faccia ardere fino a renderci liberi, ci purifichi rendendoci pronti a incontrare Dio
  [...]. Pag. 267. […] stabilire quanto profondamente fossero unite in quest’uomo Gesù Cristo natura umana e natura divina [...]. “Gesù di
  Nazaret” Pag. 105. È (Cristo) il re della
  pace – lo è grazie alla potenza di Dio, non
  in virtù di un potere proprio. Pag. 211. Nelle guarigioni
  miracolose del Signore e dei Dodici, Dio si rivela nel suo potere benigno sul mondo. Sono,
  secondo la loro essenza, «segni» che rimandano
  a Dio stesso e tendono a mettere in
  movimento l’uomo verso Dio.  Pag. 84. [...] il «regno» non è semplicemente presente nella presenza fisica di Gesù, ma mediante il suo operare nello Spirito Santo. In questo senso il regno di Dio, in Lui e attraverso di Lui, qui ed ora, diventa presenza, «si avvicina». Pag. 112. In un mondo pieno di crudeltà e cinismo o di connivenza dettata dalla paura ci troviamo di nuovo di fronte – come nella visione di Ezechiele – alla piccola schiera di persone (sotto la croce di Gesù) che restano fedeli; non possono ribaltare la sventura, ma nel loro con-patire si schierano dalla parte del condannato, e con il loro con-amare si trovano dalla parte di Dio, che è Amore. Pag. 357. La trasfigurazione è un avvenimento di preghiera; diventa visibile ciò che accade nel dialogo di Gesù con il Padre: l’intima compenetrazione del suo essere con Dio, che diventa pura luce. Pag. 7. Al tempo della mia giovinezza – negli anni Trenta e Quaranta –
  esisteva una serie di opere entusiasmanti su Gesù. [...] In tutte queste opere l’immagine di Gesù Cristo veniva delineata a
  partire dai Vangeli: come Egli visse sulla terra e come, pur essendo interamente uomo, portò
  nello stesso tempo agli uomini Dio, con il quale, in quanto Figlio, era una
  cosa sola.  “La Comunione
  nella Chiesa” Pag. 83-84. In altre
  parole, le due volontà sono unite nel sì della volontà umana di
  Cristo alla volontà divina del Logos. Così concretamente – “esistenzialmente” – entrambe le volontà
  diventano un’unica volontà e
  tuttavia rimangono ontologicamente due realtà autonome. Riguardo a
  questo, il concilio afferma: come la carne del Signore
  può essere
  detta carne del Logos, così anche la sua volontà umana può essere definita volontà propria del Logos. In pratica il
  concilio applica qui (nella dovuta differenza analogica) il modello
  trinitario alla cristologia: la suprema unità esistente – l’unità
  di Dio – non è un’unità senza articolazione e distinzione, ma
  unità al modo della comunione-unità che è creata
  dall’amore ed è amore. Così il Logos assume
  in sé l’essere dell’uomo Gesù
  e ne parla come del proprio io: “Sono disceso dal cielo non per fare
  la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato” (Gv 6,38).
  Nell’obbedienza del Figlio, nell’unificazione delle due volontà in un unico
  sì alla volontà del Padre, si compie la comunione
  tra essere umano e divino. Lo “scambio
  meraviglioso”, l’“alchimia dell’essere”, si realizza qui come comunione
  liberatrice e conciliatrice, che diviene comunione tra Creatore e creatura. Pag. 98-99. A partire di qui Paolo poteva designare Cristo come “hilasterion”,
  termine che indicava nel linguaggio cultuale dell’Antico Testamento il punto
  centrale del tempio, il coperchio, che stava sopra l’arca
  dell’alleanza. Esso era chiamato “kapporeth”, che
  in greco fu tradotto con “hilasterion” ed era
  considerato come il luogo, sopra il quale Dio si
  manifestava in una nuvola. Questo “coperchio” era asperso con il sangue
  dell’espiazione, che in questo modo doveva avvicinarsi il più possibile a Dio
  stesso. | SECONDO CONCILIO DI COSTANTINOPOLI IV. Se qualcuno dice che l'unione del Verbo di Dio con l'uomo è avvenuta solo nell'ordine della grazia, o in quello dell'operazione, o in quello dell'uguaglianza di onore, o nell'ordine dell'autorità, o della relazione, o dell'affetto, o della virtù; o anche secondo il beneplacito, quasi che il Verbo di Dio si sia compiaciuto dell'uomo, perché lo aveva ben giudicato, come asserisce il pazzo Teodoro; ovvero secondo l'omonimia per cui i Nestoriani, chiamando il Dio Verbo col nome di Gesù e di Cristo, e poi, separatamente, l'uomo, "Cristo e Figlio", parlano evidentemente di due persone, anche se fingono di ammettere una sola persona e un solo Cristo, solo di nome, e secondo l'onore, e la dignità e l'adorazione; egli non ammette, invece, che l'unione del Verbo di Dio con la carne animata da anima razionale e intelligente, sia avvenuta per composizione, cioè secondo l'ipostasi, come hanno insegnato i santi padri; e quindi nega una sola persona in lui, e cioè il Signore Gesù Cristo, uno della santa Trinità, costui sia scomunicato. Poiché, infatti, l'unità si può concepire in diversi modi, gli uni, seguendo l'empietà di Apollinare e di Eutiche, e ammettendo l'annullamento degli elementi che formano l'unità, parlano di un'unione per confusione; gli altri, seguendo le idee di Teodoro e di Nestorio, si compiacciono della separazione, e parlano di una unione di relazione. La santa chiesa di Dio, rigettando l'empietà dell'una e dell'altra eresia, confessa l'unione di Dio Verbo con la carne secondo la composizione, ossia secondo l'ipostasi. Questa unione secondo la composizione nel mistero di Cristo, salvaguarda dalla confusione degli elementi che concorrono all'unità, ma non ammette la loro divisione. V. Se qualcuno intende l'unica persona del signore nostro Gesù Cristo
  come implicante più sussistenze, e con ciò tenta introdurre nel mistero di
  Cristo due ipostasi o persone, e se di queste due persone, da lui introdotte,
  parla di una secondo la dignità l'onore e l'adorazione, come hanno scritto nella loro pazzia Teodoro e Nestorio, e accusa il santo
  concilio di Calcedonia, quasi che abbia usato l'espressione "una sola
  sussistenza", secondo questa empia concezione; e non ammette,
  piuttosto, che il Verbo di Dio si è unito alla carne secondo ipostasi e che,
  quindi, egli ha una sola ipostasi, cioè una sola persona; e che così anche
  che il santo sinodo di Calcedonia ha confessato una sola ipostasi del Signore
  nostro Gesù Cristo, costui sia anatema. La santa Trinità, infatti, non ha ricevuto l'aggiunta di
  una persona in seguito all'incarnazione di Dio Verbo, uno della santa Trinità. VI. Se qualcuno afferma che la santa gloriosa
  e sempre vergine Maria solo impropriamente e non secondo verità è madre di
  Dio, o che ella lo è secondo la relazione, nel senso che sarebbe nato da lei
  un semplice uomo, e non, invece il Dio Verbo, che si è incarnato dovendosi
  riferire, secondo loro, la nascita dell'uomo al Verbo Dio, in quanto presente
  all'uomo che nasceva; e chi accusa il santo sinodo di Calcedonia, di chiamare
  la vergine madre di Dio nel senso empio escogitato da Teodoro; o anche se
  qualcuno la chiama madre dell'uomo o madre di Cristo, intendendo con ciò che Cristo non sia
  Dio, e non la ritiene davvero, e secondo verità madre di Dio, per essersi
  incarnato da essa, in questi ultimi tempi, il Verbo Dio, generato dal Padre
  prima dei secoli, e che, quindi, piamente il santo sinodo di Calcedonia l'ha
  ritenuta madre di Dio, costui sia anatema. IX. Se
  qualcuno dice che Cristo deve essere adorato in due nature, con ciò introduce
  due adorazioni, una al Verbo Dio, una all'uomo; o se qualcuno, mirando alla
  soppressione della carne, o alla confusione della divinità e dell'umanità, va
  cianciando di una sola natura o sostanza degli elementi uniti, e così adora
  il Cristo, ma senza venerare con una sola adorazione il Dio Verbo incarnato
  insieme con la sua carne, come la chiesa di Dio ha ricevuto dall'inizio,
  costui sia anatema. XI.
  Chi non scomunica Ario, Eunomio, Macedonio,
  Apollinare, Nestorio, Eutiche, e Origene, insieme ai loro empi scritti, e
  tutti gli altri eretici, condannati e scomunicati dalla santa chiesa
  cattolica e apostolica e dai quattro predetti santi concili; inoltre, chi ha
  ritenuto o ritiene dottrine simili a quelle
  degli eretici che abbiamo nominato, e persiste nella propria empietà fino
  alla morte, sia anatema. XIV.
  Se qualcuno difende la lettera che si dice essere stata scritta da Iba
  al persiano Mari, che nega che il Dio Verbo, incarnatosi nella santa madre di
  Dio e sempre vergine Maria, si sia fatto uomo, e afferma che da essa sia nato un semplice uomo, che chiama tempio, in
  modo che altro sia il Dio Verbo, altro l'uomo; e accusa s. Cirillo, il
  quale ha predicato la vera fede dei cristiani, di essere eretico e di avere
  scritto come l'empio Apollinare; e rimprovera il primo santo concilio di
  Efeso, quasi che abbia senza sufficiente giudizio e discussione condannato
  Nestorio e definisce i dodici punti di s. Cirillo empi e contrari alla retta
  fede, questa lettera, empia essa stessa, prende le difese di Teodoro e di
  Nestorio e dei loro empi scritti e dottrine. Se, quindi, qualcuno difende
  questa lettera, e non anatematizza essa e quanti la difendono, e quanti
  dicono che essa, o anche una sua parte, è retta; e quelli che hanno scritto e
  scrivono in suo favore o a favore delle empietà che essa contiene, o tentano
  di giustificarla con tutte le sue empietà in nome dei santi padri e del santo
  concilio di Calcedonia, e sono rimasti fermi in queste idee fino alla morte, costui sia
  anatema. Notificazione della Congregazione per la Dottrina della
  Fede  sul libro "Jesus Symbol of
  God" scritto da padre Roger Haight,
  S. J. III.
  La divinità di Gesù Il
  "vero Dio e vero uomo" andrebbe perciò reinterpretato, secondo
  l'Autore, nel senso che "vero uomo" significherebbe che Gesù
  sarebbe "un essere umano come tutti gli altri" (p. 259), "un
  essere umano e una creatura finita" (p. 262); mentre "vero
  Dio" significherebbe che l'uomo Gesù, in qualità di simbolo concreto,
  sarebbe o medierebbe la presenza salvifica di Dio nella storia (cfr pp. 262;
  295): solo in questo senso egli potrebbe essere considerato come "veramente
  divino o consustanziale con Dio" (p. 295). La "situazione
  postmoderna in cristologia", aggiunge l'Autore, "comporta un
  cambiamento di interpretazione che va al di là della problematica di
  Calcedonia" (p. 290), precisamente nel senso che l'unione ipostatica, o
  "enipostatica", sarebbe da intendere come "l'unione di niente di
  meno che Dio come Verbo con la persona umana Gesù" (p. 442).  Questa
  interpretazione della divinità di Gesù è contraria alla fede della Chiesa, che crede in Gesù Cristo, Figlio eterno di Dio, fattosi
  uomo, così come è ripetutamente confessato in vari concili ecumenici e nella
  costante predicazione della Chiesa.  BEATO
  PIO IX PAPA – “INEFFABILIS DEUS” Era certo sommamente opportuno che una Madre
  degna di tanto onore rilucesse perennemente adorna degli splendori della più
  perfetta santità e, completamente immune anche dalla stessa macchia del
  peccato originale, riportasse il pieno trionfo sull'antico serpente. Dio
  Padre dispose di dare a Lei il suo unico Figlio, generato dal suo seno uguale
  a sé, e che ama come se stesso, in modo tale che fosse, per natura, Figlio
  unico e comune di Dio Padre e della Vergine; lo
  stesso Figlio scelse di farne la sua vera Madre, e lo Spirito Santo volle e
  operò perché da Lei fosse concepito e generato Colui dal quale egli stesso
  procede. Recenti errori sulla fede nel Figlio di
  Dio fatto uomo.    Sono chiaramente opposte a questa fede le opinioni
  secondo cui non sarebbe rivelato e noto che il Figlio di Dio sussiste ab aeterno, nel mistero di Dio,
  distinto dal Padre e dallo Spirito Santo; inoltre le opinioni secondo cui
  sarebbe da abbandonare la nozione di unica persona di Gesù Cristo, nata prima
  dei secoli dal Padre secondo la natura divina e nel tempo da Maria Vergine
  secondo la natura umana; e infine l’affermazione secondo cui l’umanità di
  Gesù Cristo esisterebbe, non come assunta nella persona eterna del Figlio di
  Dio, ma piuttosto in se stessa come persona umana, e di conseguenza che il
  mistero di Gesù Cristo consisterebbe nel fatto che Dio che si rivela sarebbe
  sommamente presente nella persona umana di Gesù.    Coloro
  che pensano in tal modo, rimangono lontani dalla vera fede in Gesù Cristo, anche quando asseriscono che la presenza unica di Dio
  in Gesù faccia sì che Egli sia la espressione suprema e definitiva della
  rivelazione divina, né ritrovano la vera fede nella divinità di Cristo,
  quando aggiungono che Gesù può essere chiamato Dio per il fatto che, in
  quella che dicono la sua persona umana, Dio è pienamente presente. Cardinale Umberto Betti – “IMMUTABILE PROFESSIONE DI FEDE” Commento sulla Dichiarazione “MYSTERIUM FILII DEI” Il rapporto, poi, di Cristo col Padre, per quanto unica sia l’intensità personale che lo contraddistingue, rimane un rapporto che ha avuto inizio con l’esistenza di Gesù. Perciò quello che l’attività di Cristo comporta di divino non è da ascriversi al suo essere Dio, a causa della persona eterna del Verbo nella quale la sua umanità esiste; ma deriva dall’essere e dall’agire di Dio in lui e per mezzo di lui. E allora non si può più dire che le azioni sante di Gesù e la passione da lui liberamente accettata siano proprie di Dio; perché sono tali solo se sono azioni e passione del Figlio eternamente generato dal Padre e, per questo motivo, hanno davanti a lui un valore salvifico infinito.    Il mistero cristologico così capovolto
  viene ad essere irrimediabilmente distrutto. Ogni tentativo di ricostruirlo
  si risolve, in fondo, in una denaturazione nuova. [...] Cristo, dunque, può e deve
  dirsi Dio soltanto se lo si considera come vero Figlio di Dio, con tutto il
  peso dommatico che, non di rado, a questa espressione è attribuito dal Nuovo
  Testamento e che la fede della Chiesa, con tremore eppur con sicurezza, propone
  in questi termini: la umanità di Gesù non deriva
  la sua esistenza da una corrispondente persona umana che non ha, ma esiste
  solo in quanto e perché assunta nella persona divina dell’eterno Figlio di
  Dio. TERZO
  CONCILIO DI COSTANTINOPOLICome, infatti, la sua carne si dice ed è carne del Verbo di Dio, così la naturale volontà della carne si dice ed è volontà propria del Verbo di Dio [...]. XI SINODO DI TOLEDO – PROFESSIONE DI FEDE(41) Onde l'unico Cristo è nell'unità della
  persona perfetto Dio e perfetto uomo; tuttavia non per questo, per aver detto
  che nel Figlio sono due nature, affermeremo che in lui ci sono due persone,
  affinché non sembri accedere alla Trinità - sia ben lontano! - una quarta
  persona.  (42) Dio il
  Verbo non ha assunto la persona di un uomo, bensì la natura e nell'eterna
  persona della divinità ha accolto la sostanza temporale della carne. (43) Parimenti diciamo che se anche crediamo
  che il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo sono di una sola sostanza,
  tuttavia la Vergine Maria non ha generato
  l'unità di questa Trinità, ma solo il Figlio,
  che solo ha assunto la nostra natura nell'unità della sua persona.  (58)
  E tuttavia, senza che la sua divinità sia stata toccata, sostenne la stessa
  passione per i nostri delitti, fu condannato a morte e accolse in croce la
  vera morte della carne; e il terzo giorno, risvegliatesi di sua propria virtù, risuscitò dal sepolcro.PAPA
  PAOLO VI – Professione di
  Fede Egli è stato sepolto e, per suo proprio potere, è risorto nel terzo giorno, elevandoci con la sua Resurrezione alla partecipazione della vita divina, che è la vita della grazia. 
	CONCILIO DI EFESO[...] non
  affermiamo neppure che il Verbo di Dio ha abitato, come in un uomo qualsiasi,
  in colui che è nato dalla Vergine santa, perché non si creda che Cristo sia
  un semplice uomo portatore di Dio. Se,
  infatti il Verbo di Dio abitò fra noi ed è detto che in Cristo
  abitò corporalmente la pienezza della divinità, crediamo però che egli si
  fece carne non allo stesso modo che si dice
  che abita nei santi, e distinguiamo nello
  stesso modo l'abitazione che si è fatta in lui: unito secondo natura, e non
  mutato affatto in carne, ebbe in essa una tale abitazione, quale si potrebbe
  poi dire che abbia l'anima dell'uomo nei riguardi del suo corpo. [...] Evitiamo assolutamente di dire: "Venero ciò che è stato assunto, per la dignità di colui che l'assume; adoro il visibile a causa dell'invisibile". E’ addirittura orrendo, inoltre, dire: "Colui che è stato assunto è chiamato Dio, insieme con colui che l'ha assunto". Chi usa questo linguaggio, divide di nuovo il Cristo in due Cristi e colloca da una parte l'uomo, e dall'altra Dio; nega, infatti, evidentemente l'unità: quell'unità per cui uno non può essere coadorato o connominato Dio con un altro: uno, invece, è creduto Gesù Cristo, unigenito figlio di Dio, da onorarsi con un unica adorazione con la sua carne. [...] Quando
  poi afferma (Gesù) dello Spirito: Egli mi glorificherà, rettamente
  noi non diciamo che l'unico Cristo e Figlio, quasi avesse bisogno di essere glorificato
  da un altro, ha avuto la sua gloria dallo Spirito Santo: perché lo Spirito
  non è migliore di lui o superiore a lui. Ma poiché a dimostrazione della sua
  divinità, si serviva del proprio spirito per compiere le sue meraviglie [...]. 8. Se qualcuno osa dire che l'uomo assunto dev'essere con-adorato col Verbo di Dio, con-glorificato e con-chiamato Dio come si fa di uno con un altro (infatti la particella con che accompagna sempre queste espressioni, fa pensare ciò), e non onora, piuttosto, con un'unica adorazione l'Emmanuele, e non gli attribuisce una unica lode, in quanto il Verbo si è fatto carne, sia anatema. 9. Se qualcuno dice che l'unico Signore Gesù Cristo è stato glorificato dallo Spirito, nel senso che egli si sarebbe servito della sua potenza come di una forza estranea, e che avrebbe ricevuto da lui di potere agire contro gli spiriti immondi, e di potere compiere le sue divine meraviglie in mezzo agli uomini, sia anatema. 10. La divina Scrittura dice che il Cristo è divenuto pontefice e apostolo della nostra confessione, e che si è offerto per noi in odore di soavità a Dio Padre. Perciò se qualcuno dice che è divenuto pontefice e apostolo nostro non lo stesso Verbo di Dio, quando si fece carne e uomo come noi, ma, quasi altro da lui, l'uomo nato dalla donna preso a sé; o anche se qualcuno dice che ha offerto il sacrificio anche per sé, e non, invece, solamente per noi (e, infatti, non poteva aver bisogno di sacrificio chi non conobbe peccato), sia anatema. 11. Se qualcuno non confessa che la carne del Signore è vivificante e (che essa è la carne) propria dello stesso Verbo del Padre, (e sostiene, invece, che sia) di un altro, diverso da lui, e unito a lui solo per la sua dignità; o anche di uno che abbia ricevuto solo la divina abitazione; se, dunque, non confessa che sia vivificante, come abbiamo detto inquantoché divenne propria del Verbo, che può vivificare ogni cosa, sia anatema. 12. Se qualcuno non confessa che il Verbo di Dio ha sofferto nella carne, è stato crocifisso nella carne, ha assaporato la morte nella carne, ed è divenuto il primogenito dei morti, inquantoché, essendo Dio, è vita e dà la vita, sia anatema. 
	  464 L'evento unico e del tutto
  singolare dell'Incarnazione del Figlio di Dio non significa che Gesù Cristo
  sia in parte Dio e in parte uomo, né che sia il risultato di una confusa mescolanza
  di divino e di umano. Egli si è fatto veramente uomo rimanendo veramente Dio.
  Gesù Cristo è vero Dio e vero uomo. La Chiesa nel corso dei primi secoli ha
  dovuto difendere e chiarire questa verità di fede contro eresie che la
  falsificavano. [...] 466 L'eresia nestoriana vedeva in
  Cristo una persona umana congiunta alla Persona divina del Figlio di Dio.
  [...] L'umanità di Cristo non ha altro soggetto che la Persona divina del Figlio di
  Dio, che l'ha
  assunta e fatta sua al momento del suo concepimento. [...] Un solo e medesimo
  Cristo, Signore, Figlio unigenito, che noi dobbiamo riconoscere in due
  nature, senza confusione, senza mutamento, senza divisione, senza
  separazione. 468 [...] vi è « una sola ipostasi [o
  Persona]..., cioè il Signore (nostro) Gesù Cristo, Uno della
  Trinità ". Tutto, quindi, nell'umanità di Cristo deve essere
  attribuito alla sua Persona divina come al suo soggetto proprio, non
  soltanto i miracoli ma anche le sofferenze e così pure la morte: " Il Signore nostro Gesù Cristo,
  crocifisso nella sua carne, è vero Dio, Signore della gloria e Uno della
  Santa Trinità ". VANGELO
  SECONDO MATTEO  10 – [32]Chi dunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch’io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; [33]chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli. Chiunque
  confessa che Gesù Cristo è apparso nella carne, è da Dio. E chiunque divide Gesù,
  non è da Dio; anzi è l'anticristo. | 
| “Dio e il mondo” Pag. 186.
  Le prime parole del Vangelo di Giovanni gettano un ponte tra la storia
  della creazione, fondamento originario di tutte le cose, e gli eventi in
  Palestina. Ci mostrano come quel Logos,
  quel senso creativo che è all’origine del mondo, si è incarnato in
  quest’uomo, Gesù. Quella forza che ha
  operato la creazione del mondo ha fatto ingresso nel mondo e ci parla. E’ un
  grande paradosso quello in cui ci imbattiamo: Dio è tanto grande da potersi
  far piccolo. Ed è così piccolo che ci si può fare incontro come persona umana. Dio
  non casca dal cielo per presentarsi a noi,
  ma si inserisce concretamente in un contesto storico [...]. Pag.
  100-101. Nel Giudaismo più antico, cioè
  all’epoca in cui visse anche Gesù, si era formata la convinzione che la creazione del mondo materiale era stata preceduta
  dalla Thorà. La terra era stata creata per
  così dire per assicurare una dimora alla Thorà. [...] Questa prima frase della Thorà
  – “In principio Dio creò il cielo e la terra” – viene consapevolmente ripresa
  da Giovanni, che in qualche modo sintetizza in un’unica frase l’intero
  resoconto della creazione: “In principio era il Verbo”.  [...] Logos, che significa insieme “senso” e “parola”. Logos,
  che vuol dire “forza portatrice di senso”, [...] è importante sottolineare come significasse insieme sia idea che parola. Pag. 102. La parola è dunque davvero strumento di creazione, e la creazione è quindi, in un certo senso, la concretizzazione e il dispiegarsi di un documento. Pag. 377. Le Sacre Scritture non sono parola di Dio caduta dall’alto, ma parola di Dio incarnata nella storia e che cresce in essa. “Gesù di
  Nazaret” Pag. 137-138-139. Gesù intende se stesso come la Torah – la parola di Dio in persona. Il grandioso Prologo del Vangelo di Giovanni - «In
  principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio» - non
  dice niente di diverso da quanto afferma il Gesù del Discorso della montagna
  e il Gesù dei Vangeli sinottici. Il Gesù del quarto Vangelo e il Gesù dei
  sinottici è la stessa identica persona: il vero Gesù «storico». [...] Alla questione della pretesa
  di Gesù di essere Lui stesso la Torah e il tempio in persona si collega altresì il tema di Israele, la questione della
  comunità vivente del popolo in cui si realizza la parola di Dio. Pag. 166-167. «L’amore sino alla fine» (cfr. Gv 13,1), che il Signore ha portato a compimento sulla croce pregando per i suoi nemici, ci mostra la natura del Padre: Egli è questo Amore. Poiché Gesù lo pratica, Egli è totalmente «Figlio» e ci invita a diventare a nostra volta «figli» – a partire da questo criterio. Pag. 203. Gesù che è, Egli stesso, la Torah vivente di Dio. Pag. 207. Ma l’annuncio del regno di Dio non è mai solo parola, mai
  solo insegnamento. È avvenimento, così come Gesù stesso è avvenimento, parola
  di Dio in persona. Pag. 310-311-312.    L’altro dono di Mosè [...]
  è la Torah – la parola di
  Dio che indica la via e conduce alla vita. [...] conoscere la volontà di Dio e dunque la giusta via della
  vita. [...] Sì, la Torah è «pane» venuto da Dio; ma ci
  mostra, per così dire, soltanto le spalle di Dio, è un’«ombra». «Il pane di
  Dio è Colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo» (Gv 6,33). La Legge è diventata Persona. Nell’incontro con Gesù ci nutriamo, per così dire,
  dello stesso Dio vivente, mangiamo il «pane dal cielo». [...] nella fede in Gesù, che è
  dialogo e relazione viva con il Padre e che in noi vuole diventare nuovamente
  parola e amore. Pag. 383. Gesù ha vissuto in base
  all’insieme della Legge e dei Profeti, come ha sempre ripetuto ai suoi
  discepoli. Ha considerato la sua natura e la sua attività come l’unione e l’interpretazione di
  questo insieme. Giovanni esprimerà questa idea nel suo Prologo, scrivendo che
  Gesù stesso è «il Verbo» [...]. “La Comunione
  nella Chiesa” Pag. 115. Nelle parole di Gesù confluiscono, come abbiamo già visto, tutte le correnti dell’Antico Testamento – Legge e Profeti – in una nuova e non prevedibile unità. Le parole, che attendevano solo chi le impersonasse, come il canto del Servo di Dio, divengono realtà. Pag. 169. La sua (di Gesù) parola richiede decisione, crea realtà. In questo senso è parola “incarnata”; la reciprocità di parola e segno mostra una struttura “sacramentale”. Pag. 172. Il servizio della parola richiede dal sacerdote partecipazione alla chèniosi di Cristo, il risorgere e il discendere in Cristo. [...] un perdersi in Cristo che prende la via del suo mistero pasquale e diviene così vero ritrovamento di sé e comunione con colui che è la parola di Dio in persona. Pag. 175. Egli (sant’Agostino) richiama l’attenzione sul fatto che nel Nuovo Testamento con un termine desunto da Isaia, Giovanni (Battista) viene definito la “voce”, mentre nel Vangelo di Giovanni Cristo appare come la “parola”. Il rapporto di voce (vox) e parola (verbum) aiuta a spiegare il rapporto di reciprocità di Cristo e del sacerdote. La parola è presente nel cuore prima che diventi percepibile ai sensi attraverso la voce. Con la mediazione della voce diviene percepibile anche all’altro ed è quindi presente persino nel suo cuore, senza che chi parla venga così privato della parola. Passa di conseguenza il suono, la voce, che porta la parola da uno all’altro (o agli altri). Molto semplicemente, il compito del sacerdote in definitiva è quello di essere voce per la parola: “Io devo diminuire, egli crescere”. La voce non ha altro scopo che trasmettere la parola; essa poi ritorna in sé. A partire di qui diventano manifeste la grandezza e l’umiltà del ministero sacerdotale. Come Giovanni Battista, il sacerdote è un mero precursore, servitore della parola. Al centro non vi è lui, ma l’altro. Egli, tuttavia, è la voce con tutta la sua esistenza; la sua missione consiste nel diventare voce della parola, e così proprio con il suo radicale riferimento alla grandezza della missione del Precursore prende parte alla missione stessa del Logos. Pag.
  170-171.  A partire dalla visione pasquale quale ci
  viene presentata dal Vangelo di Giovanni dobbiamo compiere ancora un passo. Pietro aveva detto che Gesù è il Cristo. Giovanni
  aggiunge: Gesù è il logos. Egli stesso è la parola eterna del Padre che è
  presso Dio ed è Dio (Gv 1,1). In Lui questa parola è divenuta carne e ha
  preso dimora tra di noi (Gv 1,14).
  La predicazione cristiana non annuncia parole, ma
  la parola. “Quando dunque si parla di servizio
  alla parola di Dio, è inclusa nello stesso tempo la relazione intratrinitaria”. Nello stesso tempo vale che “questo servizio partecipa alla funzione
  dell’incarnazione”.
  Giustamente è stata richiamata l’attenzione sul fatto che la predicazione di
  Gesù è fondamentalmente diversa dalla conferenza magisteriale dei rabbini per
  il fatto che l’io di Gesù è esso stesso al centro del suo annuncio.
  Contemporaneamente bisogna ricordarsi che Gesù stesso ha considerato
  caratteristico del suo discorso il fatto che egli
  non parla “in nome proprio” (Gv 5,43; cfr. 7,16). Il suo io è
  interamente aperto al tu del Padre, non sta in se stesso, ma introduce nella
  dinamica della relazione trinitaria. Per il
  predicatore cristiano questo significa che egli non parla da se stesso, ma si fa voce di Cristo per fare così spazio al Logos e
  attraverso la comunione con l’uomo Gesù condurre alla comunione con il Dio
  vivente. Pag. 176-177. L’incarnazione della parola significa che Dio non vuole giungere esclusivamente allo spirito dell’uomo attraverso lo spirito, ma che egli li cerca attraverso il mondo materiale, che lo vuole toccare proprio in quanto essere sociale e storico. Dio vuole giungere agli uomini attraverso gli uomini. Dio è andato agli uomini in modo tale che essi si ritrovano tra di loro per lui e da lui. In questo modo l’incarnazione include la comunitarietà e la storicità della fede. Pag. 78-79. [...] il Figlio
  incarnato è la “comunione” tra Dio e gli uomini. In verità l’essere cristiano non è altro che partecipazione al
  mistero dell’incarnazione, o usando una
  formula di san Paolo: la Chiesa, in quanto e per quanto è Chiesa, è “corpo di
  Cristo” (ossia partecipazione dell’uomo
  alla comunione tra l’uomo e Dio, che è l’incarnazione della parola). Pag. 68-70. Infatti non si può avere il Figlio
  senza il Padre, Gesù senza la sua Bibbia, che noi chiamiamo Antico Testamento.
  […] noi abbiamo l’Antico Testamento in Gesù, nel
  quale la legge è giunta a compimento. […] un’unica
  e identica comunione: la comunione con la parola di Dio incarnata, la quale mediante la sua morte ci rende partecipi della
  sua vita e ci vuole così condurre anche al servizio reciproco, alla comunione
  visibile e vissuta. Pag. 18.  Se il cuore entra in contatto con il Logos di Dio, con la parola fattasi uomo, questo intimo punto della sua esistenza ne è toccato. Allora non solo egli sente, ma sa, dal di dentro di se stesso: è proprio questo; è proprio Lui che io aspetto. È una sorta di riconoscimento. Poiché è per Dio, è per il Logos che noi siamo stati fatti. | 
 PAPA GIOVANNI PAOLO II  UDIENZA
  GENERALE – Mercoledì,
  26 Novembre 1997 "In
  principio era il Verbo" (Gv 1, 1). Con queste parole Giovanni
  comincia il suo Vangelo facendoci risalire al di là dell'inizio del nostro
  tempo, fino all'eternità divina. A differenza di Matteo e di Luca che si
  soffermano soprattutto sulle circostanze della nascita umana del Figlio di
  Dio, Giovanni punta lo sguardo sul mistero della sua preesistenza divina.  In
  questa frase, "in principio" significa l'inizio assoluto, inizio
  senza inizio, l'eternità appunto. L'espressione fa eco a quella presente nel
  racconto della creazione: "In principio Dio creò il cielo e la
  terra" (Gn 1, 1). Ma nella creazione si trattava dell'inizio del
  tempo, mentre qui, ove si parla del Verbo, si tratta dell'eternità. Tra
  i due principi, la distanza è infinita. E' la distanza tra il tempo e l'eternità,
  tra le creature e Dio. 2. Possedendo, come Verbo, un'esistenza eterna, Cristo ha
  un'origine che risale ben al di là della sua nascita nel tempo. Questa
  affermazione di Giovanni si fonda su di una precisa parola di Gesù stesso. Ai
  giudei che gli rimproverano la pretesa di aver visto Abramo pur non avendo
  ancora cinquanta anni, Gesù replica: "In verità, in verità vi dico: prima che Abramo venisse
  all'esistenza, Io Sono" (Gv 8,
  58). L'affermazione sottolinea il contrasto fra il divenire di Abramo e
  l'essere di Gesù. Il verbo
  "genésthai" usato nel testo greco per
  Abramo significa infatti "divenire" o "venire
  all'esistenza": è il verbo adatto a
  designare il modo di esistere proprio delle creature. Al contrario solo Gesù può dire: "Io Sono", indicando con tale espressione la pienezza dell'essere
  che rimane al di sopra di ogni divenire. Egli esprime così la coscienza di
  possedere un essere personale eterno. PAPA GIOVANNI PAOLO II – XV GIORNATA MONDIALE DELLA GIOVENTÙ “Il Verbo si fece
  carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv 1,14) 2.
  Ho scelto come tema per la vostra XVa Giornata Mondiale la frase
  lapidaria con cui l’apostolo Giovanni esprime il mistero altissimo del Dio
  fatto uomo: “Il Verbo si fece carne e venne ad
  abitare in mezzo a noi” (Gv 1,14). Ciò che contrassegna la fede cristiana,
  rispetto a tutte le altre religioni, è la certezza che l’uomo Gesù di Nazaret
  è il Figlio di Dio, il Verbo fatto carne, la seconda persona della Trinità
  venuta nel mondo. PAPA GIOVANNI PAOLO II – “NOVO
  MILLENNIO INEUNTE” 21. Il Verbo e la carne, la gloria divina e la sua tenda tra gli uomini! È nell'unione intima e indissociabile di queste due polarità che sta l'identità di Cristo, secondo la formulazione classica del Concilio di Calcedonia (a. 451): « una persona in due nature ». La persona è quella, e solo quella, del Verbo eterno, figlio del Padre. PAPA GIOVANNI PAOLO II – “FIDES ET RATIO” Gli autori ispirati, infatti, hanno inteso
  formulare affermazioni vere, tali cioè da esprimere la realtà oggettiva. Non
  si può dire che la tradizione cattolica abbia commesso un errore quando ha
  compreso alcuni testi di san Giovanni e di san Paolo come affermazioni
  sull'essere stesso di Cristo. SAN GIOVANNI APOSTOLO 1 [1]In principio era il
  Verbo, [10]Egli era nel mondo, APOCALISSE 19 – [11]Poi vidi il cielo aperto, ed ecco un cavallo
  bianco; colui che lo cavalcava si chiamava «Fedele» e «Verace»: egli giudica
  e combatte con giustizia. [12]I suoi occhi
  sono come una fiamma di fuoco, ha sul suo capo molti diademi; porta scritto
  un nome che nessuno conosce all’infuori di lui. [13]È avvolto in
  un mantello intriso di sangue e il suo nome è Verbo di
  Dio. PAPA GIOVANNI
  PAOLO II – “DOMINUM ET
  VIVIFICANTEM” 8.
  Caratteristica del testo giovanneo è che il Padre, il Figlio e lo Spirito
  Santo vengono nominati chiaramente come
  Persone, la prima distinta dalla seconda e
  dalla terza, e anche queste tra di loro.  PAPA GIOVANNI PAOLO II  UDIENZA
  GENERALE - Mercoledì,
  10 dicembre 1997 La
  nascita di Gesù rende visibile il mistero dell'Incarnazione, realizzatosi già nel grembo della Vergine al momento
  dell'Annunciazione. PAPA GIOVANNI PAOLO II – “MULIERIS
  DIGNITATEM” Il Figlio, Verbo consostanziale al Padre, nasce come uomo da una donna, quando viene "la pienezza del tempo". [...] Qui non si tratta solo di parole di Dio rivelate per mezzo dei profeti, ma, con questa risposta, realmente "il Verbo si fa carne" (cf. Gv 1,14). [...] Solamente in forza dello Spirito Santo, che "stese la sua ombra" su di lei, Maria poteva accettare ciò che è "impossibile presso gli uomini, ma possibile presso Dio" (cf. Mc 10,27). [...] L’essenza della nuova alleanza consiste nel fatto che il Figlio di Dio, consostanziale all’eterno Padre, diventa uomo: accoglie l’umanità nell’unità della persona divina del Verbo. Colui che opera la redenzione è al tempo stesso un vero uomo. CATECHISMO
  DELLA CHIESA CATTOLICA 291 “In principio era il Verbo. . . e il Verbo era Dio. .
  . Tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza
  di lui niente è stato fatto” (Gv 1,1-3). Il Nuovo Testamento rivela che Dio
  ha creato tutto per mezzo del Verbo eterno, il
  Figlio suo diletto. “Per mezzo di lui
  sono state create tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra. . .
  Tutte le cose sono state create per mezzo di lui
  e in vista di lui. Egli è prima di tutte le
  cose e tutte in lui sussistono” (Col 1,16-17). [...] 463 La fede nella reale Incarnazione del Figlio di Dio è il segno distintivo della fede cristiana: “Da questo potete riconoscere lo spirito di Dio: ogni spirito che riconosce che Gesù Cristo è venuto nella carne, è da Dio” (1Gv 4,2). [...] 464 L'evento unico e del tutto
  singolare dell'Incarnazione del Figlio di Dio non significa che Gesù Cristo sia in parte Dio e
  in parte uomo, né che sia il risultato di una confusa mescolanza di divino e
  di umano. Egli si è fatto veramente uomo rimanendo veramente Dio. [...] vi è
  " una sola ipostasi (o persona) [...], cioè il Signore nostro Gesù
  Cristo, Uno della Trinità ". Tutto, quindi, nell'umanità di Cristo deve essere attribuito
  alla sua Persona divina come al suo soggetto proprio, non soltanto i miracoli ma anche le sofferenze e così
  pure la morte: " Il Signore
  nostro Gesù Cristo, crocifisso nella sua carne, è vero Dio, Signore della
  gloria e Uno
  della Santa Trinità
  ". PAPA PIO XII
  – “SEMPITERNUS
  REX CHRISTUS”   [...] le due nature di Cristo sussistono nell'unica persona del Verbo,
  del Verbo cioè generato dal Padre prima di tutti i secoli, secondo la
  divinità, è nato da Maria nel tempo, secondo l'umanità. [...] non in due persone scisso o
  diviso, ma un solo e medesimo Figlio e
  Unigenito Dio Verbo, Signore Gesù Cristo [...]. Costoro
  spingono tanto innanzi lo stato e la condizione della natura umana di Cristo
  da sembrare che essa sia ritenuta un soggetto autonomo, come se non
  sussistesse nella persona dello stesso Verbo. Ma il concilio Calcedonese, in
  tutto concorde con quello Efesino, afferma chiaramente che le due nature del
  nostro Redentore convergono «in una sola persona e sussistenza» e proibisce di ammettere in Cristo due individui, di
  maniera che accanto al Verbo sia posto un certo «uomo assunto», dotato di
  piena autonomia. [...] Solo
  dunque se con santa e pura fede si crede che
  in Cristo non c'è altra persona che quella del Verbo, in cui confluiscono le due nature, l'umana e la divina, del
  tutto distinte fra di loro, diverse per proprietà e operazioni, appaiono la
  magnificenza e la pietà della nostra redenzione, mai abbastanza esaltata. [...] Il Verbo ha veramente patito nella sua carne, ha sparso
  il suo sangue sulla croce e all'eterno Padre ha pagato un sovrabbondante
  prezzo di soddisfazione per le nostre colpe [...]. Nessuno, allettato dalle aberrazioni dell'umana filosofia
  e ingannato dalle tortuosità del linguaggio umano, osi scuotere col dubbio o
  pervertire con nocive innovazioni il dogma definito a Calcedonia, che cioè in
  Cristo ci sono due vere e perfette nature, una divina e l'altra umana,
  congiunte insieme ma non confuse, e sussistenti nell'unica persona del Verbo. Notificazione della Congregazione per la Dottrina della
  Fede  sul libro "Jesus Symbol of
  God" scritto da padre Roger Haight,
  S. J. II. La preesistenza del
  Verbo  PAPA PAOLO VI – “MYSTERIUM FILII DEI” 1. È necessario che il Mistero del Figlio di Dio fatto uomo e il mistero della Santissima Trinità, che fanno parte delle verità principali della Rivelazione, illuminino con la purezza della loro verità la vita dei cristiani. Poiché recenti errori sovvertono questi misteri, la Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede ha deciso di ricordare e di salvaguardare la fede in essi trasmessa. 2. La fede cattolica nel Figlio di Dio fatto uomo. Gesù Cristo, durante la sua vita terrena, in diversi modi, con le parole e con le opere, manifestò l’adorabile mistero della sua persona. Dopo che “ divenne obbediente fino alla morte ”, fu esaltato dalla potenza di Dio nella gloriosa resurrezione, come conveniva al Figlio “ mediante il quale tutto ” è stato creato dal Padre. Di Lui S. Giovanni affermò solennemente: “ In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio ... E il Verbo si è fatto carne ”. CONCILIO VATICANO II – “DEI VERBUM” Cristo completa la Rivelazione 4.
  Dopo aver a più riprese e in più modi, parlato per mezzo dei profeti, Dio «alla fine, nei giorni nostri, ha parlato a
  noi per mezzo del Figlio»
  (Eb 1,1-2). Mandò infatti suo Figlio, cioè il Verbo eterno, che illumina tutti gli
  uomini, affinché dimorasse tra gli uomini e spiegasse loro i segreti di Dio (cfr. Gv 1,1-18). [...] Relazioni tra la Scrittura e la Tradizione9. La sacra Tradizione dunque e la sacra Scrittura sono strettamente congiunte e comunicanti tra loro. Poiché ambedue scaturiscono dalla stessa divina sorgente, esse formano in certo qual modo un tutto e tendono allo stesso fine. Infatti la sacra Scrittura è la parola di Dio in quanto consegnata per iscritto per ispirazione dello Spirito divino; quanto alla sacra Tradizione, essa trasmette integralmente la parola di Dio affidata da Cristo Signore e dallo Spirito Santo agli apostoli e ai loro successori, affinché, illuminati dallo Spirito di verità, con la loro predicazione fedelmente la conservino, la espongano e la diffondano; ne risulta così che la Chiesa attinge la certezza su tutte le cose rivelate non dalla sola Scrittura e che di conseguenza l'una e l'altra devono essere accettate e venerate con pari sentimento di pietà e riverenza. PAPA GIOVANNI PAOLO II – “MULIERIS
  DIGNITATEM”  Si può dire paradossalmente che il peccato presentato in Genesi (Gen 3) è la conferma della verità circa l’immagine e somiglianza di Dio nell’uomo, se questa verità significa la libertà, cioè la libera volontà, di cui l’uomo può usare scegliendo il bene, ma può anche abusare scegliendo, contro la volontà di Dio, il male. Nel suo significato essenziale, tuttavia, il peccato è negazione di ciò che Dio è - come creatore - in relazione all’uomo e di ciò che Dio vuole, sin dall’inizio e per sempre, per l’uomo. PAPA GIOVANNI PAOLO II – “DOMINUS IESUS” L'obbedienza della fede comporta
  l'accoglienza della verità della
  rivelazione di Cristo, garantita da Dio, che è la Verità stessa:
  "La fede è innanzi tutto una adesione personale dell'uomo a Dio; al tempo stesso ed
  inseparabilmente, è l'assenso libero a
  tutta la verità che Dio ha rivelato". La fede, quindi, "dono di Dio" e "virtù soprannaturale
  da lui infusa", comporta
  una duplice
  adesione: a Dio, che rivela, e alla verità da lui rivelata, per la fiducia che si accorda alla persona che
  l'afferma. Per questo "non dobbiamo credere in nessun altro se non in
  Dio, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo". [...] Fedele
  alla Sacra Scrittura e rifiutando interpretazioni erronee e riduttive, il
  primo Concilio di Nicea definì solennemente la propria fede in "Gesù
  Cristo, il Figlio di Dio, generato unigenito dal Padre, cioè dalla sostanza
  del Padre, Dio da Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero, generato, non
  creato, consustanziale al Padre, per mezzo del quale sono state create tutte
  le cose in cielo e in terra. Egli per noi uomini e per la nostra salvezza è
  disceso e si è incarnato, si è fatto uomo, ha patito ed è risorto il terzo
  giorno, è risalito al cielo e verrà a giudicare i vivi e i morti".
  Seguendo gli insegnamenti dei Padri, anche il Concilio di Calcedonia professò
  "che l'unico e identico Figlio, il Signore nostro Gesù Cristo, è egli
  stesso perfetto in divinità e perfetto in umanità, Dio veramente e uomo
  veramente [...], consustanziale al Padre secondo la divinità e consustanziale
  a noi secondo l'umanità [...], generato dal Padre prima dei secoli secondo la
  divinità e, negli ultimi giorni, egli stesso per noi e per la nostra
  salvezza, da Maria, la vergine Madre di Dio, secondo l'umanità".  [...]
  Giovanni Paolo II ha esplicitamente
  dichiarato: "È contrario alla fede cristiana introdurre una qualsiasi
  separazione tra il Verbo e Gesù Cristo [...]: Gesù è il Verbo incarnato,
  persona una e indivisibile [...]. Cristo
  non è altro che Gesù di Nazaret, e questi è il Verbo di Dio fatto uomo per la
  salvezza di tutti [...]. Mentre andiamo
  scoprendo e valorizzando i doni di ogni genere, soprattutto le ricchezze
  spirituali, che Dio ha elargito a ogni popolo, non possiamo disgiungerli da
  Gesù Cristo, il quale sta al centro del piano divino di salvezza".  È pure contrario alla fede cattolica introdurre
  una separazione tra l'azione salvifica del Logos in quanto tale e quella del
  Verbo fatto carne. Con l'incarnazione, tutte le azioni salvifiche del Verbo di Dio si
  fanno sempre in unità con la natura umana che egli ha assunto per la salvezza
  di tutti gli uomini. L'unico soggetto che opera nelle due nature, umana e
  divina, è l'unica persona del Verbo.  Pertanto non è compatibile con la dottrina della
  Chiesa la teoria che attribuisce un'attività salvifica al Logos come tale
  nella sua divinità, che si eserciterebbe "oltre" e "al di
  là" dell'umanità di Cristo, anche dopo l'incarnazione.  11.
  Similmente, deve essere fermamente
  creduta la dottrina di fede circa l'unicità dell'economia salvifica
  voluta da Dio Uno e Trino, alla cui fonte e al cui centro c'è il mistero
  dell'incarnazione del Verbo [...]. PAPA
  GIOVANNI PAOLO II – “ECCLESIA IN EUROPA” Da
  quella Prima Assemblea Speciale era emersa l'urgenza e la necessità della
  « nuova evangelizzazione », nella consapevolezza che « l'Europa non
  deve oggi semplicemente fare appello alla sua precedente eredità cristiana:
  occorre infatti che sia messa in grado di decidere nuovamente del suo futuro nell'incontro con la persona e il messaggio di Gesù Cristo ». PAPA GIOVANNI PAOLO II – “DOMINUS IESUS” [...] come il capo e le membra di un corpo vivo
  pur non
  identificandosi
  sono inseparabili, Cristo e la Chiesa non possono essere confusi ma neanche separati [...]. CONCILIO DI EFESOMa non affermiamo neppure che
  il Verbo di Dio ha abitato, come in un uomo qualsiasi, in colui che è nato
  dalla Vergine santa, perché non si creda che Cristo sia un semplice uomo
  portatore di Dio. Se, infatti il Verbo di Dio abitò fra noi ed è detto
  che in Cristo abitò corporalmente la pienezza della divinità, crediamo
  però che egli si fece carne non allo stesso modo
  che si dice che abita nei santi, e distinguiamo nello stesso modo
  l'abitazione che si è fatta in lui: unito secondo natura, e non mutato
  affatto in carne, ebbe in essa una tale abitazione, quale si potrebbe poi
  dire che abbia l'anima dell'uomo nei riguardi del suo corpo.  SAN PIO X PAPA – “PASCENDI DOMINICI GREGIS”  Ma non è qui tutto il filosofare, o, a meglio dire, il delirare di costoro. Imperocché in siffatto sentimento essi non riscontrano solamente la fede: ma colla fede e nella fede stessa quale da loro è intesa, sostengono che vi si trovi altresì la Rivelazione. E che infatti può pretendersi di vantaggio per una rivelazione? O non è forse rivelazione, o almeno principio di rivelazione, quel sentimento religioso che si manifesta d'un tratto nella coscienza? Non è rivelazione l'apparire, benché in confuso, che Dio fa agli animi in quello stesso sentimento religioso? Aggiungono anzi di più che, essendo Iddio in pari tempo e l'oggetto e la causa della fede, la detta rivelazione è al tempo stesso di Dio e da Dio: ha cioè insieme Iddio e come rivelante e come rivelato. Di qui, Venerabili Fratelli, quell'assurdissimo effato dei modernisti che ogni religione, secondo il vario aspetto sotto cui si riguardi, debba dirsi egualmente naturale e soprannaturale. Di qui lo scambiar che fanno, come di pari significato, coscienza e rivelazione. Di qui la legge, per cui la coscienza religiosa si dà come regola universale, da porsi in tutto a pari della rivelazione, ed alla quale tutti hanno obbligo di sottostare, non esclusa la stessa autorità suprema della Chiesa, sia che ella insegni, sia che legiferi in materia di culto o di disciplina. | 
| Pag. 352-353. “Gesù di Nazaret” In tutti e tre i sinottici la confessione
  di Pietro e il racconto della trasfigurazione di Gesù sono collegati tra loro
  da un’indicazione temporale […] hanno a che fare l’uno con l’altro. In
  un primo momento potremmo dire: entrambe le volte si
  tratta della divinità di Gesù, il Figlio; ma
  entrambe le volte l’apparizione della sua
  gloria è legata anche al tema della passione. La divinità di Gesù va insieme
  alla croce; solo in questo legame
  riconosciamo Gesù in modo giusto. Pag. 38-39. “Gesù di Nazaret” […] la voce dal cielo «Questi è il Figlio mio prediletto» (Mc 3,17) è il rimando anticipato alla risurrezione. Così si comprende il motivo per cui nei discorsi propri di Gesù la parola «battesimo» designa la sua morte (cfr. Mc 10,38; Lc 12,50). Solo a partire da qui si può capire il battesimo cristiano. L’anticipazione della morte sulla croce, che era avvenuta nel battesimo di Gesù, e l’anticipazione della risurrezione, annunciata dalla voce dal cielo, ora sono diventate realtà. Così il battesimo con acqua di Giovanni riceve pienezza di significato dal battesimo di vita e di morte di Gesù. Pag. 61-62. “Gesù di Nazaret” Il Signore risorto raduna i suoi
  «sul monte» (cfr. Mt 28,16). E in
  quel momento dice effettivamente: «Mi è stato dato ogni potere in cielo e in
  terra» (28,18). […] Gesù ha questo potere
  in quanto risorto, che significa: questo
  potere presuppone la croce, presuppone la sua morte. Pag. 366. “Gesù di Nazaret” Questa «potenza» (dýnamis) del regno futuro
  appare loro nel Gesù trasfigurato che parla con i testimoni dell’Antica
  Alleanza della «necessità» della sua passione come via verso la gloria (cfr. Lc 24,26s). Vedono così la Parusìa
  anticipata; vengono così iniziati pian piano all’intera profondità del mistero di Cristo. Pag. 334. “Gesù di Nazaret” […] si può comprendere correttamente la confessione di Pietro solo nel rapporto in cui essa sta con l’annuncio della passione e con le parole di sequela […]. Pag. 96-97. “Gesù di Nazaret” Nei paradossi dell’esperienza di vita di san Paolo, che corrispondono ai paradossi delle Beatitudini, si manifesta la stessa realtà che Giovanni aveva espresso in modo ancora diverso, qualificando la croce del Signore come «elevazione», intronizzazione nelle altezze di Dio. Giovanni riunisce in una sola parola croce e risurrezione, croce ed elevazione, perché per lui in realtà l’una è inseparabile dall’altra. La croce è l’atto dell’«esodo», l’atto di quell’amore che si prende sul serio fino all’estremo e va sino «alla fine» (Gv 13,1), e per questo essa è il luogo della gloria, il luogo del vero contatto e della vera unione con Dio, che è Amore. Pag. 345. “Gesù di Nazaret” Tutte e tre le forme della confessione di Pietro tramandateci dai sinottici sono «sostantivali»: tu sei il Cristo; il Cristo di Dio; il Cristo, il Figlio del Dio vivente; a queste affermazioni sostantivali il Signore affianca sempre la confessione «verbale»: il preannuncio del mistero pasquale di croce e risurrezione. I due tipi di confessione vanno insieme, e ciascuno rimane incompleto e, in sostanza, incomprensibile senza l’altro. Pag. 326. “Gesù di Nazaret” Gli appartengono (gli uomini) mediante l’unità della «conoscenza», nella comunione della Verità che è Egli (Dio) stesso. Come il Logos e l’incarnazione, il Logos e la passione, vanno insieme, così anche la conoscenza e il dono di sé sono, in sostanza, una cosa sola. | GIOVANNI PAOLO II UDIENZA
  GENERALE –  Mercoledì, 10 dicembre 1997 La
  nascita di Gesù rende visibile il mistero dell'Incarnazione, realizzatosi già
  nel grembo della Vergine al momento dell'Annunciazione. PAPA GIOVANNI PAOLO II – “MULIERIS
  DIGNITATEM” Il Figlio, Verbo consostanziale al Padre, nasce come uomo da una donna, quando viene "la pienezza del tempo". [...] Qui non si tratta solo di parole di Dio rivelate per mezzo dei profeti, ma, con questa risposta, realmente "il Verbo si fa carne" (cf. Gv 1,14). [...] Solamente in forza dello Spirito Santo, che "stese la sua ombra" su di lei, Maria poteva accettare ciò che è "impossibile presso gli uomini, ma possibile presso Dio" (cf. Mc 10,27). [...] L’essenza della nuova alleanza consiste nel fatto che il Figlio di Dio, consostanziale all’eterno Padre, diventa uomo: accoglie l’umanità nell’unità della persona divina del Verbo. Colui che opera la redenzione è al tempo stesso un vero uomo. UDIENZA GENERALE – Mercoledì, 17 febbraio 1988 Dio-Figlio ha assunto la natura umana, l’umanità,
  è diventato vero uomo, rimanendo
  Dio! [...] “Spogliò se stesso” non significa in alcun modo che cessò
  di essere Dio: sarebbe un assurdo! CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA464 L'evento unico e del tutto singolare dell'Incarnazione del Figlio di Dio non significa che Gesù Cristo sia in parte Dio e in parte uomo, né che sia il risultato di una confusa mescolanza di divino e di umano. Egli si è fatto veramente uomo rimanendo veramente Dio. Gesù Cristo è vero Dio e vero uomo. La Chiesa nel corso dei primi secoli ha dovuto difendere e chiarire questa verità di fede contro eresie che la falsificavano. [...] 467 I monofisiti affermavano che la natura umana come tale aveva cessato di
  esistere in Cristo, essendo stata assunta dalla Persona divina del Figlio di
  Dio. Opponendosi a questa eresia, il quarto Concilio Ecumenico, a Calcedonia,
  nel 451, ha confessato: “Seguendo i santi Padri, all'unanimità noi
  insegniamo a confessare un solo e medesimo Figlio, il Signore nostro Gesù
  Cristo, perfetto nella sua divinità e perfetto
  nella sua umanità, vero Dio e vero uomo, [composto] di anima razionale
  e di corpo, consostanziale al Padre per la divinità, e consostanziale a noi
  per l'umanità, “simile in tutto a noi, fuorché nel peccato” (Eb 4,15), generato dal Padre prima dei secoli secondo la divinità,
  e in questi ultimi tempi, per noi e per la nostra salvezza, nato da Maria
  Vergine e Madre di Dio, secondo l'umanità.” Un solo e medesimo Cristo, Signore, Figlio unigenito, che noi dobbiamo riconoscere in due nature, senza confusione, senza mutamento, senza divisione, senza separazione. La differenza delle nature non è affatto negata dalla loro unione, ma piuttosto le proprietà di ciascuna sono salvaguardate e riunite in una sola persona e una sola ipostasi. PAPA
  PAOLO VI – Professione di
  Fede Noi crediamo in Nostro Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio. Egli è il Verbo
  eterno, nato dal Padre prima di tutti i secoli, e al Padre consustanziale, homoousios
  to Patri; e per mezzo di Lui tutto è stato
  fatto. Egli si è incarnato per opera dello Spirito
  nel seno della Vergine Maria, e si è fatto uomo: eguale pertanto al Padre
  secondo la divinità, e inferiore al Padre secondo l’umanità, ed Egli
  stesso uno, non per una qualche impossibile
  confusione delle nature ma per l’unità della persona.  CONCILIO DI BASILEA – FERRARA – FIRENZE – ROMA
  (La Chiesa) Crede fermamente, professa e predica che una delle
  persone della Trinità, vero figlio di Dio, generato dal Padre, consostanziale
  al Padre e coeterno con lui, nella pienezza dei tempi, stabilita dalla inscrutabile profondità del divino consiglio, ha assunto
  la vera e completa natura umana nel seno immacolato della vergine Maria per
  la salvezza del genere umano; e che ha unito a sé questa natura in una unità
  personale così stretta, che tutto quello che è di Dio non è separato
  dall'uomo, e quello che è proprio dell'uomo non è diviso dalla divinità; ed è
  un essere solo ed indiviso, pur rimanendo l'una e l’altra natura con le sue
  proprietà; Dio e uomo; Figlio di Dio e figlio dell'uomo; uguale al Padre secondo
  la divinità, minore del Padre secondo l'umanità; immortale ed eterno per la
  natura divina, soggetto alla sofferenza e al tempo per la condizione umana
  che ha assunto. [...] Ritiene, inoltre, professa e
  insegna "un solo e medesimo Figlio: i1 signore nostro Gesù Cristo,
  perfetto nella sua divinità e perfetto nella sua umanità, vero Dio e vero
  uomo, [composto] di anima razionale e del corpo, consostanziale al Padre per
  la divinità e consostanziale a noi per l'umanità, simile in tutto a noi,
  fuorché nel peccato, generato dal Padre prima dei secoli secondo la divinità,
  e in questi ultimi tempi per noi e per la nostra salvezza da Maria vergine e
  madre di Dio, secondo l'umanità, uno e medesimo Cristo signore unigenito; da
  riconoscersi in due nature, senza confusione, immutabili, indivise,
  inseparabili, non essendo venuti meno la differenza delle nature a causa
  delle loro unione, ma essendo stata, anzi, salvaguardata la proprietà di
  ciascuna natura, e concorrendo a
  formare una sola persona e ipostasi; Egli non è diviso o separato in due
  persone, ma è un unico e medesimo Figlio, unigenito, Dio, verbo e signore
  Gesù Cristo". Seguendo in tutto le confessioni che i santi Padri hanno formulato sotto l'ispirazione dello Spirito Santo, e le orme dei loro pensieri, battendo la via regia, noi diciamo che il Verbo unigenito di Dio, nato dalla stessa sostanza del Padre, Dio vero da Dio vero, luce da luce, mediante il quale sono state fatte tutte le cose in cielo e in terra, è lo stesso che è disceso (dal cielo) per la nostra salvezza, si è umiliato sino all'annientamento, si è incarnato e si è fatto uomo, ossia, prendendo la carne dalla santa Vergine e facendola propria, è nato come noi dal seno materno, ed è diventato uomo dalla donna, senza rinunziare a quello che era; ma, pur assumendo la carne e il sangue, rimase anche così ciò che era: Dio, per natura e secondo verità. Né diciamo con ciò che la carne sia passata nella natura della divinità, né che la ineffabile natura del Verbo di Dio si sia trasformata nella natura della carne: infatti, è assolutamente immutabile, sempre identico a sé stesso, secondo le Scritture. Dopo la resurrezione del Signore, poi, che avvenne certamente nel vero corpo, poiché non altri risuscitò se non quegli che era stato crocifisso ed era morto, che altro Egli fece, nello spazio di quaranta giorni, se non rendere pura ed integra la nostra fede da ogni errore? [...] perché si potesse costatare che le proprietà della natura divina e di quella umana rimanevano in lui; e così sapessimo che il Verbo non è la stessa cosa che la carne, e confessassimo che il Verbo e la carne costituiscono un solo Figlio di Dio. | |
| Pag. 386-387-388.  “Gesù di Nazaret” […] Paolo dice ai giudei radunati nella sinagoga di Antioca di Pisidia: «La promessa fatta ai padri si è compiuta, poiché Dio l’ha attuata per noi, loro figli, risuscitando Gesù, come anche sta scritto nel Salmo secondo: Mio figlio sei tu, oggi ti ho generato». […] ora è la risurrezione di Gesù che viene creduta come l’«oggi» atteso del Salmo. Ora Dio ha costituito il suo re, cui dà di fatto in eredità le genti. […] Egli regna dalla croce, […] questo re regna attraverso la fede e l’amore, non diversamente. Così la parola di Dio: «Tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato» può essere intesa ora in maniera del tutto nuova e definitiva. Il termine «Figlio di Dio» si stacca dalla sfera del potere politico e diventa espressione di un’unione particolare con Dio che si manifesta sulla croce e nella risurrezione. […] Si incontrano quindi in questo
  momento della storia la rivendicazione della regalità divina da parte
  dell’imperatore romano e la convinzione cristiana che il Cristo risorto è il vero Figlio di Dio, cui appartengono i
  popoli della terra e a cui solo, nell’unità di
  Padre, Figlio e Spirito Santo, spetta l’adorazione dovuta a Dio. Pag. 173-174. “Gesù di Nazaret” Ma il Dio che chiama Mosè è veramente Dio. […] Così la
  risposta di Dio è insieme rifiuto e assenso. Egli dice di sé semplicemente: «Io sono colui che sono» […]. Ciò che giunge a compimento nell’incarnazione ha avuto inizio
  con la consegna del nome. Di fatto vedremo nella riflessione sulla
  preghiera sacerdotale di Gesù che Egli lì si presenta come il nuovo Mosè: «Ho
  fatto conoscere il tuo nome agli uomini…» (Gv 17,6). Ciò che ebbe inizio presso
  il roveto ardente nel deserto del Sinai si compie presso il roveto ardente
  della croce. Dio ora è davvero divenuto
  accessibile nel suo Figlio fatto uomo.  Pag. 399. “Gesù di Nazaret” Dopo la domanda dei giudei – che
  è anche la nostra domanda –: «Tu chi sei?», Gesù rinvia innanzitutto a Colui
  che l’ha mandato e a nome del quale Egli parla al mondo. Ripete ancora una volta la formula di rivelazione, l’«Io
  Sono», che però ora estende alla storia futura. «Quando avrete innalzato il
  Figlio dell’uomo, allora saprete che Io Sono» (Gv 8,28). Sulla croce il suo essere
  il Figlio, il suo essere una cosa sola con il Padre, diventa riconoscibile.
  La croce è la vera «altezza». È l’altezza
  dell’amore «sino alla fine» (Gv
  13,1); sulla croce Gesù è all’«altezza» di Dio,
  che è Amore. Lì si può «conoscerlo», si può capire l’«Io Sono». Il roveto ardente è la croce. La suprema pretesa di rivelazione, l’«Io Sono» e la croce di Gesù sono inseparabili. Qui non troviamo una speculazione metafisica, ma la realtà di Dio si manifesta qui nel bel mezzo della storia, per noi. Pag. 312-313-314. “Gesù di Nazaret” Ma oltre l’incarnazione del Verbo è necessario ancora un altro passo, che Gesù menziona nelle parole conclusive del suo discorso: la sua carne è vita «per» il mondo (Gv 6,51). Con ciò si allude, al di là dell’atto dell’incarnazione, allo scopo intrinseco e alla realizzazione ultima di essa: il dono che Gesù fa di sé fino alla morte e il mistero della croce. […] teologia dell’incarnazione e teologia della croce si intrecciano; sono inseparabili l’una dall’altra. Non si può opporre la teologia pasquale dei sinottici e di san Paolo a una presunta pura teologia dell’incarnazione di san Giovanni. L’incarnazione del Verbo di cui parla il Prologo mira, appunto, all’offerta del corpo sulla croce, che diventa a noi accessibile nel sacramento. […] Il discorso del pane pronunciato da Gesù, da una parte, orienta il grande movimento dell’incarnazione e della via pasquale verso il sacramento in cui incarnazione e Pasqua sempre coesistono, […] l’Eucaristia appare come il permanente grande incontro dell’uomo con Dio, in cui il Signore dà se stesso come «carne» affinché noi – in Lui e nella partecipazione al suo cammino – possiamo diventare «spirito»: come Egli, attraverso la croce, si è trasformato in un nuovo genere di corporeità e di umanità, che si compenetra con la natura di Dio, così questo mangiare deve essere anche per noi un’apertura dell’esistenza, un passaggio attraverso la croce e un’anticipazione della nuova esistenza della vita in Dio e con Dio. […] soltanto attraverso la croce e attraverso la trasformazione da essa operata, questa carne diviene a noi accessibile e trascina anche noi nel processo della trasformazione. | MESSAGGIO
  URBI ET ORBI  NATALE 1987 Ascoltiamo, insieme all’Apostolo,
  le parole dall’Alto: “Mio figlio sei tu,   Ed è in te, Figlio-Verbo: 
  “generato prima di ogni creatura” (Col 1, 15).   O incontenibile, consustanziale
  al Padre,   Che ti lasci, oggi,
  stringere   colui
  al quale il Padre dice eternamente:   PAPA GIOVANNI PAOLO II  UDIENZA
  GENERALE – Mercoledì,
  26 Novembre 1997 "In
  principio era il Verbo" (Gv 1, 1). Con queste parole Giovanni
  comincia il suo Vangelo facendoci risalire al di là dell'inizio del nostro
  tempo, fino all'eternità divina. A differenza di Matteo e di Luca che si soffermano
  soprattutto sulle circostanze della nascita umana del Figlio di Dio, Giovanni punta lo sguardo sul mistero della sua
  preesistenza divina.  In
  questa frase, "in principio" significa l'inizio assoluto, inizio
  senza inizio, l'eternità appunto. L'espressione fa eco a quella presente nel racconto
  della creazione: "In principio Dio creò il cielo e la terra" (Gn
  1, 1). Ma nella creazione si trattava
  dell'inizio del tempo, mentre qui, ove si parla del Verbo, si tratta
  dell'eternità. Tra
  i due principi, la distanza è infinita. E' la distanza tra il tempo e
  l'eternità, tra le creature e Dio. 2.
  Possedendo, come Verbo, un'esistenza eterna, Cristo ha un'origine che risale
  ben al di là della sua nascita nel tempo. Questa
  affermazione di Giovanni si fonda su di una precisa parola di Gesù stesso. Ai
  giudei che gli rimproverano la pretesa di aver visto Abramo pur non avendo
  ancora cinquanta anni, Gesù replica: "In verità, in verità vi dico:
  prima che Abramo venisse all'esistenza, Io Sono" (Gv 8, 58).
  L'affermazione sottolinea il contrasto fra il divenire di Abramo e l'essere
  di Gesù. Il verbo "genésthai" usato nel testo greco per Abramo
  significa infatti "divenire" o "venire all'esistenza": è
  il verbo adatto a designare il modo di esistere proprio delle creature. Al
  contrario solo Gesù può dire: "Io Sono", indicando con tale
  espressione la pienezza dell'essere che rimane al di sopra di ogni divenire.
  Egli esprime così la coscienza di possedere un essere personale eterno. 3.
  Applicando a sé l'espressione "Io Sono", Gesù fa suo il nome
  di Dio, rivelato a Mosè nell'Esodo. Dopo avergli dato la missione di
  liberare il suo popolo dalla schiavitù in Egitto, Jahvè, il Signore gli
  assicura assistenza e vicinanza, e quasi come pegno della sua fedeltà gli
  svela il mistero del suo nome: "Io sono colui che sono" (Es
  3, 14). Mosè potrà dunque dire agli Israeliti: "Io-Sono mi ha mandato a
  voi" (Ibid.). Questo nome esprime la
  presenza salvifica di Dio a favore del suo popolo, ma anche il suo mistero
  inaccessibile. Gesù
  fa suo questo nome divino. Nel Vangelo di Giovanni questa espressione appare
  più volte sulle sue labbra (cfr Gv 8, 24.28.58; 13, 19). Con essa Gesù
  mostra efficacemente che l'eternità, nella sua persona, non solo precede il
  tempo, ma entra nel tempo. Pur
  condividendo la condizione umana, Gesù ha
  coscienza del suo essere eterno che
  conferisce un valore superiore a tutta la sua attività. [...] La
  liberazione dal male era stata prefigurata nell'Antica Alleanza, ma solo
  Cristo la può pienamente realizzare. Solo
  Lui, come Figlio, dispone di un potere eterno sulla storia umana: "Se il
  Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero" (Gv 8, 36). La Lettera agli Ebrei sottolinea
  fortemente questa verità, mostrando come l'unico
  sacrificio del Figlio ci abbia ottenuto una
  "redenzione eterna" (Eb 9, 12), superando di gran lunga il
  valore dei sacrifici dell'Antica Alleanza. La
  nuova creazione può essere realizzata soltanto da Colui che è onnipotente,
  poiché implica la comunicazione della vita divina all'esistenza umana.  5.
  La prospettiva dell'origine eterna del Verbo, particolarmente
  sottolineata dal Vangelo di Giovanni, ci
  stimola a penetrare nella profondità del mistero di Cristo. Andiamo,
  dunque, verso il Giubileo professando sempre più fortemente la nostra fede in
  Cristo, "Dio da Dio, luce da luce, Dio vero da Dio vero". Queste
  espressioni del Credo ci aprono la via al mistero, sono un invito ad
  accostarlo. Gesù continua a testimoniare
  alla nostra generazione, come duemila anni fa ai suoi discepoli ed
  ascoltatori, la consapevolezza della sua identità divina: il mistero
  dell'Io Sono.  PAPA GIOVANNI PAOLO II – “FIDES ET RATIO” Gli autori ispirati, infatti, hanno inteso
  formulare affermazioni vere, tali cioè da esprimere la realtà oggettiva. Non
  si può dire che la tradizione cattolica abbia commesso un errore quando ha
  compreso alcuni testi di san Giovanni e di san Paolo come affermazioni
  sull'essere stesso di Cristo. SAN PIO X PAPA – “PASCENDI
  DOMINICI GREGIS” (Dicono i
  modernisti) un doppio Cristo; l'uno reale, l'altro che veramente non
  mai esisté ma appartiene alla fede; l'uno che visse in determinato luogo e
  tempo, l'altro che solo s'incontra nelle pie meditazioni della fede; tale,
  per mo' d'esempio, è il Cristo descrittoci nell'Evangelio giovanneo, il qual
  Vangelo, affermano, non è che una meditazione.  PAPA GIOVANNI
  PAOLO II – XV GIORNATA MONDIALE DELLA GIOVENTÙ “Il Verbo si fece
  carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv 1,14) 2.
  Ho scelto come tema per la vostra XVa Giornata Mondiale la frase lapidaria con cui l’apostolo Giovanni esprime
  il mistero altissimo del Dio fatto uomo: “Il Verbo si fece carne e venne ad
  abitare in mezzo a noi” (Gv 1,14). Ciò che contrassegna la fede cristiana,
  rispetto a tutte le altre religioni, è la certezza che l’uomo Gesù di Nazaret
  è il Figlio di Dio, il Verbo fatto carne, la seconda persona della Trinità
  venuta nel mondo. Notificazione della Congregazione per la Dottrina della
  Fede  sul libro "Jesus Symbol of
  God" scritto da padre Roger Haight,
  S. J. II. La preesistenza del
  Verbo  Vedere anche le condanne del Magistero alle
  eresie dell’“adozionismo”. | |
| Pag. 197. “Dio e il mondo”                                                       Se dunque quest’uomo-Dio, come dicono le Scritture, vuole riunirci
  tutti nel suo corpo, vuole accoglierci in una comunione corporea vivente, così come uomo e donna sono diventati, secondo la Bibbia,
  una sola carne, vediamo allora che non
  si tratta di un evento singolo che scompare così come è venuto. No, è una frattura, un inizio in cui Cristo ci accoglie
  grazie all’Eucaristia, ai Sacramenti, al Battesimo. In questo senso
  avviene davvero qualcosa che va al di là di ogni processo evolutivo, la fusione
  di uomo e Dio, di creatura e Creatore.  Pag. 364. “Dio e il mondo” La natura dei sacramenti è ben
  diversa. La fede non è qualcosa che aleggia
  nell’etere: essa irrompe nel mondo materiale. Grazie ai segni del mondo
  materiale noi veniamo posti in contatto con Dio. I segni sono dunque
  l’espressione della corporeità della nostra fede.
  La compenetrazione di sensi e spirito è la
  continuazione dell’incarnazione divina e della sua volontà di comunicare con noi a partire dalle cose di questa
  terra.  Pag. 82. “La Comunione nella Chiesa” Il concilio di Calcedonia aveva descritto il contenuto teologico dell’incarnazione con la nota formula delle due nature in una persona. Il terzo concilio di Costantinopoli però si trovò – dopo tutta la disputa che questa ontologia aveva provocato – di fronte alla domanda: qual è il contenuto spirituale di tale ontologia? O più concretamente: che cosa significa praticamente ed esistenzialmente l’espressione: “una persona in due nature”? Come può una persona vivere con due volontà e con un intelletto duplice? Non si trattava, peraltro, di mere questioni legate a pura curiosità intellettuale; qui siamo in gioco proprio noi stessi, è in gioco la domanda: come possiamo vivere da battezzati, e dunque da persone per le quali, come afferma Paolo, deve valere: “Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me” (Gal 2,20)? Pag. 84. “La Comunione nella Chiesa” Noi abbiamo sinora stabilito: l’incarnazione
  del Figlio crea la comunione tra Dio e
  l’uomo e spalanca in tal modo anche la possibilità d’una nuova
  comunione degli uomini tra di loro. Questa comunione
  tra Dio e l’uomo, la quale è realizzata nella persona di Gesù Cristo, ora
  diviene, a sua volta, comunicabile nel
  mistero della Pasqua, ossia nella morte e nella risurrezione del Signore.  Pag. 155. “La Comunione nella Chiesa” L’istituzione
  (Chiesa)
  non è una inevitabile, ma teologicamente irrilevante o addirittura dannosa
  esteriorità, ma
  appartiene nel suo nucleo essenziale alla concretezza dell’incarnazione.  Pag. 313-314. “Gesù di Nazaret” Il discorso del pane
  pronunciato da Gesù, da una parte, orienta il grande movimento
  dell’incarnazione e della via pasquale verso il sacramento in cui incarnazione e Pasqua sempre coesistono, […]
  l’Eucaristia appare come il permanente grande incontro dell’uomo con Dio, in
  cui il Signore dà se stesso come «carne» affinché noi
  – in Lui e nella partecipazione al suo cammino – possiamo diventare «spirito»: come Egli, attraverso la
  croce, si è trasformato in un nuovo genere di corporeità e di umanità, che si
  compenetra con la natura di Dio, così questo
  mangiare deve essere anche per noi un’apertura dell’esistenza, un
  passaggio attraverso la croce e un’anticipazione della nuova esistenza della vita in Dio e con Dio. […] soltanto attraverso la croce e attraverso la trasformazione da essa operata,
  questa carne diviene a noi accessibile e trascina anche noi nel processo
  della trasformazione.  | CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA464 L'evento unico e del tutto singolare dell'Incarnazione
  del Figlio di Dio non significa che Gesù Cristo sia in parte Dio e in
  parte uomo, né che sia il risultato di una confusa mescolanza di divino e di
  umano. Egli si è fatto veramente uomo rimanendo veramente Dio. Gesù Cristo è
  vero Dio e vero uomo. La Chiesa nel corso dei primi secoli ha dovuto
  difendere e chiarire questa verità di fede contro eresie che la
  falsificavano. Siamo di nuovo di fronte all’unico Uomo-Dio, vero Uomo e vero Dio. La catechesi ci riporta continuamente a lui, perché crediamo e, credendo, preghiamo e adoriamo. CONCILIO DI EFESOMa non affermiamo neppure che il Verbo di Dio ha abitato, come in un uomo qualsiasi, in colui che è nato dalla Vergine santa, perché non si creda che Cristo sia un semplice uomo portatore di Dio. Se, infatti il Verbo di Dio abitò fra noi ed è detto che in Cristo abitò corporalmente la pienezza della divinità, crediamo però che egli si fece carne non allo stesso modo che si dice che abita nei santi, e distinguiamo nello stesso modo l'abitazione che si è fatta in lui: unito secondo natura, e non mutato affatto in carne, ebbe in essa una tale abitazione, quale si potrebbe poi dire che abbia l'anima dell'uomo nei riguardi del suo corpo. PAPA
  GIOVANNI XXII“IN AGRO DOMINICO”Condanna delle seguenti
  eresie. (11) Tutto ciò che Dio Padre ha dato al suo
  unigenito Figlio nella natura umana, tutto questo ha dato a me. In
  questo non escludo nulla, né l’unione, né la santità, ma tutto egli ha dato a
  me come a lui. (12) Tutto ciò che la sacra Scrittura dice di Cristo, tutto questo si dimostra vero anche di ogni uomo buono e divino. [...] | 
| Pag. 172. “Gesù di Nazaret” [...] la paternità terrena separa, quella
  celeste unisce: cielo significa dunque quell’altra altezza
  di Dio, dalla quale tutti noi veniamo e
  verso la quale tutti noi dobbiamo essere in cammino. Pag. 175. “Gesù di Nazaret” Mi preoccupo che la santa coabitazione di Dio con noi non trascini Lui nel sudiciume, ma elevi noi alla sua purezza e santità? Pag. 185-186. “Gesù di
  Nazaret” (tema: “dacci oggi il nostro pane quotidiano”) Alcune traduzioni antiche vanno in questa direzione [...] interpretandola nel senso della «sostanza» nuova, superiore, che il Signore ci dona nel santo Sacramento quale vero pane della nostra vita. Pag. 241. “Gesù di
  Nazaret” La parola greca usata nella
  parabola (del
  figliol prodigo) per indicare il patrimonio sperperato ha nel
  linguaggio dei filosofi greci il significato di «sostanza»,
  di natura. Il figlio prodigo sperpera la sua natura, se stesso.  Pag. 389. “Gesù di
  Nazaret” [...] nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare.”» (Mt
  11,25ss; cfr. Lc 10,21s).    Cominciamo da quest’ultima frase, a partire dalla quale
  si chiude il tutto. Solo il Figlio «conosce» davvero il Padre: la conoscenza richiede sempre in qualche modo l’uguaglianza. «L’occhio non potrebbe vedere il sole se non avesse in sé la natura del sole» ha scritto Goethe commentando una parola di Plotino. Pag. 6. “La Comunione nella Chiesa” [...] l’unità
  alla quale Dio ci chiama ha il suo più intimo fondamento e il suo punto di
  arrivo nel mistero della sua unità di tre persone. Pag. 80. “La Comunione nella Chiesa” Perciò l’uomo, che assume questo pane (l’eucaristia), viene da esso assimilato, viene da esso assunto, viene unito a questo pane e diviene pane come Cristo stesso [...] la comunione con Cristo si rivela una comunicazione anche con tutti coloro che gli appartengono: in essa io vengo a far parte di questo nuovo pane che egli crea nella transustansazione dell’intera realtà terrena. Pag. 105. “La Comunione nella Chiesa” Ricevere
  l’eucaristia [...] significa: fusione delle esistenze, profonda analogia
  spirituale con ciò che avviene nell’unione di un uomo e di una donna sul piano fisico-psicologico-spirituale. Qui si adempie il sogno della fusione di divinità e di umanità,
  dell’abbattimento dei limiti creaturali [...]. Pag. 91. “Dio e il mondo”  [...] laddove si è fatto ricorso a metafore
  materne del divino queste hanno trasformato la concezione della creazione
  fino a che, all’idea di creazione, si è
  sostituita quella di emanazione, di parto, e
  poi ne sono scaturiti modelli quasi necessariamente panteistici. Al
  contrario, il Dio rappresentato nell’immagine
  paterna crea tramite la Parola e proprio da qui deriva la specifica differenza tra creazione e creatura.  | PAPA GIOVANNI PAOLO II UDIENZA
  GENERALE – Mercoledì,
  29 gennaio 1986 1. La verità che Dio ha creato, che cioè ha tratto dal nulla tutto ciò che esiste al di fuori di lui, sia il mondo che l’uomo, trova una sua espressione già nella prima pagina della Sacra Scrittura, anche se la sua piena esplicitazione si ha soltanto nello sviluppo successivo della rivelazione. [...] Il magistero della Chiesa ha confermato con particolare solennità e vigore la verità che la creazione del mondo è opera di Dio nel Concilio Vaticano I, in risposta alle tendenze del pensiero panteistico e materialistico del tempo. Quei medesimi orientamenti sono presenti anche nel nostro secolo in alcuni sviluppi delle scienze esatte e delle ideologie atee. [...] È contro la fede sostenere che le creature, anche quelle
  spirituali, sono una emanazione della sostanza divina, o affermare che
  l’Essere divino col suo manifestarsi o evolversi diventi ogni cosa. BEATO PIO IX PAPA – “DEI FILIUS” 
	
	Questo solo vero Dio, per la Sua bontà e per la Sua onnipotente virtù, non 
	già per accrescere od acquistare la Sua beatitudine, ma per manifestare la 
	Sua perfezione attraverso i beni che dona alle Sue creature, con liberissima 
	decisione fin dal principio del tempo
	
	produsse dal nulla 
	l'una e l'altra creatura contemporaneamente, la spirituale e la corporale,
	cioè l'angelica e la terrena, e quindi l'umana, 
	costituita in comune di spirito e di corpo. [...] 
	 Il Padre genera, il Figlio nasce, lo
  Spirito Santo procede. Sono consostanziali e coeguali,
  coonnipotenti e coeterni, principio unico di tutto, creatore di tutte le cose
  visibili e invisibili, spirituali e materiali. Con la sua onnipotente
  potenza fin dal principio del tempo creò dal nulla
  l'uno e l'altro ordine di creature: quello
  spirituale e quello materiale, cioè gli angeli e il mondo, e poi l'uomo,
  quasi partecipe dell'uno e dell'altro, composto di anima e di corpo. [...] In
  Dio, quindi, vi è solo una Trinità, non una quaternità, poiché ognuna delle
  tre persone è quella sostanza, essenza o natura divina, la quale è, essa
  sola, principio di tutte le cose, e fuori
  della quale non se ne può trovare altra.
  Essa non genera, non è generata, non procede, ma è il Padre che genera, il
  Figlio che è generato, lo Spirito Santo che procede; in tale modo vi è
  distinzione nelle persone e unità nella natura. [...] Quando, allora, la Verità prega il Padre per i
  suoi fedeli, dicendo: "Voglio, Padre, che essi siano una cosa sola in
  noi, come noi siamo una cosa sola", il termine una cosa sola quando si tratta dei fedeli si deve prendere nel senso
  di unione della carità nella grazia; per le persone divine, invece, deve
  intendersi come unità di identità nella natura,
  come altrove dice la Verità: Siate Perfetti com'è perfetto il vostro Padre
  celeste. E’ come se dicesse, più chiaramente: "Siate
  perfetti della perfezione della grazia, come il vostro Padre celeste è
  perfetto della perfezione che gli è naturale", cioè ciascuno a suo
  modo, perché tra il creatore e la creatura
  per quanto la somiglianza sia grande, maggiore è la differenza. [...] Scomunichiamo e anatematizziamo ogni eresia che si
  erge contro la santa, ortodossa e cattolica fede, come l'abbiamo esposta
  sopra. PAPA
  PAOLO VI – Professione di
  Fede Egli è stato sepolto e, per suo proprio potere, è risorto nel terzo giorno, elevandoci con la sua Resurrezione alla partecipazione della vita divina, che è la vita della grazia. CONCILIO DI BASILEA – FERRARA – FIRENZE – ROMA
  la
  sacrosanta chiesa romana, fondata dalla voce del nostro Signore e Salvatore [...] Crede fermissimamente, ritiene
  e predica che un solo, vero Dio, Padre, Figlio e Spirito santo, è il creatore
  di tutte le cose visibili e invisibili, il quale, quando volle, creò per sua bontà tutte le creature, spirituali e
  materiali: buone, naturalmente, perché hanno
  origine dal sommo bene, ma mutevoli, perché
  fatte dal nulla; ed afferma che non vi è
  natura cattiva in sé stessa, perché ogni natura, in quanto tale, è buona.  BEATO PIO IX PAPA – “DEI FILIUS” Imperversando poi dovunque questa empietà, accadde miserabilmente che molti, pure figli della Chiesa cattolica, si smarrirono dalla via della vera pietà, ed oscurandosi in loro a poco a poco le verità, si attenuò anche il sentire cattolico. Trasportati da queste instabili e speciose dottrine, confondendo malamente la natura con la grazia, la scienza umana con la fede divina, arrivano a corrompere il senso genuino dei dogmi professati dalla Santa Madre Chiesa e mettono in pericolo l'integrità e la sincerità della fede. [...] 2. Se qualcuno non arrossirà affermando che nulla esiste all'infuori della materia: sia anatema. 3. Se qualcuno dirà che unica e identica è la sostanza, o l'essenza, di
  Dio e di tutte le cose: sia anatema. 4. Se qualcuno
  dirà che le cose finite, sia materiali, sia spirituali, o almeno le
  spirituali, sono emanate dalla sostanza divina; ovvero che la
  divina essenza per la sua manifestazione ed evoluzione diventa ogni cosa; ovvero infine che Dio è ente universale od indefinito, il quale determinando se stesso costituisce l'universo delle cose, distinto in generi, specie ed individui: sia anatema. PAPA
  GIOVANNI XXII – “IN AGRO DOMINICO”Condanna delle seguenti
  eresie. (10) Noi siamo totalmente trasformati in Dio e
  siamo in lui commutati; in modo simile, come nel sacramento il pane è
  commutato nel corpo di Cristo, così io sono
  commutato in lui, poiché lui stesso mi fa
  essere uno con se stesso, non simile. Da parte del Dio vivente, è vero che lì
  non c’è alcuna distinzione. (11) Tutto ciò che Dio Padre ha dato al suo
  unigenito Figlio nella natura umana, tutto questo ha dato a me. In
  questo non escludo nulla, né l’unione, né la santità, ma tutto egli ha dato a
  me come a lui. (12) Tutto ciò che la sacra Scrittura dice di Cristo, tutto questo si dimostra vero anche di ogni uomo buono e divino. PAPA GIOVANNI PAOLO II – “MULIERIS DIGNITATEM” 8. La presentazione dell’uomo come "immagine e somiglianza di Dio" subito all’inizio della Sacra Scrittura riveste anche un altro significato. Questo fatto costituisce la chiave per comprendere la rivelazione biblica come un discorso di Dio su se stesso. Parlando di sé sia "per mezzo dei profeti, sia per mezzo del Figlio" (cf. Eb 1,1.2) fattosi uomo, Dio parla con linguaggio umano, usa concetti e immagini umane. Se questo modo di esprimersi è caratterizzato da un certo antropomorfismo, la ragione sta nel fatto che l’uomo è "simile" a Dio: creato a sua immagine e somiglianza. E allora anche Dio è in qualche misura "simile" all’uomo, e, proprio in base a questa somiglianza, egli può essere conosciuto dagli uomini. Allo stesso tempo il linguaggio della Bibbia è sufficientemente preciso per segnare i limiti della "somiglianza" i limiti dell’"analogia". Infatti, la rivelazione biblica afferma che, se è vera la "somiglianza" dell’uomo con Dio, è ancor più essenzialmente vera la "non-somiglianza" (cf. Nm 23,19; Os 11,9; Is 40,18; 46,5; cf. "insuper Conc. Oec. Later. IV": Denz-Schönm, 806), che separa dal Creatore tutta la creazione. In definitiva, per l’uomo creato a somiglianza di Dio, Dio non cessa di essere colui "che abita una luce inaccessibile" (1Tm 6,16): è il "diverso" per essenza, il "totalmente altro". XI SINODO DI TOLEDO – PROFESSIONE DI FEDEOnde
  l'unico Cristo è nell'unità della persona perfetto Dio e perfetto uomo;
  tuttavia non per questo, per aver detto che nel Figlio sono due nature,
  affermeremo che in lui ci sono due persone, affinché
  non sembri accedere alla Trinità - sia ben lontano! - una quarta persona.  BEATO PIO IX PAPA –  “SYLLABUS” Condanna del seguente errore.I. Non esiste niun Essere divino, supremo, sapientissimo, provvidentissimo, che sia distinto da quest’universo, e Iddio non è altro che la natura delle cose, e perciò va soggetto a mutazioni, e Iddio realmente vien fatto nell’uomo e nel mondo, e tutte le cose sono Dio ed hanno la sostanza stessissima di Dio; e Dio è una sola e stessa cosa con il mondo, e quindi si identificano parimenti tra loro, spirito e materia, necessità e libertà, vero e falso, bene e male, giusto ed ingiusto. | 
| “Gesù di Nazaret” Pag. 10. Faccio osservare al riguardo: non avevano bisogno di «rivestirlo» (il Figlio di Dio) di carne, Egli si era davvero fatto carne. Pag. 314. [...] Egli (Gesù), attraverso la croce, si è trasformato in un nuovo
  genere di corporeità e di umanità, che si compenetra con la natura di Dio [...].  “Dio e il mondo” Pag. 324. [...] fusione nella persona
  di Gesù Cristo tra natura umana e natura divina. Pag. 296. Ma qualcos’altro ancora viene prefigurato nell’ultima cena: la risurrezione. Carne morta, un corpo morto non possono essere consumati come cibo. Solo perché risorgerà il suo corpo e il suo sangue sono nuovi. Allora non è più cannibalismo ma comunione con il Risorto che continua a vivere. Pag. 297. [...] “l’alchimia dell’essere”. Qui la volontà di Gesù diventa tutt’uno con
  la volontà del Figlio e con quella del Padre. [...] fondersi della volontà umana con quella divina [...]. “La Comunione
  nella Chiesa” Pag. 81. Gesù Cristo – come abbiamo riconosciuto nelle precedenti riflessioni – apre la strada all’impossibile, alla comunione tra Dio e l’uomo, poiché egli, la Parola incarnata, è questa comunione. In Lui troviamo realizzata quell’“alchimia” che introduce la natura umana nella natura divina fondendola con essa. | UDIENZA GENERALE – Mercoledì, 17 febbraio 1988 Dio-Figlio ha
  assunto la natura umana, l’umanità, è diventato vero uomo, rimanendo Dio! [...] “Spogliò se stesso” non significa in alcun modo che cessò
  di essere Dio: sarebbe un assurdo! CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA464 L'evento unico e del tutto singolare dell'Incarnazione del Figlio di Dio non significa che Gesù Cristo sia in parte Dio e in parte uomo, né che sia il risultato di una confusa mescolanza di divino e di umano. Egli si è fatto veramente uomo rimanendo veramente Dio. Gesù Cristo è vero Dio e vero uomo. La Chiesa nel corso dei primi secoli ha dovuto difendere e chiarire questa verità di fede contro eresie che la falsificavano. [...] 467 I monofisiti affermavano che la natura umana come tale aveva cessato di
  esistere in Cristo, essendo stata assunta dalla Persona divina del Figlio di
  Dio. Opponendosi a questa eresia, il quarto Concilio Ecumenico, a Calcedonia,
  nel 451, ha confessato: “Seguendo i santi Padri, all'unanimità noi
  insegniamo a confessare un solo e medesimo Figlio, il Signore nostro Gesù
  Cristo, perfetto nella sua divinità e perfetto
  nella sua umanità, vero Dio e vero uomo, [composto] di anima razionale
  e di corpo, consostanziale al Padre per la divinità, e consostanziale a noi
  per l'umanità, “simile in tutto a noi, fuorché nel peccato” (Eb 4,15),
  generato dal Padre prima dei secoli secondo la
  divinità, e in questi ultimi tempi, per noi e per la nostra salvezza, nato da
  Maria Vergine e Madre di Dio, secondo l'umanità.” Un solo e
  medesimo Cristo, Signore, Figlio unigenito, che noi dobbiamo riconoscere in due nature, senza confusione, senza
  mutamento, senza divisione,
  senza separazione. La
  differenza delle nature non è affatto negata dalla loro unione, ma piuttosto le proprietà di ciascuna
  sono salvaguardate e riunite in una sola persona e una sola ipostasi. 
	CONCILIO DI EFESONon diciamo, infatti, che la natura dal Verbo si sia incarnata
  mutandosi, né che fu trasformata in un uomo, composto di anima e di corpo. [...] Così si può affermare che, pur sussistendo prima dei secoli, ed essendo stato generato dal Padre, Egli è stato generato anche secondo la carne da una donna; ma ciò non significa che la sua divina natura abbia avuto inizio nella santa Vergine, né che essa avesse bisogno di una seconda nascita dopo quella del padre (sarebbe infatti senza motivo, Oltre che sciocco, dire che colui che esisteva prima di tutti i secoli, e che è coeterno al Padre, abbia bisogno di una seconda generazione per esistere) [...]. Seguendo in tutto le confessioni che i santi Padri hanno formulato sotto l'ispirazione dello Spirito Santo, e le orme dei loro pensieri, battendo la via regia, noi diciamo che il Verbo unigenito di Dio, nato dalla stessa sostanza del Padre, Dio vero da Dio vero, luce da luce, mediante il quale sono state fatte tutte le cose in cielo e in terra, è lo stesso che è disceso (dal cielo) per la nostra salvezza, si è umiliato sino all'annientamento, si è incarnato e si è fatto uomo, ossia, prendendo la carne dalla santa Vergine e facendola propria, è nato come noi dal seno materno, ed è diventato uomo dalla donna, senza rinunziare a quello che era; ma, pur assumendo la carne e il sangue, rimase anche così ciò che era: Dio, per natura e secondo verità. Né diciamo con ciò che la carne sia passata nella natura della divinità, né che la ineffabile natura del Verbo di Dio si sia trasformata nella natura della carne: infatti, è assolutamente immutabile, sempre identico a sé stesso, secondo le Scritture. [...] non affermiamo
  neppure che il Verbo di Dio ha abitato, come in un uomo qualsiasi, in colui
  che è nato dalla Vergine santa, perché non si creda che Cristo sia un
  semplice uomo portatore di Dio. Se, infatti il Verbo di Dio abitò fra noi
  ed è detto che in Cristo abitò corporalmente la pienezza della divinità,
  crediamo però che egli si fece carne non allo stesso modo che si dice che
  abita nei santi, e distinguiamo nello stesso modo l'abitazione che si è fatta
  in lui: unito secondo natura, e non mutato affatto in carne, ebbe in essa una tale abitazione, quale si potrebbe poi dire
  che abbia l'anima dell'uomo nei riguardi del suo corpo. 
	CONCILIO DI BASILEA – FERRARA – FIRENZE – ROMA 
   Condanna delle seguenti asserzioni. L'umana natura nel Cristo è veramente
  Cristo.   L'umana natura nel Cristo è la persona di
  Cristo.   L'intima causa che determina la natura umana
  nel Cristo, non si distingue realmente dalla stessa natura determinata.  La natura umana nel Cristo è senza dubbio la
  persona del Verbo: e il Verbo, nel Cristo, assunta la natura, è realmente la
  persona che assume.  La natura umana assunta dal verbo con unione
  personale è veramente Dio naturale e proprio.  Il santo sinodo condanna queste proposizioni
  ed altre che derivano dalla stessa radice e contenute nello stesso libro come
  erronee nella fede. Perché, quindi, non avvenga che qualcuno dei fedeli a
  causa di questa dottrina cada in errore, comanda severamente che nessuno osi
  insegnare, predicare, difendere o approvare la dottrina di questo libro e in
  particolare le proposizioni sopra riferite, già dannate e riprovate, come
  abbiamo riferito, ed anche quei trattati che lo difendessero.  Quelli poi che si comportassero diversamente
  vengano puniti come eretici ed anche con altre pene canoniche. [...] Anatematizza
  pure, detesta e condanna Eutiche, archimandrita. Questi comprese che secondo
  la bestemmia di Nestorio veniva annullata la verità dell'incarnazione e che,
  quindi, era necessario che l'umanità fosse unita al Verbo di Dio in modo che
  vi fosse una sola persona per la divinità e per l'umanità. Non potendo però
  capire l'unità della persona, stante la pluralità delle nature, e quindi, che
  in Gesù Cristo una sola fosse la persona per la divinità e per l'umanità, ammise una sola natura: ammise, cioè, che prima
  dell'unione vi fossero due nature, ma che esse nell'assunzione si fossero
  trasformate in una sola natura, ammettendo, con orrenda bestemmia e somma
  empietà, che o l'umanità si era trasformata nella divinità, o la divinità
  nella umanità. Anatematizza ancora, detesta
  e condanna Macario di Antiochia e tutti quelli che seguono dottrine simili.
  Questi, non ostante che avesse una giusta opinione delle due nature e
  dell’unità della persona, errò tremendamente,
  però, circa le operazioni di Cristo: disse, infatti, che delle due nature, in
  Cristo, una sola era l'operazione e la volontà.
   
	CONCILIO DI CALCEDONIADopo la resurrezione del
  Signore, poi, che avvenne certamente nel vero corpo,
  poiché non altri risuscitò se non quegli
  che era stato crocifisso ed era morto, che
  altro Egli fece, nello spazio di quaranta giorni, se non rendere pura
  ed integra la nostra fede da ogni errore? [...] perché si potesse
  costatare che le
  proprietà della natura divina e di quella umana rimanevano in lui; e così sapessimo che il Verbo non è la stessa
  cosa che la carne, e confessassimo che il Verbo e la carne costituiscono un
  solo Figlio di Dio. 
	SECONDO CONCILIO DI COSTANTINOPOLI IV. [...] Poiché, infatti, l'unità si può concepire in diversi
  modi, gli uni, seguendo l'empietà di
  Apollinare e di Eutiche, e ammettendo l'annullamento degli elementi che formano
  l'unità, parlano di un'unione per confusione; gli altri, seguendo le idee di
  Teodoro e di Nestorio, si compiacciono della separazione, e parlano di una
  unione di relazione. La santa chiesa di Dio, rigettando l'empietà dell'una e
  dell'altra eresia, confessa l'unione di Dio
  Verbo con la carne secondo la composizione, ossia secondo l'ipostasi. Questa
  unione secondo la composizione nel mistero di Cristo, salvaguarda dalla
  confusione degli elementi che concorrono all'unità, ma non ammette la loro
  divisione.  VII. Se qualcuno, dicendo "in due nature", non confessa che nella divinità e nella umanità si deve riconoscere il solo signore nostro Gesù Cristo, così che con questa espressione voglia significare la diversità delle nature, da cui senza confusione e in modo ineffabile è scaturita l'unità, senza che il Verbo passasse nella natura della carne, e senza che la carne si trasformasse nella natura del Verbo (l'uno e l'altra, infatti, rimangono ciò che sono per natura, pur operandosi l'unione secondo ipostasi); se costui, dunque, intende tale espressione come una divisione in parti nel mistero di Cristo; ovvero, pur ammettendo, nello stesso ed unico signore nostro Gesù Cristo, Verbo di Dio incarnato, la pluralità delle nature, non accetta solo in astratto la differenza dei principi da cui è costituito, non tolta certo in seguito all'unione (uno, infatti, è da due, e due in uno), ma in ciò si serve della pluralità delle nature per sostenere che esse sono separate e con una propria sussistenza, costui sia anatema. VIII. Se uno confessa che dalle due nature, divina e umana, è sorta
  l'unione, o ammette una sola natura incarnata del Verbo di Dio ma non intende queste espressioni secondo il senso dei
  santi padri, cioè che, avvenuta l'unione secondo Impostasi della natura
  divina e della natura umana, un solo Cristo ne è
  stato l'effetto; ma con questa espressione
  tenta introdurre una sola natura o sostanza della divinità e della carne di
  Cristo, costui sia anatema. Dicendo,
  infatti, che il Verbo Unigenito si è unito alla carne secondo l'ipostasi, noi
  non affermiamo che si sia operata una confusione scambievole delle nature, ma
  che, rimanendo l'una e l'altra ciò che è, il Verbo si è unito alla carne. Di
  conseguenza, uno è anche il Cristo, Dio e uomo, consostanziale al Padre
  secondo la divinità, della nostra stessa natura, secondo l'umanità. Per
  questo, la chiesa di Dio rigetta e condanna sia coloro che dividono o
  separano secondo le parti il mistero della divina incarnazione di Cristo, sia
  coloro che le confondono. IX.
  Se qualcuno dice che Cristo deve essere
  adorato in due nature, con ciò introduce due adorazioni, una al Verbo Dio,
  una all'uomo; o se qualcuno, mirando alla
  soppressione della carne, o alla confusione della divinità e dell'umanità, va
  cianciando di una sola natura o sostanza degli elementi uniti, e così adora il Cristo, ma senza venerare con una sola
  adorazione il Dio Verbo incarnato insieme con la sua carne, come la chiesa di
  Dio ha ricevuto dall'inizio, costui sia
  anatema.  È
  pure contrario alla fede cattolica introdurre una separazione tra l'azione
  salvifica del Logos in quanto tale e quella del Verbo fatto carne. Con
  l'incarnazione, tutte le azioni salvifiche
  del Verbo di Dio si fanno sempre in unità con la natura umana che egli
  ha assunto per la salvezza di tutti gli uomini. L'unico soggetto che opera nelle due
  nature, umana e divina, è l'unica persona del Verbo. 
	TERZO CONCILIO DI COSTANTINOPOLI Predichiamo
  anche, in lui (Gesù), due volontà
  naturali e due operazioni naturali, indivisibilmente, immutabilmente,
  inseparabilmente, inconfusamente, secondo l'insegnamento dei santi padri. Due volontà
  naturali che non sono in contrasto fra loro (non sia mai detto!), come dicono
  gli empi eretici, ma tali che la volontà umana segua, senza opposizione o
  riluttanza, o meglio, sia sottoposta alla sua volontà divina e onnipotente. Predichiamo, inoltre, in Cristo due volontà e due operazioni, secondo la proprietà delle
  nature, come solennemente dichiarò il sesto
  sinodo di Costantinopoli [...]. PAPA
  PAOLO VI – Professione di
  Fede Noi crediamo in Nostro Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio. Egli è il Verbo eterno, nato dal Padre prima di tutti i secoli, e al Padre consustanziale, homoousios to Patri; e per mezzo di Lui tutto è stato fatto. Egli si è incarnato per opera dello Spirito nel seno della Vergine Maria, e si è fatto uomo: eguale pertanto al Padre secondo la divinità, e inferiore al Padre secondo l’umanità, ed Egli stesso uno, non per una qualche impossibile confusione delle nature ma per l’unità della persona. | 
|  “Dio
  e il mondo” Pag.
  88. Il triangolo è un tentativo di rappresentare il mistero dell’unità
  trinitaria. Si vuole esprimere il confluire della tripartizione trinitaria in un’unica realtà e la fusione della
  triplice relazione d’amore in un’unità
  superiore. Pag. 241. Ci rendiamo conto che
  questo mistero dell’unicità di Dio e tuttavia della sua articolazione in tre
  persone, della sua essenza imperniata su
  una triplice relazione amorosa non può
  essere risolto non solo dalle persone normali ma nemmeno dalle più acute. E’
  importante che la fede cristiana preveda due punti fermi: l’unicità e insieme
  la suprema unità di Dio. Ma l’unità suprema
  non è più l’unità dell’indivisibile ma l’unità che scaturisce dal dialogo
  amoroso. Il Dio unico è di per sé relazionalità [...]. “Gesù di
  Nazaret” Pag. 398-399. [...] dobbiamo ricordare soprattutto ciò che abbiamo osservato
  a proposito del titolo «il Figlio», il suo radicamento nel dialogo tra Padre
  e Figlio. Lì abbiamo visto che Gesù è interamente «relazionale», in tutto il suo essere non è altro che rapporto con il Padre. A partire da questa relazionalità
  va inteso l’uso della formula del roveto ardente e di Isaia; l’«Io Sono» si colloca totalmente nella relazionalità tra Padre
  e Figlio. | 
	XI SINODO DI TOLEDO – PROFESSIONE DI FEDE(4) Professiamo anche che il Figlio, nato dalla sostanza del Padre senza inizio prima dei secoli, non fu tuttavia creato: poiché né il Padre esistette mai senza il Figlio, né il Figlio senza il Padre. (7) Eterno (è) dunque il Padre, eterno anche
  il Figlio. Se sempre però fu Padre, ebbe sempre il Figlio a cui era Padre: e
  perciò professiamo il Figlio nato dal Padre senza inizio.  (8) Infatti non chiamiamo il
  medesimo Figlio di Dio per il motivo che fu generato dal Padre come
  "parte di una natura disezionata" (Cf.
  Vigilio di Tapso, Contra Arianos, Sabellanios et Photinianos dialogus, II,13),
  bensì affermiamo che il Padre perfetto ha generato senza diminuzione e senza disezionamento un Figlio perfetto, poiché solo alla divinità spetta di
  non avere un Figlio diseguale. (14) Questa è la presentazione della santa
  Trinità: essa non deve essere detta e creduta triplice, ma Trinità. Non può
  essere giusto dire che nell'unico Dio è la Trinità, ma che l'unico Dio è la
  Trinità.  (18) Parimenti quando diciamo "Dio",
  ciò vien detto non in relazione a qual cosa, come il Padre al Figlio o il
  Figlio al Padre o lo Spirito Santo al Padre e al Figlio, ma "Dio" vien detto in modo particolare in
  relazione a se stesso. (21) Dunque secondo la nostra professione di
  fede sia ogni persona è singolarmente perfetto Dio, sia tutte e tre le
  persone un solo Dio: esse hanno l'unica,
  indivisa e eguale divinità, maestà o potestà, che non è ne diminuita nelle
  singole, ne aumentata nelle tre (insieme);
  poiché non ha di meno quando ogni persona viene chiamata singolarmente Dio, e
  non di più quando tutte e tre le persone vengono annunciate come un solo Dio. (28) Tuttavia queste tre persone non si devono
  stimare come separabili, giacché, crediamo, nessuna è mai esistita o ha
  operato qualcosa prima delle altre, nessuna dopo le altre, nessuna senza le
  altre.  (29)
  Infatti sono trovate inseparabili sia in ciò che sono che in ciò che fanno: giacché tra il Padre che genera, e il Figlio che fu
  generato, e lo Spirito Santo che procede (da loro), non c'è stato, crediamo,
  nessun intervallo di tempo, per cui il
  genitore ha preceduto il generato oppure il generato mancava al genitore
  oppure lo Spirito Santo procedente dal Padre e dal Figlio apparve più tardi.  (68)
  Questa è l'esposizione della nostra professione di fede, mediante la quale
  viene annientata la dottrina di tutti gli eretici, mediante la quale i cuori
  dei fedeli vengono mondati, mediante la quale si giunge anche gloriosamente a
  Dio. Gli errori dell'abate Gioacchino Condanniamo, quindi, e riproviamo l'opuscolo o
  trattato, che l'abate Gioacchino ha pubblicato contro il maestro Pietro Lombardo
  sulla unità o essenza della Trinità, dove lo chiama eretico e stolto, per
  aver detto nelle sue Sentenze: "Poiché il Padre, il Figlio e lo Spirito
  Santo sono una realtà suprema, che né genera, né è generata, né
  procede". Da ciò egli conclude che il Lombardo ammette in Dio non una
  Trinità, ma una Quaternità: ossia tre persone più
  la comune essenza, come un quarto elemento, affermando chiaramente che non vi
  è cosa alcuna che sia Padre, Figlio e Spirito Santo, né essenza, né sostanza,
  né natura, quantunque conceda che il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo sono
  una sola essenza, una sola sostanza, una sola natura. Ma egli ritiene che questa unità non è vera e propria,
  bensì quasi collettiva e analogica come quando si dice che molti uomini sono
  un popolo, e che molti fedeli sono una chiesa,
  come nell'espressione: La moltitudine dei credenti aveva un cuor solo e
  un'anima sola; e Chi aderisce a Dio forma un solo spirito con lui.
  Similmente: Chi pianta e chi irriga sono tutt'uno; e tutti siano un
  solo cuore in Cristo. Ancora nel libro dei Re: Il mio Popolo e il tuo
  sono una cosa sola. [...] Noi, con l'approvazione del sacro concilio universale, crediamo e confessiamo, con Pietro Lombardo, che esiste una somma sostanza, incomprensibile e ineffabile, la quale è veramente Padre, Figlio e Spirito Santo, le tre persone insieme, e ciascuna di esse singolarmente. In Dio, quindi, vi è solo una Trinità, non una quaternità, poiché ognuna delle tre persone è quella sostanza, essenza o natura divina, la quale è, essa sola, principio di tutte le cose, e fuori della quale non se ne può trovare altra. Essa non genera, non è generata, non procede, ma è il Padre che genera, il Figlio che è generato, lo Spirito Santo che procede; in tale modo vi è distinzione nelle persone e unità nella natura. Quindi, se altro è il Padre, altro il Figlio, altro lo Spirito Santo, non sono tuttavia altra cosa, ma ciò che è il Padre è il Figlio e lo Spirito Santo; la stessa identica cosa, così da doversi credere, conforme alla retta fede cattolica, che essi sono consostanziali. Il Padre, infatti, generando il Figlio eternamente, gli diede
  la sua sostanza, secondo quanto lui stesso attesta: Ciò che il Padre mi ha dato è la più grande di tutte le
  cose; e non si può certo dire che gli abbia
  dato una parte della sua sostanza, e che una parte l'abbia ritenuta per sé:
  perché la sostanza del Padre è indivisibile, in quanto del tutto semplice. E
  neppure si può dire che il Padre, generando, abbia trasfuso nel Figlio la sua
  sostanza, quasi che comunicandola al Figlio non l'abbia conservata per sé; in
  questo caso avrebbe cessato di essere sostanza. E’ chiaro, quindi, che il
  Figlio, nascendo, ha ricevuto la sostanza del Padre senza alcuna diminuzione,
  e quindi il Padre e il Figlio hanno la
  medesima sostanza; in tal modo il Padre e il Figlio sono la stessa cosa; e
  così lo Spirito Santo che procede dall'uno e dall'altro.  Quando, allora, la Verità prega il Padre per i suoi fedeli, dicendo: "Voglio, Padre, che essi siano una cosa sola in noi, come noi siamo una cosa sola", il termine una cosa sola quando si tratta dei fedeli si deve prendere nel senso di unione della carità nella grazia; per le persone divine, invece, deve intendersi come unità di identità nella natura, come altrove dice la Verità: Siate Perfetti com'è perfetto il vostro Padre celeste. E’ come se dicesse, più chiaramente: "Siate perfetti della perfezione della grazia, come il vostro Padre celeste è perfetto della perfezione che gli è naturale", cioè ciascuno a suo modo, perché tra il creatore e la creatura per quanto la somiglianza sia grande, maggiore è la differenza. Se qualcuno, quindi, intendesse su questo argomento difendere o approvare l'opinione, cioè la dottrina del suddetto Gioacchino, sia ritenuto da tutti eretico. 
	CONCILIO DI BASILEA – FERRARA – FIRENZE – ROMA 
  Solo il Padre ha generato il Figlio dalla sua sostanza; solo il Figlio è stato generato dal solo Padre; solo lo Spirito santo procede nello stesso tempo dal Padre e dal Figlio. Queste tre persone sono un solo Dio, non tre Dei poiché una sola è la sostanza una l'essenza, una la natura, una la divinità, una l'immensità, una l'eternità di tutti e tre, tutti sono uno, dove non si opponga la relazione. | 
| “Dio e il mondo” Pag. 32. Ciò che è comunque dato alla Chiesa è la certezza di ciò che non è compatibile con il Vangelo. Nei suoi dogmi e nella sua confessione di fede ha formulato le cognizioni essenziali. Sono tutte formulate in negativo. Dicono dov’è il limite oltre al quale ci si perde. Lo spazio all’interno di questi confini rimane, per così dire, vasto e aperto. E perciò la Chiesa può indicare le direttrici fondamentali dell’esistenza umana e dire in che direzione non devo sicuramente andare se non voglio precipitare nell’abisso. | 
	PAPA
  PAOLO VI - “MYSTERIUM ECCLESIAE” Secondo la dottrina cattolica, l’infallibilità del
  Magistero della Chiesa si estende non solo al deposito della fede, ma anche a
  tutto ciò che è necessario perché esso possa esser custodito od esposto come
  si deve. L’estensione, poi, di tale
  infallibilità al deposito stesso della fede è una verità che la Chiesa, fin
  dalle origini, ha ricevuto come certamente rivelata nelle promesse di Cristo.
  Fondandosi appunto su questa verità, il Concilio Vaticano I definì qual è l’oggetto
  della fede cattolica: « Si devono credere con fede divina e
  cattolica tutte quelle
  cose che sono contenute nella parola di Dio scritta o trasmessa, e che dalla
  Chiesa, con solenne giudizio o nel magistero ordinario e universale, sono
  proposte a credere come divinamente rivelate ». Di conseguenza, l’oggetto della fede cattolica – che specificamente va
  sotto il nome di dogmi – come necessariamente è ed è sempre stato la norma immutabile per la fede,
  altrettanto lo è per la scienza teologica. Quanto
  poi al significato stesso delle
  formule dogmatiche, esso nella Chiesa rimane sempre vero e coerente, anche
  quando è maggiormente chiarito e meglio compreso. Devono, quindi, i fedeli rifuggire dall’opinione la
  quale ritiene che le formule dogmatiche (o qualche categoria di esse) non
  possono manifestare la verità determinatamente,
  ma solo delle sue approssimazioni cangianti, che sono, in certa maniera,
  deformazioni e alterazioni della medesima; e che le stesse formule, inoltre,
  manifestano soltanto in modo indefinito la verità, la quale dev’esser
  continuamente cercata attraverso quelle approssimazioni. Chi la pensasse così,
  non sfuggirebbe al relativismo dogmatico e falsificherebbe il concetto di
  infallibilità della Chiesa, relativo alla verità da insegnare e ritenere in
  modo determinato.  "La fede è innanzi tutto
  una adesione
  personale dell'uomo a Dio; al tempo stesso ed inseparabilmente, è l'assenso libero a
  tutta la verità che Dio ha rivelato".
  La fede, quindi, "dono di
  Dio" e "virtù soprannaturale da lui infusa", comporta
  una duplice adesione: a Dio, che rivela, e
  alla verità da lui rivelata, per la fiducia
  che si accorda alla persona che l'afferma. Per questo "non dobbiamo
  credere in nessun altro se non in Dio, il Padre, il Figlio e lo Spirito
  Santo".  Deve
  essere, quindi, fermamente ritenuta
  la distinzione tra la fede teologale
  e la credenza nelle altre
  religioni. Se la fede è l'accoglienza nella grazia della verità rivelata,
  "che permette di entrare all'interno del mistero, favorendone la
  coerente intelligenza", la credenza nelle altre religioni è
  quell'insieme di esperienza e di pensiero, che costituiscono i tesori umani
  di saggezza e di religiosità, che l'uomo nella sua ricerca della verità ha
  ideato e messo in atto nel suo riferimento al Divino e all'Assoluto. [...] La
  missione ad gentes anche nel
  dialogo interreligioso "conserva in pieno, oggi come sempre, la sua
  validità e necessità". In effetti, "Dio
  vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della
  verità" (1 Tm 2,4): vuole la salvezza di tutti attraverso la conoscenza
  della verità. La salvezza si trova
  nella verità. Coloro che obbediscono alla mozione dello Spirito di verità sono
  già sul cammino della salvezza; ma la Chiesa, alla quale questa verità è
  stata affidata, deve andare incontro al loro desiderio offrendola loro. Can. 751 - Vien detta eresia, l'ostinata negazione, dopo aver ricevuto il battesimo, di una qualche verità che si deve credere per fede divina e cattolica, o il dubbio ostinato su di essa; apostasia, il ripudio totale della fede cristiana; scisma, il rifiuto della sottomissione al Sommo Pontefice o della comunione con i membri della Chiesa a lui soggetti. Can.
  754 - Tutti i fedeli sono tenuti all'obbligo di osservare le costituzioni e i
  decreti, che la legittima autorità della Chiesa propone per esporre una
  dottrina e per proscrivere opinioni erronee; per ragione speciale, quando poi
  le emanano il Romano Pontefice o il Collegio dei Vescovi. 
	Qui di seguito solo alcuni esempi per far
  notare che è falso dire che i dogmi esistono solo al negativo.  BEATO PIO IX PAPA - “INEFFABILIS DEUS” [...] con
  l'autorità di Nostro Signore Gesù Cristo, dei Santi Apostoli Pietro e Paolo e
  Nostra, dichiariamo, affermiamo e definiamo rivelata da Dio la dottrina che
  sostiene che la beatissima Vergine Maria fu preservata, per particolare
  grazia e privilegio di Dio onnipotente, in previsione dei meriti di Gesù
  Cristo Salvatore del genere umano, immune da ogni macchia di peccato
  originale fin dal primo istante del suo concepimento, e ciò deve pertanto essere oggetto di fede certo ed
  immutabile per tutti i fedeli. 
	CONCILIO DI EFESO1. Se qualcuno non confessa che
  l'Emmanuele è Dio nel vero senso della parola, e che perciò la santa Vergine
  è madre di Dio perché ha generato secondo la carne, il Verbo fatto carne, sia
  anatema. 2. Se qualcuno non confessa che
  il Verbo del Padre assunto in unità di sostanza l'umana carne, che egli è un
  solo Cristo con la propria carne, cioè lo stesso che è Dio e uomo insieme,
  sia anatema.  5. Se qualcuno osa dire che il Cristo
  è un uomo portatore di Dio, e non piuttosto Dio secondo verità, come Figlio
  unico per natura, inquantoché il
  Verbo si fece carne e partecipò a
  nostra somiglianza della carne e del sangue, sia anatema.  6. Se qualcuno dirà che il
  Verbo, nato da Dio Padre è Dio e Signore del Cristo, e non confessa,
  piuttosto, che esso è Dio e uomo insieme, inquantoché il Verbo si è fatto carne secondo le Scritture, sia anatema.  11. Se qualcuno non confessa che
  la carne del Signore è vivificante e (che essa è la carne) propria dello
  stesso Verbo del Padre, (e sostiene, invece, che sia) di un altro, diverso da
  lui, e unito a lui solo per la sua dignità; o anche di uno che abbia ricevuto
  solo la divina abitazione; se, dunque, non confessa che sia vivificante, come
  abbiamo detto inquantoché divenne propria del Verbo, che può vivificare ogni
  cosa, sia anatema.  12.
  Se qualcuno non confessa che il Verbo di Dio ha sofferto nella carne, è stato
  crocifisso nella carne, ha assaporato la morte nella carne, ed è divenuto il
  primogenito dei morti, inquantoché, essendo Dio, è vita e dà la vita, sia
  anatema.  
	SAN PIO X PAPA – “LAMENTABILI
  SANE EXITU” Condanna delle seguenti asserzioni. 22. I dogmi, che la Chiesa presenta come rivelati, non sono verità cadute dal cielo, ma l'interpretazione di fatti religiosi, che la mente umana si è data con travaglio. 59. Cristo non insegnò un determinato corpo dottrinale
  applicabile a tutti i tempi e a tutti gli uomini, ma piuttosto ha iniziato un
  movimento religioso che si è adattato e si deve adattare ai diversi tempi e
  luoghi.  
	SECONDO CONCILIO DI COSTANTINOPOLII. Chi non confessa che il Padre, il Figlio e lo
  Spirito santo hanno una sola natura o sostanza, una sola virtù e potenza,
  poiché essi sono Trinità consostanziale, una sola divinità da adorarsi in tre
  ipostasi, o persone, sia anatema. Uno, infatti, è Dio Padre, dal quale sono tutte le cose; uno il signore Gesù Cristo, mediante il quale sono tutte le cose; uno è lo Spirito Santo, nel quale sono tutte le cose. II. Se qualcuno non confessa che due sono le
  nascite del Verbo di Dio, una prima dei secoli dal Padre, fuori dal tempo e
  incorporale, l'altra in questi nostri ultimi tempi, quando egli è disceso dai
  cieli, s'è incarnato nella santa e gloriosa madre di Dio e sempre vergine
  Maria, ed è nato da essa, sia anatema. III. Se qualcuno afferma che il Verbo di Dio
  che opera miracoli non è lo stesso Cristo che ha sofferto, o anche che il Dio
  Verbo si è unito col Cristo nato dalla donna, o che egli è in lui come uno in
  un altro; e non confessa invece, un solo e medesimo signore nostro Gesù Cristo,
  Verbo di Dio, che si è incarnato e fatto uomo, al quale appartengono sia le
  meraviglie che le sofferenze che volontariamente ha sopportato nella sua
  carne, costui sia anatema. 
	CONCILIO DI BASILEA – FERRARA – FIRENZE – ROMA 
  Essa
  (la
  Chiesa) condanna, perciò, riprova e
  anatematizza tutti quelli che credono diversamente e contrariamente e li
  dichiara solennemente estranei al corpo di Cristo, che è la chiesa. [...] Essa anatematizza, quindi, detesta
  e condanna ogni eresia che professi dottrine contrarie a queste. Scomunichiamo e anatematizziamo ogni eresia che si erge contro la santa, ortodossa e cattolica fede, come l'abbiamo esposta sopra. | 
| “Dio e il mondo” Pag. 28-29. [...] se con troppa rapidità e
  superficialità si difendono come verità le
  istanze di cui siamo portatori e ci si
  accomoda con troppa tranquillità e rilassatezza su questa pretesa verità, non c’è
  solo il rischio di diventare autoritari, ma anche quello di etichettare troppo facilmente come verità qualcosa che è
  solo provvisorio e secondario.  [...] dobbiamo considerare la cautela con cui rivendicare la
  verità come un obbligo [...]. Pag.
  31-32. La Chiesa cattolica sa, tramite la fede, cosa Dio ci ha detto nel
  corso della storia della Rivelazione. Naturalmente la comprensione che gli uomini ne hanno – anche quella
  che la Chiesa ne ha – è inadeguata rispetto a ciò che Dio ha effettivamente
  detto. Perciò
  la fede si evolve. [...] Dio e l’esistenza umana sono imperscrutabili, ci
  sono sempre nuove dimensioni da sondare.  Pag. 26. [...] questo è un
  Dio che ha la forza di realizzare l’amore in modo tale da essere se stesso in un uomo, da essere presente e da offrirsi a noi
  perché lo conosciamo, da stabilire con noi un’esistenza comunitaria, proprio
  ciò di cui abbiamo bisogno per non dover
  convivere fino alla fine con frammenti e mezze verità.    Questo non
  significa che non possiamo imparare di più dalle altre religioni. O che il
  canone della fede cristiana sia così cementato che non possiamo andare oltre. L’avventura della fede cristiana è sempre nuova, e la
  sua incommensurabilità si dischiude proprio nel momento in cui riconosciamo a Dio
  queste possibilità. Pag. 38-39. L’atto di fede  non è, per così dire, convincersi di una
  certa idea o attribuire alla fede il potere di compiere determinate azioni.
  L’atto di fede consiste nel riporre la propria fiducia nell’esistenza di Dio, nel fatto che
  posso mettermi nelle sue mani. [...] In
  questo quadro il Signore utilizza l’immagine del chicco di senape. [...] Il granello di senape
  racchiude insomma un’immagine profonda della fede. La fede non è
  conseguentemente la mera accettazione di determinate formule, ma è un seme di
  vita riposto in me. Sono un autentico credente solo se la fede è presente in
  me sotto la forma di un seme vivo [...]. Pag. 48-49. La fede deve essere vissuta e riscoperta ex novo da ogni generazione. Pag. 67-68. Ogni uomo è un pensiero di Dio. Tutto ciò che inizialmente si erge nella sua fattualità è governato da un piano e da un’idea – ed è questo che rende significativa anche la ricerca di una mia idea personale e la coesistenza con il tutto e con il cammino della storia. Pag. 321. [...] molto di quello che noi oggi definiamo come pensiero cattolico non ha carattere sovratemporale e immutabile. Con l’avvento di nuovi popoli e di nuove epoche storiche può subire modificazioni, approfondirsi e rinnovarsi. Pag. 244. Perciò vale per il Padre nostro quello che possiamo anche dire della parola di Dio o del Credo: da una parte ha una struttura fissa – sempre la stessa -, d’altra parte però è inesauribile e anche sempre nuovo. Ci conduce sempre oltre ciò che è già acquisito. Non siamo incatenati ad un passato in cui non c’è più nulla di nuovo da scoprire, ma è un territorio capace di offrirci sempre nuove scoperte, in cui ognuno può anche ritrovare da capo se stesso. Pag. 377. Le Sacre Scritture non sono parola di Dio caduta dall’alto, ma parola di Dio incarnata nella storia e che cresce in essa. | La salvezza consiste anzitutto nel
  custodire le norme della retta fede. [...] Lo
  Spirito Santo infatti, non è stato promesso ai successori di Pietro per
  rivelare, con la sua ispirazione, una nuova dottrina, ma per custodire con
  scrupolo e per far conoscere con fedeltà, con la sua assistenza, la
  rivelazione trasmessa dagli Apostoli, cioè il deposito della fede. BEATO PIO IX PAPA - “INEFFABILIS DEUS” Infatti la Chiesa di Cristo, fedele custode e garante dei dogmi a lei affidati, non ha mai apportato
  modifiche ad essi, non vi ha tolto o aggiunto alcunché, ma trattando con ogni cura, in modo accorto e sapiente,
  le dottrine del passato per scoprire quelle che si sono formate nei primi
  tempi e che la fede dei Padri ha seminato, si preoccupa di limare e di
  affinare quegli antichi dogmi della Divina Rivelazione, perché ne ricevano
  chiarezza, evidenza e precisione, ma conservino la loro pienezza, la loro
  integrità e la loro specificità e si sviluppino soltanto nella loro propria
  natura, cioè nell'ambito del dogma, mantenendo
  inalterati il concetto e il significato. PAPA
  GIOVANNI PAOLO II – “UT UNUM SINT”Importanza fondamentale della dottrina 18.
  Riprendendo un'idea che lo stesso Papa Giovanni XXIII aveva espresso in
  apertura del Concilio, il Decreto sull'ecumenismo menziona il modo di esporre
  la dottrina tra gli elementi della continua riforma. Non si tratta in questo
  contesto di modificare il deposito della fede, di cambiare il significato dei
  dogmi, di eliminare da essi delle parole essenziali, di adattare la verità ai
  gusti di un'epoca, di cancellare certi articoli del Credo con il falso
  pretesto che essi non sono più compresi oggi. L'unità voluta da Dio può
  realizzarsi soltanto nella comune adesione all'integrità del contenuto della
  fede rivelata. In materia di fede, il compromesso è in contraddizione con Dio
  che è Verità. Nel Corpo di Cristo, il quale è "via, verità e vita"
  (Gv 14,6), chi potrebbe ritenere legittima una riconciliazione attuata a
  prezzo della verità? La
  Dichiarazione conciliare sulla libertà religiosa Dignitatis
  humanæ attribuisce alla dignità umana la ricerca
  della verità, "specialmente in ciò che riguarda Dio e la sua
  Chiesa" e l'adesione alle sue esigenze. Uno "stare insieme"
  che tradisse la verità sarebbe dunque in opposizione con la natura di Dio che
  offre la sua comunione e con l'esigenza di verità che alberga nel più
  profondo di ogni cuore umano. 
	PAPA GIOVANNI PAOLO II – “FIDES ET RATIO” Parecchi autori, nella loro critica demolitrice di ogni certezza, ignorando le necessarie distinzioni, contestano anche le certezze della fede. Le radici di queste affermazioni sono da
  ricercarsi in alcuni presupposti, di natura sia filosofica, sia teologica,
  che ostacolano l'intelligenza e l'accoglienza della verità rivelata. Se ne
  possono segnalare alcuni: la convinzione
  della inafferrabilità e inesprimibilità della verità divina, nemmeno da parte
  della rivelazione cristiana; l'atteggiamento relativistico nei confronti
  della verità, per cui ciò che è vero per alcuni non lo sarebbe per altri; la
  contrapposizione radicale che si pone tra mentalità logica occidentale e
  mentalità simbolica orientale; il soggettivismo di chi, considerando la
  ragione come unica fonte di conoscenza, diventa " incapace di sollevare
  lo sguardo verso l'alto per osare di raggiungere la verità dell'essere";
  la difficoltà a comprendere e ad accogliere la presenza di eventi definitivi
  ed escatologici nella storia; lo svuotamento metafisico dell'evento
  dell'incarnazione storica del Logos eterno, ridotto a mero apparire di Dio
  nella storia; l'eclettismo di chi, nella ricerca teologica, assume idee
  derivate da differenti contesti filosofici e religiosi, senza badare né alla
  loro coerenza e connessione sistematica, né alla loro compatibilità con la
  verità cristiana; la tendenza, infine, a leggere e interpretare la Sacra
  Scrittura fuori dalla Tradizione e dal Magistero della Chiesa.  In base a tali presupposti, che si presentano con
  sfumature diverse, talvolta come affermazioni e talvolta come ipotesi,
  vengono elaborate alcune proposte teologiche, in cui la rivelazione cristiana
  e il mistero di Gesù Cristo e della Chiesa perdono il loro carattere di
  verità assoluta e di universalità salvifica, o almeno si getta su di essi
  un'ombra di dubbio e di insicurezza. [...] "La fede è innanzi tutto
  una adesione personale dell'uomo a
  Dio; al tempo stesso ed inseparabilmente, è l'assenso libero a tutta la verità che Dio ha rivelato". La fede, quindi, "dono di Dio" e
  "virtù soprannaturale da lui infusa", comporta una duplice
  adesione: a Dio, che rivela, e alla verità da lui rivelata, per la fiducia
  che si accorda alla persona che l'afferma. Per questo "non dobbiamo
  credere in nessun altro se non in Dio, il Padre, il Figlio e lo Spirito
  Santo".  Deve essere, quindi, fermamente ritenuta la distinzione tra
  la fede teologale e la credenza nelle altre religioni. Se la
  fede è l'accoglienza nella grazia della verità rivelata, "che permette
  di entrare all'interno del mistero, favorendone la coerente
  intelligenza", la credenza nelle altre religioni è quell'insieme di
  esperienza e di pensiero, che costituiscono i tesori umani di saggezza e di
  religiosità, che l'uomo nella sua ricerca della verità ha ideato e messo in
  atto nel suo riferimento al Divino e all'Assoluto.  Non
  sempre tale distinzione viene tenuta presente nella riflessione attuale, per
  cui spesso si identifica la fede teologale, che è accoglienza della verità
  rivelata da Dio Uno e Trino, e la credenza nelle altre religioni, che è
  esperienza religiosa ancora alla ricerca della verità assoluta e priva ancora
  dell'assenso a Dio che si rivela. Questo è uno dei motivi per cui si tende a
  ridurre, fino talvolta ad annullarle, le differenze tra il cristianesimo e le
  altre religioni. [...] La
  missione ad gentes anche nel
  dialogo interreligioso "conserva in pieno, oggi come sempre, la sua
  validità e necessità". In effetti, "Dio vuole che tutti gli uomini
  siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità" (1 Tm 2,4): vuole
  la salvezza di tutti attraverso la conoscenza della verità. La salvezza si
  trova nella verità. Coloro che
  obbediscono alla mozione dello Spirito di verità sono già sul cammino della
  salvezza; ma la Chiesa, alla quale questa verità è stata affidata, deve
  andare incontro al loro desiderio offrendola loro. Proprio perché crede al
  disegno universale di salvezza, la Chiesa deve essere missionaria". Il
  dialogo perciò, pur facendo parte della missione evangelizzatrice, è solo una
  delle azioni della Chiesa nella sua missione ad gentes. La parità,
  che è presupposto del dialogo, si riferisce alla pari dignità personale delle
  parti, non ai contenuti dottrinali né
  tanto meno a Gesù Cristo, che è Dio stesso fatto Uomo, in confronto
  con i fondatori delle altre religioni. La Chiesa infatti, guidata dalla carità e dal rispetto della libertà,
  dev'essere impegnata primariamente ad annunciare a tutti gli uomini la
  verità, definitivamente rivelata dal Signore, ed a proclamare la necessità
  della conversione a Gesù Cristo e dell'adesione alla Chiesa attraverso il
  Battesimo e gli altri sacramenti, per partecipare in modo pieno alla
  comunione con Dio Padre, Figlio e Spirito Santo. D'altronde la
  certezza della volontà salvifica universale di Dio non allenta, ma aumenta il
  dovere e l'urgenza dell'annuncio della salvezza e della conversione al
  Signore Gesù Cristo.  
	PAPA
  GIOVANNI PAOLO II – “DONUM
  VERITATIS”   Quando
  infatti il dissenso riesce ad estendere la sua influenza fino ad ispirare una
  opinione comune, tende a diventare regola di azione, e ciò non può non turbare gravemente il Popolo di Dio e condurre ad una disistima della vera autorità. [...] cedere [...] alla tentazione del dissenso, è lasciare che si sviluppino
  «fermenti di infedeltà allo Spirito Santo». 
	PAPA PAOLO VI – “MYSTERIUM ECCLESIAE” [...] i cattolici
  sono tenuti a professare di appartenere, per misericordioso dono di Dio, alla
  Chiesa fondata da Cristo e guidata dai successori di Pietro e degli altri
  Apostoli, presso i quali permane, intatta e viva, l’originaria tradizione
  apostolica, che è patrimonio perenne di verità e di santità della medesima
  Chiesa. Non possono, quindi, i fedeli immaginarsi la Chiesa di Cristo come la
  somma – differenziata ed in qualche modo unitaria
  insieme – delle Chiese e comunità ecclesiali; né hanno facoltà di pensare che
  la Chiesa di Cristo oggi non esista più in alcun luogo e che, perciò, debba
  esser soltanto oggetto di ricerca da parte di tutte le Chiese e comunità. [...] Quanto poi al significato stesso delle formule
  dogmatiche, esso nella Chiesa rimane sempre vero e coerente, anche quando è maggiormente
  chiarito e meglio compreso. Devono, quindi, i fedeli rifuggire dall’opinione
  la quale ritiene che le formule dogmatiche (o qualche categoria di esse) non
  possono manifestare la verità determinatamente, ma solo delle sue
  approssimazioni cangianti, che sono, in certa maniera, deformazioni e
  alterazioni della medesima; e che le stesse formule, inoltre, manifestano
  soltanto in modo indefinito la verità, la quale dev’esser continuamente
  cercata attraverso quelle approssimazioni. Chi la pensasse così, non
  sfuggirebbe al relativismo dogmatico e falsificherebbe il concetto di
  infallibilità della Chiesa, relativo alla verità da insegnare e ritenere in
  modo determinato.      Un’opinione
  del genere è in aperto contrasto con le dichiarazioni del Concilio Vaticano
  I, il quale, pur consapevole del progresso della Chiesa nella conoscenza
  della verità rivelata, ha tuttavia insegnato: « Ai sacri (…) dogmi dev’esser
  sempre mantenuto il senso dichiarato una volta per tutte dalla santa madre
  Chiesa, e mai è permesso allontanarsi da quel senso col pretesto ed in nome
  di un’intelligenza più progredita ». Esso ha, inoltre, condannato la sentenza
  secondo la quale potrebbe accadere « che ai dogmi proposti dalla Chiesa si
  debba talvolta dare, in base al progresso della scienza, un senso diverso da
  quello che la Chiesa ha inteso ed intende ». Non c’è dubbio, secondo tali
  testi del Concilio, che il senso dei dogmi dichiarato dalla Chiesa sia ben
  determinato ed irreformabile. PER
  DIFENDERE LA FEDE della Chiesa Cattolica contro gli errori che insorgono da
  parte di alcuni fedeli, soprattutto di quelli che si dedicano di proposito
  alle discipline della sacra teologia, è sembrato assolutamente necessario a Noi, il
  cui compito precipuo è confermare i fratelli nella fede (cf Lc 22,
  32), che nei testi vigenti del Codice di Diritto Canonico e del Codice
  dei Canoni delle Chiese Orientali vengano aggiunte norme con le quali
  espressamente sia imposto il dovere di osservare le verità proposte in modo
  definitivo dal Magistero della Chiesa, facendo anche menzione delle sanzioni
  canoniche riguardanti la stessa materia. [...] Can.
  750 - § 1. Per fede divina e
  cattolica sono da credere tutte quelle cose che sono contenute nella parola
  di Dio scritta o tramandata, vale a dire nell'unico deposito della fede
  affidato alla Chiesa, e che insieme sono proposte come divinamente rivelate,
  sia dal magistero solenne della Chiesa, sia dal suo magistero ordinario e
  universale, ossia quello che è manifestato dalla comune adesione dei fedeli
  sotto la guida del sacro magistero; di conseguenza tutti sono tenuti a
  evitare qualsiasi dottrina ad esse contraria. §2. Si devono pure
  fermamente accogliere e ritenere anche tutte e singole le cose che vengono
  proposte definitivamente
  dal magistero della Chiesa circa la fede e i costumi, quelle cioè che sono
  richieste per custodire santamente ed esporre fedelmente lo stesso deposito
  della fede; si oppone dunque alla dottrina della Chiesa cattolica chi rifiuta
  le medesime proposizioni da tenersi definitivamente.  Can.
  751 - Vien detta eresia, l'ostinata negazione, dopo aver ricevuto il
  battesimo, di una qualche verità che si deve credere per fede divina e
  cattolica, o il dubbio ostinato su di essa; apostasia, il ripudio totale
  della fede cristiana; scisma, il rifiuto della sottomissione al Sommo
  Pontefice o della comunione con i membri della Chiesa a lui soggetti. Can. 754 - Tutti i fedeli
  sono tenuti all'obbligo di osservare le costituzioni e i decreti, che la
  legittima autorità della Chiesa propone per esporre una dottrina e per
  proscrivere opinioni erronee; per ragione speciale, quando poi le emanano il
  Romano Pontefice o il Collegio dei Vescovi. La dottrina della fede che Dio rivelò non è
  proposta alle menti umane come una invenzione filosofica da perfezionare, ma è
  stata consegnata alla Sposa di Cristo come divino deposito perché la
  custodisca fedelmente e la insegni con magistero infallibile. Quindi deve
  essere approvato in perpetuo quel significato dei sacri dogmi che la Santa
  Madre Chiesa ha dichiarato, né mai si deve recedere da quel significato con
  il pretesto o con le apparenze di una più completa intelligenza. [...] 1. Se qualcuno dirà che nella rivelazione divina non è contenuto alcun
  mistero vero e propriamente detto, ma che tutti i dogmi della fede possono
  essere compresi e dimostrati dalla ragione debitamente coltivata per mezzo
  dei principi naturali: sia anatema. 2. Se qualcuno dirà che le discipline umane devono essere trattate con
  tale libertà che le loro asserzioni, anche se contrarie alla dottrina rivelata,
  possono essere ritenute vere e non possono essere condannate dalla Chiesa:
  sia anatema. 3. Se qualcuno dirà che può accadere che ai dogmi della Chiesa si possa un giorno – nel continuo progresso della scienza – attribuire un senso diverso da quello che ha inteso e intende dare la Chiesa: sia anatema. 
	SAN PIO X PAPA – “LAMENTABILI
  SANE EXITU” [...] le seguenti proposizioni sono
  da riprovarsi e da condannarsi, come si
  riprovano e si condannano con questo generale Decreto: 20. La Rivelazione non poté essere altro che la coscienza acquisita dall'uomo circa la sua relazione con Dio. 22. I dogmi, che la Chiesa presenta come rivelati, non sono verità cadute dal cielo, ma l'interpretazione di fatti religiosi, che la mente umana si è data con travaglio. 59. Cristo non insegnò un determinato insieme di dottrine applicabile a tutti i tempi e a tutti gli uomini, ma piuttosto iniziò un certo qual moto religioso adattato e da adattare a diversi tempi e circostanze. BEATO PIO IX PAPA – “QUI PLURIBUS” Ma
  quanti meravigliosi e splendidi argomenti esistono per convincere l’umana
  ragione che la Religione di Cristo sia divina e che "ogni principio dei nostri dogmi venga dal Signore dei
  Cieli" [...]. BEATO
  PIO IX PAPA – “QUANTA CURA” – “SYLLABUS” E mentre affermano ciò temerariamente, non pensano e non considerano che essi predicano "la libertà della perdizione", e che "se in nome delle umane convinzioni sia sempre libero il diritto di disputare, non potranno mai mancare coloro che osano resistere alla verità e confidano nella loquacità della sapienza umana, mentre la fede e la sapienza cristiane debbono evitare questa nociva vanità, in linea con la stessa istituzione del Signor Nostro Gesù Cristo". | 
| Pag. 30. “Dio e il mondo” La natura della fede non è tale per cui a partire da un certo momento si possa dire: io la possiedo, altri no. È qualcosa di vivo che coinvolge l’intera persona – ragione, volontà, sentimenti – in tutte le sue dimensioni esistenziali. Può radicarsi sempre più profondamente nell’esistenza tanto che vita e fede si identificano sempre più strettamente, ma ciò nonostante non è semplicemente qualcosa che si possieda. Pag.
  39. “Dio e il mondo” La verità della parola di Gesù non può essere
  desunta teoricamente. È come un teorema tecnico: la sua correttezza può
  dimostrarsi solo nella sperimentazione. [...] l’esperimento
  della vita.  Pag. 41. “Dio e il mondo” Proprio
  della fede è un percorso esistenziale in cui l’oggetto di fede trova
  gradualmente conferme nel vissuto e si dimostra nella sua totalità gravido di senso.  Pag. 229-230. “Gesù di Nazaret” Gesù , infatti, non vuole comunicare a noi nozioni astratte che, nel profondo, non ci riguarderebbero. [...] Egli mostra la trasparenza della luce divina nelle cose di questo mondo e nelle realtà della nostra vita quotidiana. Per mezzo delle realtà comuni vuole indicarci il vero fondamento di tutte le cose e così la vera direzione che dobbiamo imboccare nella vita di tutti i giorni, per seguire la retta via. Egli ci mostra Dio, non un Dio astratto, ma il Dio che agisce, che entra nella nostra vita e ci vuole prendere per mano. Attraverso la vita di tutti i giorni ci mostra chi siamo e che cosa dobbiamo fare di conseguenza. [...] Dio chiama sempre in causa l’uomo nella sua totalità – è una conoscenza che è tutt’uno con la vita stessa [...]. Pag. 326. “Gesù di Nazaret” [...] la conoscenza e il dono di sé sono, in sostanza, una cosa sola. | Il vivere è pei modernisti
  prova di verità; giacché verità e vita sono per essi una medesima cosa. Dal che
  è dato inferir di nuovo, che tutte le religioni, quante mai ne esistono, sono
  egualmente vere, poiché se nol fossero non vivrebbero. E tutto questo si
  spaccia per dare un concetto più elevato e più ampio della religione! [...] Del resto, aggiungono (modernisti), i Libri sacri, perché di lor natura religiosi, sono
  essenzialmente viventi: or la vita ha pur essa la sua verità e la sua logica;
  diversa certamente dalla verità e logica razionale, anzi di tutt'altro
  ordine, verità cioè di comparazione e proporzione sia coll'ambiente in cui si
  vive, sia col fine per cui si vive. Finalmente a tanto estremo essi giungono ad affermare, senza attenuazione di
  sorta, che tutto ciò che si spiega con la vita è vero e legittimo. Noi, Venerabili
  Fratelli, pei quali la verità è una ed unica, e che riteniamo i sacri Libri
  come quelli che "scritti sotto l'ispirazione dello Spirito Santo, hanno
  per autore Iddio" (Conc. Vat., De Rev. c. 2), affermiamo ciò essere
  il medesimo che attribuire a Dio la menzogna di utilità o officiosa; e colle parole di Sant'Agostino protestiamo che:
  "Ammessa una volta in così altissima autorità qualche bugia officiosa,
  nessuna particella di quei libri resterà che, sembrando ad alcuno ardua per
  costume o incredibile per la fede, con la stessa perniciosissima regola, non
  si riferisca a consiglio o vantaggio dell'autore menzognero" (Epist.
  28). Dal che seguirà quel che lo stesso santo Dottore aggiunge: "In esse - cioè nelle Scritture - ciascuno crederà quel
  che vuole, quel che non vuole non crederà".
   
	PAPA GIOVANNI
  PAOLO II – “FIDES ET RATIO” Il Dio che si fa conoscere, nell'autorità della
  sua assoluta trascendenza, porta anche con sé la credibilità dei
  contenuti che rivela. Con la fede, l'uomo dona il suo assenso a tale testimonianza divina.
  Ciò significa che riconosce pienamente e integralmente la verità di quanto
  rivelato, perché è Dio stesso che se ne fa garante. [...] Nei Libri Sacri, e in particolare nel Nuovo
  Testamento, si trovano testi e affermazioni di portata propriamente
  ontologica. Gli autori ispirati, infatti, hanno inteso formulare affermazioni
  vere, tali cioè da esprimere la realtà oggettiva. Non si può dire che la tradizione cattolica abbia
  commesso un errore quando ha compreso alcuni testi di san Giovanni e di san
  Paolo come affermazioni sull'essere stesso di Cristo. [...] L'interpretazione
  di questa Parola non può rimandarci soltanto da interpretazione a
  interpretazione, senza mai portarci ad attingere un'affermazione
  semplicemente vera; altrimenti non vi
  sarebbe rivelazione di Dio, ma soltanto
  l'espressione di concezioni umane su di Lui e su ciò che presumibilmente Egli
  pensa di noi. [...] Il
  pragmatismo dogmatico degli inizi di questo secolo, secondo cui le verità di
  fede non sarebbero altro che regole di comportamento, è già stato rifiutato e rigettato; ciò nonostante, rimane sempre la tentazione di
  comprendere queste verità in maniera puramente funzionale. 
	BEATO PIO IX PAPA – “DEI FILIUS” Quindi si devono credere con fede divina
  e cattolica tutte quelle cose che sono contenute nella parola di Dio, scritta
  o trasmessa per tradizione, e che vengono proposte dalla Chiesa, o con
  solenne definizione, o con il magistero ordinario e universale, come
  divinamente ispirate, e pertanto da credersi. Poiché
  senza la fede è impossibile piacere a
  Dio e giungere all'unione con i suoi figli, così senza di essa nessuno
  potrà mai essere assoluto (assolto), come pure nessuno conseguirà la vita eterna senza aver
  perseverato in essa sino alla fine. [...] Se qualcuno dirà
  che l'uomo non può essere divinamente elevato ad una conoscenza e ad una
  perfezione che superino quelle naturali, ma che può e deve da se stesso
  arrivare al possesso di ogni verità e di ogni bene in un continuo progresso:
  sia anatema. Se qualcuno dirà che la Rivelazione divina non può rendersi credibile
  per segni esterni, e che perciò gli uomini devono procedere verso la fede
  solo attraverso l'interiore esperienza o l'ispirazione privata di ciascuno:
  sia anatema. Se qualcuno dirà che l'assenso
  alla fede cristiana non è libero, ma che si produce necessariamente dagli
  argomenti della ragione umana; ovvero che la grazia di Dio è necessaria alla
  sola fede viva che opera per la carità: sia anatema. Se qualcuno dirà che la condizione dei fedeli e
  quella di coloro che ancora non sono arrivati all'unica vera fede sono pari,
  così che i cattolici possono avere giusto motivo per mettere in dubbio la
  fede che già ricevettero sotto il magistero della Chiesa, sospendendone
  l'assenso finché non abbiano compiuto la dimostrazione scientifica della
  credibilità e della verità della loro fede: sia anatema. 
	SAN PIO X PAPA – “LAMENTABILI
  SANE EXITU” Condanna delle seguenti asserzioni. 26. I dogmi della Fede debbono essere accettati soltanto secondo il loro senso pratico, cioè come norma precettiva riguardante il comportamento, ma non come norma di Fede. 59. Cristo non insegnò un determinato insieme di dottrine applicabile a tutti i tempi e a tutti gli uomini, ma piuttosto iniziò un certo qual moto religioso adattato e da adattare a diversi tempi e circostanze. | 
| Pag. 189. “Dio e il mondo” Ci resta da puntualizzare che l’Antico Testamento non è una profezia ma un percorso.  Pag. 24-25. “Gesù di Nazaret” [...] il profeta [...] non ha lo scopo di comunicare gli avvenimenti di domani o dopodomani [...]. Egli ci mostra il volto di Dio e in questo modo ci indica la strada che dobbiamo prendere. [...] Indica la via verso il vero «esodo», che consiste nel dovere di cercare e trovare – quale vera direzione, in tutte le vie della storia – la strada che porta a Dio. Intesa in questo senso, la profezia è in stretta corrispondenza con la fede di Israele in un unico Dio, è la sua trasposizione nella vita concreta di una comunità davanti a Dio e in cammino verso di Lui. | Ma i
  modernisti apologeti non si dàn pensiero di tanto. Concedono di più trovarsi
  talora nei Libri santi dei ragionamenti, per sostenere una qualche dottrina,
  che non si appoggiano a verun ragionevole fondamento, come son quelli che si
  basano sulle profezie. Vero è che anche questi menan per buoni come artifizî
  di predicazione legittimati dalla vita. VANGELO SECONDO GIOVANNI  5 – [37]E anche il Padre, che mi ha mandato, ha reso
  testimonianza di me. Ma voi non avete mai udito la sua voce, né avete visto
  il suo volto, [38]e non avete la sua parola che dimora in voi,
  perché non credete a colui che egli ha mandato. [39]Voi scrutate
  le Scritture credendo di avere in esse la vita eterna; ebbene, sono proprio esse che mi rendono testimonianza. [40]Ma
  voi non volete venire a me per avere la vita. PRIMA LETTERA DI PIETRO 1 [10]Su questa
  salvezza indagarono e scrutarono i profeti
  che profetizzarono sulla grazia a voi destinata [11]cercando di
  indagare a quale momento o a quali circostanze accennasse lo Spirito di Cristo che era in loro, quando prediceva
  le sofferenze destinate a Cristo e le glorie che dovevano seguirle. [12]E
  fu loro rivelato che non per se stessi, ma per voi, erano ministri di quelle
  cose che ora vi sono state annunziate da coloro che vi hanno predicato il vangelo
  nello Spirito Santo mandato dal cielo; cose nelle quali gli angeli desiderano
  fissare lo sguardo.  | 
| Pag. 375. “Gesù di Nazaret” Il veggente (Libro di Daniele) scorge come da lontano il vero Signore del mondo nell’immagine di un
  vegliardo che pone fine all’apparizione. Ed ecco arrivare «sulle nubi
  del cielo, uno, simile ad un figlio
  dell’uomo»; a lui furono dati «potere, gloria e regno; tutti i popoli,
  nazioni e lingue lo servivano; il suo potere è un potere eterno [...] e il suo regno è
  tale che non sarà mai distrutto » [...] un regno di «umanità», di
  quel vero potere che viene da Dio stesso. [...] Il «figlio
  di uomo» [...] non è una figura individuale, bensì la rappresentazione del «regno» in cui il mondo
  raggiungerà la sua meta finale.    Nell’esegesi è diffusa la supposizione che
  dietro questo testo possa nascondersi una versione in cui il «figlio di uomo»
  indicava anche una figura individuale; noi,
  comunque, non conosciamo questa variante; essa
  rimane una congettura.  | UDIENZA GENERALE – Mercoledì, 17 febbraio 1988 9. Non possiamo concludere senza un ultimo accenno al fatto che Gesù per lo più ha parlato di se stesso come del “Figlio dell’uomo” (Mc 2, 10. 28; 14, 62; Mt 8, 20; 16, 27; 24, 27; Lc 9, 22; 11, 30; Gv 1, 51; 8, 28; 13, 31). Questa espressione secondo la sensibilità del linguaggio comune d’allora poteva anche indicare che egli è vero uomo così come tutti gli altri esseri umani, e senza dubbio contiene il riferimento alla sua reale umanità. Tuttavia il significato strettamente biblico, anche in questo caso, va stabilito tenendo conto del contesto storico risultante dalla tradizione di Israele, espressa e influenzata dalla profezia di Daniele che dà origine a quella formulazione di un concetto messianico (cf. Dn 7, 13-14). “Figlio dell’uomo” in tale contesto non significa soltanto un comune uomo appartenente al genere umano, ma si riferisce a un personaggio che riceverà da Dio una dominazione universale e trascendente i singoli tempi storici, nell’era escatologica. Sulla bocca di Gesù e nei testi degli evangelisti la formula è pertanto carica di un senso pieno che abbraccia divino e umano, cielo e terra, storia ed escatologia, come lo stesso Gesù ci fa intendere quando, testimoniando davanti a Caifa di essere il Figlio di Dio, predice con forza: “D’ora innanzi vedrete il Figlio dell’uomo seduto alla destra di Dio, venire sulle nubi del cielo” (Mt 26, 64). Nel Figlio dell’uomo è dunque immanente la potenza e la gloria di Dio. Siamo di nuovo di fronte all’unico Uomo-Dio, vero Uomo e vero Dio. La catechesi ci riporta continuamente a lui, perché crediamo e, credendo, preghiamo e adoriamo. | 
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 “Dio e il mondo” Pag. 390 (In
  materia di morale sessuale) [...] l’inadeguatezza
  umana rispetto a quanto la Chiesa pretende dall’uomo alla luce della sua
  interpretazione della parola di Dio.  | Capitolo XI - Dell’osservanza
  dei comandamenti e della sua necessità e possibilità. Nessuno,
  poi, per quanto giustificato, deve ritenersi libero dall’osservanza dei
  comandamenti, nessuno deve far propria quell’espressione temeraria e proibita
  dai padri sotto pena di scomunica, esser cioè impossibile per l’uomo
  giustificato osservare i comandamenti di Dio. Dio, infatti, non comanda
  l’impossibile; ma quando comanda ti ammonisce di fare quello che puoi e di
  chiedere quello che non puoi, ed aiuta perché tu possa: i suoi comandamenti
  non sono gravosi, il suo giogo è soave e il peso leggero. [...] 21. Se qualcuno afferma che Gesù Cristo è stato dato agli uomini da Dio
  come redentore, in cui confidare e non anche come legislatore, cui obbedire:
  sia anatema. 22. Se qualcuno afferma che l’uomo giustificato può perseverare nella
  giustizia ricevuta senza uno speciale aiuto di Dio, o non lo può nemmeno con
  esso: sia anatema. 25. Se qualcuno afferma che in ogni opera buona il giusto pecca almeno
  venialmente, o (cosa ancor più intollerabile) mortalmente, e quindi merita le
  pene eterne, e che non viene condannato solo perché Dio non gli imputa a
  dannazione quelle opere: sia anatema. 27. Se qualcuno afferma che non vi è peccato mortale, se non quello
  della mancanza di fede, o che la grazia, una volta ricevuta, non può esser
  perduta con nessun altro peccato, per quanto grave ed enorme, salvo quello
  della mancanza di fede: sia anatema. 33. Se qualcuno afferma che con
  questa dottrina cattolica della giustificazione, espressa dal santo sinodo
  col presente decreto, si riduce in qualche modo la gloria di Dio o i meriti
  di Gesù Cristo nostro signore, e non piuttosto si manifesta la verità della
  nostra fede e infine la gloria di Dio e di Gesù Cristo: sia anatema. "A Dio tutto è possibile" (Mt 19,26) 22. Amara è la conclusione del colloquio di Gesù con il
  giovane ricco: "Udito questo, il giovane se ne andò triste, poiché aveva
  molte ricchezze" (Mt 19,22). Non solo l'uomo ricco, ma anche gli stessi
  discepoli sono spaventati dall'appello di Gesù alla sequela, le cui esigenze
  superano le aspirazioni e le forze umane: "A queste parole i discepoli
  rimasero costernati e chiesero: "Chi si potrà dunque
  salvare?"" (Mt 19,25). Ma il Maestro rimanda alla potenza di Dio:
  "Questo è impossibile agli uomini ma a Dio tutto è possibile" (Mt
  19,26). Nel medesimo capitolo del Vangelo di Matteo (19,3-10), Gesù,
  interpretando la Legge mosaica sul matrimonio, rifiuta il diritto al ripudio,
  richiamando ad un "principio" più originario e più autorevole
  rispetto alla Legge di Mosè: il disegno nativo di Dio sull'uomo, un disegno
  al quale l'uomo dopo il peccato è diventato inadeguato: "Per la durezza
  del vostro cuore Mosè vi ha permesso di ripudiare le vostre mogli, ma da
  principio non fu così" (Mt 19,8). Il richiamo al "principio"
  sgomenta i discepoli, che commentano con queste parole: "Se questa è la
  condizione dell'uomo rispetto alla donna non conviene sposarsi" (Mt
  19,10). E Gesù, riferendosi in modo specifico al carisma del celibato
  "per il Regno dei cieli" (Mt 19,12), ma enunciando una regola
  generale, rimanda alla nuova e sorprendente possibilità aperta all'uomo dalla
  grazia di Dio: "Egli rispose loro: "Non tutti possono capirlo, ma
  solo coloro ai quali è stato concesso"" (Mt 19,11). Imitare e
  rivivere l'amore di Cristo non è possibile all'uomo con le sole sue forze.
  Egli diventa capace di questo amore soltanto in virtù di un dono ricevuto.
  Come il Signore Gesù riceve l'amore del Padre suo, così Egli a sua volta lo
  comunica gratuitamente ai discepoli: "Come il Padre ha amato me, così
  anch'io ho amato voi. Rimanete nel mio amore" (Gv 15,9). Il dono di
  Cristo è il suo Spirito, il cui primo "frutto" (cfr. Gal 5,22) è la
  carità: "L'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo
  dello Spirito Santo, che ci è stato dato" (Rm 5,5). Sant'Agostino si
  chiede: "E l'amore che ci fa osservare i comandamenti, oppure è
  l'osservanza dei comandamenti che fa nascere l'amore?". E risponde:
  "Ma chi può mettere in dubbio che l'amore precede l'osservanza?  Chi infatti non ama è privo di motivazioni per osservare
  i comandamenti". 23. "La legge dello Spirito che dà vita in Cristo Gesù
  ti ha liberato dalla legge del peccato e della morte" (Rm 8,2). Con
  queste parole l'apostolo Paolo ci introduce a considerare nella prospettiva
  della storia della Salvezza che si compie in Cristo il rapporto tra la Legge
  (antica) e la grazia (Legge nuova). Egli riconosce il ruolo pedagogico della
  Legge, la quale, permettendo all'uomo peccatore di misurare la sua impotenza
  e togliendogli la presunzione dell'autosufficienza, lo apre all'invocazione e
  all'accoglienza della "vita nello Spirito". Solo in questa vita
  nuova è possibile la pratica dei comandamenti di Dio. Infatti, è per la fede
  in Cristo che noi siamo resi giusti (cfr. Rm 3,28): la "giustizia"
  che la Legge esige, ma non può dare a nessuno, ogni credente la trova
  manifestata e concessa dal Signore Gesù. Così mirabilmente ancora
  sant'Agostino sintetizza la dialettica paolina di legge e grazia: "La
  legge, perciò, è stata data perché si invocasse la grazia; la grazia è stata
  data perché si osservasse la legge". L'amore e la vita secondo il
  Vangelo non possono essere pensati prima di tutto nella forma del precetto,
  perché ciò che essi domandano va al di là delle forze dell'uomo: essi sono
  possibili solo come frutto di un dono di Dio, che risana e guarisce e
  trasforma il cuore dell'uomo per mezzo della sua grazia: "Perché la
  legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di
  Gesù Cristo" (Gv 1,17). Per questo la promessa della vita eterna è legata
  al dono della grazia, e il dono dello Spirito che abbiamo ricevuto è già
  "caparra della nostra eredità" (Ef 1,14). 24. Si
  rivela così il volto autentico e originale del comandamento dell'amore e
  della perfezione alla quale esso è ordinato: si tratta di una possibilità
  aperta all'uomo esclusivamente dalla grazia, dal dono di Dio, dal suo amore.
  D'altra parte, proprio la coscienza di aver ricevuto il dono, di possedere in
  Gesù Cristo l'amore di Dio, genera e sostiene la risposta responsabile di un
  amore pieno verso Dio e tra i fratelli, come con insistenza ricorda
  l'apostolo Giovanni nella sua prima Lettera: "Carissimi, amiamoci gli
  uni gli altri, perché l'amore è da Dio: chiunque ama è generato da Dio e conosce
  Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore... Carissimi, se
  Dio ci ha amato, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri... Noi amiamo,
  perché egli ci ha amati per primo" (1Gv 4,7-8.11.19). Questa connessione
  inscindibile tra la grazia del Signore e la libertà dell'uomo, tra il dono e
  il compito, è stata espressa in termini semplici e profondi da sant'Agostino,
  che così prega: "Da quod iubes et iube quod vis" (dona ciò che
  comandi e comanda ciò che vuoi). Il dono non diminuisce, ma rafforza
  l'esigenza morale dell'amore: "Questo è il suo comandamento: che
  crediamo nel nome del Figlio suo Gesù Cristo e ci amiamo gli uni gli altri,
  secondo il precetto che ci ha dato" ( 1 Gv 3,23). Si può
  "rimanere" nell'amore solo a condizione di osservare i
  comandamenti, come afferma Gesù: "Se osserverete i miei comandamenti,
  rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e
  rimango nel suo amore" (Gv 15,10). Raccogliendo quanto è al cuore del
  messaggio morale di Gesù e della predicazione degli Apostoli, e riproponendo
  in una sintesi mirabile la grande tradizione dei Padri d'Oriente e
  d'Occidente - in particolare di sant'Agostino - san Tommaso ha potuto
  scrivere che la Legge Nuova è la grazia dello Spirito Santo donata mediante la
  fede in Cristo. I precetti esterni, di cui pure il Vangelo parla, dispongono
  a questa grazia o ne dispiegano gli effetti nella vita. Infatti, la Legge
  Nuova non si contenta di dire ciò che si deve fare, ma dona anche la forza di
  "fare la verità" (cfr. Gv 3,21). Nello stesso tempo san Giovanni
  Crisostomo ha osservato che la Legge Nuova fu promulgata proprio quando lo
  Spirito Santo discese dal cielo nel giorno di Pentecoste e che gli Apostoli
  "non discesero dal monte portando, come Mosè, delle tavole di pietra
  nelle loro mani; ma se ne venivano portando lo Spirito Santo nei loro
  cuori..., divenuti mediante la sua grazia una legge viva, un libro
  animato". [...] Questa verità della legge morale - come
  quella del "deposito della fede" - si dispiega attraverso i secoli:
  le norme che la esprimono restano valide nella loro sostanza [...]. L'uomo ha in realtà una legge scritta da Dio
  dentro il suo cuore: obbedire ad essa è la dignità stessa dell'uomo, e
  secondo questa egli sarà giudicato (cfr. Rm 2,14-16)". Per questo il
  modo secondo cui si concepisce il rapporto tra la libertà e la legge si
  collega intimamente con l'interpretazione che viene riservata alla coscienza
  morale. In tal senso le tendenze culturali sopra ricordate, che
  contrappongono e separano tra loro la libertà e la legge ed esaltano in modo
  idolatrico la libertà, conducono ad un'interpretazione "creativa"
  della coscienza morale, che si allontana dalla posizione della tradizione
  della Chiesa e del suo Magistero. [...] Né manca chi ritiene che
  questo processo di maturazione sarebbe ostacolato dalla posizione troppo
  categorica che, in molte questioni morali, assume il Magistero della Chiesa,
  i cui interventi sarebbero causa, presso i fedeli, dell'insorgere di inutili
  conflitti di coscienza. 56. Per
  giustificare simili posizioni, alcuni hanno proposto una sorta di duplice
  statuto della verità morale. Oltre al livello dottrinale e astratto,
  occorrerebbe riconoscere l'originalità di una certa considerazione
  esistenziale più concreta. Questa, tenendo conto delle circostanze e della
  situazione, potrebbe legittimamente fondare delle eccezioni alla regola
  generale e permettere così di compiere praticamente, con buona coscienza, ciò
  che è qualificato come intrinsecamente cattivo dalla legge morale. In tal
  modo si instaura in alcuni casi una separazione, o anche un'opposizione, tra
  la dottrina del precetto valido in generale e la norma della singola
  coscienza, che deciderebbe di fatto, in ultima istanza, del bene e del male.
  Su questa base si pretende di fondare la legittimità di soluzioni cosiddette
  "pastorali" contrarie agli insegnamenti del Magistero e di
  giustificare un'ermeneutica "creatrice", secondo la quale la
  coscienza morale non sarebbe affatto obbligata, in tutti i casi, da un
  precetto negativo particolare. Non vi è chi non colga che con queste
  impostazioni si trova messa in questione l'identità stessa della coscienza
  morale di fronte alla libertà dell'uomo e alla legge di Dio. Solo la
  chiarificazione precedentemente fatta sul rapporto tra libertà e legge
  fondato sulla verità rende possibile il discernimento circa questa
  interpretazione "creativa" della coscienza.  PAPA GIOVANNI PAOLO II – “MULIERIS DIGNITATEM” Si
  può dire paradossalmente che il peccato presentato in Genesi (Gen 3) è la
  conferma della verità circa l’immagine e somiglianza di Dio nell’uomo, se
  questa verità significa la libertà, cioè la libera volontà, di cui l’uomo può
  usare scegliendo il bene, ma può anche abusare scegliendo, contro la volontà
  di Dio, il male. Nel suo significato essenziale, tuttavia, il peccato è
  negazione di ciò che Dio è - come creatore - in relazione all’uomo e di ciò
  che Dio vuole, sin dall’inizio e per sempre, per l’uomo. Creando l’uomo e la
  donna a propria immagine e somiglianza, Dio vuole per loro la pienezza del
  bene, ossia la felicità soprannaturale, che scaturisce dalla partecipazione
  alla sua stessa vita. Commettendo il peccato l’uomo respinge questo dono e
  contemporaneamente vuol diventare egli stesso "come Dio, conoscendo il
  bene e il male" (Gen 3,5), cioè decidendo del bene e del male
  indipendentemente da Dio, suo creatore. Il peccato delle origini ha la sua
  "misura" umana, il suo metro interiore nella libera volontà
  dell’uomo ed insieme porta in sé una certa caratteristica
  "diabolica" ("Diabolicus" e lingua Graeca
  = "divido, separo, calumnior"), come è
  messo chiaramente in rilievo nel libro della Genesi (Gen 3,1-5). Il peccato
  opera la rottura dell’unità originaria, di cui l’uomo godeva nello stato di
  giustizia originale: l’unione con Dio come fonte dell’unità all’interno del
  proprio "io", nel reciproco rapporto dell’uomo e della donna
  ("communio personarum")
  e, infine, nei confronti del mondo esterno, della natura.  | 
| Pag. 88.  Naturalmente
  in quest’immagine è insito un pericolo. Nell’illuminismo ha contribuito in
  maniera significativa alla presa di distanza da Dio. Perché da un Dio che mi
  osserva inesorabilmente ovunque io sia, che non mi concede mai uno spazio mio
  – la mia privacy si direbbe oggi – da un simile Dio ci si separa
  volentieri. Considerare il vedere come una minaccia, come un pericoloso
  osservare che mi sottrae la libertà è un’interpretazione sbagliata che
  capovolge l’immagine autentica di Dio. | PAPA GIOVANNI PAOLO II - dal libro: “TRITTICO ROMANO” II Meditazioni
  sulla “Genesi”. Dalla soglia
  della Cappella Sistina. [...] Epilogo | 
In futuro altri brani in cui si trovano altre eresie, errori e ambiguità riguardanti altri temi.